di Daniele Giglioli
[Una prima versione di questo intervento è stata presentata al convegno di Compalit nel dicembre del 2017 a Verona].
A cinque anni dalla scomparsa, per Paolo Zanotti è arrivato il tempo della gloria. La parola “gloria”, specie se riferita a uno scrittore, suona desueta ai nostri orecchi, ingombrante, enfatica, eccessiva. Ma è stata scelta dopo lunga ponderazione. La gloria non è la fama, la celebrità, la ribalta. Non implica alcuna commistione tra l’autore come persona e l’autore come opera. Paolo Zanotti non ha avuto e non avrà mai una carriera di autore come la si intende oggi. Non firma autografi, non si fa fotografare, non briga per andare alla radio o alla televisione, non ha rubriche sui magazine, non dirama imperdibili opinioni via Facebook. Eppure basta un breve giro in rete per accorgersi di come pochi scrittori della sua generazione godano di un rispetto analogo tra i colleghi, i critici e soprattutto i lettori, i lettori che contano, quelli che non fanno numero ma sono unicamente appassionati a una scrittura, un timbro, un mondo narrativo; quelli cioè che fanno della letteratura una cosa vera. E se questo non consola della perdita, è però una testimonianza di quanto la letteratura possa modellare un destino, dare forma e compimento a una vita. È andata così.
Chi non avesse letto i suoi romanzi, Bambini bonsai e Il testamento Disney, usciti da Ponte alle Grazie, il secondo purtroppo già postumo, troverà ora in libreria una porta di accesso non meno preziosa alla sua immaginazione, un’immaginazione così angolata, così delimitata (pochi temi, situazioni ricorrenti, personaggi che si riecheggiano, una fedeltà senza rimorsi a ciò che si è scelto di amare) e insieme così proliferante, metamorfica, inesauribile: L’originale di Giorgia, un volume in cui l’editore Pendragon ha riunito i racconti pubblicati da Zanotti su riviste come “Il Caffè Illustrato” o “Nuova Prosa”. Racconti molto belli, e qualcuno mirabolante, come quello che intitola la raccolta, come Paesaggio con manichini o come Ritorno (still life), dove la scrittura di Zanotti, sempre inconfondibile ad apertura di pagina, ridisegna ogni volta con sovrana umiltà la costellazione del suo tema tragico per eccellenza: la sopravvivenza dell’infanzia – dei suoi miraggi, dei suoi desideri, della sua originaria prossimità con la morte – protratta a qualunque costo, ivi compreso il disadattamento, l’inettitudine, il ridicolo perfino, in quella che definiamo pomposamente vita adulta, quando non è che il lutto, la reliquia, il fallimento, lo sfruttamento al minimo dei tesori a disposizione dell’onnipotenza fantastica infantile. Cerniera tra i due mondi, nei racconti come romanzi, è spesso una piccola, mite, perturbante figura femminile, inafferrabile, incolpevolmente vampiresca, incorporea, anoressica, eternamente sulla soglia della pubertà, l’età in cui il tradimento dell’infanzia si consuma attraverso la maturazione sessuale temuta, scongiurata, inibita; una figura a cui i personaggi di Zanotti consacrano una dedizione senza riserve, senza speranza e senza scampo.
Ed è forse questa dedizione incondizionata, difficile da dire almeno quanto lo è da vivere, a spiegare sia i circa i quindici anni di rifiuti editoriali cui Zanotti è andato incontro in vita, sia l’amore, oggi, dei lettori. Una dedizione in controtendenza, una forma del desiderio di cui è difficile trovare esempi, un ethos (altra parola scelta dopo lunga ponderazione visto che la si deve applicare a uno scrittore non troppo curante di preoccupazioni etiche e politiche come Zanotti) inattuale, estraneo, scintillante come un astro senza atmosfera.
Il desiderio cui danno sagoma i personaggi di Zanotti è in primo luogo un desiderio assoluto (non: un desiderio di assoluto; nulla del genere, ché anzi sa bene di correre dietro a dei miraggi). Un desiderio senza mediazioni, non negoziabile, intrattabile, impersuadibile come una bestia o un bimbo, appunto: cosa rarissima in un mondo come il nostro in cui desiderio e adattamento sono diventati sinonimi. In secondo luogo, si tratta sempre di un desiderio non ricattatorio, senza pretese, senza cautele né cauzioni: ai personaggi di Zanotti nessuno deve nulla, nulla gli è garantito, se non, quasi ab aeterno, la sconfitta. Niente rimpianti, niente recriminazioni. Un desiderio che batte in breccia ogni risentimento, non lo fa neanche entrare in città: non occorre sottolineare quanto anche ciò sia oggi eccezionale. Infine, nel mondo di Zanotti i desideri si pagano. Si pagano carissimo, si pagano con tutto quello che uno ha da dare, e anche di più. Dietro ai miraggi i suoi personaggi finiscono in genere per perdersi. Ma vanno avanti anche se hanno la certezza che verrà loro ineluttabilmente contestato, come nel Libro di Daniele, l’interprete di sogni: “sei stato pesato sulle bilance, e sei stato trovato mancante”. Si desidera non tanto perché si è mancanti (questa è una ovvietà), ma per restare tali, per non commettere il peccato mortale dell’appagamento. Oggetto di desiderio è in Zanotti solo ciò che non può ricambiarti, e che non riconoscendoti ti consegna alla dissoluzione. Eppure, cosa c’è di più glorioso della scelta di vivere – finché si può, e sapendo che finirà – nell’intimità di un essere estraneo di cui è impossibile appropriarsi?
(Paolo Zanotti, L’originale di Giorgia e altri racconti, Pendragon, pp. 269, 16 euro)
[Immagine: Paolo Zanotti]