Intervista a Eva Illouz, a cura di Martin Legros

[Eva Illouz, sociologa, insegna all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e all’Università ebraica di Gerusalemme. Da molti anni si interroga sulla fragilità della vita affettiva e sentimentale all’epoca in cui l’amore diventa, allo stesso tempo, una forma del mercato capitalistico e uno spazio fondamentale per la realizzazione di sé. Nel suo libro più famoso, Perché l’amore fa soffrire (Il Mulino, 2013) il potere è considerato come la questione centrale per la ridefinizione dei rapporti tra i sessi. Pubblichiamo la versione completa dell’intervista comparsa in forma ridotta, a cura di Martin Legros, sul numero di febbraio di «Philosophie magazine», che dedica un dossier speciale al tema «Si può desiderare senza dominare?». Ringraziamo la rivista per averci concesso di pubblicare l’articolo. La traduzione dal francese e le note sono di Barbara Carnevali]. 

Martin Legros: Da quando è scoppiato lo scandalo Weinstein negli Stati Uniti, la parola delle donne si è liberata e ha rivelato le dimensioni delle molestie sessuali. Perché si è dovuto attendere così a lungo per rompere il silenzio?

Eva Illouz: Si tratta di una difficoltà centrale del femminismo. Come il razzismo, il dominio degli uomini sulle donne è una forma di organizzazione che permette a un gruppo – in questo caso gli uomini – di beneficiare dei servizi di un altro gruppo – le donne – che sono state per molto tempo considerate inferiori. La differenza, tuttavia, è che le relazioni tra uomini e donne sono molto più attorcigliate di quelle tra neri e bianchi. La relazione di potere si intreccia con una relazione affettiva e sessuale che fa sì che gli uomini siano dipendenti da quelle che dominano.

Inoltre, tutti gli uomini hanno madri, sorelle, figlie, per le quali è molto difficile considerare i loro figli, fratelli, padri come sfruttatori. Le donne partecipano attivamente al dominio che subiscono. E queste relazioni di dipendenza reciproca rendono la denuncia del potere maschile estremamente complicata. Il fatto che dipendiamo gli uni dalle altre rende più difficile coltivare una coscienza politica femminista, perché il linguaggio politico ci abitua a pensare in termini di conflitti e interessi divergenti. Inoltre, a differenza di tutti gli altri gruppi oppressi, le donne non sono un gruppo separato nella società, ma disperso in seno ai gruppi che le dominano. Questa dispersione le priva di un sistema di visibilità differenziata, diversamente a quanto accade per altri gruppi come immigrati, ebrei, omosessuali.

Lei direbbe, dunque, che il caso Weinstein è stato l’occasione per la costituzione di questo gruppo in quanto tale? Che la coscienza di classe delle donne ne è emersa con una forza inedita?

Certamente, anche se la parola classe è un po’ forte. È emersa una nuova coscienza collettiva su scala internazionale. Si è finalmente capito che, qualunque sia la nazione o lo status sociale, esiste una comune condizione femminile, che presenta in tutto il mondo tratti simili. Credo che ciò che ha permesso il sorgere di questo movimento è il fatto che a parlare siano state le donne più prestigiose nella gerarchia sociale e sessuale – le grandi attrici come Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow, Ashley Judd… Questo ha permesso di rompere la cospirazione del silenzio fondata sulla vergogna – come ha detto bene la sociologa Irène Théry[1].

Perché lei dà tanta importanza al fatto che tutto sia cominciato a Hollywood?

Hollywood e la cultura della pubblicità cinematografica hanno avuto un ruolo notevole nella trasformazione dell’immagine delle donne e del loro corpo. Hollywood si è impadronita del corpo femminile per trasformarlo in un’unica identità visiva e sessuale. A differenza delle statue antiche o delle veneri rinascimentali, la nudità femminile nei film hollywoodiani si segnala per una sessualità, esposta di modo allusivo o esplicito, caratterizzata da quella che si può definire la «readiness» : il segno dell’imminenza dell’atto sessuale. Anche prima della rivoluzione sessuale propriamente detta, quella degli anni ‘60, due grandi forze hanno preparato la liberazione sessuale: Freud e Hollywood. Freud ha sostenuto che le donne, al pari degli uomini, sono mosse da un istinto sessuale indifferenziato – il che, all’epoca, era davvero rivoluzionario. (Si pensi al famoso caso di Dora, mossa da una sessualità divorante). Era un modo rivoluzionario di pensare una sessualità che fino a quel momento era stata concepita come pura. E Hollywood ha creato modelli visivi corrispondenti a questo nuovo mito della sessualità femminile. È evidente non solo nei film di Hitchcock, che si ispira esplicitamente a Freud, ma in tutta l’industria cinematografica. È così che il corpo femminile si è imposto come una merce visibile il cui valore consiste nella capacità di risvegliare le fantasie maschili. Diversamente dalle attrici di teatro del Settecento o dell’Ottocento, che potevano essere vecchie e brutte, le attrici e le modelle moderne devono essere giovani e belle. Ed è in questa forma che sono diventate modelli culturali. Hollywood ha reso il corpo sessuato della donna un oggetto di appropriazione visiva maschile – e questo vale per tutto lo spettro che va dai normali film commerciali all’industria del porno.

Non sorprende il fatto che un personaggio come Harvey Weinstein provenga proprio da questa cultura. Ma è altrettanto significativo che la risposta a Weinstein sia venuta dallo stesso ambiente. La reazione delle attrici ha provocato un effetto di trascinamento. Perché? Nella vita reale le donne, quando sono vittime di stupro o di molestie, vivono l’esperienza con un misto di stupore e incomprensione, e soprattutto di vergogna, come se la colpa fosse loro. Nel momento in cui dei modelli femminili così prestigiosi, delle icone di bellezza e di successo hanno accettato di denunciare queste pratiche, molte donne si sono sentite autorizzate a rivivere quello che avevano provato fino a quel momento nel silenzio o nella rimozione. E hanno osato parlarne pubblicamente. Le donne comuni si sono riconosciute in queste donne potenti.

Secondo lei, non possiamo comprendere la sessualità senza iscriverla nel quadro più vasto della ripartizione dei poteri tra l’uomo e la donna, e in particolare del potere economico.

Gli antropologi e i sociologi suggeriscono di pensare la sessualità nel quadro più generale della circolazione economica. Questo perché il modo in cui la sessualità è organizzata dipende dal modo in cui è ripartito il potere economico. È il modo in cui, per esempio, lavora la sociologa italiana Paola Tabet, con il suo concetto di «scambio sessuo-economico»[2]. In tutte le società in cui gli uomini hanno il controllo del potere economico le donne usano la loro sessualità come moneta di scambio. La prostituzione lo mostra in modo evidente, ma lo stesso avviene nel matrimonio tradizionale, che per lungo tempo è stato un modo, per le donne, di assicurarsi uno status economico e sociale. Quando la donna è priva di potere economico e sociale, si serve del suo corpo e della sessualità – e questo nell’industria dell’immagine come nella prostituzione, e persino, come mostra Tabet, nel matrimonio come forma di scambio. Non dimentichiamo che anche se sono entrate nel mercato del lavoro, le donne vi sono entrate come subalterne. Ancora oggi sono meno pagate degli uomini, mentre la quasi totalità della ricchezza mondiale e del potere politico resta appannaggio esclusivo degli uomini.

In che senso la rivoluzione sessuale degli anni ‘60 avrebbe fatto scoppiare questo sistema?

Dal punto di vista economico, la liberazione sessuale equivale a un processo di deregulation della sessualità comparabile a quello del mercato. La sessualità è stata scorporata dalla morale e dalla religione, svincolata dalle antiche regole sociali, morali e religiose. Nella cultura cristiana, la sessualità aveva un telos, una finalità sociale – il matrimonio – e una finalità biologica – la riproduzione. Il matrimonio teneva insieme emozioni, sessualità e riproduzione. E la sessualità era saldamente intrecciata nel tessuto sociale. In ragione della sua importanza, era controllata dagli uomini, dalle Chiese e dalle famiglie, e strutturata attraverso interdetti e prescrizioni di estrema chiarezza che definivano chi si potesse sposare e cosa si potesse fare all’interno della relazione. Il che ovviamente, non impediva a capireparto o capifamiglia di violentare o molestare le loro lavoratrici o domestiche[3].

Con la deregulation introdotta dalla rivoluzione sessuale, il solo criterio morale che sia sopravvissuto è quello del consenso: potete fare quello che vi pare, a patto che la persona con cui lo fate sia consenziente. Questo ha prodotto diversi effetti. Gli uomini hanno accesso a tutte le donne che vogliono, e, siccome viviamo in una società in cui domina ancora il potere maschile, possono accedere anche a donne vent’anni più giovani. Ecco perché Macron può esser considerato da qualcuno un eroe femminista, che rompe con questo principio del dominio maschile. Ma potremmo darne anche l’interpretazione opposta, dimostrando come proprio il suo potere gli permetta di accedere virtualmente a donne vent’anni più giovani o più vecchie.

La liberazione sessuale ha fatto sparire tutte le mediazioni e le costrizioni che pesavano nelle relazioni sessuali tra persone. Come nel mercato capitalista, in cui acquirente e venditore si incontrano direttamente e in cui nessuno fissa preventivamente il prezzo della transazione, è la legge della domanda e dell’offerta a determinare il valore di qualcuno (Michel Houellebecq ha scritto delle pagine molto acute su questo fenomeno)[4]. Oggi lo si vede perfettamente sui siti di incontri come Tinder, in cui sono gli algoritmi a connettere gli individui sulla base di criteri che essi stessi decidono di mettere in gioco. Anche questa è una sessualità «liberata». E tuttavia, e la precisazione è essenziale, tutto questo avviene senza che si metta in questione il potere economico e sociale degli uomini. Basta chiedersi dove confluiscano le ricchezze sorte dalle nuove tecnologie informatiche: Bill Gates, Larry Page, Mark Zuckerberg, Elon Musk, i padroni della nuova economia sono tutti e senz’eccezione maschi. Anche se le donne sono entrate in massa sul mercato del lavoro, in maggioranza restano solo operaie del capitalismo, per lo più lontane dai posti dirigenziali, dalle grandi fortune e dalla proprietà – anche se certamente ci sono stati miglioramenti. Bisogna tenere a mente questo quadro d’insieme per misurare la portata reale della rivoluzione sessuale. Liberare la sessualità senza toccare il potere maschile dal punto di visto economico e sociale equivale a abbandonare le donne in una posizione di debolezza strutturale all’interno del mercato aperto e sregolato.

Se capisco bene, le donne sarebbero dunque le grandi perdenti della rivoluzione sessuale?

La risposta è molto più ambigua, ed è per questo che il problema risulta difficile da analizzare. Le donne hanno guadagnato un sacco di cose: il controllo del loro corpo e della procreazione, grazie alla contraccezione, la legittimazione di forme di sessualità multiple e diversificate, l’affermazione di una cultura del piacere, la scomparsa dell’ideale morale e religioso della verginità. Ma la deregulation della sessualità le ha private della moneta di scambio di cui prima disponevano nei confronti degli uomini. Inoltre, le donne restano le sole responsabili di ciò che nella cultura anglosassone si chiama “care”, l’ambito della cura delle persone – sono loro occuparsi dei bambini in casa e a scuola, dei malati come infermiere, delle persone anziane come badanti… Persino le professioni di cura della psiche, la psicologia e la psicanalisi, si sono femminilizzate. Anche per questo le donne affrontano la sessualità in un modo tendenzialmente diverso da quello degli uomini: non come un piacere strumentale ma come una relazione di riconoscimento, secondo la definizione di Axel Honneth. Da questo punto di vista, effettivamente, le donne sono state le grandi perdenti della rivoluzione sessuale. Anche perché continuano a servirsi della sessualità sia come una fonte di piacere sia come una via per assicurarsi, attraverso l’incontro e il rapporto duraturo con un uomo, una stabilità emotiva e finanziaria. Mentre per l’uomo la separazione tra sessualità, matrimonio ed emotività è stata molto più netta, anche se comunque fonte di conflitti e angosce.

Il momento della rivoluzione sessuale ha coinciso, secondo lei, con la ri-codificazione della sessualità maschile secondo il modello della performance e della serialità. In che senso?

La sessualità seriale è l’idea che più accumulate partner, più la vostra identità ne esce rafforzata. La sessualità femminile, invece, è rimasta più ambivalente, sospesa tra serialità e attaccamento, a causa della ricerca dell’intensità emotiva e dell’aspirazione a far durare la relazione. Ma questo non ha niente a che vedere con uno di stato di cose naturale e immodificabile, con un «dato» intrinseco della femminilità. Da nessun punto di vista la donna è più monogama dell’uomo. Quando una donna ha potere, può affermare il suo potere attraverso la sessualità esattamente come un uomo. Questo mi spinge a dire che «la sessualità è un effetto del potere».

Le violenze sessuali sono nella stragrande maggioranza dei casi perpetrate dagli uomini. Questo fatto non ha nessun rapporto con il corpo? Nell’Émile, Rousseau formulava la questione in questi termini: «Uno deve essere attivo e forte, l’altra passiva e debole. Bisogna necessariamente che uno voglia e possa, mentre basta che l’altra resista poco».

Credo che si debba resistere alla tentazione di ricorrere alla natura per spiegare i comportamenti umani, per quanto siano diffusi e frequenti. Nel diciannovesimo secolo, con il trionfo della borghesia, cominciarono a nascere e circolare nuove idee secondo le quali la donna sarebbe «naturalmente» destinata alla casa e alla cura dei figli. Poco dopo, una dubbia scienza dell’evoluzione fece delle donne delle «naturali» creature domestiche… Ora, la natura esiste, ma noi non la conosciamo al di là degli schemi culturali e sociali in cui essa si iscrive. La spiegazione pseudonaturalistica giustifica retrospettivamente uno stato di cose sociale, facendo di quello maschile il sesso forte, aggressivo, il solo equipaggiato dalla natura per lo stupro, munito, secondo alcuni, di una pulsione sessuale eccessiva. Ma nelle società di cacciatori-raccoglitori le cose non stanno così: tutti lavorano e non esiste alcuna gerarchia tra uomini e donne. Oltretutto, l’ipotesi che esistano delle differenze sessuali naturali è rifiutata anche dalle ricerche neuroscientifiche più recenti, che condividono le ipotesi culturalistiche formulate dalle femministe. Quali sono le loro tesi? Perché una differenza naturale sia pertinente, bisogna che diventi culturalmente istituzionalizzata. Ad esempio, le persone basse sono biologicamente diverse da quelle alte, ma questa differenza naturale diventa pertinente solo se definiamo la virilità attraverso l’altezza (ed ecco che gli uomini alti vengono considerati «naturalmente» seducenti). Le differenze diventano operative solo nel momento in cui sono investite socialmente da ideologie e pratiche.

Va bene. Ma mentre certi uomini riescono a godere negando il desiderio delle donne e violentandole, è più difficile per le donne, no?

Teoricamente, se le donne fossero violente, potrebbero penetrare il corpo dell’uomo con oggetti. Teoricamente, dato che gli uomini possono essere violentati per via anale da altri uomini, potrebbero esserlo anche da una o più donne. Ma questo non succede perché, per la donna, la sessualità non è fonte di potere. Gli uomini possono utilizzare il loro sesso come un arma: è un fatto indiscutibile. Ma non si tratta di erotismo. Lo stupro non è in alcun modo un’esperienza erotica. Di certo non lo è per la donna e, a mio parere, nemmeno per l’uomo. Quello che gli uomini cercano nello stupro è il piacere del dominio, dell’esercizio del potere e dell’assoggettamento.

Secondo molti studi, nelle coppie di lunga data si manifesta, tra le donne, un sentimento di stanchezza, in base al quale sessualità diventa una specie di corvée, mentre tra gli uomini prevale un sentimento di frustrazione. Questo fatto non dimostra forse che esiste un differenziale erotico di cui bisogna dare conto, pur con tutte le precauzioni da lei evocate?  

Sono riluttante a trarre insegnamenti di carattere generale da questo genere di osservazioni. Gli studi a cui lei si riferisce non si pongono la questione di base, ossia del modo in cui il desiderio femminile è costruito come reazione a desiderio maschile molto specifico. Sono studi fondati su un preconcetto (bias) di genere. Per dirlo più chiaramente, nella misura del piacere prevale un tropismo maschile. E quando si interroga l’esperienza delle lesbiche, si copre che, per loro, lo scambio sessuale può durare molto più a lungo (più di un’ora e mezza) rispetto a quello eterosessuale (in media venti minuti). Sappiamo infine che il clitoride è più sofisticato del pene, in termini di ricettori sensoriali. Dunque, una volta di più, ci si può riferire alla natura e alla fisiologia in modi molto diversi. Se proprio vogliamo interpretare questi dati, possiamo dire che le donne hanno altrettanta potenza sessuale degli uomini, ma che la forma di sessualità eterosessuale praticata oggi non le soddisfa pienamente.

«Il potere è la dimensione invisibile e tuttavia tangibile che organizza i rapporti di genere – qualcosa che deve essere localizzato ed espulso dalla relazione intima», lei scrive. La filosofa Judith Butler, al contrario, ritiene che il potere sia un aspetto intrinseco della sessualità, «una dimensione assai eccitante». Bisogna espellere il potere dalla sessualità o giocarci insieme?  

Nell’antica Grecia e a Roma i padroni violentavano regolarmente gli schiavi, ed è per questo che la definizione della mascolinità si fondava sull’essere colui che penetra. «Non esser penetrato!» è diventato una specie di ossessione della mascolinità eterosessuale occidentale. La performance della sessualità nell’antica Grecia era una performance di potere. Immagino che non sia questo il potere che eccita Judith Butler. Per lungo tempo, in Occidente, alle donne è stato proibito di essere attive, di esprimere apertamente il loro desiderio e il loro piacere, mentre all’uomo è spettato di prendere l’iniziativa e di controllare i termini dello scambio sessuale. È questo il potere che eccita Judith Butler? Oso sperare di no. Quello di cui parla Judith Butler, verosimilmente, è la messa in scena teatrale del potere all’interno di una relazione sessuale consensuale. Non il vero potere nella sessualità, quello che ti priva della possibilità di sentire il desiderio, che ti fa provare vergogna nei confronti del tuo stesso desiderio. Chi pensa che il potere sia necessario per alimentare il desiderio manca di immaginazione, si accontenta di replicare i nostri clichés. La mia coppia ideale è quella di Diderot e Sophie Volland. Una coppia estremamente egualitaria, in cui ciò che Diderot ama in Sophie Volland è proprio il fatto che lei gli sia pari: lui non la domina e non deve dominarla per farla felice. L’uguaglianza è estremamente sexy ed erotica.

Le forme alternative di sessualità, come l’omosessualità o la bisessualità, non hanno forse contribuito a trasformare la grammatica del desiderio?  

Viviamo in un’età contraddittoria. Da un lato, la sessualità appare come un’esperienza primordiale del godimento che definisce l’identità degli individui. Dall’altro, assistiamo alla volontà di neutralizzare le differenze sessuali, come nella vita professionale. Ora, questa tensione si è manifestata inizialmente all’interno della cultura omosessuale: gli omosessuali coniugano una fortissima identità sessuata con l’aspirazione a oltrepassare le differenze tradizionali. La tendenza più interessante, oggi, mi sembra quella del pansessualismo, ossia la volontà di rendere l’orientamento sessuale una pura scelta individuale: multipla, revocabile, indifferenziata… ed egualitaria. Gli eterosessuali seguiranno questa strada aperta dagli omosessuali.

Al di là delle pratiche, lei si richiama alla fondazione di una nuova «etica della sessualità». In cosa consisterebbe?

La contrattualizzazione risolve pochissimi problemi. Escludendo l’inizio della relazione, che potrebbe effettivamente essere oggetto di un consenso più esplicito, penso che non si possano sottoporre a contratto le cose più importanti: le emozioni e i sentimenti. Credo molto di più nella possibilità di inventare una nuova cultura della seduzione, fondata sul gioco, l’uguaglianza e la differenza, l’uguaglianza nella differenza. È quello che ho provato a dimostrare nel mio libro sul best-seller Cinquanta sfumature di grigio[5]. Attraverso un contratto sado-masochista, una donna sottomessa ma autonoma si lega a un uomo imperioso ma vulnerabile. E grazie a questo contratto, i due esplorano il lato oscuro delle loro pulsioni, in assenza di qualsiasi forma di violenza. Ma attenzione: il presupposto è che le donne possano prestarsi a ruoli tradizionalmente attribuiti agli uomini, e che gli uomini facciano lo stesso. Possiamo impadronirci delle nostre identità multiple, non fissarci in ruoli rigidi, sulla divisione tra un sesso attivo e un sesso passivo. Se nascerà una nuova etica sessuale, essa dovrà articolare tre principi: l’uguaglianza di base, la pluralità delle posizioni, e la plasticità delle configurazioni. In questo modo, si libererebbero non solo le donne ma anche gli uomini – liberi finalmente dal ruolo impossibile del maschio forte che sono costretti a recitare.

Note

[1] L’articolo di Irène Théry è apparso a ottobre su Le Monde, qui.

[2] Paola Tabet, La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005.

[3] Irène Théry, nell’intervista citata sopra da Eva Illouz, insiste su questo punto cruciale: «Qualsiasi nostalgia del passato è indecente. Perché …il passato ha sempre avuto un lato oscuro. Questo rovescio si chiamava la divisione delle donne in due categorie, quelle degne di rispetto e quelle meritevoli di disprezzo. Quelle che si sposano e quelle che si scopano. Quelle che sono l’onore della famiglia e quelle che hanno perso la reputazione. Questa grande divisione non era un semplice accidente, ma un vero principio organizzatore della società, in un mondo fondato sulla complementarità gerarchica dei sessi che considerava le donne come responsabili e colpevoli della sessualità degli uomini. Si trattava di una divisione delle donne in classi. Quando lo stupro delle «donne per bene» era represso con ferocia, le prede a portata di mano si chiamavano domestiche, contadine, lavandaie, impiegate, operaie, segretarie. Era una divisione ancora più segreta tra deboli e forti nel segreto delle famiglie, delle istituzioni religiose e dei pensionati, dove si vede bene come dietro le quinte si celasse il continente nero della violenza sessuale fatta sulle ragazze e bambine più giovani, fragili, misere, come anche sui loro equivalenti maschi. Era una divisione, infine, delle donne secondo lo statuto matrimoniale: da un lato spose e madri di famiglia dignitose, e dall’altro donne perdute, ragazze-madri, sgualdrine e prostitute. Questo principio di divisione è stato denunciato, con un coraggio incredibile, proprio da quelle che sapevano meglio di chiunque altro che il loro mestiere le collocava dalla parte di quelle che gli uomini non sposano. Non dovremo mai dimenticare quello che dobbiamo alle attrici».

[4] Michel Houellebecq, Estensione del dominio della lotta: «Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi sociali. Ugualmente, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta a tutte le età della vita e a tutte le classi sociali… L’individuo moderno è (così) pronto a prendere posto in un sistema di scambi generalizzati nel quale è divenuto possibile attribuirgli, in maniera univoca, un valore di scambio».

[5] Eva Illouz, Il nuovo ordine amoroso. Donne, uomini, e «Cinquanta sfumature di grigio», Roma, Carocci, 2015.

 

[ Immagine:Hannah Wilke, Venus Pareve].

18 thoughts on “Le donne, sconfitte dalla rivoluzione sessuale?

  1. “Inoltre, a differenza di tutti gli altri gruppi oppressi, le donne non sono un gruppo separato nella società, ma disperso in seno ai gruppi che le dominano. Questa dispersione le priva di un sistema di visibilità differenziata, diversamente a quanto accade per altri gruppi come immigrati, ebrei, omosessuali”.
    Questo fa anche la loro forza, come per me farà presto quella degli omosessuali.
    Non concordo che nulla differenzi la sessualità maschile e femminile tranne un fatto culturale. Non che questo non sia importante, non che un suo totale rovesciamento non possa portare a un rovesciamento biologico, ma è chiaro che la tendenza alla monogamia femminile si possa spiegare con la paura di restare incinta, proprio come la poligamia maschile può spiegarsi con la possibilità di fecondare un numero incommensurabile di volte senza subirne le ripercussioni -tranne quelle previste dalla legge. Ed è appunto la legge, ossia la cultura che ha favorito l’uguaglianza tra i sessi. Continuare a voler cercare l’uguaglianza nella natura mi sembra un atteggiamento rousseauiano-sessantottecso nel peggior senso della parola, un atteggiamento che alla fine provoca una distorsione teorica di cui testimoniano tanti gender studies. Sarebbe molto più razionale e costruttivo riconoscere che in una società dove si va a lavorare in metro le differenze tra uomini e donna si sono ridotte rispetto a società in cui la forza fisica era molto più importante. Ed è sempre questa allucinazione che porta il “sistema”, per necessità di coerenza, all’eliminazione delle differenze sessuali (da non confondere con gli orientamenti) che non mi sento di salutare con l’entusiasmo di Eva Ilouz. L’idea che vi è alla base è che non possa esistere uguaglianza nella diversità ma solo uguaglianza nell’uguaglianza. Benvenuti a Gattaca.

  2. “Liberare la sessualità senza toccare il potere maschile dal punto di visto economico e sociale equivale a abbandonare le donne in una posizione di debolezza strutturale all’interno del mercato aperto e sregolato.”

    Io non capisco come si faccia a ragionare in questi termini. Il potere maschile cos’è? Forse che se un uomo è potente del suo potere ne beneficiano tutti gli altri uomini? In tutto l’Occidente il divario economico nel salario è diminuito. Nei posti pubblici donne e uomini guadagnano lo stesso, nel privato la differenza dipende dalla differenza di quantità di lavoro, quindi cominciamo a riconoscere cosa è cambiato. Questo cambiamento c’è stato proprio grazie al mercato, che non è affatto sregolato. Aperto non capisco cosa voglia dire. Le donne, una percentuale vicino al totale di loro, non vive alcuna debolezza strutturale da questo punto di vista.

    “Ma la deregulation della sessualità le ha private della moneta di scambio di cui prima disponevano nei confronti degli uomini”

    ma che caspita dice? La prostituzione non mi pare scomparsa, e nel caso Weinstein, violenze a parte, di scambio si tratta.

    “Anche per questo le donne affrontano la sessualità in un modo tendenzialmente diverso da quello degli uomini: non come un piacere strumentale ma come una relazione di riconoscimento, secondo la definizione di Axel Honneth. Da questo punto di vista, effettivamente, le donne sono state le grandi perdenti della rivoluzione sessuale. Anche perché continuano a servirsi della sessualità sia come una fonte di piacere sia come una via per assicurarsi, attraverso l’incontro e il rapporto duraturo con un uomo, una stabilità emotiva e finanziaria. Mentre per l’uomo la separazione tra sessualità, matrimonio ed emotività è stata molto più netta, anche se comunque fonte di conflitti e angosce ”

    Questo passaggio è un capolavoro. Prima dice che le donne hanno perso la moneta di scambio, poi dice che continuano a servirsi della sessualità come stabilità finanziaria. Si metta d’accordo. Allo stesso tempo la usano anche come fonte di piacere, quindi non si capisce perché ci abbiano perso con la rivoluzione sessuale. La separazione di cui parla nell’uomo non c’è, e certamente non c’è stata con la rivoluzione sessuale.

    “Credo che si debba resistere alla tentazione di ricorrere alla natura per spiegare i comportamenti umani”.

    È esattamente il contrario, bisogna ricorrere a tutto, e quindi anche alla natura, per spiegare qualunque cosa. L’importante è farlo bene.

    “Ma nelle società di cacciatori-raccoglitori le cose non stanno così: tutti lavorano e non esiste alcuna gerarchia tra uomini e donne. Oltretutto, l’ipotesi che esistano delle differenze sessuali naturali è rifiutata anche dalle ricerche neuroscientifiche più recenti, che condividono le ipotesi culturalistiche formulate dalle femministe ”

    Questo semplicemente è falso.

    “Teoricamente, se le donne fossero violente, potrebbero penetrare il corpo dell’uomo con oggetti. Teoricamente, dato che gli uomini possono essere violentati per via anale da altri uomini, potrebbero esserlo anche da una o più donne. Ma questo non succede perché, per la donna, la sessualità non è fonte di potere. Gli uomini possono utilizzare il loro sesso come un arma: è un fatto indiscutibile. Ma non si tratta di erotismo. Lo stupro non è in alcun modo un’esperienza erotica. Di certo non lo è per la donna e, a mio parere, nemmeno per l’uomo. Quello che gli uomini cercano nello stupro è il piacere del dominio, dell’esercizio del potere e dell’assoggettamento.”

    Questo è un altro passaggio rivelatorio di come nei decenni si è tramandata una balla spaziale. Ovvero che lo stupro sia esercizio di potere in sé e non c’entri con il sesso. Faccio notare, per smontare brevemente questa idea che le donne violentano i bambini e gli adolescenti, e che la violenza sessuale e fisica, guarda un po’, esiste nelle coppie lesbiche. Come la mettiamo? Gli uomini di solito non usano oggetti per violentare le donne, perché non ci sarebbe alcun piacere nel farlo, per lo stesso motivo non avrebbe senso per una donna violentare un uomo con un oggetto. Mentre ci sono casi di donne che approfittano di uomini addormentati per usare il loro sesso.

    “E quando si interroga l’esperienza delle lesbiche, si copre che, per loro, lo scambio sessuale può durare molto più a lungo (più di un’ora e mezza) rispetto a quello eterosessuale (in media venti minuti). Sappiamo infine che il clitoride è più sofisticato del pene, in termini di ricettori sensoriali. Dunque, una volta di più, ci si può riferire alla natura e alla fisiologia in modi molto diversi. Se proprio vogliamo interpretare questi dati, possiamo dire che le donne hanno altrettanta potenza sessuale degli uomini, ma che la forma di sessualità eterosessuale praticata oggi non le soddisfa pienamente. ”

    Questo è metodologicamente errato. Lo scambio sessuale lesbo dura mediamente più di un’ora e mezza? E dura così per tutta la vita? Questi dati non consentono di dire che la sessualità eterosessuale non soddisfi le donne rispetto a quella lesbo.

    “La tendenza più interessante, oggi, mi sembra quella del pansessualismo, ossia la volontà di rendere l’orientamento sessuale una pura scelta individuale: multipla, revocabile, indifferenziata… ed egualitaria. Gli eterosessuali seguiranno questa strada aperta dagli omosessuali. ”

    ma neanche per sogno! A me piacciono solo le donne. Il pansessualismo è la tendenza di quattro scappati di casa.

  3. Mi sembra necessario far notare che maternità è una parola assente in questo discorso di sicurezza stilistica e di sicuro interesse. Resta un tabù? Un tema indicibile? I figli sono elencati insieme alla gestione della casa, degli anziani. Dato indiscutibile e aspetto su cui soffermarsi. Ma l’origine, la gestazione, il parto, il materno sono completamente negati per poter proclamare una possibile parità sessuale, di godimento e di piacere, oltrechè di libertà e di pari opportunità. Mi sembra si continui drammaticamente a girare intorno a un grosso e difficile nodo negando l’esistenza – se non l’evidenza – del femminile nel mondo, con tutte le sue contraddizioni.

  4. Donzelli e Pecoraro:

    “Donne non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna”

  5. Trovo molto interessante questa intervista, soprattutto in relazione alla riflessione che ho tentato nell’articolo « Appunti politici (12):Kraus, Fortini, il dibattito sulle “molestie sessuali” (http://www.poliscritture.it/2018/02/05/appunti-politici-12kraus-fortini-il-dibattito-sulle-molestie-sessuali/). Finalmente una studiosa che collega sessualità e «potere maschile dal punto di visto economico e sociale», non parla solo di astratte donne contrapposte a astratti uomini (o viceversa) e fa tornare lo sguardo storico nella riflessione sulla natura. Sostenere che « le donne sono state le grandi perdenti della rivoluzione sessuale» o che ««la sessualità è un effetto del potere» per entrambi i sessi ( e non solo per quello maschile) mi paiono affermazioni sanamente provocatorie.

  6. Maternità vuol dire totale implicazione affettiva, ed è questa capacità, disposizione, che le donne (quasi sempre) coinvolgono nel sesso. E’ un di più, che ha anche a che vedere con il piacere in senso stretto.
    E’ anche un di meno dato che non le lascia libere e leggere nel sostituire un/una partner con un/una altra. Questo elemento, disposizione alla maternità che rende capaci di forte implicazione affettiva, rende da subito diverse le sessualità maschile e femminile.

  7. Secondo me, l’ìntervistata si costruisce dei romanzi, fa considerazioni che non hanno alcun appiglio con la realtà.
    La questione di fondo è che la natura ha scelto nella biologia l’asimmetria, e proprio nel sesso delle specie che usano la riproduzione gamica.
    Nulla è più asimmetrico di quanto lo siano maschi e femmine, già nella loro morfologia, ma anche a livello psicologico.
    Per una questione ideologica, tale asimmetria viene negata e per farlo più efficacemente, si nega perfino che esista la natura.
    Da questo punto di vista, il femminismo, nato come cultura della differenza, è stato capovolto come un calzino per diventare la cultura delle donne che pretendono di imitare gli uomini, come se questi avessero titoli per essere presi come proprio riferimento e modello ideale.
    Si potrebbe concludere paradossalmente che è proprio tale punto di vista femminile a costituire il massimo del maschilismo.
    In effetti, nella crisi evidente dell’ideologia liberale, questo neofemminismo costituisce forse il più vigoroso punto di resistenza, una coda di un’ideologia che sta mostrando il suo carattere distruttivo fino a costituire un pericolo per la stessa sopravvivenza dell’umanità.

  8. “C’è una strana malafede nel conciliare il disprezzo per le donne con il rispetto di cui si circondano le madri.“

  9. ” finché la famiglia e il mito della famiglia e il mito della maternità e l’istinto materno non saranno soppressi, le donne saranno oppresse.“

    “Le scienze biologiche e sociali non credono nell’esistenza di entità fisse e immutabili che definiscano dati caratteri, come quelli della donna, dell’Ebreo o del Nero; esse considerano il carattere una reazione secondaria a una situazione. Se oggi la femminilità è scomparsa è perché non è mai esistita.”

  10. La donna, l’ebreo, il nero… Tre categorie? Le donne sono un gruppo sociale? E l’ebrea, la nera, sono sottocategorie di categorie?

  11. Simone: life is great even without myths, and in total awareness that any identity is a social response.

    As for the rest, Eva Illouz seems not to understand the relationship between financial neo-liberalism and sexuality. Liberation is only for the very few who can afford it. ‘Fifty Shades of Grey’ is about a obscenely wealthy man in his forties and a woman in her twenties who needs college money. All sexual games and negotiations between the two are possible, but only when the basic structure of ownership is in place.

  12. La lettura di questa intervista mi ha a tratti sconcertata. È imbarazzante che l’approdo del post-femminismo, dopo lotte vere che lo hanno preceduto e reso possibile, consista nella soluzione del pansessualismo (tanto per semplificare).
    La prima parte dell’intervista è incontestabile … anche perché sono cose che ci diciamo da almeno cinquant’anni. Per quanto riguarda la seconda, cuore della teoria della studiosa, la trovo imbarazzante.
    Sono d’accordo con Filippo Bruschi e con Vincenzo Cucinotta quando affermano che femmine e maschi sono diversi per natura. Continuare a voler cercare l’uguaglianza nella natura mistifica il dibattito e altera il senso della discussione con costruzioni , queste sì, culturali. L’uguaglianza che cercano le protagoniste del primo femminismo è POLITICA e GIURIDICA. In un secondo momento diventerà economica. L’errore è proprio questo, non partire dalle differenze che per natura influiscono sulle relazioni tra maschi e femmine e continuare a negarle. Così mie care post-femministe non si fa che aggravare la posizione delle donne. Io non frequento élites ed è per questo che posso testimoniare che l’uguaglianza non passa per l’assimilazione di pratiche sessuali tra uomo , donna o orientamenti sessuali. Il sesso non è un’astrazione.

  13. Grazie a Barbara Carnevali per questa pubblicazione, di grande interesse. Accludo i link di alcuni ripescaggi a mia cura, usciti da poco su “Between”: sia perché riguardano, il primo soprattutto, quello che negli anni Settanta fu chiamato “le sexisme ordinaire” e si legano molto al discorso; sia perché sono in gran parte dedicati a Simone de Beauvoir, che sta intervenendo parecchio nella discussione.

    http://ojs.unica.it/index.php/between/article/download/3038/2675

    http://ojs.unica.it/index.php/between/article/viewFile/3241/2886

  14. sarò semplicistica, ma se ho capito bene, aver perso la possibilità di far carriera attraverso la seduzione sarebbe una sconfitta storica per le donne. Accidenti, che guaio non poter fare più la cocotte e poter fare l’ingegnere o il presidente (ssa) del consiglio. Certo, in effetti abbiamo guadagnato contraccezione, aborto, divorzio, libertà di disporre del nostro corpo… Nulla, rispetto alla possibilità di contrattare potere attraverso il sesso. Brutta cosa la deregulation sessuale, par di capire. Ma ho sicuramente frainteso, vero? nessuno può sostenere sul serio una tale scemenza, vero?

  15. Quindi per la Hillouz la lotta delle donne nasce oggi perchè è diventato visibile il desiderio sessuale che le donne suscitano entro il sistema delle merci: “È così che il corpo femminile si è imposto come una merce visibile il cui valore consiste nella capacità di risvegliare le fantasie maschili … Nel momento in cui dei modelli femminili così prestigiosi, delle icone di bellezza e di successo hanno accettato di denunciare queste pratiche, molte donne si sono sentite autorizzate”. Tutto avviene entro il mondo della merce.
    Il tema dell’uguaglianza nelle pratiche sessuali si svolge entro questo orizzonte: “Con la deregulation introdotta dalla rivoluzione sessuale, il solo criterio morale che sia sopravvissuto è quello del consenso”. Come il lavoratore che si vende nel contratto per un salario, così si impostano i rapporti sessuali.
    Dal punto di vista filosofico, Hillouz fa affermazioni che conducono al relativismo: “Perché una differenza naturale sia pertinente, bisogna che diventi culturalmente istituzionalizzata… Le differenze diventano operative solo nel momento in cui sono investite socialmente da ideologie e pratiche”. Ma il diventare “operativo” di qualcosa implica che quel qualcosa esista già, in “potenza” si diceva una volta. Ma reale non è “effettivo”, effettivo è in vari modi, reale li sostiene.
    Hillouz sottolinea che, una volta, “nella cultura cristiana, la sessualità aveva un telos, una finalità sociale – il matrimonio – e una finalità biologica – la riproduzione. Il matrimonio teneva insieme emozioni, sessualità e riproduzione”. Diventata merce, la sessualità si esaurisce nel contratto consensuale: in esso contratto si risolve anche la parte delle emozioni?
    Certo, esiste una teoria delle emozioni per cui esse nascono per apprendimento, in quanto rispecchiano le emozioni altrui. Quando, man mano, nel mondo delle merci nessuno insegnerà più altre emozioni che non siano contrattuali, le emozioni spariranno del tutto?
    Potremo allora fare tranquillamente i figli in bottiglia, e l’uguaglianza (che è però del campo delle idee, invece la differenza è dei corpi) ci renderà finalmente uguali come cloni, o zombies.
    “Quello che gli uomini cercano nello stupro è il piacere del dominio, dell’esercizio del potere e dell’assoggettamento”, ma Hilluz crede che in realtà questo tipo di piacere non soddisfi eroticamente neanche gli uomini. Che, però, in campo emotivo, appaiono di solito contratti, serrati.
    In definitiva il testo di Hilluz è autocontraddittorio: “perché una differenza naturale sia pertinente, bisogna che diventi culturalmente istituzionalizzata”, ma lei deve poi giustificare anche il fatto “che la forma di sessualità eterosessuale praticata oggi non le soddisfa pienamente”, allora la differenza naturale e biologica si re-impone.
    L’uguaglianza, infatti, diventa una *messa in scena*: “Se nascerà una nuova etica sessuale, essa dovrà articolare tre principi: l’uguaglianza di base, la pluralità delle posizioni, e la plasticità delle configurazioni”.

  16. “Se capisco bene, le donne sarebbero dunque le grandi perdenti della rivoluzione sessuale?
    La risposta è molto più ambigua, ed è per questo che il problema risulta difficile da analizzare. Le donne hanno guadagnato un sacco di cose: il controllo del loro corpo e della procreazione, grazie alla contraccezione, la legittimazione di forme di sessualità multiple e diversificate, l’affermazione di una cultura del piacere, la scomparsa dell’ideale morale e religioso della verginità. Ma la deregulation della sessualità le ha private della moneta di scambio di cui prima disponevano nei confronti degli uomini. Inoltre, le donne restano le sole responsabili di ciò che nella cultura anglosassone si chiama “care”, l’ambito della cura delle persone – sono loro occuparsi dei bambini in casa e a scuola, dei malati come infermiere, delle persone anziane come badanti… Persino le professioni di cura della psiche, la psicologia e la psicanalisi, si sono femminilizzate. Anche per questo le donne affrontano la sessualità in un modo tendenzialmente diverso da quello degli uomini: non come un piacere strumentale ma come una relazione di riconoscimento, secondo la definizione di Axel Honneth. Da questo punto di vista, effettivamente, le donne sono state le grandi perdenti della rivoluzione sessuale. Anche perché continuano a servirsi della sessualità sia come una fonte di piacere sia come una via per assicurarsi, attraverso l’incontro e il rapporto duraturo con un uomo, una stabilità emotiva e finanziaria. Mentre per l’uomo la separazione tra sessualità, matrimonio ed emotività è stata molto più netta, anche se comunque fonte di conflitti e angosce.” Riporto questo passaggio, con tanto di domanda, perché è la domanda che dà anche il titolo al post, e confonde un po’ le acque.

    Illouz risponde affermativamente solo da un punto di vista. Ripeto che la deregulation non ha tolto affatto la moneta di scambio alle donne, e non capisco come ciò possa essere affermato. Ma in ogni caso la Illouz risponde sotto un altro punto di vista, che non è comunque chiaro. Non si capisce infatti quale relazione ci sia tra la prevalenza delle donne negli ambiti di cura, tra l’altro precedente al ’68, e la rivoluzione sessuale. E non si capisce come faccia a dire che le donne affrontino la sessualità in maniera diversa in virtù di questa prevalenza. Sarebbe il contrario, se la cosa avesse un senso. Quindi non si capisce perché sarebbero perdenti: perché non affrontano la sessualità come gli uomini e secondo la deregulation? Perché non è cambiata la sostanza economica? Ma allora più che sconfitte non sono state toccate, non è cambiato nulla, cosa però smetita dalla Illouz stessa laddove elenca le varie conquiste. Una domanda mal posta, dunque.

  17. Il libro “Perché l’amore fa soffrire” è bellissimo e l’ho letto con piacere, come questa intervista e la precedente già uscita su LPLC.

    Molto rozzamente, le due obiezioni che mi continuavano a salire alle labbra mentre leggevo quel libro erano:

    1) il campione sociologico sulle cui opinioni e racconti Illouz fonda le sue riflessioni è la classe medio-alta di società a capitalismo avanzatissimo, Usa Israele. Un campione che non so quanto sia universale. Già solo per l’Italia è poco rappresentativo, direi. (Certo, a meno di non aver già stabilito che quella forma di capitalismo avanzato sia il destino storico necessario e che in Italia si sia solo “arretrati” sul conto che la Storia ci presenta).

    2) Il suo obiettivo era capovolgere la vulgata psicanalitica per cui se si soffre per amore la colpa è tua, una tua insufficienza psicologica, freudianamente post-traumatica, e dimostrare che le cause della sofferenza sono invece costruite socialmente. Tesi molto interessante per tutto quello che riesce a tirarne fuori, ma tesi “forte”, che è un capitolo dell’eterna lotta tra sociologia e psicologia. (Di recente ho letto un bel libro di Davide Tarizzo, Giochi di potere. Sulla paranoia politica, che fra le altre cose riflette proprio su quanto la reciproca esclusione epistemologica tra psicologia e sociologia, blandamente suturata dalla psicologia sociale, sia un vulnus originario delle scienze sociali, che liquidando all’inizio del Novecento la psicologia delle masse, la sociopsicologia, si sono vincolati ai due paradigmi alternativi e conflittuali: o si parte dall’io o si parte dalla struttura sociale, tertium non datur).
    Tutto questo per dire che non mi persuade molto la tesi “forte” costruttivista, per quanto cautamente espressa dalla studiosa nella forma “la natura esiste ma è sempre filtrata dalla cultura”. Siamo d’accordo, ma è una di quelle constatazioni generali con cui tutti consentiamo, che però non mi pare possa valere come argomento definitivo a favore del costruttivismo sociale. Chissà che cos’è e in che forme ci avvolge quella “natura” intravista al fondo del cannocchiale rovesciato della cultura.

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