di Gabriele Frasca
[Pubblichiamo un estratto del libro di Gabriele Frasca Un quanto di erotia: Gadda con Freud e Schrödinger, che inaugura la collana “i saggi del cuore” della casa editrice d’if. Dal testo abbiamo sacrificato le note, perché ne fosse più agevole la lettura a video. Nondimeno, il libro consta di un apparato notevolissimo, che oltre a offrire i rimandi specifici di singoli passaggi completa con una serie di percorsi aggiuntivi il discorso principale svolto a testo. Questo, com’è facile ricavare dal titolo, ricolloca il significato del Pasticciaccio (e, in misura minore della Cognizione) all’incrocio tra le più dibattute questioni della fisica quantistica sulle particelle e i loro moti (a partire dal cosiddetto “paradosso EPR”), che Gadda intercettò assai precocemente, e la teoria freudiana (ma di un Freud rivisto via Deleuze e Lacan) della sessualità omoerotica, ossia svincolata dall’obbligo procreativo, così come si esemplifica nei personaggi delle “isteriche” e dei “celibi”. Nel passo che abbiamo selezionato, i due motivi sono entrambi esplicitati e riferiti al processo di costruzione dell’opera, tanto rispetto alla cornice storico-geografica quanto rispetto ai sovrasensi psicopatologici che si chiariscono come via via determinanti nella soluzione (o mancata soluzione) del caso. Frasca ne dice: “L’ho scritto per chi se ne fa qualcosa: non a caso l’ho dedicato agli studenti” (gp)].
La storia ripiegata nella geografia del Pasticciaccio starebbe tutta qui, nella contrapposizione sperequata (dato l’inarrestabile processo d’inurbamento, che successivamente Pasolini avrebbe sfumato nella terra di mezzo delle borgate) fra la veloce metastasi di Roma, che inocula il morbo della storia, e il lento geologico ma inesorabile ammalarsi di Albano e zone limitrofe, prefigurata tutta nella «sinistra azione a distanza» che, attraverso il valzer delle “nipoti”, si stabilisce fra il caseggiato di via Merulana 219 e il «laboratorio-bettola» della Zamira. Ma, s’è detto, nell’opera si assiste a un altro fronteggiarsi, e questa volta mica storico, addirittura apocalittico, per quante interferenze puntuali e per l’appunto momentanee possano verificarsi fra i due schieramenti: quello che oppone da una parte il «maschile delirare», vale a dire la via errabonda cui s’incammina il «quanto di erotia» nelle forze dell’ordine omoerotiche della società patriarcale (non un «sapere-di-tutto» ma il «tutto-sapere» di ogni burocrazia), e dall’altra non tanto il «duro desiderio di durare» del femminile procreativo ma quella simbolizzazione dell’«insoddisfazione primiera» (testimonia Lacan) cui diamo solitamente nome «isterica» (il Pasticciaccio sa imbastirne come poche altre opere dell’epoca il discorso). Tale è Liliana, tale il suo anagramma rusticano Lavinia, coi buoni offici della rima è tale anche Virginia, e la cugina, e tutte le altre Sabinae virgines.
Situare la questione del desiderio per una donna, ci ricorda sempre Lacan, «vuol dire interrogare l’isterica». È lei che «fabbrica» un uomo animato dal desiderio di sapere (povero don Ciccio, messo da sùbito in sella da Liliana con uno sguardo di fraterna complicità, solo per ritrovarsi per tutta l’indagine disarcionato); ma la verità del padrone (e del padre), alla cui ricerca si mette l’isterica, e per cui è disposta a investire (con un ordine di «servizzie») anche il suo bravo investigatore, resta una sola: il padre (e il padrone) è castrato. Il Pasticciaccio, su questo, non ha alcun dubbio (né pietà): a fronte di tante macchine celibi, l’unico autentico genitore di tutta la vicenda lo incontriamo nel finale (che contribuisce fra l’altro a suo modo a risolvere con la questione della ciambella, e della padella di maiolica). È il padre di Assunta Crocchiapani, e ha tutte le stimmate che ci aspetteremmo da un simile propagatore della castrazione, persino nel suo umoristico lasciarsi inquadrare dall’inconsistenza delle retoriche di cui sempre abbonda la storia (a trattarla quanto meno col solvente di Eros e Priapo):
Non si capiva s’era vivo o s’era morto: s’era un omo o una donna, cui nel procedere fra le consolazioni della prole e della zappa in un turbinio di zanzare verso le nozze d’oro, fosse spuntata quella barba: maschia barba, come soleva dire, anche delle barbe femminili, il fondatore dell’impero quinquennale (P 273).
Cui fa da contraltare, a chiudere il quadretto di queste tarde e ribadite nozze fra storia e geografia, l’«immemore memoria della terra» che traspare nell’«immobilità rugosa di un fossile» (274) della vecchia seduta accanto al letto dove continua a morire questo «corpiciattolo disteso», un «propagatore della stirpe» (l’avrebbe qualche decennio prima definito Gadda in un ulteriore impeto fascistoide della sua Meditazione), l’unico fra l’altro in un’opera che in quanto a istituzioni parentali vanta zie e nonne, vere o posticce, mamme solo sospirate (in un senso e nell’altro), fratelli nel vizio e cugini e cugine, e per il resto congiunzioni e affiliazioni nella sterilità, e amanti tanti e inutili.
Ne consegue, nella schiera di queste pallide desiderabili sempre pronte a scodellare il pupetto (ma comunque mai ingravidate in corso d’opera, e per noi lettori dunque, di «poca cena» per patto, ancora ingravidabili del tutto, con o senza «suggerimento stupendo»), un’autentica propensione all’omoerotia, non necessariamente sublimata: quei baci e abbracci da «pantera» della Virginia a Liliana, via, senza nemmeno rimpiangere quanto di più esplicito non trasbordò, pronte le stampe, dalla versione di «Letteratura» alla definitiva, dovrebbero dissiparli, i pochi dubbi che restano. Quanto meno quelli che concernono il caso. Ma si tratta di un’omoerotia che ama dell’oggetto desiderato il ventre (non ancora) fecondo, il ventre potenziale (e dunque, s’è detto, la serie, una serie di ventri disposti al seme che possano in potenza assicurare una «paternità metafisica»). Da parte sua, allora, sterile conclamata, e quindi depotenziata, la signora Balducci in verità non persegue il vuoto altrui che presto si riempirà, da comparare al niente che si porta in grembo, ma l’apertura, così, per traslazione, di un varco nella congiunzione dei corpi («zinne contro zinne»), e di lì finanche nell’intangibilità riarsa della propria carne, di cui fin troppo presto comprenderà il destino (avrebbe detto più tardi Stefano D’Arrigo per altre, altrettanto cruenti, e ulteriormente de-generative, vicende) di «pietra da tagliare». Un gioiello, chiuso in sé, avvolto intorno alla cognizione del dolore. Già, cognazioni o cognizione, ci ripete Gadda: delle due l’una.
Parliamo, per esempio, di quant’è difficile procurarsi questo libro. Io l’ho ordinato e lo sto aspettando da più di un mese. Voglio leggerlo a tutti i costi, quindi persevererò. Ma se è vero, come dice Frasca e come credo risolutamente, che è scritto per quelli che se ne fanno qualcosa, bisognerebbe forse curarsi un po’ di più di farlo arrivare a chi lo vuole e lo compra.
C’è l’altro versante del discorso: è lecito sperare che arriverà il giorno in cui la cosiddetta grande editoria rinsavirà almeno un po’, e noi potremo leggere libri come questo in edizione Einaudi, o Feltrinelli, o Il Mulino?
Assolutamente d’accordo con Federico. Anche io sono in lista d’attesa. La piccola editoria, intendiamoci, lavora in modo più che meritorio e a volte fa libri magnifici, ma poi trovarli è, quando va bene, una mezza impresa (lo stesso andrebbe detto – lo dico sempre – per lo straordinario ultimo romanzo di Frasca). Non auspico certo che tutto finisca in quelli che ormai sono carrozzoni (Einaudi compreso, ahinoi), perché anche ciò sarebbe una iattura, un impoverimento grave, e da un certo punto di vista mi pare comprensibile e lodevole che un grande intellettuale decida di lavorare con Fuori Formato, con Sossella e con le Edizioni d’If, tanto per dire. Probabilmente ne ricava importanti guadagni in fatto di libertà espressiva e ideale, il che è impagabile e certo indiscutibile. Verrebbe da dire allora che la soluzione è dimenticarsi il marketing e tornare al passaparola o – se volete una sede più seria e autorevole – alle recensioni (ma chi le pubblica?), alla/alle classifiche di qualità (diciamo Pordenonelegge, ovvio, è l’unica, dove Frasca svetta sempre), o soprattutto optare per pubblicazioni parziali on line come questa, per cui ringrazio Gilda Policastro e il vostro blog. Però il rischio dell’invisibilità resta. Noi lettori non riusciamo da soli a cambiare le cose con il passaparola, perché se poi il libro fisicamente non lo trovi, la stima su cosa la appoggi? Sul pregresso? Io Frasca lo comprerei sempre a scatola chiusa, va bene, ma tutto questo è improduttivo nel lungo periodo, e non può avere alcuna incidenza sul panorama culturale. La vita e la sopravvivenza della cultura non si possono né si devono basare sulla fideistica stima per un autore, di cui sai che ha scritto libri importanti che purtroppo non riesci a trovare, ma, appunto, sull’esame diretto…
Grazie @Francucci e @Weber, per la questione molto seria che ponete, ossia la distribuzione ed effettiva circolazione dell'”editoria di qualità”, che spesso non raggiunge non diremo il piatto dei tavoli, ma nemmeno gli scaffali più nascosti delle librerie che siamo soliti frequentare (e addirittura le nostre scrivanie, dopo apposita richiesta). Sulla questione però mi pare di ricordare che il punto di vista di Frasca sia piuttosto controcorrente, e del resto lo testimonia la scelta di affidare i suoi libri a editori medi e piccoli, da Meltemi, a Sossella a d’if, pur potendosi naturalmente consentire (per autorevolezza e chiara fama) l’accesso ai grandi gruppi e alla conseguente distribuzione su vasta scala (cui arriva, ad esempio, come curatore del Malone beckettiano). Tra l’altro auspico un intervento diretto di Frasca a riguardo, ma comunque vorrei rimandare, intanto, alle sue parole nel dibattito su quel meritorio numero del Verri dedicato, nel 2007, alla Bibliodiversità, mai troppo citato da chi si occupa di questioni legate all’editoria e alla distribuzione (insieme, e sulla scia di ”Editoria senza editori” di Schiffrin, naturalmente). Frasca è dell’avviso che il mercato possa condizionare e determinare fino a un certo punto le scelte dei lettori e che (cito un po’ a memoria) chi vuole può sempre trovare quello che cerca (però qui i nostri due amici sono intervenuti a testimoniare il contrario, mi pare). Io credo che la questione si debba porre esattamente nei termini in cui la sintetizza Weber: da un lato, c’è l’innegabile libertà di pubblicare un oggetto non incasellabile come un saggio en artiste, senza sottostare ad alcun dettame commerciale o di linea editoriale. In quale altra collana o presso quale altro editore vedreste un “libro del cuore” così? Così dotto e così libero, così scientifico e così letterario, così rigoroso e così appassionato(ante), così erudito e così divertente(ito). Et cetera.
Dall’altro c’è però l’innegabile autopunizione di doversi ghettizzare in collane di nicchia, che tali sono e restano, se non invadono massicciamente le nostre scrivanie. Quando poi, come ricordava Cortellessa nel medesimo dibattito del Verri, i libri su cui noi tutti ci siamo formati non uscivano, nel vecchio secolo, per editori sconosciuti e marginali, ma per Garzanti, Einaudi, Feltrinelli e così via.
(Mi permetto di segnalare ai frequentatori del blog di stanza a Napoli quella che credo sia la prima presentazione del libro, il prossimo 10 febbraio, presso la Biblioteca Nazionale, alle 16.30. Soprattutto perché, a quanto leggo nella mail di segnalazione editoriale, ”in omaggio al frasca/gadda e al primo “saggio del cuore” la d’if mette in palio tra i partecipanti 3 copie del libro”. E se è davvero così introvabile, conviene approfittarne).
Bene hai fatto, Gilda, a ricordare quel numero del “verri”, che era davvero prezioso. Mi è venuto in mente che, oltre alle tre opzioni che avevo sopra affacciato per contribuire alla circolazione del sangue-informazioni (passaparola, recensioni, pubblicazioni parziali on line), ce n’è anche un’altra, senz’altro minoritaria, eppure a mio modo di vedere non disprezzabile. Ed è wikipedia. Io spesso mi sono trovato ad aggiornare, correggere o integrare parti di schede di wikipedia relative, tanto per dire, ad autori di cui mi sono interessato e che spesso erano malfatte o incomplete. Non nella parte discorsiva, bensì in quella bibliografica. Perché ritengo che, malgrado la pessima fama (ma qui non entro nel merito) di wikipedia, resta il fatto che quella è sempre la prima voce, e spesso l’unica, che le persone consultano in merito a qualsiasi cosa. Dunque, giacché wikipedia è liberamente accessibile, mi pare un gesto di responsabilità, quando si ha un po’ di tempo libero, contribuire a lasciare informazioni per quanto possibile controllate agli altri utenti. Così, oggi – complice la neve – ho ampliato parecchio la smilza pagina di Frasca su Wikipedia, e mi sono permesso di aggiungere, citandoti, sia la tua intro a questo pezzo, sia il link a questa pagina.
il problema penso sia tutto nella promozione dei libri (infatti avevo pensato di vendere libri porta a porta, come i farmacisti di campagna colle medicine o gli imbonitori d’abbonamenti, ma io ci abbino un flacone di detersivo per i vestiti – gratis, secondo me funziona a occhio chiuso ).
c’è gente che mi chiama da tutta italia, veramente, per sapere, manco fossi una fattucchiera, quali libri leggere. io solitamente prescrivo i pesci grossi. e loro mi richiamano entusiastici perché ne vogliono altri… Fante, Dostoevskij, Céline, Joyce (1 volta sola, l’ammetto sono riuscito a farlo leggere), Sciascia (tante volte), Swift, Manganelli, Landolfi (si riscontrano le stesse resistenze che con Joyce) ecc
secondo me, la gente è pigra, ha bisogno di rassicurazioni, ha bisogno di essere accompagnata in libreria dalla televisione, o su ibs dai giornali e dai siti come questo, ha bisogno di gente quadrata (quelli che entrano nella televisione) che gli dicano di leggere questo e non questo. vole assicuratori.
si parla tanto di scolarizzazione aumentata, riduzione dell’analfabetismo, orde di nuovi lettori… io credo che la qualità non stia veramente sulle palle a tutti, ho assistito a gente che apprezzava shakira, poi si sono innamorati di piero ciampi… bisogna saperle, le cose.
credo pure che però degli scrittori ci si infilino da soli nelle nicchie. va bene lo stesso ed è lecito. però non ci si può lamentare dopo che venga discriminato dai grandi gruppi. io un libro su gadda lo leggerei anche ora, lo so, però non è una lettura en plein air…
@ Dinamo Seligneri
scusa se mi permetto, ma questa visione con la gente ( pigra! ) da una parte, Joyce e il mucchio selvaggio dall’altra, e tu nel mezzo, seppur simpatica, stona.
La promozione certo, promozione è anche il passa parola, ma non perché la gente sia pigra ( in generale i discorsi che parlano di gente stonano spesso ), ma appunto come dici anche tu peché se uno non lo sa, non legge. Poi però bisogna anche accettare che banalmente, Shakira sia più piacevole di Piero Ciampi, e che quest’ultimo fosse anche spinto da tutta la pubblicità del mondo non sfonderebbe.
Io vorrei provare a leggere Frasca. Ma: sommando “Dai cancelli… e questo saggio” si va oltre le 50 euro, qualche sconto si trova in rete; nella sola Umbria esistono solo due titoli presenti in varie biblioteche, e non sono i due citati sopra. Il prestito interbibliotecario va da un minimo di 3 euro, fino a 5 mi pare ( non è forse eccessivo, dipende, però si ha un tempo fissato che trasforma la lettura in un thriller ). Proverò a far acquistare i due libri alla mia biblioteca.
E basta con ‘sta buffonata dell’editoria di qualità, che puzza d’aristocrazia quando non di razzismo
Cari amici, il volume di cui state parlando mi è stato letteralmente commissionato da Nietta Caridei, l’anima la mente e il corpo della casa editrice d’if, dopo aver letto il saggio ben più stringato che avevo scritto per un volume collettivo su Gadda. Sapendo che mi sarei occupato nel mio corso di Letterature Comparate proprio degli stessi argomenti, mi ha chiesto di ampliare quel lavoro con le cose che avrei detto a lezione. Ho congiunto dunque quest’estate sullo scheletro del precedente saggio la polpa degli appunti che prendo prima di ciascuna lezione, e ne è venuto fuori il libro. È la prima volta che traggo da un corso, a stretto giro, un saggio così corposo, e devo dire che il metodo non mi è dispiaciuto, così da proporre ad altri studiosi di fare lo stesso.
Ne è nata una collana, orgogliosamente senza referee, perché quelli che usciranno non vogliono essere libri da concorsi universitari, ma volumi offerti a chi ne possa trarre giovamento. Sarà difficile trovarli, non dico di no; ma cosa si trova facilmente in Italia, oggi, di quello che c’interessa? Gli ultimi due saggi apparsi per Marsilio (e dunque per un editore di certo più diffuso) da me acquistati, entrambi del 2011, e che credevo di trovare facilmente in libreria, alla fine li ho dovuti acquistare in rete. Nessuna libreria della mia città ne aveva copia, e in un famigerato megastore mi è stato persino detto, dopo opportuna ricerca al computer, che non erano mai usciti (e che probabilmente mi stavo confondendo). In compenso, volendo, potevo acquistare delle tazze da caffè… Un tempo compravo in rete solo libri stranieri, e naturalmente cd e dvd (neanche la musica che ascolto la trovo facilmente, per non parlare dei film che mi va di rivedere). Oramai mi sono rassegnato a ricorrere a questo metodo anche per i volumi stampati nella mia lingua e nella mia nazione.
Nessuno, neanche uno come me, calza volontariamente il cilicio e s’infila in una nicchia. Ma nel nostro paese le cose oramai vanno così, e non si sa proprio più come venirne a capo. Vi racconto qualche aneddoto che mi riguarda. «La lettera che muore», che a tutt’oggi penso sia la mia opera critica più impegnativa, fu a suo tempo opzionata da una grande casa editrice. Arrivammo ben presto alla firma del contratto, e dopo un po’ mi giunse persino un anticipo (in genere non guadagno un soldo dalle mie opere). Ma proprio quando il volume doveva entrare in lavorazione, dell’intera questione si persero le tracce. Mesi e mesi di silenzio. Finché non mi giunse un’imbarazzata telefonata di uno dei responsabili della casa editrice per raccontarmi che, dopo un’ulteriore riunione (suppongo con la nuova proprietà), era stato deciso che mi si chiedesse di ridurre di un terzo la consistenza del volume, e soprattutto di semplificare di molto il discorso. «C’è proprio bisogno di parlare tanto di Cervantes o di Flaubert?», mi fu chiesto giusto per darmi la dritta giusta. Il saggio poi, si sa, apparve per Meltemi (e anche le tristi vicende di questa ottima iniziativa editoriale dovrebbero farci riflettere).
Un’altra grande casa editrice (non la stessa) mi chiese sul finire degli anni Novanta di pubblicare con loro il romanzo che si sapeva che stavo scrivendo. La cosa al momento mi stupì molto, e lo dissi chiaramente al responsabile che mi aveva chiamato chiedendomi un appuntamento. Ma mi rispose che erano ben consapevoli del loro passo, che sapevano benissimo come scrivevo, e che proprio per questo volevano un po’ cambiare la loro immagine, pubblicando un autore «complesso». Inviai dunque loro la prima stesura di quel romanzo, e con sorprendente rapidità fui messo a conoscenza del fatto che il primo lettore si era dichiarato entusiasta. Poi, trascorso qualche mese, mi giunse una mail (da un altro responsabile) che cominciava così: «Caro Frasca, abbiamo letto la sua raccolta di racconti…» Si trattava di «Santa Mira», che neanche il lettore più distratto potrebbe definire una raccolta di racconti. Dopo di che, naturalmente, m’invitava a rendere il libro più snello e a usare una lingua più «familiare». Anche «Santa Mira» prese un’altra strada.
Vi sembra strano che cerchi altrove ciò che la cosiddetta grande editoria non garantisce?
Insomma: ci sono delle condizioni per poter godere della massima diffusione; e la prima, per uno come me, è esattamente quella di non essere più come sono, punto e basta. È un po’ quello che accade ai nostri amici che scrivono sulle pagine letterarie dei grandi quotidiani: per poterlo fare, devono rinunciare a scrivere quello che ritengono giusto (che neanche passerebbe), e limitarsi solo a quello che è opportuno. E così facendo, finiscono col diventare a loro volta responsabili dell’attuale sistema letterario, e di quello che (politicamente) rappresenta.
Soluzioni al momento non ne vedo. Credo molto nella trasmissione diretta. Basta poco: persino Joyce, qui richiamato, lo si può leggere agevolmente, se la dritta giunge con il giusto entusiasmo. I miei malcapitati studenti di Media Comparati di tre anni fa, hanno letto con me l’«Ulisse», e come se non bastasse si sono cuccati pure i film di Vertov. Gli esami che hanno sostenuto sono stati, per me (e credo pure per loro), assai gratificanti. E a quello che ne so hanno persino cominciato a festeggiare il Bloomsday…
Mille grazie a Luigi Weber per il suo lavoro su wikipedia.
La denuncia che qui sopra fa Gabriele dei modi di “lavorare” – si fa per dire – delle cosiddette grandi case editrici italiane meriterebbe di essere volantinata a ogni angolo di strada. La ricerca di un titolo in una qualsiasi libreria megastore è diventata un’impresa impossibile, e spinge a comprare in rete i volumi che c’interessano. Anch’io faccio così. E potrei raccontare episodi surreali analoghi a quelli occorsi a Gabriele nei rapporti con gli editori.
Gabriele Frasca, il lucidissimo Gabriele Frasca, forse l’unico italiano che invidio un po’ (ma si fa per dire, per dare un po’ d’enfasi al discorso, perché non ho mai invidiato nessuno in vita mia ), tra le tante cose belle che dice, dice giustamente ” Nessuno, neanche uno come me, calza volontariamente il cilicio e s’infila in una nicchia “. Non per vantarmi, ma che la costruzione di nicchie (l’assegnazione dell’etichetta di qualità) attorno ad autori come Frasca è un’ulteriore mortificazione del loro lavoro, l’avevo detto proprio qui e proprio a proposito del lavoro di Frasca. Come se ne esce da questo disastro, si domanda Frasca? Secondo me un modo sarebbe quello di respingere i lettori comuni (metodo antioclocratico?). Tipo quello che del resto dice più o meno l’editore Luca Sossella nella pagina di presentazione di Dai Cancelli D’acciao di Gabriele Frasca: ” leggetelo solo se siete ancora vivi ” Che sta a dire: se siete morti NON COMPRATELO! Morti, mi permetto di ulteriormente interpretare, sta per lettore comune, per lettore cliente soddisfatto dei megastore?
Provo a spiegarmi meglio. Se il testo di un comune saggista che pubblica magari approfittando di una spintarella va in libreria a 20 euro, quello di un autore vero ci deve andare (non ci deve andare) a 2.000, a 20.000, semplicemente rispettando le leggi del mercato, che ti fa pagare un paio di scarpe comuni 10 euro è un paio di scarpe pregiate magari 10.000 euro. Oppure, come il mercato dell’arte, un certo libro deve essere prodotto in un unico esemplare e venduto nel variegato mercato del sapere e dell’arte a cifre iperboliche, poi magari riprodotto in serie numerate per essere comunque venduto a cifre alte, o messo in mostra come alta testimonianza di produzione di pensiero e bellezza. Non so, mi rendo conto che è abbastanza folle, quello che dico, ma tanto…
A me a festeggiare il Bloomsday lo insegnò l’industriale del design Dino Gavina, uno che ha sostenuto i progetti di artisti del secondo ’900 anche completamente folli, con risultati niente affatto disprezzabili, tanto è vero che tutti noi, più o meno consapevolmente, abbiamo a che fare con gli oggetti prodotti dalle sempre traballanti industrie di Dino Gavina (un industriale utopista che provava abbastanza gusto a fallire a causa della produzione di opere che amava), uno che nel suo ufficio, sul muro dietro la sua sedia, teneva il cartello seguente: ” Qui il 16 giugno non si lavora perché si festeggia il Bloomsday “. Lo cito qui, lo straordinario uomo Dino Gavina, perché certi atteggiamenti, nell’epoca nostra, vanno ingegnerizzati e industrializzati, se no non si va da nessuna parte (o meglio, si va verso la nicchia mortificante). Lui mi avrebbe detto superbamente così, penso: tu puoi produrre anche un solo esemplare, della tua opera, ma devi farlo in maniera industriale (forse insieme ad altri mille che producono il LIBRO UNICO?).
Vabbè, l’ho già fatta abbastanza lunga. Finisco dicendo che i poveri studenti di Frasca li invidio davvero.
Vergognandomi, esco alla che ti chella lasciando un ulteriore omaggio al pensiero eterodosso di Dino Gavina: ” Veramente moderno è ciò che è degno di diventare antico “.
Su quanto male molto spesso lavori la grande editoria si potrebbe parlare moltissimo: su quanto poco faccia per sostenere le menti (e quindi i potenziali libri) migliori attive qui da noi nei vari settori del sapere, su quanto poco traduca e diffonda autori e opere importantissimi della scena europea e non solo degli ultimi sessanta-settant’anni (Uwe Johnson e Arno Schmidt, tanto per fare due nomi grossi), sulla qualità sovente pessima degli oggetti che sforna facendoli pagare profumatamente (libri che si disfanno tra le mani, refusi addirittura sul dorso, copertine sempre più insopportabilmente pacchiane), etc etc. Sulle librerie di catena e sulla loro politica potremmo stare a qui a lamentarci per giorni e giorni (quintali di paccottiglia all’ingresso, banconi e banconi di roba indecorosa e buchi clamorosi sulle opere importanti, commessi in molti casi ignorantissimi, etc etc). Tutte cose note.
Gabriele, è chiaro che non ti devi annacquare o snaturare per fare i libri con Tizio o Caio, e io sono molto contento che questo tuo Gadda sia uscito con d’if, e i Cancelli con Sossella (e sono d’accordo col giudizio di Luigi). Viva la bibliodiversità, senz’altro. Come pure è chiaro che uno i libri (e la musica e i film) se li va a cercare in rete (ed è altrettanto chiaro che la capacità di cercare si affina grazie al passaparola, etc) e non da Feltrinozzi. Non pretendo affatto che da Feltrinozzi, vicino alle tazze da caffè e ai fermagli per capelli, ci sia una pila di Un quanto d’erotia, magari con intorno una bella scelta di letture a sostegno: so che è impossibile. Questo è un libro che, in automatico, vado a cercare su internet. Ma quando lo trovo, lo ordino, e dopo un mese mi arriva una e-mail in cui il maggiore store on line italiano mi dice che non riesce a procurarselo, un po’ mi dispiaccio. Tutto qui. Ora proverò a ordinarlo direttamente a d’if.
Mi pare che la questione si venga profilando nei termini di una contrapposizione netta tra nicchia/qualità, grande distribuzione/prodotti per famiglie. Però se vogliamo riflettere sulle possibilità diffuse e generalizzate (l’istruzione di massa, la rete) di procurarsi gli strumenti del sapere, dobbiamo sottolineare altresì che un’analoga logica “generalista” orienta, ad esempio, la politica di un quotidiano (obiettivo polemico dell’ultima parte del commento di @Frasca), che non può parlare solo agli esperti di settore, ma è costretto (o felicemente portato, al contrario) a rivolgersi al maggior numero di persone raggiungibili. Mi sentirei di sfatare comunque, accanto al luogo comune dell’autore di qualità che vuole ghettizzarsi, quello del “critico giornaliero” come lo chiamava qualcuno, per forza di cose asservito. La mia esperienza (sarà un caso isolato o fortunato, non so) è invece un’esperienza di grande libertà (non posso dire assoluta, perché se c’è una redazione è anche giusto che le scelte vengano il più possibile condivise). Nondimeno, capisco bene che il quotidiano Tal de’ Tali non è il Bollettino di Italianistica ed è a questo che riserverò le mie note erudite, affidandomi al giornale per i pezzi militanti (nella forma, nello stile ma non necessariamente negli oggetti, tra l’altro). Insomma, se è evidente che i grandi gruppi, dotati di ingenti risorse, possano accedere con maggior facilità ai canali della comunicazione di massa (la tv soprattutto, che sola condiziona realmente le vendite), per cui sarà possibile l’aberrazione di un’intervista a Fabio Volo a doppia pagina sul maggior quotidiano nazionale (e non nello spazio Spettacoli bensì Cultura), e nessuna recensione ai “Cancelli” di Frasca (rispetto ai quali le riviste letterarie hanno invece giustamente parlato di libro fondamentale), non è altrettanto vero che sia totalmente inaccessibile per i piccoli editori lo spazio sui giornali di più larga diffusione. A patto di impegnarcisi un po’, cioè a condizione di farlo, coi mezzi a propria disposizione (che non sono uguali per tutti: ovvio) effettivamente conoscere e circolare. Al di là delle logiche di mercato e della comunicazione di massa, per chi voglia fare critica (e non spot editoriali), al momento, e ne abbia gli strumenti, i luoghi ci sono, e non fa difetto nemmeno l’autonomia e l’indipendenza di alcuni di noi che scrivono (più o meno occasionalmente) sui giornali (non in tutti i casi, chiaro, così come non tutti gli autori di nicchia sono bravi allo stesso modo). Dove inizia il problema è piuttosto nel dover agire in un contesto ”culturale” sempre più degradato, col clima del sospetto che circonda invariabilmente chi scrive, ovunque scriva, per cui prima di recensire un libro bisogna, per essere esenti da infamie e gossip vari, passare al setaccio la memoria alla ricerca dei possibili pregressi contatti tra te e l’autore x, perché altrimenti se dici male, chissà che ti ha fatto, se bene, chissà cosa ci guadagni o che debiti hai nei suoi confronti. Trascurando, fra l’altro, che il critico ha un solo obbligo nei confronti di chi legge: la coerenza del proprio discorso intorno all’oggetto. Ma vaglielo a spiegare. Quanto al problema del rapporto tra autore e mercato, posto da @Massino, credo sia ancora valida la lezione sanguinetiana del cinismo dell’avanguardia: al mercato bisogna, nella necessità (peraltro nient’affatto pacifica) di starci dentro, comunque sforzarsi di proporre cose nuove, non assecondando la cosiddetta richiesta dei lettori, ma creandola, sovvertendola. Sfruttare cioè il potenziale del mercato, rispetto al museo, per proporre e far circolare contenuti e forme inattesi. Cos’è “Il quanto” di Frasca? È un genere che non esiste(va), questo è il suo pregio, e il prezzo che paga è di essere poco commerciabile, al momento. Ma che esista, e che possa entrare, a poco a poco, in un discorso letterario e culturale come quello che stiamo avviando qui, è il vero gesto artistico (se non vogliamo dire rivoluzionario) da considerare primariamente.
Comunque, va anche detto, che “La lettera che muore” (Meltemi), se ordinato in libreria, arriva molto a breve. A me, almeno, è successo così. E’ un libro davvero bellissimo. Un saluto. Adelelmo
“Quanto al problema del rapporto tra autore e mercato, posto da @Massino, credo sia ancora valida la lezione sanguinetiana del cinismo dell’avanguardia: al mercato bisogna, nella necessità (peraltro nient’affatto pacifica) di starci dentro, comunque sforzarsi di proporre cose nuove, non assecondando la cosiddetta richiesta dei lettori, ma creandola, sovvertendola” (Policastro)
Del cinismo dell’avanguardia in versione neo e non solo sanguinetiana abbiamo visto i frutti:
da incendiari nel ’68 a pompieri dopo, tramite riciclaggio in consiglieri del Principe Pci. E l’esercito di tale avanguardia è tutto lì: sulle cattedre di quell’università “borghese” che dovevano sovvertire prima “in pochi mesi poi in tempi indeterminati; e sempre “nella necessità (peraltro nient’affatto pacifica) di starci dentro” [si chiamava “la lunga marcia nelle istituzioni” e pare che duri ben oltre la pensione, precari tollerando]. O nelle grandi e piccole case editrici. O alla TV, ecc.
Del nuovo cinismo dell’avanguardia in via di costituzione, vorrei sapere di più. Di chi, ad es., si sentono avanguardia i suoi fautori?
Lo chiedo non per arruolarmi. Sono fuori stagione. Ma per godermi meglio (dallo spazio commenti)
lo spettacolo
Non per dire, @Policastro, ma a me personalmente risulta che Edoardo Sanguineti, già in tarda età, si rammaricava di non poter essere un cosiddetto intellettuale organico; e ne dava la colpa ai partiti, ai quali degli intellettuali non gliene fregava ormai più nulla. Insomma, per me la lezione cinica di Sanguineti mi sembra assolutamente superata. Cinismo per cinismo mi tengo quello di Mario Schifano (lo so che sono sbilanciato dalla parte degli artisti, è un mio difetto), il quale dipingeva le tele grandi, quelle che negli anni ’80 andavano tanto di moda, direttamente sul camion; e la sera stessa, al più tardi il giorno dopo, le rispediva al suo gallerista, che gliele pagava profumatamente.
Per curiosità, ma il pezzo postato è stato letto? E ha ingenerato curiosità verso il discorso complessivamente svolto nel libro, invogliando a leggerlo tutto? No, perché lo scopo iniziale era quello, poi forse il discorso extraletterario (e politico, a suo modo, dunque anch’esso necessario) ha preso (un po’ troppo) il sopravvento. Recuperiamo?
Se sono pagato abbastanza se non profumatamente, e posso, pagato, andarmene in giro un po’ per il mondo, me ne frego di tutto. Della mia opera sarà quello che avverrà, e sarà postumo. Poi c’è o ci sono i Baudelaire di turno: loro si difendano come possono.
Adoro Gadda e la psicanalisi, leggo Freud in tedesco e Lacan in francese. Confesso però che, dopo aver letto cinque volte il pezzo di Frasca, non solo non sono riuscito a carpire il senso di uno solo dei paragrafi, ma non sono nemmeno sicuro che all’origine del testo ci sia l’intenzione di voler comunicare qualcosa.
E’ troppo facile prendersela con le grandi case editrici. Se io fossi stato un loro redattore io stesso avrei respinto il testo. Lo stile è tutto: e quello che ho letto mi sembra pretenzioso e non riuscito.
@ Rudi Dutschke
principio d’indeterminazione?
@Dfw vs Jf
So what?
niente, una battuta sciocchina e impertinente.
tipo, non è possibile leggere e allo stesso tempo comprendere ciò che ha scritto.
scrittura quantizzata- torno a torturare il gatto di…
comunque è apprezzabile che qualcuno dica di non aver capito.
Ci metto sempre un po’ per capire le battute. E’ divertente.
Io non conobbi Frasca né lessi. Non so i ghirigori. Per me, chiare dolci e fresche acque… d’antan. Tutto qui. Quello ha la sua di Frasca io non so quale, ma io la mia vita non è quella di Frasca. Amo la Gilda medioevale. Ma forse non è acqua, è un vino del Chianti. Salute Rudy!
la nicchia picchia
la cricca di Auschwitz
franchising graphic
libidica – può l’estro
sui banchi di vetro
il pogrom del Novecento
nescienza del disastro?
La deriva della discussione è ormai conclamata. Ringrazio i partecipanti con nome e cognome, e li saluto con una citazione-omaggio: ”dove finisce l’ultima rincorsa/e ci si serra tutti nella morsa/ che chiude questo inutile lavoro/con cui ci costruimmo tante tane/trascorse dalle larve delle vane/voci cui fummo fermi nella corsa/o solo l’aria che va via dal foro” (GF).
Geniale, ineffabile Policastro, che dopo aver sollecitato scientemente la deriva (“Per curiosità, ma il pezzo postato è stato letto? E ha ingenerato curiosità verso il discorso complessivamente svolto nel libro, invogliando a leggerlo tutto? No, perché lo scopo iniziale era quello” Scusi, Professoressa, ma se non lo leggiamo tutto, cosa fa, ci bacchetta sulle mani?), si chiude in un lamento autoconsolatorio.
“lapidaria, nel senso di lapide” (ODP)
in nome e per conto dei senza nome ( e vergogna )
cosparsi di cenere da capo
a piedi
si faceva per ridere ( e anche per farsi )
cmq l’interesse è stato generato, non si voleva mancare di rispetto
né per le persone né per il lavoro
Non chiude niente qui, buon Marco Gilardi, perché i post diventano tutti uguali e chi ha tempo può dedicarsi allo sberleffo, alla idiozia, alla commisarazione, alll’abc della critica… e ad altro di già letto e ghignato. E ormai chiuso.
Per chiunque voglia continuare a discutere di questo libro segnalo che venerdì pomeriggio 10 febbraio 2012 (ore 16.30) il libro sarà presentato presso la sezione venezuelana della BNN (biblitoeca nazionale di napoli) . Ne parleranno con Frasca, Giancarlo Alfano, critico letterario, e Nietta Caridei, editrice. Il volume sarà in vendita e per l’occasione tre copie di “Un Quanto” saranno sorteggiate fra il pubblico. Vi aspettiamo
LuciaMarinelli
Bibioteca Nazionale di Napoli
per info: http://www.bnnonline.it
@Lucia Marinelli, sì, avevo già postato la segnalazione, qualche commento fa (ma poi si è persa nella ”deriva”, evidentemente). Grazie.
Ma non ci prova proprio nessuno prova a spiegare meglio il contenuto del testo?
Ripeto, la deriva è stata provocata da un commento insensato di Gilda Policastro. L’estratto del saggio di Frasca è a mio avviso estremamente interessante, e penso abbia suscitato la curiosità, nel senso più alto del termine, dei lettori del blog. Ma è di certo un pezzo molto complesso, dotato di una scrittura a più strati, e a tratti, se non altro in un primo momento, un po’ ermetica. Insomma, un pezzo che non dà immediatamente l’idea dell’opera nel suo insieme. Chiedere ai lettori del forum se hanno avuto il buon senso di volerla leggere per intero, è stata una scelta maldestra, quasi un invito a parlarne male.
Trovo curioso, @Policastro, che inviti gli altri a stare sul pezzo. Lei stessa, che ha postato il difficile articolo di Gabriele Frasca, non ha scritto una riga su di esso, nonostante ne abbia spese tantissime, di righe, per parlare (giustamente) di altre importanti questioni in ballo da mesi, qui su LPLC. D’altra parte, da critica, trova davvero possibile esprimersi su questo difficile pezzo? Frasca non ha per l’appunto detto assai umilmente: ” Ne è nata una collana, orgogliosamente senza referee, perché quelli che usciranno non vogliono essere libri da concorsi universitari, ma volumi offerti a chi ne possa trarre giovamento “? Io penso che questo è uno di quei casi nei quali presentare un estratto è giustappunto utile al far conoscere l’esistenza di un intero testo, che senz’altro tutti noi ci si andrà a cercare il giorno in cui ne avremo bisogno, perché magari stiamo lavorando su Gadda. Se no è terrorismo culturale, secondo me.
Non avevo visto il commento di Marco Giraldi, ma va da sé che lo condivido pienamente, specie nella frase finale.
@Gilardi
Francamente non capisco cosa c’entri la Policastro, il suo invito mi sembra più che legittimo. A me il testo sembra incomprensibile e sarebbe bello che tra derive e approdi qualcuno provasse a riassumere il contenuto o a chiosarne un po’ il senso. Per esempio, perché mai parlare di erotia o di omoerotia? Perché non scrivere erotismo o omo-erotismo?
L’espressione a titolo è una citazione dal ”Pasticciaccio”, come Frasca stesso spiega a p. 65 del suo libro, dove s’interroga sulle prime occorrenze gaddiane del termine “quanto” e le rinviene nella ”Meditazione Milanese” e poi nel romanzo, all’interno delle “considerazioni filosofiche un po’ rigide e compiaciute di Ingravallo”. Frasca riporta a testo il passaggio in cui al concetto di causa il commissario viene sostituendo quello di concause (“la molteplicità di causali convergenti”, per l’esattezza, tipicamente gaddiana), riconducendo poi a “un certo quanto di erotia” il movente di delitti anche apparentemente più lontani “dalle tempeste d’amore”.
Senza qusta chiosanon vienein mente, anche perché Gadda ha un senso e il testo di Frasca no.
Spiegare meglio il contenuto del testo è difficile, se per spiegare si intende un’illustrazione dettagliata di tutti i riferimenti e una “traduzione integrale” in forma più piana e neutra: Gilda ha chiarito che le note sono state omesse, e le note nei libri di Frasca offrono, oltre a commento e bibliografia, un forte supplemento di argomentazione e contestualizzazione (in questo caso penso che le note chiarirebbero quel doppio riferimento lacaniano, al discorso dell’Università come discorso del tutto-sapere e alla posizione dell’isterica che cerca un padrone che le dica cosa vuole solo per potersi dichiarare insoddisfatta della risposta); e inoltre il pezzo stesso è un ritaglio, come si capisce bene dalla prima frase, che per una comprensione ottimale va reintegrato al libro. Libro che io non ho letto, e di cui dunque non posso parlare.
Se invece intendiamo “spiegare” in un senso un po’ meno rigido e vincolato alla lettera, allora sì che qui si possono “spiegare” alcune cose. Primo: Frasca indaga Gadda (e tutti gli autori che studia) con una fortissima angolazione personale, e sulla base di temi (chiamiamoli così) che lo accompagnano/ossessionano da molto tempo, e che si ritrovano anche nelle sue scritture narrative e poetiche. Nel frammento postato se ne vede chiaramente una famiglia, quella legata al rapporto sessuale, alla procreazione e al rifiuto di essa, al ventre femminile che si fa pietra, al desiderio maschile che diventa sterilità paranoica (burocrazia e forze dell’ordine). Mi piacerebbe sapere – interpello Gilda – se Frasca si ferma sulla scena del sogno del brigadiere Pestalozza, dove tutte queste figure sono sviluppate e allacciate da Gadda in maniera strepitosa. Tutto questo per dire che, se non mi sbaglio, Frasca non vuole soltanto tracciare un altro profilo di Gadda, o dare un’altra “interpretazione” di Gadda, più o meno giudiziosa e aggiornata, ma costruire una specie di ibrido tra sé e Gadda, o, per usare un’immagine in Frasca molto frequente, “incarnare” Gadda e misurarlo su alcune questioni che per l’autore sono importanti adesso. Quindi, sempre se non mi sbaglio, il lavoro che fa Frasca non andrebbe limitato a una voce di bibliografia specialistica da consultare se e quando si dovrà lavorare su Gadda (o su Beckett o su Flaubert o su Phil Dick), ma come un tentativo di usare le grandi opere (e magari non solo quelle grandi), togliendole dalla naftalina specialistica dove troppo spesso giacciono, preda proprio di quel discorso del tutto-sapere di cui sopra, trovandoci o inserendoci (qui l’interferenza critico-opera è costitutiva) dei percorsi che, passatemi la formula, “stanno a cuore”.
Da questo intento si può fare derivare anche la scrittura di Frasca, oggettivamente difficile, che può risultare più o meno gradita, ma che non è affatto insensata. Ci vogliono solo, si fa per dire, ascolto attivo, pazienza e lavoro. E’ come ascoltare Fragile dei Nine Inch Nails. Bisogna schiacciare parecchie il tasto di replay, farci l’orecchio, ma a un certo punto qualcosa passa, eccome.
Ah, volevo ringraziare il signor Sterco per la bella poesia, e il signor àris per la spremitura a cui ha dovuto sottoporre le sue meningi per produrre il commento qui sopra.
Utile e chiaro il contributo di Federico Franucci. Ma che tristezza, per la critica letteraria: dopo la parentesi beneducata (qui l’interferenza critico-opera è costitutiva), ecco i percorsi che, passatemi la formula, “stanno a cuore”. Gentile Federico, non si preoccupi, da lettori non accademici, le passiamo tutto, non solo quello che le sta a cuore, ma qualsiasi altra espressione corporea, soprattutto trattandosi della funzione dei cazzi infecondi e degli sterili uteri nella narrativa di Gadda.
E ti pareva che non si trovasse un motivo di tristezza. Caro Marco, il punto, quando dicevo “passatemi la formula”, non era tanto quello che mi sta a cuore o mi sta sul cazzo. Era che dovevo chiudere con una frase molto spiccia e largamente imprecisa un passaggio che porterebbe a domande forse interessanti, e ad esempio: che significato o che funzione ha questa storia della sterilità, del rifiuto di procreare, in Frasca? Che cosa riesce a fare con la pulsione di morte? Si possono scrivere cose (romanzi, saggi) che vogliono cambiare qualcosa nella vita di chi li legge, partendo dalla pulsione di morte, dal desiderio di regredire all’inorganico? E, visto che Frasca questo lo fa, come riesce a farlo? Cose così. Non vi chiedevo il permesso di dire cuore o culo, insomma. Dicevo: mi dispiace di dover troncare così. Caro Marco, la tristezza è diminuita?
Sempre per non lasciare indietro la questione del “cinismo dell’avanguardia” e quella che recita: “al mercato bisogna, nella necessità (peraltro nient’affatto pacifica) di starci dentro, comunque sforzarsi di proporre cose nuove, non assecondando la cosiddetta richiesta dei lettori, ma creandola, sovvertendola” segnalo che in vostri cugini o fratellastri di “minima & moralia” ne stanno discutendo (Cfr. soprattutto i commenti a: http://www.minimaetmoralia.it/?p=6438).
Ovviamente l’autore del post, che mi pare uno di quelli che lavora per il re di Prussia e si lamenta di farlo gratis ha almeno l’accortezza di definire “cafonamente marxista” (verissimo!) la sua analisi dell’industria editoriale nostrana, perché di Marx in Italia è rimasta solo una pallida eco tra gli intellettuali italiani.
Sull’argomento mi piacerebbe un bel “confronto” LPLC e minima& moralia.
Sempre per godermi lo spettacolo. O magari imparare ancora qualcosa di più sul cinismo dell’avanguardia (e dei suoi pronipoti).
Caro Federico, la tristezza è diminuita, e credo che tutti i lettori del forum ne abbiano trattano giovamento, capendo in modo più incisivo il senso del suo intervento.
errata: tratto
Bravi! Se voi siete contenti di discettare, mi astengo. Ma non sarò io, e chi come, il perdente. A meno che non siate davvero convinti di questi spazi Web, ed io temo di sì. La vita è vostra, e così questa sarà apparentemente vincente, insieme a chi vi segue evviva evviva .
per chi fosse interessato a discorrere di questo libro con Gabriele Frasca, Giancarlo Alfano e l’editrice Nieta Caridei, l’appuntamento è oggi pomeriggio 10 febbraio 2012 alla biblitoeca nazionale di Napoli ore 16.30 sezione venezuelana. Con l’occasione tre copie del volume saranno messe in palio fra i partecipanti. Per ulteriori informazioni wwww.bnnonline.it
grazie per l’ospitalità
lucia marinelli
Perché Gabriele Frasca o qualcuno d’accordo con lui non fa di questo libro interessantissimo e introvabile per chi vive nelle sperduta provincia italiana un ebook che sia scaricabile anche a pagamento…mi pare un’ottima idea…mi occupo e mi sono occupata di pensiero orale specie nel mondo greco e sto lavorando a un progetto di ricerca sul labirinto…anche della lingua..saluti a tutti. Gabriella Cinti