di Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Antonio Porta

[Esce in questi giorni il numero 66 del «verri», dedicato alla Ricerca infinita di Nanni Balestrini. Oltre a inediti e a interviste di Balestrini, vi sono compresi contributi critici di Gian Maria Annovi, Cecilia Bello Minciacchi, Stefano Chiodi, Paolo Fabbri, Alessandro Giammei, Daniele Giglioli, Milli Graffi, Angelo Guglielmi, Niva Lorenzini e Valeria Magli. All’inizio di quest’anno è uscito anche il terzo volume delle Poesie complete dell’autore, Caosmogonia e altro (1990-2017), per DeriveApprodi. Tanto sul «verri» che in appendice a Caosmogonia e altro figura il recupero di un importante testo inedito, che finora si credeva perduto, scritto a sei mani da Balestrini, nell’estate del 1960, insieme ad Alfredo Giuliani e Antonio Porta, Dialogo primo. Qui conta di Schwitters. Lo pubblichiamo insieme alla nota scritta da Andrea Cortellessa per «il verri».
Le due pubblicazioni verranno presentate alla Triennale di Milano, sala LAB, mercoledì 4 aprile alle 18 – con la partecipazione, insieme a Balestrini, di Andrea Cortellessa, Paolo Fabbri, Daniele Giglioli e Milli Graffi].

Porta:

La ruota aguzza impiglia la coda del cavallo                                               1
e il cotone s’impregna sotto il mulino macinato
dal mazzo di capelli rinchiusi nel cassetto.
Penzola la corda e il pomodoro dell’impiccato
bianco di polvere nella clessidra colma di sabbia.                                        5

Balestrini:

Ma quanto cantiamo, quanto cadiamo, quasi il cavallo
cariato nel canale s’impiglia, o si è impigliato il cadavere
caduto che pigli nella macchia della mano martedì mattina

P.

I denti di legno del rastrello segano il tizzone dell’aiuola
e il bambino spenna il passero di carbone sotto l’ombrello implume.           10

Giuliani:

L’ironia dell’uomo, la dolcezza invertita
del blù murano spento sui globi di coppale
non reca aiuto a quella ruota rotta
più forte, sì, dei nostri rompimenti.[1]

B.

E se dici ciò che dicevi s’impenna l’unghia al limite della lima                      15
scalfisce acqua ancora, altrimenti chiunque udrebbe
al tramonto altrimenti che hanno raccolto quest’altra matrice
si sono perduti, come dicevi, si sono sorpresi quando ancora.

P.

….. e se invece
capovolgi il sabato e del sole incartato scopri l’inconsistenza                       20
la lampada di coppale frantuma il globo nel trasporto.

B.

Quasi tutti lo videro, ma nessuno…

G.

Nessuno fu incenerito[2] dalla composta[3] distruzione
infinitamente amichevole.[4]

B.

Ma nessuno, dicevo, capovolto l’inconsistenza raccoglie con la clorofilla      25
e voi mi sembra l’intemperanza maldestra la vostra che vi trattiene e vi contiene
quasi giornali che chiamano i nostri occhiali e chiudono invece i nostri
fiori filamentosi o il sole rosso della valle come dal
1919 cominciando abbiamo visto che cominciava…

P.

… a infilare in gola al cantante il topo della fogna                                       30
e spezzargli la coda assaggiando l’orecchio tagliuzzato.
E avvolga la vela ripiegata una lingua bubbonica.

G.

Un ragazzo è una nenia,
ascoltalo[5], se non fosse la combinazion
della ruota rotta e diseccata                                                                      35
sul prato e la nostra pioggia che la ridesta,
non una tela, un discorso, chi sa,
l’estro paziente, ragazzo, mah, com’è vero[6].

B.

O l’impaziente immobilità che impazza labile, che strascica la zavorra,
dunque, come dicevamo, una canzone è una piuma, ma l’ala lucida sull’albero non affiora   40
quando, come tu credi, la ruota fu inventata dal ragazzo, invece

G.

Tu non hai ancora parlato della ruota rotta,
sotto la tavola della laguna
di fronte alla luna piena di piogge, ignorando
l’efficacia del pasto e la bocca mmm                                                        45
chiusa hai parlato d’immobilità,
non ti sei mosso.

P.

Temendo la conferma: fu il ragazzo
a inventare la ruota, a far correre il sole
come una biglia colorata che s’impigli nella rete                                         50
del pollaio impiumato.

B.

Per troppi passi alla Biennale o poker perduti vi siete intorpiditi,
non vi ha detto l’uccello che parla che ripetere la luna non ha senso?

P.

Sopra la luna la capra campa
sotto la luna la capra è la capra.                                                                55

G.

Pensate alla ruota rotta.

B.

Penso

P.

che la ruota

G. B. P

la ruota rincollata.[7]

***

La ruota rincollata

di Andrea Cortellessa

I manoscritti non bruciano, diceva – con ottimismo chissà quanto ironico – uno che qualcosa ne sapeva. Ma a volte davvero certi sentieri, che parevano definitivamente interrotti, all’improvviso si riaprono, quando ormai più nessuno se l’aspetta. È il caso del testo qui presentato, reperito grazie alla solerzia e all’ostinazione di Rosalia Virga nell’archivio di Nanni Balestrini (e a quella, parallela, di Federico Milone nell’archivio di Alfredo Giuliani conservato al Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università da Pavia)[8]. Con questi versi è parso giusto concludere, provvisoriamente, la serie degli Omnia poetici di Balestrini, entro la quale costituiscono l’«Allegato» che mette capo al terzo volume appena uscito[9]: così riallacciando il percorso dell’autore, ancora in pieno svolgimento, a un suo passo quasi d’esordio (ma rimasto sinora allo stadio, quasi, della mitobiografia), e in quanto tale già ricordato nella postfazione “archeologica” al primo volume di questa medesima serie, Come si agisce e altri procedimenti[10].

Se sotto un’insegna complessiva è dato collocare un’opera pluridecennalmente stratificata e programmaticamente polimorfa come quella di Balestrini è infatti quella che, mutuando la dizione dal titolo di un celebre saggio anni Sessanta dello studioso statunitense di media Gene Youngblood[11], si potrebbe definire Expanded Poetry. Così come – sosteneva Youngblood – il cinema è un’arte «espansa» in quanto sul suo corpus iconico s’innestano, ormai da decenni, tutte le nuove tecnologie che in un modo o nell’altro facciano ricorso alle immagini in movimento, ed è un’arte alla cui stessa nascita concorre la connessione fra le arti dell’immagine, del suono e della parola (e proprio a questo principio di espansione il suo linguaggio è stato mutuato dalle altre arti: basti pensare a come il principio del montaggio abbia informato di sé la letteratura del Novecento)[12], lo stesso si può dire – nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle, e sempre più marcatamente nei suoi ultimi decenni, e in questi primi del nuovo – della scrittura letteraria. La quale, se trincerata nei suoi protocolli “locali” e nelle sue tradizioni “separate” (al chiuso ovattata della sempiterna «cameretta», insomma) vede sempre più ridursi i propri spazi di manovra, sino all’oggettiva condizione di emarginazione in cui la si constata versare oggi[13], nella sua forma espansa sempre più estende i propri confini nei territori dell’immagine, della performance, dell’installazione. Per esempio nelle forme oggi definite iconotestuali: ibridazioni che ci mostrano come immagine e scrittura non debbano per forza ridursi l’una a illustrazione, o didascalia, dell’altra: ma possano concorrere a produrre senso secondo un principio di insubordinazione[14]. Un autentico gioiello compositivo quale Blackout, 1980, va indicato, in tal senso, come episodio pionieristico e insieme verticale.

Se i poeti della Neoavanguardia – in particolare tutti e cinque i Novissimi – hanno potuto vivere senza troppi proclami questa dimensione espansa della parola letteraria, è perché essi prendevano le mosse da un terreno – quello dissodato dalle avanguardie dei primi decenni del Novecento – che è stato, per loro, una seconda natura. Esemplare il percorso proprio del Balestrini che guarda con decisione, nel tornante decisivo fra ’60 e ’61, al precedente di Dada: in particolare alle figure di Hans Arp (scultore fra i massimi del Novecento ma anche scrittore perfettamente bilingue e figura topica, dunque, dell’“equilinguismo” avanguardistico fra ricerca nel campo della parola e dell’immagine), che presenta su un numero del «verri» proprio del 1961[15], e appunto di Kurt Schwitters, che incontra sotto forma di choc nell’estate del ’60: come appunto testimoniato da questo Dialogo primo.

La storia di questo curioso “omaggio” a sei mani l’ha raccontata uno dei suoi co-autori, Alfredo Giuliani, dando notizia del testo (e riportandone un breve estratto) nella prefazione aggiunta alla sesta edizione dell’antologia I Novissimi, l’antologia da lui curata giusto l’anno dopo quel remoto, aurorale episodio:

Nell’estate del 1960, mentre stavo definendo la scelta dei testi, andai con Nanni (Balestrini) e Leo (Antonio Porta) a visitare la Biennale d’arte di Venezia; e fummo catturati dall’emozione di scoprire due grandi collage di Kurt Schwitters. Ci sentimmo investiti dal più radicale espressionismo. Uscimmo dalla mostra che s’era messo a piovere fitto e scendeva la prima sera. Ci rifugiammo in un caffè con addosso quella emozione. Il quadro che non riuscivamo a toglierci dalla testa aveva incollata, pressappoco al centro, una vera ruota di carro scheggiata e rotta. Data: 1918. Fusione di figurativo e astratto, l’immagine evocava (ricordo soprattutto acide tonalità di verde) il silenzio attonito della guerra finita, abbandonata a se stessa in un campo livido. La composizione faceva pensare a un paesaggio-relitto-natura morta.

Seduti al caffè in attesa che spiovesse, quasi per un gioco liberatorio ci venne l’impulso di buttare giù in versi i sentimenti che ci accomunavano. Ci passammo a turno un foglio, e ognuno improvvisò il suo tributo al momento schwittersiano. Ne trascrissi in fretta soltanto la mia parte, che ho conservato. Non un abbozzo di poesia, ma un promemoria, appunti poetici, forse. Una traccia di quella giornata veneziana. Qualche anno dopo mi ricapitò sotto gli occhi e mi colpì un particolare. Per spiegarne il senso devo riportare il frammento per intero:

…………….combinazione della ruota
rotta e disseccata e la nostra pioggia che la ridesta,
non una tela, né un discorso
…………………………………………la dolcezza invertita
del blu murano spento sui globi di coppale
non reca aiuto a quella ruota rotta, più forte, sì,
dei nostri rompimenti
……………………………….pensate alla ruota rotta

Lasciamo stare la forma approssimativa del frammento, m’interessa il suo contenuto: l’emozione suscitata dal quadro di Schwitters. La ruota rotta era un segno d’arte, simbolo di pena e di violenza; un misero totem di sorprendente efficacia, così l’avevamo percepito. La stranezza è che il pensare alla ruota rotta rimbalzasse contro il pensiero dei nostri rompimenti. Bella parola. Con due facce: ciò che ci rompe, ci stufa; ciò che andiamo rompendo, ci va di rompere. Slittamento spontaneo dall’emozione «ruota rotta» al sentimento del progetto in corso. Le parole buttate giù per un impeto del caso raccontano involontariamente l’essenziale sul retroscena. Dai «rompimenti», insofferenze rovelli e slanci, era nata l’idea di questo libro; della poetica che lo avrebbe sorretto dovevo scoprire o escogitare i canoni.

C’è una differenza decisiva tra chi sente il rovinio delle forme esaurite, e ne è pungolato, e chi non se ne accorge e pensa di poterle continuare con manovre diversive.[16]

Quanto alla «forma approssimativa del frammento», varrà la pena notare che a posteriori (e piacerebbe sapere esattamente quando, in effetti)[17] Giuliani, nel riportarlo nella texture della sua prosa critica, nonché «lasciarla stare» quella «forma», per la verità un po’ la mette a posto – ricombinando in ulteriore auto-cut up, diciamo, le proprie parole di allora.

Del resto anche il dattiloscritto rinvenuto nell’archivio di Balestrini reca significative correzioni solo alle parti attribuite a Giuliani (mentre per esempio quelle alle parole di Nanni si limitano a sanare meri errori di battitura): tanto che i versi 23-24, i più tormentati dalla revisione (che riduce questo intervento di Giuliani, fra l’altro, da tre a due versi), non figureranno, a ben vedere, nel remix d’autore del 2003. Risulta dunque evidente che, all’indomani della mitobiografica renga del ’60 al tavolo del caffè veneziano, il curatore dei Novissimi tenne con sé l’originale, nonché «soltanto della sua parte», dell’intero dattiloscritto a sei mani; ed è solo alle sue, verosimilmente, che si devono gli interventi manoscritti riportati nella trascrizione.

Due gli interventi che spiccano, specie in considerazione dell’investimento di poetica che questo episodio ha finito per rivestire a posteriori: la parola «rompimenti», che si sostituisce alla (anche ritmicamente) ben diversa «raccoglimenti»; e poi quell’attributo apposto, in clausola, all’oggetto-feticcio attorno al quale ruota, è il caso di dire, l’ekphrasis: la «ruota», appunto, infine «rincollata». La ruota che consente a Nanni – ancora oggi, a quasi sessant’anni di distanza da quel miracoloso choc veneziano – di proseguire la sua strada.

Note

[1] [spsc. su raccoglimenti.]

[2] [spsc. su Intenerimento]

[3] [spsc. su della compostezza; canc. sente la forma della]

[4] [canc. , ma…]

[5] [spsc. su ascoltatelo]

[6] [le ultime quattro parole agg. mss.]

[7] [l’ultima parola agg. ms.]

[8] Dà annuncio del ritrovamento dell’inedito Dialogo, senza riprodurlo, Federico Milone nel prezioso volume di Giuliani, Porta, Balestrini, Sanguineti e Pagliarani «Queste e non altre». Lettere e carte inedite, a sua cura e con una prefazione di Maria Antonietta Grignani, Pisa, Pacini, 2016, alle pp. 32-4 del suo saggio introduttivo (la pubblicazione è dedicata ai carteggi intercorsi fra i quattro Novissimi e il loro curatore e co-Novissimo Giuliani, in preparazione appunto dell’epocale antologia pubblicata nel 1961; ma il documento era stato reso noto per la prima volta, dallo stesso Milone, nel suo Le note ai Novissimi: scambi epistolari per un lavoro collettivo, in Ancora Novissimi?, numero monografico de «il verri», LVI, 47, ottobre 2011, pp. 118-9). L’ipotesi dello studioso è che i tre poeti abbiano deciso di visitare la Biennale mentre erano riuniti, per lavorare appunto all’antologia, nella villa della famiglia Paolazzi a Martellago. Si ringrazia Federico Milone per aver fornito la riproduzione delle tre carte da lui rinvenute nell’archivio di Giuliani, che differiscono da quelle rinvenute da Rosalia Virga in quello di Balestrini unicamente per la data «agosto 1960 | Venezia», aggiunta manoscritta da Giuliani prima della parola «fine», e per il titolo, che nella versione Giuliani (il quale corregge a mano, in tal senso, l’indicazione del dattiloscritto) suona «Dialogo immediato con Antonio Porta e NANNI Balestrini a Venezia, agosto 1960. Qui conta di Schwitters». A proposito di questo titolo, Milone fa notare (p. 32) come esso riprenda l’incipit de L’istinto di conservazione, uno dei componimenti di Balestrini che verranno di lì a poco inclusi, appunto, nei Novissimi (è a p. 157 dell’ultima edizione, quella uscita da Einaudi nel 2003; in Come si agisce del ’63 apre la terza sezione, «Continua», e si legge ora a p. 93 del primo volume delle Poesie complete di Balestrini, Come si agisce e altri procedimenti, introduzione di Niva Lorenzini, Roma, DeriveApprodi, 2015), a sua volta parodia – segnala Giuliani nelle note all’antologia – delle rubriche del Novellino medievale.

[9] Cfr. Nanni Balestrini, Caosomogonia e altro. Poesie compete volume terzo (1990-2017), Roma, DeriveApprodi, 2018, p. 325-8. Riprendo qui e sviluppo considerazioni svolte nell’ultima parte della mia introduzione, Expanded Poetry, a questo volume.

[10] Rinvio al mio Il senso appeso. Balestrini, poesie che si vedono, in Nanni Balestrini, Come si agisce e altri procedimenti, cit., pp. 459-61.

[11] Cfr. Gene Youngblood, Expanded Cinema [1970], edizione italiana a cura di Pier Luigi Capucci e Simonetta Fadda, con un glossario di Francesco Monico, Bologna, CLUEB, 2013.

[12] Vari gli interventi in tal senso di Edoardo Sanguineti: si veda per esempio Il secolo del montaggio, in La poesia italiana del Novecento. Modi e tecniche, atti del convegno di Venezia, 13-15 aprile 2002, a cura di Marco A. Bazzocchi e Fausto Curi, Bologna, Pendragon, 2003.

[13] Si veda il capitolo conclusivo di Guido Mazzoni, Sulla poesia moderna, Bologna, il Mulino, 2005; e da ultimo, dello stesso autore, Sulla storia sociale della poesia contemporanea in Italia, in «Ticontre. Teoria testo traduzione», VIII, 2017 (e in «Le parole e le cose», 11 dicembre 2017: https://www.leparoleelecose.it/?p=30321).

[14] Rinvio a Tennis neurale. Tra letteratura e fotografia, in Arte in Italia dopo la fotografia: 1850-2000, catalogo della mostra a cura di Maria Vittoria Marini Clarelli e Maria Antonella Fusco, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, 21 dicembre 2011-4 marzo 2012, Milano, Electa, 2011, pp. 34-59.

[15] Cfr. Nanni Balestrini, Poesie di Hans Arp, in «il verri», 2, aprile 1961, pp. 33-43. L’inserto è stato di recente riproposto alle pp. 84-91 di Jean Arp, catalogo della mostra di Roma, Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano, 30 settembre 2016-15 gennaio 2017, a cura di Alberto Fiz, Milano, Electa, 2016 (nello stesso volume, nella seconda parte del mio contributo Caduto in sogno sulla Luna dedicata alla fortuna italiana di Arp poeta, sviluppo più nel dettaglio questa parte del mio ragionamento). In tempi non sospetti (Parole in rivolta, in «la Repubblica», 5 dicembre 2003 (ora nell’Antologia della critica delle Poesie complete: Le avventure della signorina Richmond e Blackout, introduzione di Cecilia Bello Minciacchi, Roma, DeriveApprodi, 2016, pp. 465-8) Alfredo Giuliani ha richiamato l’attenzione sull’esemplarità di questo Arp, per i procedimenti anche “tecnici” di Balestrini. Sulle cui scelte, e modalità di traduzione, cfr. Paola Gambarota, «Come agisce Balestrini» su Arp. Le traduzioni nel verri e la canonizzazione del Dada, «Rivista di studi italiani», 2005, 1, pp. 147-65.

[16] Alfredo Giuliani, Prefazione all’antologia a sua cura, I Novissimi. Poesie per gli anni ’60, Torino, Einaudi, 20036, pp. VI-VII.

[17] Ulteriori dettagli sulla composizione ha riferito Giuliani in una sua lettera a Fausto Curi (pubblicata nel 2009 su «Poetiche», XI, 2-3, la citazione a p. 216; il passo è citato da Milone a p. 33n della sua introduzione cit. a «Queste e non altre»): «Ci venne l’impulso di buttare giù in versi improvvisati, passandoci a turno un foglio, i sentimenti che in quel momento ci accomunavano. Probabilmente poi, a Martellago, copiammo a macchina il testo. Non l’ho ritrovato. Eppure sono certo (o quasi certo) di averlo conservato, ma chissà in quale scartafaccio o mucchio di vecchie carte (sono un pessimo archivista, conservo una quantità di robetta e la rendo irreperibile, a volte ritrovo qualcosa affidandomi alla serendipità)». Il testo viene qui pubblicato per la prima volta, nella versione testimoniata dall’archivio di Balestrini.

 

[Immagine: Kurt Schnitters, Collage].

 

4 thoughts on “Dialogo primo. Qui conta di Schwitters

  1. “ Mercoledì 1 febbraio 2006 – Fra qualche giorno andrò a una cena in cui ci sarà, probabilmente, anche Nanni Balestrini. Avendo constatato che è uno che parla poco – dice che è timido -, ho pensato che mi piacerebbe dirgli: hai ragione, c’è poco da parlare, qui è pieno di gente che non ha ancora capito che « Novissimi » non vuole dire stampati di fresco, ma ultimi, estremi, assolutamente finali. Così, tanto per farlo sentire un po’ meno solo… “.

  2. Tante parole – poi, critiche? davvero? – per altre parole considerate dei “versi”, che nulla hanno di “ultimi, estremi, assolutamente finali” poiché non vengono definiti affatto gli orizzonti, i confini entro i quali agiscono, e cosa peggiore, oltre questi confini… – dirette dove e perché? e come innanzitutto?. Per versi che non sono versi affatto, o lo sono secondo gli autori perché composti in una forma spaziale classica… che li fa versi? O lo sono davvero?
    Non credo rispondo. E poco rispondono a… Direi nulla hanno a che fare con Kurt Schnitters e i suoi “Collage” – (si scrive poi Schwitters, senza la “n” altrimenti sarebbe un collage, ma davvero stavolta!)
    Signor Barra, se ne faccia una ragione, si discute davanti a un nulla o vuoto come desidera, che davanti al collage di Kurt non ha alcun rapporto nemmeno a sforzarsi di essere “ultimi, estremi, assolutamente finali”.

  3. i Novissimi sono gli ultimi bastioni che l’ uomo a fine vita va ad affrontare in una verità trascendentale ma questi versi a mio personale ed opinabile non li ho sentiti aderenti a questa via piuttosto spostandoli e scorrendoli permeabilizzando l’ ascolto di essi su un piano immanente ecco che essi scorrono d’ essenza del vero delle cose, ogni frammento è legato all’ altro ogni linea aderente alla superficie. essenza agente nel principio e fine come unica cosa, profondissima vitalità ed ironia dolcissima nel rispetto delle cose del mondo. Amore e con-fusione.
    tutto dell’ autore sta qui in questi due versi per me:

    ” Sopra la luna la capra campa
    sotto la luna la capra è la capra. ”
    buona notte.

  4. correzione a : tutto dell’ autore sta qui in questi due versi per me
    corretto: l’ elemento primordiale che mette in relazione sororale le poetiche sta in questi due versi per me

    chiedo scusa

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