di Corrado Benigni

[Esce oggi, per Interlinea, Tempo riflesso, il nuovo libro di Corrado Benigni. Presentiamo una scelta di testi].

Album

Osservo una fotografia di Ghirri,
ciò che si muove ai margini della scena.
Il braccio di una donna riflesso nello specchio
su una spiaggia a Île Rousse,
la luce che nella nebbia si fa orizzonte tra due campi.
L’intervallo tra le immagini
trattiene il segreto di un ulteriore spazio,
tempo – polvere o fumo in controluce,
verso il visibile di ciò che è cancellato.

*

Tra l’istante e ciò che dura,
un punto luce cicatrizza il tempo,
siamo noi
questa superficie di argento e sale,
figure che restano dove non sono
in un attimo dilatato e immobile.
Perfetta assenza.
La didascalia dice: Egmond am zee, 1973.

 * 

Nelle metamorfosi di Giacomelli
i nodi del legno sono maternità, schiena, capelli.
Se osservo i dettagli,
un tronco è un nudo di donna con i seni
o un uomo,
un paesaggio con un arbusto.
L’immagine è un alfabeto muto
che condensa il vero
di ciò che non ha nome.
Così l’albero tagliato diventa un fosso,
un’ombra, una scanalatura nella terra. 

 

 

Prospettiva

Sospendete per un attimo il giudizio, leggete
tra le righe di questo sonno. Troppa vita
è sepolta sotto falso nome.
L’avanzare muto di un albero,
l’acqua che si gela e torna acqua.
Scavate sotto lo spessore delle voci, lì
dove l’effetto è senza causa e il caso
disegna le traiettorie del destino.
Il tempo è un rarefarsi in forma di persone
e uno sconosciuto chiederà l’ora all’angolo della strada.
La parola intanto cerca di afferrare
la profondità della fuga,
come in una prospettiva.
Ma un miraggio sigilla la visione,
questa gravità che non trattiene. E ci tiene. 

 

Riparo

Tutto è legato a tutto, meccanismi di un’unica eternità.
La voce di una donna sulle mura della città vecchia
e stormi di uccelli che compongono forme,
respiri in un solo respiro.
Ma qualcosa sempre più si disgrega e svanisce
in quella stessa sostanza dell’attesa,
come una forza che dall’esterno tira
verso un centro – bussola e gravità.
La misura di un riparo è la nostra essenza,
istanti nell’enigma dello spazio.
Se un cerchio nell’acqua non fosse, nulla sarebbe.

 

Il silenzio della scena

Quante voci restano imprigionate nelle case abitate
pri­ma di noi. Impigliate tra le fessure dei muri,
nelle fughe del pavimento, ci respirano accanto,
presenze invisibili, si muovono furtive al nostro fianco.
A volte provo a in­terrogarle, lotto col loro silenzio,
in un alfabeto incom­prensibile, un linguaggio dimenticato.
Un corpo a corpo in una scena muta. È tutto qui:
siamo parola strappata dalla carne, dai corpi
che il decrescere delle ombre len­tamente scopre. 

 

 

Particelle elementari

Ci sono attese ferme da millenni e mani tese verso uno
spavento già accaduto, luci di costellazioni lontane che
arrivano a noi soltanto ora. Una cecità rende tutto più
visibile. Affida all’intermittenza della parola la perfezione
umana della vista, seguire il movimento che non si
vede ed esiste. Il buio che precede la luce, le particelle
elementari della polvere dove qualcosa pare esserci. Intervalli
e cadenze, tutto segue un ritmo, una sequenza invisibile.
Sta a noi, mappe nel vento che nessuna mano trattiene,
trovare l’assetto.

 

[Immagine: Luigi Ghirri, Île Rousse]

 

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