di Giorgio Orelli

appena uscita per le Edizioni Casagrande di Bellinzona una raccolta di prose di Giorgio Orelli, intitolata Pomeriggio bellinzonese e altre prose, a cura di Pietro De Marchi e Matteo Terzaghi. Pubblichiamo un estratto di Suite in là con gli anni, uno dei racconti che compongono il volume].

Diretto da un medico illustre, il Circolo di Cultura smussava l’angustia dei dubbi più tenaci con conferenze, concerti, spettacoli teatrali, mostre d’arte, tavole rotonde e castagnate. I migliori cantanti della «vicina penisola» poterono esibirsi al Teatro Sociale, rinomato in tutto il mondo per l’acustica. Pianisti celeberrimi si offrirono spontaneamente per suonare il nostro pianoforte, uno Steinway&Sons dalla sonorità straordinaria, giunto dall’Austria, più precisamente dalla Carinzia, con una famiglia ebrea scampata alla persecuzione nazista. Il più entusiasta dicono che ne fu Rubinstein, ma anche Benedetti Michelangeli ne diede apprezzamenti lusinghieri, e anche Serkin, che aveva mani da strangolatore, tanto che col mignolo rompeva un piatto. Se gli appassionati di Chopin erano saziati da Rubinstein, quelli di Beethoven non lo erano meno col Backhaus, che alla fine era il più di casa. La nostra segretaria, più che encomiabile per dedizione e premura, tremava per la salute del prezioso strumento, costato così caro neh, e supplicava tutti, ma specialmente il Backhaus e naturalmente il Serkin, perché lo trattassero coi guanti, non picchiassero troppo forte sui tasti, mi raccomando, giungendo le mani grassocce, bianchissime, piene d’anelli.

Il comitato del Circolo, dominato dalla scaltrita personalità del presidente, soleva riunirsi ogni settimana nella vecchia ma gradevole casa rosa della segretaria, in cima a una salita periferica, troppo ripida perché potessi farla in bici, fra giardini e orti (cachi stupendi a novembre). Faceva pensare a quei villini di piacere con solo due donne per solito, una bruna e una bionda (la segretaria tingeva i capelli di rosso). Nel salotto buono, dove un canarino il più delle volte taceva nella sua gabbia, l’un «circolino» poteva alimentarsi del sapere dell’altro, non senza conforto d’un aperitivo, passito e plum cake. Un’antica intrinsichezza pareva concedere alla segretaria di far domande anche molto inaspettate al dottore, e a lui di rispondere con altrettanta scioltezza. La segretaria disse una sera una di quelle cose che non si vorrebbe dimenticare, tanto allietano il nostro transito terreno; disse l’Eleonora: «Io la prima persona nuda che ho visto nella mia vita è la statua dell’ermafròdito a Roma». «Ermafròdito o ermafrodìto?» corresse il dottore fingendo ignoranza nei baffetti. «In schwitzerdütsch – disse poi, – dicono semplicemente bi: sono bisessuale per loro è i bi bi; non sono bisessuale, i bi nit bi».

Vennero poeti, scelti dallo stesso presidente e dalla segretaria tra quelli compresi nel Prontuario. Ma cosa ci stava a fare nell’elenco dei maggiori poeti viventi l’Ercole Pifferini? Eppure il presidente giurava che tra i vivi c’era anche il Pifferini, del quale diceva di non aver letto niente, sicché lo invitò a tenere una conferenza alla Scuola Superiore di Commercio. Il Pifferini arrivò col treno in ritardo per una spaventosa nevicata e nell’Aula Magna della scuola lo dovettero aspettare per più di un’ora. Ma nessun conferenziere si fece attendere come il Bordinelli economista della detta Scuola, che non arrivava mai, così che una vecchina, per tanti anni membro del comitato, addetta soprattutto alle castagnate, si alzò arrabbiatissima: «Non è accettabile – gridò, – vorrei poi sapere dove è andato a cacciarsi questo Bordinelli!»

«Sarà andato a troia, io lo conosco bene», disse un bello spirito che non andava mai alle conferenze ed era sul punto di addormentarsi. E la vecchia: «A Troia? Così lontano?»

Venne il poeta delle strisce, come fu chiamato dopo la sua apparizione bellinzonese. Tirava fuori dal taschino alto della giacca una striscia di carta dopo l’altra, piegata a fisarmonica, su cui erano scritte le sue poesie, che leggeva a voce bassissima con evidente partecipazione. Non poche, le strisce, variamente colorate, ad ogni esecuzione scrosciavano applausi che attenuavano il pallore funereo del suo volto. Alla fine la segretaria agilmente si spiccò dalla prima fila agitando la vampa dei capelli, uscì dalla sala e prestissimo tornò con un enorme mazzo di fiori, dentro al quale, come in una mirabolante spirea, aveva nascosto e non nascosto un biglietto affettuoso, molto probabilmente in ottonari.

 

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[Immagine: Giorgio Orelli].

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