a cura di Damiano Abeni

Da diversi decenni il primo dicembre è la “Giornata mondiale contro l’AIDS”. Mentre in modo ancora lacunoso e diseguale si cerca di ricostruire il quadro culturale disegnato dall’impatto dell’epidemia di AIDS negli anni ’80, ci sembra interessante raccogliere qui tre poesie dedicate a David Kalstone, eccelso critico di poesia statunitense contemporanea, morto di AIDS nel 1986. Dei suoi tre libri [Sidney’s Poetry: Contexts and Interpretations (1965).

Five Temperaments: Elizabeth Bishop, Robert Lowell, James Merrill, Adrienne Rich, John Ashbery (1977). Becoming a Poet: Elizabeth Bishop with Marianne Moore and Robert Lowell (1989)] io conosco bene gli ultimi due, e non posso non concordare con Hecht che siano tra i “più raffinati libri sul mio scaffale”

La prima poesia venne inclusa da Merrill all’inizio del 1986 in una lettera a David McIntosh, riferendo che si trattava di “un sogno che ho fatto davvero”. La malattia di Kalstone lo spinse in quel periodo finalmente a cercare chiarezza sulla propria situazione. Sulla prima pagina di un taccuino di quell’anno si legge: “30.iii. Pasqua. Ora iniziano – su un aereo per Rochester (Mayo Clinic) – 3 o 4 giorni da solo. Mi sento quasi riverente nei loro confronti. Un ritiro dal quale emergerò salvato oppure … no”. Per chi fosse interessato a una lettura molto fine di questa poesia, esempio insuperato di esperienza liminale, copio il link della Contemporary Poetry Review (2013) con il saggio “Techne in Textiles: Merrill’s “Investiture at Cecconi’s’” di Moira Egan.

La seconda poesia, come la prima raccolta nella sezione conclusiva di The Inner Room (Knopf, 1988), capolavoro di sublimazione e de-sublimazione, venne scritta dopo la cerimonia commemorativa (20 settembre 1986, New York Public Library), quando le ceneri di Kalstone era già state disperse, in parte a Venezia in parte a Stonington – dove Merrill abitava.

Anthony Hecht, presente alla cerimonia, lesse la terza poesia che qui riportiamo – poi pubblicata in The Transparent Man (Knopf, 1990).

Il fenomenale legame delle menti migliori tra i letterati statunitensi con l’Italia in genere e con Venezia in particolare [si veda ad esempio il volume curato da me e Moira Egan: Charles Wright, Italia, Donzelli, 2016] è particolarmente struggente in queste poesie.

Merrill concluse la cerimonia commemorativa leggendo questo passo da un diario di Kalstone: “Stasera, in piedi a una finestra di Palazzo Barbaro, penso debba trattarsi della più bella sera del mondo. Fresca. Morbida luce che svanisce e lente ombre sul Canal Grande. Una profonda macchia di sole. Essere solo. Oh, aprire il mio cuore come non ho fatto da anni – Venezia, mia splendida Venezia. Il cuore duole mentre la luce si spegne”.

Ringraziamo The Literary Estate of James Merrill presso la Washington University di St. Louis, Missouri, detentrice del copyright dell’opera merrilliana, e Stephen Yenser e J.D. McClatchy, esecutori letterari dell’autore, per il supporto fornito e per il permesso di pubblicare i testi e le traduzioni. Il caro J.D. doppiamente, in quanto esecutore letterario anche di Anthony Hecht.

Queste traduzioni risalgono ai primi anni ’90. La poesia di Hecht venne pubblicata da Goffredo Fofi sul primo numero de “La Terra Vista dalla Luna” (febbraio 1995).

La sezione è dedicata a Vanni Piccolo e agli amici del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli con cui in quegli anni ho avuto la fortuna di condividere fondamentali esperienze professionali e, ciò che più conta, umane.

James Merrill

INVESTITURA  DA  CECCONI

per David Kalston

Caro, quel sogno (dopo la diagnosi)
mi trovò spazientito davanti alla porta
del “nostro” sarto veneziano. Volevo
un abito da sera per il capodanno.

Poi un lume si accese. La vecchia che cuce
dall’alba al tramonto nel retrobottega, aprì
d’un guardingo centimetro, protestando
vivace per l’ora tarda-

Tessuti? Modelli? Quelli li mostra, non ora,
di giorno il proprietario – ma poi come un lampo
tutto il volto le si accende: Ma! il Signore
è venuto a provarsi la nuova vestaglia!

Vestaglia? Mi fa cenno di entrare. Il trittico
dello specchio evoca tre curve megere
in cui si è diffratta in spazio arcano. Per magia
riconvergono, braccia colme di luna.

Sulle mie braccia infila maniche di luce. Fresca
seta dalle solenni candide pliche – lutto orientale –
mi fascia dal collo ai piedi. Mi rivolgo
a lei, senza capire.

Ringrazi il suo amico, ridacchia, il Professore!
Sbigottito oscillo come un albero di lacrime. Tu –
così lontano, malato, impaurito – hai orchestrato
questo regalo che mi ferma il cuore.

 

 

INVESTITURE AT CECCONI’S

for David Kalstone

Caro, that dream (after the diagnosis)
found me losing patience outside the door of
“our” Venetian tailor. I wanted evening
clothes for the new year.

Then a bulb went on. The old woman, she who
stitches dawn to dusk in his back room, opened
one suspicious inch, all the while exclaiming
over the late hour–

Fabrics? patterns? those the proprietor must
show by day, not now — till a lightning insight
cracks her face wide: Ma! the Signore’s here to
try on his new robe!

Robe? She nods me onward. The mirror tryptich
summons three bent crones she diffracted into
back from no known space. They converge by magic,
arms full of moonlight.

Up my own arms glistening sleeves are drawn. Cool
silk in grave, white folds–Oriental mourning–
sheathes me, throat to ankles. I turn to face her,
uncomprehending.

Thank your friend, she cackles, the Professore!
Wonderstruck I sway, like a tree of tears. You–
miles away, sick, fearful– have yet arranged this
heartstopping present.

 

James Merrill

PERFORMANCE D’ADDIO

per DK

L’arte. Cura tormenti. Quando si abbassano le luci
e il Maestro alza la bacchetta, l’immancabile mutare
di marea ci prende dentro. Agili alchimisti ancora
una volta fanno del solito tutto,

puro, breve oro. Alla fine i nostri bravo!
li richiamano fuori, saldati dal sudore e in costume,
fuori, ancora in scena… qualsiasi cosa pur di negare
il fatto che è finita.

Te ne sei andato. T’eri preso come un raffreddore
la loro brama d’essenza. Ora, nel forno arso
a una dozzina di manciate lievi, fine ghiaia
mortale setacciata tra le dita,

ruvido eppure baluginante in grigio sublimato
di giorni di palazzo, Sidney, Strauss, del malinconico
Non possiamo esser solo amici? che la tua telefonata
a colazione rivestiva di buonumore,

questo è quanto pagaiando sul dingo di un vicino
uscimmo a disperdere – Peter che afferrò la boa,
io che tenni sott’acqua il cofanetto, liberandone
tutto il contenuto. Passati

solatii, fluenti fondali quella farina del sé
prendendo forma simile a uomo per l’estremo jeté
sulla spettrale – aspetta, ah! – punta verso tenebra svanita.
Altissime, le ali d’un gabbiano

applaudirono. Le luci del teatro (sempre pensando, caro,
la Terra resti il tuo teatro) al massimo splendore fissano
la scena definitivamente: colori veri, la mano calda del sole
sulla mia umida…

Si riaffacciano al proscenio. Quanto ti sarebbe piaciuto.
A turno ci siamo alzati. Archiviati orrore e pietà,
riposti i programmi, labbra socchiuse, sgomitiamo
in avanti ansiosi di acclamarli,

anzi, di unirci al cast – ci arruolerà un amico
un bel giorno? Strano però. Visti da così vicino, la loro
magia si autodistrugge. Pallidi, madidi, occhi bassi,
hanno visto dove ti ha portato.

 

 

FAREWELL PERFORMANCE

For D. K.

Art. It cures affliction. As lights go down and
Maestro lifts his wand, the unfailing sea change
starts within us. Limber alembics once more
make of the common

Lot a pure, brief gold. At the end our bravos
call them back, sweat-soldered and leotarded,
back, again back – anything not to face the
fact that it’s over.

You are gone. You’d caught like a cold their airy
lust for essence. Now, in the furnace parched to
ten or twelve light handfuls, a mortal gravel
sifted through fingers,

Coarse yet grayly glimmering sublimate of
palace days, Strauss, Sidney, the lover’s plaintive
Can’t we just be friends? which your breakfast phone call
Clothed in amusement,

This is what we paddled a neighbor’s dinghy
out to scatter – Peter who grasped the buoy,
I who held the box underwater, freeing
all it contained. Past

Sunny, fluent soundings that gruel of selfhood
taking manlike shape for one last jeté on
ghostly – wait, ah! – point into darkness vanished.
High up, a gull’s wings

Clapped. The house lights (always supposing, caro,
Earth remains your house) at their brightest set the
scene for good: true colors, the sun-warm hand to
cover my wet one …

Back they come. How you would have loved it. We in
turn have risen. Pity and terror done with,
programs furled, lips parted, we jostle forward
eager to hail them,

More, to join the troupe – will a friend enroll us
one fine day? Strange, though. For up close their magic
self-destructs. Pale, dripping, with downcast eyes they’ve
seen where it led you.

 

Anthony Hecht

IN MEMORIA DI DAVID KALSTONE

morto di AIDS

Maionese al lime e menta e salsa verde
contorno al pesce lesso che Helen cucinava
per te e J.M. che venivate a trovarci
alla stagione dei salmoni. Ora ombra cava,

assenza sfuocata che in passato era stata
allegra, intelligente, d’una cortesia celestiale,
ti lasci alle spalle, con lo shock della morte,
tre dei più raffinati libri sul mio scaffale.

“Gli uomini muoiono di tanto in tanto”, disse Rosalia,
“Ma non,” aggiunse, “per amore.” Vero!
Dal verde mondo d’Africa l’epidemia
cancellò la Foresta di Arden, l’intera

ciurma d’innocenti, dei quali, povero generoso fantasma,
eri tra i più pieni di vita. Il tuo amico
ha sparso sull’onda veneziana, calma,
le tue ceneri che possano discendere all’aprico

fondo del mostruoso mondo
o lambiscano scale marmoree o passino sotto
ponticelli, solchino in vortici e mulinelli
Palazzo Barbaro liquefatto.

Quel rispecchiato splendore trattiene un poco
il tuo passare nell’edificio che si scompone
sulle acque del Canal Grande,
freme e si attorce, s’increspa, si ricompone. 

 

IN MEMORY OF DAVID KALSTONE

                                               who died of AIDS

 

Lime-and-mint mayonnaise and salsa verde
Accompanied poached fish that Helen made
For you and J.M. when you came to see us
Just at the salmon season. Now a shade,

A faint blurred absence who before had been
Funny, intelligent, kindness itself,
You leave behind, beside the shock of death,
Three of the finest books upon my shelf.

“Men die from time to time,” said Rosalind,
“But not,” she said, “for love.” A lot she knew!
From the green world of Africa the plague
Wiped out the Forest of Arden, the whole crew

Of innocents, of which, poor generous ghost,
You were among the liveliest. Your friend
Scattered upon the calm Venetian tides
Your sifted ashes so they might descend

Even to the bottom of the monstruous world
Or lap the marble steps and pass below
The little bridges, whirl and eddy through
A liquefied Palazzo Barbaro.

That mirrored splendor briefly entertains
Your passing as the whole edifice trembles
Within the waters of the Grand Canal,
And writhes and twists, wrinkles and reassembles.

 

[Immagine: Keith Haring, Murale, Barcellona, 1989]

 

 

 

 

 

 

1 thought on “Rispecchiato splendore

  1. Credo che non sia fuori luogo rimandare qui a una lunga e sinuosa poesia scritta da Tim Dlugos pochi mesi prima di morire, nel 1990, cinquantenne, per le complicazioni dovute all’AIDS: https://www.poetryfoundation.org/poems/55132/g-9
    Qui è il poeta stesso a riflettere sulla sua malattia: una testimonianza che mi pare giusto pendant con le poesie dedicate a Kalstone. Se si vuole, è disponibile una traduzione in italiano: https://inunserazungun.wordpress.com/2016/12/16/tim-dlugos-g-9/

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