di Riccardo Donati
[È uscito in questi giorni La musica muta delle immagini. Sondaggi critici su poeti d’oggi e arti della visione (Duetredue) di Riccardo Donati, un saggio che riflette sul rapporto fra letteratura e immagini nella letteratura contemporanea e del Novecento. Il capitolo che presentiamo si intitola La ballerina e il punto esclamativo. Su Kafka disegnatore. Qualche tempo fa avevamo presentato il saggio precedente di Donati, Critica della trasparenza]
Necessità di parlare delle ballerine con punti esclamativi, perché così si imitano i loro movimenti, perché si rimane nel ritmo e il pensiero non turba il godimento, perché l’attività rimane sempre alla fine della frase e continua meglio ad agire
Franz Kafka, pagina di diario
I disegni degli scrittori sono raramente rivelatori della loro opera letteraria, forse perché sovente schizzi e appunti grafici rivestono – eccezion fatta per le opere concepite sin dall’inizio come ibridi verbo-visivi – una funzione poco più che ancillare, o didascalica. Ma è pur vero che non pochi autori, incerti su quale percorso creativo intraprendere, da giovani hanno immaginato di diventare artisti visivi: tra questi Franz Kafka, che per un certo periodo fu tentato dall’idea e mosse qualche passo in tale direzione. Lo scarno corpus della sua opera grafica è stato recentemente raccolto, per la prima volta – sulla scia di un vecchio progetto di Max Brod, mai andato in porto – da due studiosi olandesi, Niels Bokhove e Marijke Van Dorst, in un elegante volume che ha già conosciuto più traduzioni.[1] Si tratta di documenti estremamente interessanti, credo, proprio per l’eccezionale consonanza di taluni schizzi con le pagine diaristiche e romanzesche dello scrittore praghese: consonanza derivante in primo luogo dal fatto che tali bozzetti intendano non tanto illustrare il testo quanto portare alle estreme conseguenze la capacità dello stesso di animare la pagina, risvegliando nella dormiente forma tipografica quel surplus di vitalità che rischierebbe altrimenti di restare inerte, sottotraccia. Intendo dire che Kafka non solo coltiva un’idea fortemente grafica della scrittura, ma ritiene che ogni lettera, ogni virgola o punto rappresentino immagini in potenza d’una data attività corporea e/o mentale.
Si prenda uno specimine significativo come la pagina di diario sopra riportata, scritta in data 16 marzo 1912. Qui la vitale corporeità delle ballerine impone («necessità di parlare») la presenza dei segni di interpunzione, i quali prendendo vita, animandosi, diventano altrettanti arti sgambettanti. In tal modo la mimesi risulta non solo completa ma realmente efficace («perché così si imitano i loro movimenti»), assicurando alle figure evocate un indefinito prolungamento del proprio gesto. Ora davvero l’immagine delle ragazze danzanti non si arresterà, bensì ʻcontinuerà ad agireʼ nella mente. È un’idea, come si vede, tutta cinetica del testo, e anzi letteralmente cinematografica, dal momento che persegue l’obiettivo di mettere la scrittura in moto, o per dirla altrimenti di animare la scrittura col movimento. Ma più che il cinema con attori in carne e ossa, ciò che questo passo kafkiano evoca è la possibilità, per il segno tipografico, di mutarsi in disegno animato, per certi versi anticipando quel che anni dopo andrà sperimentando, tra gli altri, Walt Disney. Val la pena ricordare una notazione di Sergej Ejzenštejn secondo cui la definizione animated cartoon unirebbe due concetti, «l'”animizzazione” (anima) da una parte e la “mobilità” (animation – animazione, movimento) dall’altra. E in effetti, il disegno è “animato dal movimento”».[2] Kafka aspira a ottenere qualcosa di simile nel fluido scenario della pagina: che rientri nel gioco testuale, o si traduca in spunto grafico, il carattere tipografico viene a perdere la propria rigida staticità sotto l’impulso d’una energetica intenzione vivificante. Non può non venire a mente una certa tradizione artistico-esoterica praghese di animazione dell’inorganico che insuffla nella pagina l’inquieto e vibratile, spesso drammatico, alito dell’esistenza.[3] Un aspetto questo che i disegni pubblicati da Bokhove e Van Dorst aiutano a comprendere appieno.
Nella prima parte del volume è riprodotta una serie di schizzi cui Brod stesso attribuì il suggestivo titolo di Le Marionette Nere dai Fili Invisibili o Sei figurine nere. Si tratta di un gruppo di disegni non datati in cui alcune figure antropomorfe, sommariamente rese con rapidi tratti d’inchiostro, compiono alcune azioni ora più ora meno criptiche quanto al loro significato: Uomo alle sbarra; Uomo con bastone da passeggio; Uomo con la testa sul tavolo; Uomo davanti allo specchio; Uomo seduto con la testa reclinata; Schermitore. Bastano questi titoli per evocare alcune pagine celebri dell’opera kafkiana – in particolare da Il processo – come i curatori di A Great Artist One Day non mancano di sottolineare, ponendo a fronte di ogni immagine passi scelti dai diari, dall’epistolario e dai romanzi. Ciò che a noi pare straordinario è però il fatto che questi omuncoli in movimento, estremamente stilizzati e quasi filiformi, alludano tutti, sia pure in vario modo, al monogramma K. Lo scrittore boemo, è cosa nota, era ossessionato dalla prima lettera del suo cognome, che, assurta al rango di numinoso patronimico, ritroviamo attribuita a vari personaggi, dal Joseph K. de Il processo al Karl Rossmann di America. Paradigmatica in tal senso una pagina diaristica del 27 maggio 1914, nella quale si legge: «Questa sera sarò solo col babbo. Penso che abbia paura di venire su. Devo giocare a carte con lui? (Le K mi sembrano brutte, quasi mi ripugnano, ma le scrivo ugualmente. Devono essere molto significative per me)».[4] Ora nella serie Le Marionette Nere dai Fili Invisibili, cui si apparenta anche stilisticamente un altro schizzo a inchiostro, Il pensatore, la lettera K è al centro di una serie di rimodulazioni grafiche che in qualche modo la animano, come se quell’iniziale, da sola, fosse in grado di far precipitare (in senso alchemico, e non solo) una storia, una situazione esistenziale o condizione umana.
Attraverso il gioco combinato degli arti e del busto, la K si fa crocevia di tensioni sotterranee e umori oscuri, di volta in volta restituendo un’immagine diversa: l’atterrito sgomento di un personaggio intento a difendersi da una corte invisibile (Uomo alla sbarra); una silhouette dinoccolata ma elegante che cammina per strada (Uomo con bastone da passeggio); un malinconico figuro schiacciato dal peso delle fatica di vivere (Uomo con la testa sul tavolo; Uomo seduto con la testa reclinata); un soggetto amletico che si interroga sulla propria identità (Uomo davanti allo specchio: oppure, secondo un’altra interpretazione, qualcuno che contempla una tomba); un duellante in azione, forse Amleto impegnato nella sfida con Laerte (Schermitore). Come nel caso delle ballerine danzanti grazie alla presenza del punto esclamativo, sono qui soprattutto i movimenti di braccia e gambe, rispondenti alle due metà di quella lettera sinistramente speculare che è la K, a delineare la natura del gesto del personaggio disegnato e dunque, di conseguenza, a definirne la situazione, attribuendogli uno stato d’animo o una condizione esistenziale. Significativo anche il fatto che la testa appaia spesso minuscola, e sia risolta con una macchia scura, o con un tratto sferico a chiudere la forma d’un occhio appena abbozzato. Così esemplarmente nello Schermitore il braccio proteso nello sforzo di vibrare la stoccata copre l’asta superiore della K, mentre il ginocchio piegato ad angolo retto e la gamba destra arretrata per bilanciare il corpo replicano i tratti della metà inferiore. Ancor più interessante il caso del Pensatore, dove il busto inclinato in avanti designa la parte superiore della K e le gambe quella inferiore, mentre una seconda K potrebbe nascondersi nella linea formata dal braccio sinistro disteso e da quello destro poggiante sul ginocchio. Si tratta di figure da striscia umoristica e insieme profondamente inquietanti, portatrici d’una disperata vitalità in bilico tra due destini speculari – come sempre in Kafka: l’uno tragicamente ridicolo, l’altro ridicolmente tragico.
C’è almeno un altro disegno su cui merita soffermarsi prima di concludere, ed è il Corridore. Stilisticamente molto diverso dalla serie Le Marionette Nere dai Fili Invisibili, questo schizzo presenta un linearismo nervoso che stimola al massimo la cinetica visiva dell’osservatore, come se tutti gli arti colti in rapido movimento, e il busto slanciato in avanti nello sforzo del gesto atletico, sciogliessero la rigidità del tratto in un fumoso arabesco di istantanee impressioni grafiche. Eppure anche qui, in questo abbozzo di figura scagliata a perdifiato verso chissà quale meta, cartoon impazzito e quasi votato alla propria incruenta dissoluzione, si riesce chiaramente a intravedere il ritorno della K, a stento affiorante dalla metà inferiore del disegno, gonfia e sinuosa serpentina che il moto delle gambe insieme afferma e quasi scalcia via, in un gesto di orripilato rifiuto. Del resto, non furono forse la vita e l’opera dello scrittore boemo una continua fuga dal ritorno del Padre… pardon, della K?
distoglierne lo sguardo.
[1] Cfr. N. Bokhove, M. Van Dorst (a cura di), ‚Einmal ein großer Zeichner‛: Franz Kafka als beleldend Kunstenaar, seconda edizione aumentata e rivista, Utrecht, Salon Saffier, 2003; si cita dalla traduzione inglese ʻA Great Artist One Dayʼ. Franz Kafka as a Pictorial Artist, Praha, Vitalis, 2007.
[2] S. M. Ejzenštejn, Walt Disney, a cura di S. Pomati, Milano, SE, 2004, p. 74.
[3] Cfr. il capitolo sui miti della creazione in rapporto all’ebraismo in H. Belting, Antropologia delle immagini, edizione italiana a cura di S. Incardona, Roma, Carocci, 2013, pp. 211-212.
[4] F. Kafka, Confessioni e diari, a cura di E. Pocar, Milano, Mondadori, 1972, p. 445. La riflessione tra parentesi scaturisce dalla precedente allusione al gioco delle carte (Karten, in tedesco). I curatori del volume ricordano poi come ogni volta che firmava un documento lo scrittore riuscisse a trasmettere infinite sfumature semplicemente modulando diversamente la prima lettera del proprio cognome – giungendo persino, in un caso, a tracciare una sorta di K deforme nel tentativo di riprodurre un disegno che lo intrigava (cfr. N. Bokhove, M. Van Dorst (a cura di), ʻA Great Artist One Dayʼ, p. 94).
[Immagine: Disegno di Franz Kafka]