di Anna Maria Carpi
[Pubblichiamo un estratto dal nuovo libro di Anna Maria Carpi, Né io né tu né voi, appena uscito per La vita felice].
Questi testi sono ripresi con varie modifiche dalle mie raccolte precedenti: vi si parla di un Dio in cui per i più di noi è diventato assurdo credere ma per alcuni, come me, terribile non sperare.
1
GLI EBREI diceva
Paul Ancel noto come Celan *,
non hanno occhi, non hanno natura,
non hanno organi che per la parola.
La grigia Senna quando vi andò
fu solo un punto, un istante –
quando-perché che importa?
poca cosa è la morte –
e va per monti di pietra lunari
Ancel ancora all ‘incontro
di Dio – nella sua lingua si chiama Nessuno.
D’orme umane ne scorge ben poche.
Forse sono le sue. Nessuno
non ne ha lasciate
perché non c’è e non si vede,
in tutti i millenni
forse gli è mai apparso?
Ma meno lo vede, dove non alita filo né erba,
Ancel più forte gli parla:
tu non puoi, Nessuno, non esserci:
NON e NON, se lingua è lingua,
è uguale a SI’.
*Paul Celan, ebreo della Bukowina (1920-1970).
8
QUATTROCENT’ANNI che dalla bottega,
da quel buco di Görlitz, dal deschetto,
sognava il mastro calzolaio Böhme *
che anche Dio lotta,
perché Dio è doppio,
saggio e malvagio, è ragione e istinto.
La guerra infuria, Guerra dei trent’anni,
la Germania è nel sangue, e lui da solo,
il calzolaio al lume di candela,
scrive «L’Aurora o il rosseggiar dell’alba»:
alba, speranza, ora dell’inizio,
ma, dice lui, l’essenza d’ogni essenza
è un’energia che lotta.
Nostro è un corto armistizio per pensare.
E certe notti è lì da lui in bottega
il dio oscuro,
nel retro o a volte nella stanza accanto,
o nella fiamma del camino acceso,
o sotto la sua mano, fra le carte.
Perché l’ambiguo ama
ciò che di lui si scrive.
*Jakob Boehme (1575-1624), filosofo slesiano.
10
ERA L’ULTIMA CENA, lo sapevo,
pallida luce fuori, qualche pioppo,
dentro nude pareti
di un locale da poveri in provincia.
Anche i miei dodici si son messi a tavola
e io fra loro, io uomo dell’occhio.
Ma la più parte è ignota,
brava gente, famiglie,
tutti affamati.
Io non li ho radunati, è una casuale
compagnia di viaggianti.
Sorridono le bocche – chi è cattivo?
ma sulle facce hanno
un innocente bruto “io sono io” –
Dio! e non lo sanno.
E nemmeno i miei dodici io li ho scelti,
strada facendo
mi si sono accodati.
Che avevano da fare?
Come tutti gli umani, la fatica
del pane quotidiano e niente altro,
niente domande di perché o di senso.
O forse io li ho chiamati
per la paura di restare solo,
se nessuno ti ascolta non ci sei.
Esserci, star con gli altri,
far le cose di sempre come loro,
o cara
o cara abitudine alla vita.
Fuori i pioppi stormiscono,
cinguettano, si sfogano gli uccelli,
e qui dentro le bocche, tutti parlano.
Io quel che ho dentro non lo posso dire.
Se io a Pietro dicessi cosa penso
quando apre bocca dalla sua rozzezza,
e a Giovanni quale debolezza
è preferirlo agli altri solo perché mi adora
e a Matteo che mi urta
quel vacuo volto di ex cambiavaluta
e a Tommaso quanto mi delude
quel suo toccar con mano altrimenti non crede.
Io non li amo.
Ama il prossimo tuo come te stesso:
non ero in me quando l’ho inventato.
Forse avevo bevuto, ero esaltato
da un bel tramonto, da quei raggi d’oro,
l’ultimo sole che riempiva la stanza.
Ma chi ci ha fatto caso? Non riflettono.
Era una cosa nuova e l’hanno presa
come oro colato.
Soltanto Giuda c’è che fa sul serio,
laggiù nell’angolo, ora alza il bicchiere,
leva un brindisi a che? Alla verità:
che il prossimo non c’è e nessuno ha nessuno
di cui fidarsi.
Solo Giuda è vero.
Amici, amici quali,
se quel che sento mi varcasse le labbra,
ah sarebbe finita col dio in terra.
Non posso che mentire
a questa brava gente che rattrista il mio occhio,
il mio crudele amore per la bellezza.
Non ho che benedire il pane e il vino
e dire su mangiate, ecco
il mio corpo, il sangue e fate questo
in memoria di me.
Lo faranno.
Le membra informi, i piedi sgangherati,
le calvizie, le pance, brame e ignavia,
non uno che non speri
in parole solenni, gesti sacri,
di peso vogliono essere salvati
senza far nulla: basta non pensare,
vedono solo ciò che hanno nel piatto.
Padre, padre celeste, mi hai mandato
a salvarli e mi abbandoni?
Volgograd, 2.8.08
12
MA TU ANCEL invece ci credi
che Nessuno stia facendo di nuovo le cose,
tu senti forma e respiro
di sabbia di ghiaccio e cristallo,
e la volta-dimora
e la tenda-parola
curvarsi sopra di noi,
mit-sam-men tu sillabi e Zelt-wort *
L’UNO CON L’ALTRO –
gli uni con gli altri davvero.
- Da “La rosa di Nessuno” di Celan.
14
ANDARONO IN FUMO alcuni
dentro un bianco cielo tedesco –
altri cessarono
nel bianco bianco di una stanzuccia,
e altri in nebbia
in un viale alberato, ed era autunno,
rade le foglie e radi anche i capelli.
I pro-, i ge-
nitori
non si muovono più.
Posano solo ancora per un ritratto
che sembri vivo.
Chi è che da vivo aveva del coraggio?
Forse si muore per pura viltà.
Ci hanno fatto del male?
Oh, non lo credo. In Bukowina, a Praga,
anche a Soligo *
e nelle foreste dello Honduras
sono tutti indegni e ormai fiabeschi
i genitori e gli avi –
se non fosse
che l’infanzia dura mille anni.
*Luogo natale del poeta A.Zanzotto.
20
“SE TU QUESTO NON HAI,
questo muori e diventa,
sei un ospite oscuro su questa terra oscura”.
Così Goethe. Due secoli. E se ne andò fra i lampi
nei freddi siderali.
Noi quaggiù nella notte,
coperti, occhi serrati,
a resistere fino a quando e poi perché?
E fosse gioia: no – è solo paura.
Questo mediocre morire ad ogni istante
è la sorda tortura
di ciò che avremmo
dovuto essere per non dover morire.
22
La verità?
O Dio c’è o non c’è
e le filosofie, le laiche e le pie,
non tengono di fronte al desiderio:
e non mentite, tutti ce l’abbiamo.
Sarà illusione? Sì, come l’amore,
ma chi direbbe non dovete amare?
Io lo so bene a che mi serve Dio.
Che sappia dove sono,
oh non ogni momento, non pretendo,
nemmeno lui potrebbe,
basta quando lo cerco,
e mi assicuri:
in qualche forma ci sarai per sempre.
Io non domando quale.
Poi mi serve a sperare nell’inferno –
e che sia eterno
per chi tortura i corpi.
Non basta il nulla? dice l’illuminato,
nel nulla andiamo tutti!
No, niente nulla, io ho sete,
ho sete di salvezza o dannazione.
E poi, che altro resta
se non Dio, per sognare?
Che cosa io non lo so,
nikogdà ničéi ja ne byl sovreménnik, *
mai di nessuno fui contemporanea.
Dio è libertà.
*Cit.da O.Mandel’štam.
[Immagine: Carla Accardi, Assedio rosso]