di Federico Gironi
Si apre con Mussolini che, il 28 aprile del 2017, precipita nel cuore della Roma multietnica, a Piazza Vittorio, proprio di fianco alla Porta Magica. Con il Duce redivivo che si alza, si trova davanti bambini cinesi e bengalesi con la maglietta di Totti, e si chiede se per caso non sia tornato ad Addis Abeba, invece che nella Capitale. Che ridere, non è vero?
Allo stesso modo, Sono tornato precipita nelle sale, con tempismo quasi sospetto, nel bel mezzo di una campagna elettorale becera e volgare come e più di altre; di una campagna elettorale dove, come e più che in altre, il personalismo della politica mostra il suo volto peggiore.
A pensarci, quale miglior panorama politico per il ritorno del Duce che quello dove la competizione è tra il partito di Renzi, quello di Berlusconi, quello di Grasso, quello di Salvini, quello di Grillo (con buona pace di Di Maio)? E Luca Miniero lo sa bene, e – furbo e impietoso – non esita a mostrarli, questi volti, aggiungendo alla veloce carrellata quello di Bettino Craxi: che già negli anni Ottanta veniva disegnato da Giorgio Forattini abbigliato come Mussolini, e che è stato il primo, a quarant’anni dalla morte di Benito, a rilanciare la mai davvero sopita passione italica per l’Uomo Forte.
Così, per tutta la sua prima parte, Sono tornato si limita a mostrare come Mussolini – pur creduto da tutti un attore comico che non esce mai dal ruolo, sorta di Andy Kaufman in salsa fascista – riesca a ottenere consensi entusiastici ovunque vada: e non solo perché alla fin fine l’Italia è un paese intimamente di destra, razzista e perfino un po’ fascista, come spiegano da anni la letteratura e la pubblicisitica, di sinistra e non.
Con quel suo fare volitivo, e con la determinazione con cui afferma ciò che afferma, il Mussolini di Massimo Popolizio riempie anche il vuoto lasciato da politici che hanno sempre paura di scontentare qualcuno e stentano a prender posizioni nette (di sinistra o destra che siano), che comunicano in maniera fumosa e vacua,e che dimostrano come “la democrazia sia un cadavere in putrefazione.”
La giornalista Flavia Perina (ex portavoce di Gianfranco Fini ai tempi di AN, guarda un po’) ha scritto su Facebook che “chiunque tornasse – Togliatti, Pertini, Craxi, Ingrao o anche Caligola e Nerone, per non parlare di Berlinguer e Almirante, forse con la sola eccezione di Altissimo e Cariglia- oggi riconquisterebbe facilmente gli italiani con percentuali plebiscitarie, visto come siamo messi”. È vero. Ma è anche vero che tra alcune dichiarazioni di quel Mussolini lì e altre del Matteo Salvini (auto)candidato alla Presidenza del Consiglio non c’è poi tutta questa grande differenza. E la cosa, le cose, non sono affatto rassicuranti.
Sono tornato è allora un film che centra l’obiettivo satirico, che mostra come il Re sia nudo nella maniera più brutale? No, non corriamo troppo.
Primo, perché da un punto di vista esclusivamente cinematografico (regia, sceneggiatura e perfino recitazione, Popolizio a parte), quello di Miniero è un film meno che modesto.
Secondo, perché non ha il coraggio di essere cinico e sgradevole fino in fondo, costringendosi a ricordare nella maniera più chiara possibile cosa sia stato davvero il fascismo, e anzi conserva un nucleo di ambiguità_ perché va bene la sacrosanta indignazione per le leggi razziali, ma non si capisce perché l’omicidio di Matteotti sia invece utile per una battuta tirata via all’inizio del film.
Terzo, ma non ultimo, perché – anche in considerazione di quanto Miniero vorrebbe sottolineare poi, ovvero il qualunquismo amorale e pericoloso del sistema dei media e della tv in particolare – l’impressione che si ha è che sull’appeal di Mussolini e del fascismo Sono tornato ci abbia un po’ marciato (su Roma e non solo).
Il Mussolini di Miniero e Guaglianone, sceneggiatori assieme, che dapprima sembra possedere il buon senso di chi vivaddio ha il coraggio di dire le cose come stanno e che poi si fa via via più sulfureo con le sue spietate dichiarazioni sulla razza e sugli immigrati, non è né un ritratto storicamente valido, né un’efficace cartina al tornasole capace di gettare con sprezzo in faccia agli italiani il loro fascismo, svegliandoli così dal loro torpore.
Questo Mussolini, invece, a dispetto del piglio volitivo e della franchezza, è tutto sommato un personaggio omogeneo al panorama politico italiano, anche nella statura politica e nella forza del pensiero; un personaggio ambiguo e sfuggente, esattamente come il film di cui è protagonista.
Come la direttrice di rete di Stefania Rocca, che non esita a farne un personaggio utile a far schizzare alle stelle lo share del suo canale tv, Luca Miniero e i suoi collaboratori (che hanno poco da usare come giustificazione il loro essere generazionalmente “post-ideologici”) hanno usato il Duce e la sua iconografia, i suoi modi e il suo pensiero, per abbindolare lo spettatore, più che per sferzarlo. Per fargli implicitamente pensare – stante l’assenza di ogni elemento realmente satirico o drammatico, data la matrice morbida e democristiana della commedia – che quel Duce lì è in fondo quasi simpatico, e tutto sommato sì, forse si stava meglio quando si stava peggio e i treni arrivavano in orario, perché tanto le leggi razziali (unica vera obiezione di Sono tornato al fascismo) riguardano pochi, e l’unico che ha capito la verità, nel film, è un povero cretino che viene ridotto facilmente al silenzio, senza che questo susciti un vero sentimento d’indignazione.
Sarà per questo che i cinema della Roma storicamente di destra – quella dei Parioli e quartieri limitrofi – pare siano stati subissati di prenotazioni prima della data d’uscita del film?
Il film tedesco di cui Sono tornato è un remake poteva permettersi di sfidare il paradosso, perché – neonazisti a parte – il giudizio su Adolf Hitler è netto e unanime. Mussolini, al contrario, è un personaggio che per troppo tempo, e ancora oggi, l’Italia ha collocato in una zona grigia valutativa nella quale è stato in grado di sopravvivere e proliferare come la muffa: e per gestirne questa viscosa inafferrabilità, per essere inchiodato al netto giudizio storico che il film di Miniero s’illude di poter dare e di poter far risuonare come un ammonimento, sarebbe stato necessario un polso cinematografico ben diverso. Di un regista, paradossalmente ma non troppo, assai più “uomo Forte” di un Luca Miniero qualunquista e populista proprio come il paese che racconta.
[Immagine: Sono tornato di Luca Miniero]
“ Sabato 3 febbraio 2018 – Leggo il giornalista-e-scrittore Christian Raimo che commenta il film di Luca Miniero Sono tornato scrivendo qualcosa che, francamente, non capisco. Io il film non l’ho visto e probabilmente non lo vedrò, però posso dire fin d’ora che secondo me, non solo è tornato, ma non se n’era mai andato. « Il fascismo? » No, il faccismo… il faccismo… il faccismo…, quante volte te lo devo dire? “.