di Clotilde Bertoni
[Da pochi giorni è in libreria Romanzo di uno scandalo. La Banca Romana tra finzione e realtà di Clotilde Bertoni (Il Mulino). Il caso della Banca Romana, scoppiato nel 1892, è uno dei più importanti scandali politici della storia italiana. Minacciò di travolgere la classe dirigente del Regno, toccò Crispi e Giolitti, si concluse in modo surreale. Clotilde Bertoni ricostruisce il caso e analizza la letteratura che ispirò. È facile collegare un libro come questo all’attualità del XXI secolo, leggerlo come l’archeologia di fenomeni contemporanei. Pubblichiamo un estratto dell’introduzione].
La letteratura ha a che fare con gli scandali da sempre; ma in forme assai diverse. Per molti secoli gli scandali sono in fondo suo campo privilegiato, quasi suo esclusivo appannaggio: se per tali si intende (la polisemia del termine può creare equivoci) i tanti fatti e fenomeni scandalosi, che almeno fino al Settecento si consumano di nascosto, all’ombra dei poteri assoluti, dell’autorità ecclesiastica, dell’ipocrisia sociale. Snidarli è toccato spessissimo alle opere letterarie, sempre in grado di demistificare le iniquità perpetrate dai dispotismi, di dare voce alle istanze censurate dalla morale, di sfidare, apertamente o velatamente, le interdizioni e i preconcetti: grazie alla loro capacità di filtrare la denuncia attraverso l’invenzione, di intrecciare i contenuti audaci a quelli accettabili, di occultare sensi repressi dietro quelli congeniali al sentire condiviso.
L’avvento della modernità, la metamorfosi degli assetti di potere, la nascita e lo sviluppo della stampa cambiano lo scenario. I fenomeni scandalosi si moltiplicano, e al tempo stesso deflagrano sempre più facilmente. Iniziano a proliferare gli scandali veri e propri, fatti di scoperte e rivelazioni di pubblico dominio; appannaggio innanzitutto e soprattutto della cronaca, quella cronaca consistente in inchieste agguerrite o in scoop sensazionalistici, ma comunque schiacciata sulla contingenza, da cui gli scrittori tengono solitamente
a prendere le distanze (tanto più se sono anche giornalisti)[1]. Pure da questi scandali, però, la letteratura ricava infinite sollecitazioni; ma a livelli differenti, e a seconda della loro natura: perché gli scandali moderni si possono grosso modo dividere in due tipologie.
Gli scandali della prima tipologia riguardano le libertà civili, le regole del costume, la morale sessuale. Sono quelli che più danno ragione al vulgatissimo proverbio di derivazione evangelica “oportet ut scandala eveniant”, quelli che aiutano non solo a capire le cose ma quasi sempre anche a cambiarle; quelli che, in linea con il senso etimologico del termine, fanno da intralcio, scuotono le inerzie della tradizione, sfidano le convenienze dei poteri forti. Le trasgressioni da cui nascono, beninteso, sono di segno disparato: consistono sia in ribellioni e contestazioni deliberate, sia in infrazioni venute fortuitamente (o portate forzatamente) a galla; sovvertono morali a volte coercitive e imposte, a volte generalmente accettate. Ma hanno tutte un effetto metamorfico: smantellano le gerarchie e i tabù, attaccano l’autorità, confutano la sua estensione dalla sfera pubblica a quella privata e biologica[2]; se il pensiero dominante cerca beninteso sempre di rintuzzarle, non ne esce mai del tutto indenne.
Si tratta di scosse, si diceva, molto eterogenee, come infiniti esempi potrebbero dimostrare: gli sconvolgimenti innescati dalle coraggiose proteste e conquiste delle donne o delle minoranze etniche sono stati certo ben più profondi di quelli prodotti dai gossip piccanti sugli altarini dei personaggi rispettabili; lo scalpore nato intorno all’omosessualità di Wilde ha contribuito a smuovere secolari ipocrisie, ma di fatto è stato scatenato dal suo tentativo di negarla, speculare alle fiere rivendicazioni successive degli omosessuali militanti; le argomentate ribellioni giovanili degli anni Sessanta hanno avuto decisamente maggior forza di rottura di quelle che si sono limitate all’esibizione di piercing o tatuaggi. Però, si è sempre trattato di strappi che, sulla breve o sulla lunga durata, hanno via via modificato la vita associata irreversibilmente.
La letteratura – in generale la finzione creativa – sa da sempre amplificare, alimentare, anche suscitare questi scandali: dando espressione a istanze sovversive, dando voce a categorie oppresse, confutando, in modi espliciti o impliciti, le preclusioni e i pregiudizi[3]. Magari al di là delle intenzioni degli autori, e attraverso semplificazioni e fraintendimenti infiniti, i successi di scandalo dei Fleurs du mal, di Madame Bovary, di Casa di bambola, di Lady Chatterley’s Lover, di The Catcher in the Rye, di Lolita, di praticamente tutto Céline e tutto Pasolini, e pure quelli di Bonjour tristesse o Peyton Place o Porci con le ali, hanno cambiato il costume e la socialità, hanno segnato svolte più o meno consistenti[4]; e tutti i momenti di tensione tra la censura istituzionale e la libertà espressiva, anche quando hanno visto la prima vincente, hanno presto o tardi inciso sul campo dell’arte come su quello del costume, li hanno trasformati radicalmente[5].
Invece, gli scandali della seconda tipologia, che riguardano la politica, l’economia, la legge, le istituzioni, sono quelli che accendono maggiori aspettative, ma che causano le delusioni più cocenti. Perché non riescono a esercitare l’azione catartica che sembrano promettere, o almeno non al livello degli auspici che hanno suscitato; perché il potere, se non può più frenarli, come avveniva prima della modernità avanzata, riesce, seppur in gradi vari, a resistere al loro fragore: disinnescandone l’impatto, o riducendone gli effetti.
Il Settecento grande secolo di svolta ne offre già un’ottima dimostrazione: nel 1785-86 il cosiddetto scandalo, gonfio di leggende, della “collana della regina” attira forse ulteriormente l’attenzione sui lussi della monarchia francese, favorendo vagamente lo scoppio della Rivoluzione; ma parecchi decenni prima, nel 1720-21, l’assetto politico inglese, il più progredito per eccellenza, non è sconvolto in modo irreversibile dallo scandalo del South Sea Bubble, il crollo della Compagnia dei Mari del Sud, una società che, dopo aver fatto lievitare artificiosamente le proprie azioni – grazie anche alla protezione interessata di diversi politici e del primo ministro Robert Walpole – fallisce rovinando gli investitori.
E tutti i successivi scandali “istituzionali”, che esplodono dall’Ottocento fino ai giorni nostri, non arrivano mai a sovvertire le istituzioni a fondo: se spesso mobilitano fortemente l’opinione pubblica, in genere finiscono per deluderla[6]; pure quando sono forieri di notevoli riforme, non apportano le metamorfosi che hanno autorizzato a sognare. La corruzione dei politici prosegue in tutte le epoche e latitudini, senza che nessuno degli scoop fatti in merito riesca ad arrestarla; il peso dell’esercito viene minato non dalle scoperte dei suoi abusi, ma solo dalle guerre e dai cambiamenti degli equilibri internazionali; le reiterate denunce dei crimini pedofili commessi all’interno della Chiesa non ne hanno mai intaccato granché il credito.
Alimento di speranze e disinganni vertiginosi, fitti di misteri, al tempo stesso troppo indagati e troppo opachi, gli scandali di questa tipologia sono da sempre per la letteratura un tema ostico. Tanto più risultano dunque epocali tre scandali, ricordati seppur confusamente a tutt’oggi, che scoppiano in rapida sequenza nell’ultimo decennio dell’Ottocento, arrivando a segnare non solo la storia e il pensiero, ma anche, a un punto mai raggiunto prima e mai più raggiunto, l’immaginario romanzesco: la storia del canale di Panama, a cui accenneremo brevemente, che ha il suo picco tra il 1892 e il 1893, e un colpo di coda tra il 1897 e il 1898; la storia della Banca romana, al centro di questo libro, che, iniziata a ridosso di quella del Panama, prosegue a intervalli dalla fine del 1892 alla fine del 1895; e la storia, che è in effetti la più cruciale, ma per ragioni di spazio resterà fuori dal nostro discorso, dell’Affaire Dreyfus, partito alla fine del 1894, deflagrato tra il 1897 e il 1899, e chiuso definitivamente solo nel 1906.
[…]
Lo scandalo del canale di Panama, che tratteremo per sommi capi, è una vicenda di malversazioni della finanza e di infamie della politica, piena di passaggi contorti e di enigmi irrisolti; come vedremo comunque adattissima, specie per il modo in cui viene letta, a esasperare il pessimismo già imperante e a sollecitare ancora l’immaginario a tinte forti sua abituale chiave di espressione.
Lo scandalo della Banca Romana, nostro argomento principale, è per molti aspetti ancora più grave e sconvolgente. Dando ragione a una citatissima battuta della brechtiana Dreigroschenoper, mostra in che misfatto si può risolvere la fondazione di una banca; archetipo per eccellenza dei tanti scandali finanziari che scandiranno poi la storia successiva, li oltrepassa tutti, se non per la pesantezza, per la quantità dei fattori e delle questioni che mobilita. Allinea e mescola vicende tragiche, ridicole, struggenti: ad esempio, i casi di un dirigente di banca intimo di tutti i potenti che trucca i suoi bilanci ed emette cartamoneta non autorizzata, di un altro apparentemente irreprensibile che vuota la cassa per pagarsi le sue avventure erotiche, di un altro ancora, irreprensibile sul serio, selvaggiamente accoltellato nello scompartimento di un treno; e inoltre, i casi di un ministro del Tesoro habitué di caffè e bordelli, di un presidente del Consiglio dal ménage troppo lussuoso e chiacchierato, di un re che forse si avventura in speculazioni disastrose attraverso le sue amanti; e ancora, i casi di un deputato dal passato eroico e dal presente dubbio, ucciso da un mixoedema ma suicida secondo la vulgata, di un deputato sulfureo che ai duelli parlamentari alterna quelli veri, per finire ucciso a sorpresa nel trentatreesimo, di un deputato testardo che denuncia una storia di corruzione, mentre fronteggia i debiti della sua famiglia che lo hanno ridotto in povertà.
Per giunta, come già quello del Panama, come tanti altri scandali precedenti e successivi, anche questo lascia impuniti i suoi principali responsabili e lascia aperti molti dei suoi misteri. Pullula di domande andate a vuoto, di silenzi ostinati, di bugie e di ritrattazioni, di documenti scottanti esibiti e di documenti forse ancora più scottanti spariti per sempre: ricordato sempre ma accantonato presto, non è stato mai e verosimilmente non sarà mai sbrogliato fino in fondo.
Però, è una storia ambivalente. Se trabocca di onorevoli e ministri collusi, corrotti, forse concussori, è sollevata e combattuta all’interno del Parlamento stesso; le motivazioni dei suoi denunciatori sono più elevate di quelle che hanno mosso i denunciatori del Panama: il suo andamento prova l’inquinamento ma al tempo stesso anche le risorse della democrazia rappresentativa. Insieme a un’altra vicenda del tempo (di cui come vedremo incrocia il corso), il movimento dei Fasci siciliani, illumina le possibilità diverse su cui è affacciata la fine dell’Ottocento: periodo più contraddittorio e frastagliato di quanto generalmente si ricordi, lontano dall’euforica belle époque in cui l’ha trasfigurato una vulgata imprecisissima, ma neanche, come vuole un’altrettanto imprecisissima vulgata, votato inesorabilmente alle tragedie delle guerre e dei totalitarismi; proteso invece verso un futuro che ha volti contrastanti (da quello di patrie-nazioni autoritarie a quello dell’Internazionale socialista del lavoro), ma è comunque aperto, carico di incognite e angosce ma pure di dinamismo e di propositi.
Di conseguenza, più di quanto arrivi a fare quello del Panama, questo scandalo alimenta prospettive difformi; sconvolge la visione della politica già sedimentata; e imprime all’immaginario una notevole scossa.
[1] Su storia, fenomenologia, caratteristiche più ricorrenti degli scandali, cfr. in particolare M. Aymé, Silhouette du scandale (1938), Paris, Grasset, 1973, F.M. Battisti, Sociologia dello scandalo, Roma-Bari, Laterza, 1982, A.S. Markovits, M. Silverstein, The Politics of Scandal, New York, Holmes & Meier, 1988, J.B. Thompson, Power and Visibility in the Media Age, Malden, Blackwell, 2000, C. Delporte, M. Palmer, D. Ruellan (éds), Presse a scandale, scandale de presse, Paris, L’Harmattan, 2001, H. Rayner, Les Scandales politiques. L’operation “Mains propres” en Italie, Paris, Houdiard, 2005, pp. 7-37, Id., Dynamique du scandale. De l’Affaire Dreyfus à Clearstream, Paris, Le Cavalier Bleu, 2007, L. Boltanski, E. Claverie, N. Offenstadt, S. Van Damme (ed.), Affaires, scandales et grandes causes, Paris, Stock, 2007, R. Carbotti (a cura di), Scandalo, Firenze, Le Monnier, 2009.
[2] Si fa naturalmente riferimento a M. Foucault, Sorvegliare e punire (1975), Torino, Einaudi, 1976, e Id., Storia della sessualità (1976-84), Milano, Feltrinelli, 1978-85; circa lo sterminato dibattito sulla biopolitica più che mai in corso attualmente, cfr. almeno R. Esposito, Bios: biopolitica e filosofia, Torino, Einaudi, 2004.
[3] Naturalmente l’arte fa scandalo anche, innanzitutto, sabotando i precetti compositivi e formali, incrinando gli steccati tra generi e campi differenti: al riguardo cfr. in particolare M. Fusillo, Estetica della letteratura, Bologna, Il Mulino, 2009.
[4] Per altri esempi di grandi scandali artistici, cfr. M. Dollé (ed.), Quel scandale!, Saint-Denis, Presses Universitaires de Vincennes, 2006, e C. Julliard, Les scandales littéraires, Paris, Librio, 2009.
[5] Basti pensare, per non andare troppo indietro, alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, epoca in cui vengono lanciate o rilanciate opere marcatamente trasgressive, che, pur bandite o sforbiciate, riescono a imporsi alla ricezione: la Lolita di Nabokov, che, edita in Francia nel 1955 e alla fine del 1956 ritirata dal mercato, riappare nel 1958, per diventare un bestseller; La dolce vita di Fellini, che al principio del 1960 si impone sugli schermi tra fulmini ecclesiastici e interrogazioni parlamentari; Lady Chatterley’s Lover di Lawrence, che, finalmente ripubblicata in versione integrale nell’autunno di quell’anno, è al centro di un processo concluso da una sentenza favorevole, di forte valore simbolico; Rocco e i suoi fratelli di Visconti e L’avventura di Antonioni, che, più o meno sempre in questo periodo, combattono contro la Commissione di censura e i veti di singoli magistrati. Sui meccanismi e sugli effetti della censura, cfr. in particolare M. Lavagetto, Un caso di censura. Il Rigoletto, Milano, Bruno Mondadori, 20102.
[6] In proposito cfr. A. Garrigou, Le Scandale politique comme mobilisation, in F. Chazel (éd.), Action collective et mouvements sociaux, Paris, Presses Universitaires de France, 1993, pp. 183-91.
[Immagine: Gabriele Galantara, Vignetta sullo scandalo della Banca Romana]
Salve, saggio molto interessante.
La Storia si ripete. Eppure questa vicenda, gigantesca per disonestà e impunità, offre un barlume di speranza. Nel Parlamento dei corrotti, c’erano anche i deputati che denunciarono il caso della Banca Romana e cercarono giustizia. Come spiega la professoressa Clotilde Bertoni nella mia intervista.