di Franco Arminio
[È appena uscito in libreria Cartoline dai morti (2007-2017) di Franco Arminio, un’edizione accresciuta e arricchita di testi inediti dell’omonimo libro apparso nel 2010. Pubblichiamo una scelta di testi dalle tre sezioni che la compongono].
da Cartoline dai morti
Qui la fine della primavera e la fine dell’inverno sono piú o meno la stessa cosa. Il segnale sono le prime rose. Ne ho vista una mentre mi portavano nell’ambulanza. Ho chiuso gli occhi pensando a questa rosa, mentre davanti l’autista e l’infermiera parlavano di un ristorante nuovo dove ti fanno abbuffare e si spende pochissimo.
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Ho preso la corrente, sono morto fulminato. Stavamo lavorando nel cinema, il lavoro era quasi finito. Ero appena tornato dalla Svizzera. Ero contento.
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Mi ero quasi abituato alla malattia. Quel giorno era festa e mi ero ben vestito. Guardavo mia moglie che girava stanca per la casa. Sono morto con un colpo di tosse mentre provavo a mangiarmi un mandarino.
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Ero scapolo, sono morto nel sonno. Mi hanno trovato due giorni dopo. Una vicina di casa mi ha messo una mano sulla fronte. Aveva un odore di mele marce.
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Stavo togliendo di mezzo le maglie dell’inverno. Mi ero stancato di piegarle una a una e di trovare un posto dove nasconderle. Nella mia casa c’erano troppe cose. Troppe maglie, troppe scarpe, troppi cappotti, troppe sciarpe. Sono caduto a terra stringendomi a un maglione. Era un maglione verde, uno che non mi ero messo mai.
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Avevo novantanove anni. I miei figli venivano alla casa di riposo solo per parlarmi della festa dei cento anni. A me la cosa non mi faceva nessun effetto. Io non li sentivo, sentivo solo la mia stanchezza. È successo sotto gli occhi della prima figlia. Mi stava dando uno spicchio di mela e mi parlava della torta col numero cento. L’uno deve essere lungo quanto un bastone e gli zeri quanto le ruote di una bicicletta, stava dicendo.
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Mio marito mi ha gettata nel pozzo. Gli è venuta una furia, una forza che non gli avevo mai visto. Ho gridato mentre mi trascinava, ma non c’era nessuno, solo le rondini facevano avanti e indietro per farsi il nido sotto il tetto della nostra casa.
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Mi dispiace per te, ho detto a mia moglie che mi stringeva le mani. Nessuno quando stiamo bene ci stringe le mani in questo modo, nessuno.
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L’ultimo mio respiro è stato un respiro da formica. È stato cosí piccolo che nessuno l’ha notato. Già erano tutti agitati, già cercavano le scarpe nuove, il fazzoletto, la giacca nera.
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Stavo giocando a biliardo. Poi la solita storia: fatelo bere, fatelo sedere. Qualcuno che ti tocca il polso, qualcuno che pronuncia continuamente il tuo nome.
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Io avevo undici anni e giocavo ad appendermi. Il cancello mi è caduto addosso. Una foglia di ferro battuto mi ha rotto la faccia.
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Io sono morto di vecchiaia, anche se non ero tanto vecchio, avevo cinquantanove anni.
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Sono sempre stato un tipo sfortunato. Il giorno del mio funerale si parlava del funerale della figlia del farmacista, morta il giorno prima.
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Mi sono sempre sentito affannato e fuori posto nella vita. Adesso finalmente riposo tranquillo e in pace nella tomba vicino alla mia.
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Io ero una suora. Ho dato tutta la mia vita a un piccolo paese vicino al mio. Mi chiamavo Giacinta. Ora sono seppellita al cimitero del mio paese. Ogni tanto qualcuno mi dice che si ricorda di me. Si ricordano i giorni dell’asilo e di una suora piccola e di poche parole. Io adesso penso ai miei fratelli e a mia madre, penso a tutti i bambini e le bambine che ho tenuto in braccio, penso alle mattine di neve e a quelle di sole, ai gatti che dormivano nel mio letto. Dio è il bene che facciamo e niente di piú.
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da Racconti senza respiro
Una notte di brutto tempo. Un vento che veniva direttamente dalle ossa dei morti. E cani che facevano lamenti nerissimi. Per morire ho aspettato che arrivasse il mattino e il mio amico mi venisse a trovare. Io avevo un amico, uno solo. Uno che parlava poco, uno che mi veniva a trovare la mattina presto prima di andare a lavorare. Non sono morto davanti a lui: ho aspettato che chiudesse la porta e mi dicesse ci vediamo domani.
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da Altre cartoline
Cento miliardi di galassie. Cento miliardi di stelle nella nostra galassia. Tutta questa roba e io chiuso per sempre qui nella mia bara.
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Finisce che poi un giorno una lucertola prende il sole sulla tua lapide.
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Fumavo cento sigarette al giorno. A me non è venuto il tumore al polmone. Sono io che sono andato da lui.
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Se non credi alla vita dopo la morte, devi credere di piú alla vita dentro la vita. La mia fede io la chiamo intensità. L’intensità a me viene dal guardare: non si ottiene con la vacanza né col lavoro, è l’avventura dei tuoi nervi nei tuoi luoghi ma anche altrove, con questa avventura devi essere indulgente, devi proteggerla come se fosse la sola verità che possiedi. Allora dillo quando pensi che stai morendo e il pensiero si ferma. Dillo quando pensi che ti stai ammalando e parlando ti curi e senti che gli altri sono un farmaco. Il bene sta negli alberi, nell’acqua, nelle facce, il bene è sempre dalla parte di chi è intenso, si interessa meno a chi si spaccia in estasi o in disperazione.
[Immagine: Robert Mapplethorpe, Flowers].
Tre pensierini su “Cartoline dai morti”.
Spoon River adattata ai tempi di FB.
Così compiaciute nell’avvolgere il brivido della morte finta* in una parola/perla preziosa.
Sarebbe bello poterne controllare i francobolli.
* Cfr. mio commento a post di Caterina Verbaro, La poesia come forma del sacro.
abate
le cartoline sono nate quando ancora non scrivevo su fb.
il tuo astio è sempre in servizio, anche quando è evidente che non ci credi neppure tu
Das Nichts nichtet.
Belle
Non conosco il libro, da quello che leggo qui sono tanti morti vicini, gente che vive intorno, nello stesso posto. Non si tratta di immaginare se stesso morto -chissà come sarà- ma di verificare, toccare con mano, quelli che sono morti davvero come sono morti, chi erano (se si conoscevano) e chi sono ora, per gli altri, da morti.
@ arminio
Era una analogia che coglievo tra le tue cartoline e il libro di Lee Masters. Non necessariamente negativa. Si vede che hai fatto da battistrada a FB.
“ Giovedì 30 ottobre 2003 – Spoon River all’incontrario. Se mi ricordo bene nel libro Edgar Lee Masters – che piaceva tanto alla mamma, e a me un po’ di meno – i morti parlano ai vivi. In questo diario, invece, sono i vivi che parlano ai morti – al morto, cioè a me. E quanto parlano… e quante ne dicono… (Però, se si riesce a starli a sentire, si capisce perché sono vivi, e i morti invece no) “. [*]
[*] Mi piacciono i morti e mi piacciono le cartoline. Soprattutto le cartoline. Non farei altro che scrivere cartoline, non ho mai fatto altro che scrivere cartoline.
Per favore redazione di LPLC:
Pubblicate pure voi Ennio Abbate. Dopo averlo fatto con Adriano Barra, perché no?
Sdoganate gli stalker. Che il molestatore seduca il molestato. Con sommo gaudio di entrambi
chi legge cedi la strada agli alberi può sapere cosa penso della rete.
@ Stalintoizori
Pubblichiamo chi ci pare.
Davvero molto interessante, lo acquisterò certamente, ho colto l’occasione per scrivere due parole a proposito suo mio blog… idea e stesura mi hanno davvero colpita.
https://laterraeblucomeunarancia.wordpress.com/
https://laterraeblucomeunarancia.wordpress.com/2017/12/10/cartoline-dai-morti-franco-arminio/
Ciao Franco Arminio,
mi chiedevo: c’è qualche modo per recuperare il tuo libro “Terracarne”? purtroppo non riesco a trovarlo in nessun modo. Grazie :)
@ Stalintoizori (chiunque tu sia)
Dai, non tirare la fune!
Quelli di LPLC son montaliani:«Ognuno riconosce i suoi».
Noi nascemmo commentatori e non finiremo commendatori (manco in letteratura).