di Carlo Mazza Galanti
Georges Perec è stato senza dubbio uno dei più imprevedibili “poligrafi” del secolo passato: dal racconto sociologico a quello allegorico, dalla metaromanzo al poliziesco, dal lipogramma al cruciverba, non ci sono luoghi della scrittura che l’autore della Vita, istruzioni per l’uso non abbia esplorato, o desiderato esplorare. Proprio “Luoghi” (Lieux) è il titolo del progetto che forse più di ogni altro testimonia dell’eclettismo dello scrittore francese e della sua precisa volontà di trasgredire i confini tradizionalmente assegnati all’opera letteraria. Intrapreso nel 1969, questo progetto prevedeva un rigido piano di lavoro: dati dodici luoghi parigini in qualche misura legati al proprio passato, per dodici anni Perec avrebbe descritto ognuno di questi una volta l’anno in loco, quindi, in un secondo momento, e altrove, avrebbe dovuto evocare i ricordi ad essi legati. La combinatoria degli spostamenti e delle reminiscenze era regolata da un algoritmo creato appositamente, così da evitare sovrapposizioni e ripetizioni. I testi relativi ad ogni luogo, appena scritti, venivano imbustati e sigillati. Perec non sembrava troppo curarsi di quello che sarebbe stato del contenuto delle buste una volta aperte, nel gennaio 1982 (“non mi aspetto nient’altro che la traccia di un triplice invecchiamento: quello dei luoghi stessi, quello dei miei ricordi e quello della mia scrittura”, dice nel 1973). In ogni caso, nel 1975, il progetto viene abbandonato. Dei 133 testi accumulati fino a quel momento, alcuni sono pubblicati in varie sedi. Significativamente, Perec decide di presentare soltanto le descrizioni, non le sezioni autobiografiche. Si tratta di rilievi neutri, asettici, dal sapore quasi etnografico: perfetta realizzazione del proposito, formulato in Specie di spazi, di “vedere piattamente”, costringersi a “procedere lentamente, quasi stupidamente. Sforzarsi di scrivere cose prive d’interesse, quelle più ovvie, più comuni, più scialbe”. Il Tentativo di esaurimento di un luogo parigino, pubblicato nel 1975 e ora riproposto in italiano da Voland (trad. di Alberto Lecaldano), è un derivato di Lieux. Appartiene alla stessa ispirazione. Per realizzarlo, Perec ha trascorso tre giornate intere a piazza Saint Sulpice, a Parigi, spostandosi da un bar all’altro, non facendo altro che fumare e appuntare sul suo quaderno tutto ciò che era “strettamente visibile”: auto, uomini, uccelli, micro-eventi, il trantran dell’esistenza ordinaria (o meglio infra-ordinaria, per usare un termine a lui caro) di una qualsiasi piazza parigina durante tre giorni come tanti altri.
Le ragioni di questa specie di riduzione fenomenologica del visibile, ripetutamente praticata dallo scrittore anche nei romanzi più famosi, hanno a che fare tanto con la sua ossessione catalogatoria (di fatto, questo testo non è altro che un lungo elenco), quanto con le ricerche della rivista Cause commune, dove insieme a Paul Virilio e Jean Duvignaud, Perec diede forma in quegli anni a “un’investigazione della vita quotidiana a tutti i suoi livelli nei suoi recessi e nei suoi anfratti generalmente disdegnati o rimossi”. Proprio su Cause commune è stato per la prima volta pubblicato il Tentativo. L’estetica iperrealista che caratterizza questa parte della sua produzione, sembra tuttavia avvicinare lo scrittore anche a un consistente filone di ricerca artistico-visiva che, soprattutto in Francia, si svilupperà nei decenni a seguire, facendone una specie di geniale precursore. Sono molte le rivisitazioni contemporanee del Tentativo, e i due più celebrati artisti francesi degli ultimi anni, Sophie Calle e Christian Boltansky, hanno ripetutamente manifestato la loro eredità perechiana (in un’intervista la prima ha persino confessato di provare “gelosia” nei suoi confronti). Se il gusto della combinatoria, la dimensione performativa, la ricerca di un modo straniante di guardare e abitare la città, devono molto alle sperimentazioni di gruppi a lui coevi o precedenti (si pensi alla “psicogeografia” situazionista), Perec ha in qualche modo intercettato una sensibilità che troverà piena espressione in molta arte a venire, soprattutto fotografica. Durante i sopralluoghi per Lieux, si è più volte avvalso dell’aiuto dell’amico e fotografo Pierre Getlzer, il quale lo accompagnerà anche nel Tentavo di esaurimento di place Saint Sulpice. Grazie alla cura di Alberto Lecaldano, le foto scattate in quella circostanza affiancano il testo scritto, per la prima volta in quest’edizione italiana, e forniscono un complemento utile a cogliere se non il senso, almeno un senso di questo curioso esperimento letterario. Sembra quasi che Perec abbia tentato di rendere la scrittura, come la fotografia, perfettamente contemporanea alla realtà, di riprodurre tra le righe quel potente principio allucinogeno di cui è impregnata, secondo Roland Barthes, l’immagine fotochimica: la traccia, tanto vaga quanto indubitabile, di qualcosa che “è stato”. Leggere in questo modo il Tentativo, significa passare attraverso la retorica barocca del catalogo, attraversare la noia di quell’esperienza (e di quella scrittura) piattamente uniforme, per trovare infine ciò di cui parlava Barthes: una sorta di pathos del tempo, la muta testimonianza dell’istante immortalato, della vita fotograficamente “fermata”. Ciò che uno scrittore ossessionato dal vuoto e dall’oblio avrebbe cercato di imprimere (anche) in queste pagine di sconcertante semplicità e di ingannevole trasparenza. Proprio su questo motivo giocheranno molti artisti visivi ispirandosi al lavoro di Perec, cercando quella “sensazione della concretezza del mondo” e la “percezione di una scrittura terrestre” di cui si parla ancora in Specie di spazi. Traguardi ambiziosi, in un tempo in cui la capacità dell’uomo di sapersi “concreto” e “terrestre” sembra svanire nell’immateriale: e con essa, forse, anche quella possibilità che la fotografia (e la scrittura) offre “ai vivi di vedere i morti e ai morti di vedere i vivi, i sopravvissuti”, come ha scritto Coetzee a proposito di Sebald, altro grande (e segreto) ammiratore di Perec.
[Questo articolo è uscito sul «Sole 24ore»].
[Immagine: Facciate, dintorni di Place Saint-Sulpice, Parigi. Foto di Guido Mazzoni].
Segnalo su Parigi lo splendido volume di Francesco Forlani, “Ognuno cerca qualcuno”, distribuito ai lettori dallo stesso autore dopo che i suoi lettori lo avevano già apprezzato sul sito Nazione indiana: avere il libro è sempre meglio ed è un bellissimo libro!
Sarà anche bellissimo, ma s’intitola “Chiunque cerca chiunque”
Solo l’esausto può esaurire il possibile. Esaurisce il possibile perché è lui stesso esausto, oppure è esausto perché ha esaurito il possibile? Si esaurisce esaurendo il possibile e inversamente. (G. Deleuze, “L’épuisé”).