di Camille de Toledo
[Camille de Toledo ha fondato nel 2008 la Société européenne des auteurs (www.seua.org), un’istituzione che incoraggia una “poetica ed una politica del tradurre” in Europa. Tra i suoi lavori, l’opéra-vidéo, « La Chute de Fukuyama », nel 2013, con l’orchestre Philharmonique de Radio France o, nel 2015, a Leipzig, presso il Centre d’Art de la Halle 14-Spinnerei, il ciclo di « L’Exposition potentielle », « History Reloaded », e « Europa – Eutopia». Ha scritto cinque romanzi e quattro saggi, tra cui Les Potentiels du temps (Manuella éditions), apparso nel settembre 2016. Il suo nuovo romanzo, Le livre de la faim et de la soif, è stato pubblicato nel febbraio 2017 (Gallimard). Toledo sarà in Italia nei prossimi giorni: a Forlì, Palermo e Roma].
Dopo un lungo ciclo di regressione identitaria e di ricostruzione delle frontiere, come possiamo concepire una politica, una poetica e una pedagogia della riapertura ai mondi, alla molteplicità dei mondi? Come possiamo pensare un mondo senza l’altro, in cui la differenza tra il Sé e l’Altro non sia più essenzializzata, vale a dire idealizzata dai fautori della differenza ed esacerbata dai sostenitori dell’identità? Che cosa succede se concepiamo lo spazio politico – ossia ciò che costituisce il «noi» – a partire dalla meta-lingua del «tradurre», una lingua la cui grammatica e la cui sintassi siano volte per l’appunto a creare legami, a collegare ciò che non può essere collegato? È proprio di questa concezione della «traduzione-come-lingua», tra entità umane (le culture) ed entità non umane (i legami tra cultura e natura) che l’Europa del ventunesimo secolo può – e dovrebbe – essere il laboratorio, il luogo di sperimentazione.
Nel corso degli ultimi vent’anni due grandi sfide hanno, in qualche sorta, colpito lo spazio europeo: da una parte il ri-armamento identitario in una situazione di crisi mondiale in cui rifugiati, migranti e profughi forzano le frontiere e costringono gli spazi politici nazionali a ri-pensarsi, culturalmente, non come spazi omogenei ma come spazi eterogenei di traduzione: tra lingue, culture, codici religiosi e, più in generale, tra codici di esistenza. In questo contesto il punto è far fronte a questa eterotopia, a questa eterogeneità, non limando le differenze, né assimilando – con la violenza –, o peggio ancora respingendo dietro frontiere invalicabili, ma elaborando, ovunque sia possibile, delle politiche di traduzione, della politiche traducenti, a partire da una nuova concezione del «cittadino-traduttore»: un legame di cittadinanza che non viene più pensato esclusivamente sulla semplice base dell’appartenenza alla comunità nazionale – quindi secondo una condivisione dei valori acquisiti – ma secondo i termini di uno sforzo nuovo, che abbia come scopo, tra gli altri, quello di creare legami, collegarsi. In questo contesto ci troviamo ancora tra culture umane. Ma questo sforzo di traduzione assume una dimensione ancora più ampia quando affrontiamo la seconda sfida: la crisi ecologica nell’era dell’antropocene, ossia lo squilibrio, sempre più grave, tra le nostre comunità umane (i diritti umani) e le comunità non umane (i diritti della natura). Questo squilibrio, che di rimando minaccia le nostre comunità umane – soprattutto con il riscaldamento climatico o la distruzione della biodiversità – ci obbliga a cambiare le forme della rappresentazione e il modo di concepire le nostre comunità politiche. È il senso del lavoro inaugurale di Bruno Latour, che si prefigge di elaborare rappresentazioni estese ai soggetti non umani: animali, piante, ecosistemi. Questa svolta ontologica – un’estensione della rappresentazione ai soggetti non umani, la progressiva elaborazione di una dichiarazione dei diritti non umani – pone anch’essa questioni di traduzione: come negoziare con gli alberi se non li capiamo? Come prendere in considerazione le rivendicazioni animali se non riconosciamo loro un linguaggio? Quale lingua sarà parlata in questo parlamento esteso?
Ciò che chiamiamo il tra-le-lingue è, in tal senso, questa nuova piazza pubblica, questo nuovo spazio politico comune, a venire, in cui la lingua comune altro non è che la traduzione. Traduzione fra due culture che tendono a essenzializzarsi, a fossilizzarsi sulle loro differenze alla luce di un’ontologia classica, differenzialista, identitaria, che invece occorre ripensare secondo il paradigma del tradurre, questa scienza del groviglio delle lingue. Ma anche traduzione fra soggetti umani e soggetti non umani, solidali gli uni con gli altri nella lotta per conservare il loro diritto all’esistenza, in un’ecologia generale dominata dai meta-soggetti delle imprese nell’era del capitalismo sfrenato. In questa lotta contro ciò che sarebbe bene chiamare il capitalocene, cioè l’era in cui il capitale è diventato il principale fattore di estinzione delle specie e di distruzione degli ecosistemi – compresi quelli umani –, questo spazio pubblico esteso, costruito a partire dal tradurre, è la condizione per l’affermazione di un nuovo Parlamento, di una nuova politica che mira a difendere tutte le forme di vita.
È questo il senso di ciò che potrebbe essere una politica di sinistra – di una sinistra che ha integrato pienamente la svolta ecologica – per il ventunesimo secolo, soprattutto in Europa. Una politica del tradurre che cercherebbe di stabilire, e quindi di finanziare, a ogni scala della vita pubblica – a livello municipale, regionale, statale, inter-statale e inter-specista –, delle cinghie di traduzione: nelle scuole e nelle università, l’elaborazione di una politica delle lingue multiple che si estenda anche ai linguaggi non umani, tesa a trasmettere alle generazioni future questa concezione estesa del vivente, delle molteplici forme di vita. In ogni luogo di scambio tra le amministrazioni e gli utenti, ancora e sempre, dei servizi di traduzione. A livello statale ed europeo, l’elaborazione di un autentico servizio pubblico della traduzione cui i cittadini potrebbero ricorrere. Nella vita quotidiana, lo sviluppo di tecnologie di traduzione automatica, per permettere una più ampia circolazione, una più ampia connessione. Nell’elaborazione delle leggi, la costituzione di un «diritto dei soggetti non umani», opponibile ai «diritti delle imprese» – le quali imprese saranno state, nella storia, i primi soggetti non umani a ottenere dei diritti –, affinché la deliberazione democratica possa realizzarsi tra la più grande diversità possibile di soggetti.
Il programma di una tale trasformazione dello spazio pubblico è immensa. Il repertorio teorico per inaugurare questo cantiere è alle porte. Mancano soltanto la volontà politica per costruirlo, la pressione mediatica per democratizzarlo e, infine, l’intelligenza collettiva e la volontà cittadina per imporlo.
1 settembre 2017 – Mertola – Portogallo.
[Immagine: acero]
La traduzione, «scienza del groviglio delle lingue», contro la nazionalizzazione identitaria, che tende a «fossilizzarsi» sulle differenze. Ma anche (addirittura, per alcuni) « traduzione fra soggetti umani e soggetti non umani» (animali, piante). Buone idee. Ma chi si assumerà la responsabilità di questa «politica del tradurre»? « Una sinistra che ha integrato pienamente la svolta ecologica – per il ventunesimo secolo, soprattutto in Europa»? Diciamocelo: non se ne vede di sinistra in giro di questo tipo. Lo ammette lo stesso autore: « Mancano soltanto la volontà politica per costruirlo, la pressione mediatica per democratizzarlo e, infine, l’intelligenza collettiva e la volontà cittadina per imporlo». Però perché sputare addosso alle buone idee solo perché non hanno gambe? Troviamogliele.
@ abate
Come no, tanto più che l’autore di questo manifesto ecologista e anticapitalista, in cui si propone “la costituzione di un «diritto dei soggetti non umani», opponibile ai «diritti delle imprese»”, è l’erede della multinazionale agroalimentare Danone (22 miliardi di euro di fatturato annuo). Immagino che pensi in primo luogo alle mucche quando scrive: “Come prendere in considerazione le rivendicazioni animali se non riconosciamo loro un linguaggio?”.
Comprensibile l’interesse per il «diritto dei soggetti non umani» nutrito dall’Autore, che con questo articolo si autocertifica come extraterrestre (rettiliano?)
Per essere più precisi: erede della famiglia che ha fondato e diretto fino a qualche anno fa il gruppo Danone, non della multinazionale stessa.
@ Islandese
Forse si trovano in Islanda le buone idee (ecologiste o meno ) con gambe già pronte per camminare?
Mi dica…
@ abate
La negoziazione con gli alberi, la traduzione dei linguaggi animali, la deliberazione democratica insieme a soggetti non umani, sarebbero queste le buone idee?
Sarà perché vivo in mezzo agli alberi, e ieri una trentina di pecore sono entrate dal cancello, ma mi risulta, ho toccato con mano, che umani alberi e bestie si intendano benissimo,e reciprocamente, dove il capitalismo sfrenato non domina ancora. Posti che dovrebbero essere in maggioranza al mondo, grab landing permettendo.
@ Islandese
Insisto a conoscere quelle *veramente* buone dalle sue parti…
Comunque io avevo insistito soprattutto su un punto: “La traduzione, «scienza del groviglio delle lingue», contro la nazionalizzazione identitaria, che tende a «fossilizzarsi» sulle differenze.”
@Abate
A me, invece, sembra necessario insistere sulle idee pessime, come quella, espressa in questo post, secondo la quale non solo le identità nazionali, ma la civiltà europea tout court, dovrebbero essere sacrificate a beneficio di una Babele amministrata da funzionari-traduttori inter-specie, in prospettiva di un’equiparazione tra i diritti degli esseri umani e quelli delle bestie, dei vegetali o dei minerali. Abate, mi scusi se passo al tu, ma ci sei o ci fai? Questo delirante manifesto tra-le-lingue è un purissimo esempio delle aberrazioni a cui è incline una élite pseudo-intellettuale e mondialista che, dopo avere riempito i propri forzieri grazie alla violenza dei rapporti sociali, si compiace nel vagheggiare un’arcadica pacificazione del mondo.
@ Islandese
Benissimo per il tu. Delle “idee pessime” di questo post credo di aver apprezzato, come già ti ho detto, la meno pessima politicamente: la critica alla “nazionalizzazione identitaria”. Non vedo poi perché non apprezzare l’invito al *tradurre*. Sono idee che sostengo *in proprio* anche con altri amici di Poliscritture. E averle ritrovate in questo post, di cui ho comunque segnalato le debolezze con una serie di domande dubbiose, può scandalizzare solo te o quelli che guardano prima chi parla e poi a quel che dice.
SE l’autore è un erede dei Danone o MIRA ad una Babele governata da burocrati o è un mondialista acritico o un arcade pacifista, per me è altro discorso. Da fare certamente, ma non per squalificare quel poco che ho apprezzato.
Ti ho poi invitato a segnalarmi il *meglio* in nome del quale tu muovi LE tue critiche ( a me, ma indirettamente anche a LPLC che ha ospitato il post) ma fai orecchio da mercante. Quindi il “ci sei o ci fai” s’adatta di più al tuo discorso (tra l’altro da anonimo).
@ abate
A dire il vero ho letto prima il post, che ho trovato, come dicevo, delirante, e solo dopo mi sono informato su chi l’aveva scritto. Mi è parso rivelatore che questa irenica e psichedelica visione del mondo provenisse da una posizione sociale di assoluto privilegio, quale la si conquista, o la si eredita, solo grazie alla violenza reale del mondo medesimo. Per quanto riguarda le idee migliori, se ti aspetti da me un prontuario di ricette per curare i mali della contemporaneità, hai sbagliato interlocutore, ti lascio volentieri il ruolo di venditore di elisir. Ma in ogni caso credo possano essere solo quelle che affrontano in modo problematico il rapporto fra identità e alterità, senza proporre facili equiparazioni tra consapevolezza di sé e rifiuto dell’altro, sovranità nazionale e chiusura al resto del mondo. E, soprattutto, senza fantasticare strani amalgami fra esseri umani, pecore e cipressi.
“se ti aspetti da me un prontuario di ricette per curare i mali della contemporaneità…ti lascio volentieri il ruolo di venditore di elisir…credo possano essere solo quelle che affrontano in modo problematico il rapporto fra identità e alterità” (Islandese)
Ti ho chiesto soltanto se su questi problemi (economici, ambientali) avevi un riferimento migliore da contrapporre a quello dell’erede dei Danone. Non ce l’hai. Nessuno spaccio di elisir. Problematico credo di essere stato io pure.