di Carlo Tirinanzi de Medici
[È da poco uscito per Carocci Il romanzo italiano contemporaneo di Carlo Tirinanzi de Medici. «A partire dai tardi anni Settanta», si legge nel risvolto «la cultura italiana è andata incontro a diverse mutazioni. La forma-romanzo ha seguito lo stesso destino, ritrovandosi oggi con una fisionomia drasticamente cambiata rispetto a quella che aveva quarant’anni fa. Sebbene molti studi ne abbiano trattato singoli momenti di svolta o specifiche correnti, nel volume vengono per la prima volta ripercorse nel complesso le tappe attraverso cui il romanzo ha occupato il centro dello spazio letterario italiano, mostrando inoltre come si è costituita la “lingua comune” che i narratori di oggi hanno a disposizione». Quelle che seguono sono alcune pagine dell’Introduzione]
Ricostruire il passato recente significa muoversi in uno spazio delimitato da due convinzioni opposte che si possono rappresentare icasticamente tramite le parole di Italo Calvino e di Fredric Jameson. Il primo, nella prefazione del 1964 al Sentiero dei nidi di ragno, sostiene che i contemporanei non possono essere buoni giudici, visto che mancano di una prospettiva; il secondo, in Inconscio politico, esorta a «storicizzare sempre»,[1] perché solo ponendo in prospettiva gli eventi, sapendo da dove veniamo, è possibile capire dove siamo. In questo double bind si muove la critica quando guarda a fenomeni a essa cronologicamente prossimi. Non solo a quelli avvenuti da meno dei «cento, cento- cinquant’anni» che Calvino[2] poneva come terminus post quem, ma anche (o soprattutto) a fenomeni ancora in corso, casi in cui s’incorre in due rischi speculari: tagliare il quadro orientandolo eccessi- vamente in funzione di alcuni aspetti del presente che si considerano rilevanti (potremmo chiamarla la “fallacia militante”); produrre una serie di medaglioni slegati, una sequenza di singolarità che non riescono a dialogare tra loro (la “fallacia panoramica”). La critica è una disciplina ipermetrope.
A questi teoremi d’incompletezza della storiografia letteraria, validi in qualunque epoca, si aggiungono tre fenomeni avvenuti nella media e breve durata che hanno alterato radicalmente l’orografia della letteratura. Uno, di carattere tecnologico, è avvenuto negli ultimi decenni e riguarda le innovazioni (world wide web, stampa digitale e on demand, libri elettronici ecc.) che hanno ridotto drasticamente complessità e costi della produzione e di usione dei testi. Il secondo è sociale – il processo di democratizzazione che ha investito lo spazio pubblico occidentale negli ultimi due secoli, garantendo alle masse alfabetizzazione e tempo libero. Il terzo riguarda il narrative turn, l’a priori per il quale il racconto, la narrazione, è una modalità privilegiata di conoscenza, alternativa – e per certi versi superiore – ad altri giochi linguistici con cui nel passato si osservava e interpretava il mondo. Insieme, questi fenomeni hanno prodotto un’in azione di racconti mai vista prima. All’ipermetropia si somma il sovraccarico sensoriale (per questo è ancor più meritorio il tentativo di Luigi Matt di mappare quasi in diretta un biennio di narrativa).[3]
Insomma, si tratta di esercizi rischiosi che aprono a errori, abbagli, possibili ripensamenti futuri, ma che la critica ha il diritto e il dovere di compiere. Solo pochissime opere superano quella che uno storicista chiamerebbe la prova del tempo: se la critica non sa ancora stabilire quali, può nondimeno rimettere in circolazione alcune scritture, perché sorprendentemente attuali (ad esempio quella di Alfredo Antonaros, che o re una riflessione sulle radici, sulla migrazione e sulla diversità molto più interessante oggi di quando fu scritta trent’anni fa) o perché testimonianze di fasi storiche (i romanzi storici di inizio anni Ottanta); può proporre collegamenti tra autori e gruppi o rigettarne altri. Così assolve a uno dei suoi compiti: aggiornare, ripensare e ampliare quel museo che è la storia della letteratura per rendere fruibile il suo contenuto ai visitatori di oggi, che sono poi gli autori di domani.[4]
Fino ad alcuni anni fa la critica ha preferito osservare la narrativa recente nell’arco cronologico ristretto, di solito decennale (alcuni nomi: Tani, forse autore dell’opera più completa sulla narrativa degli anni Ottanta; Ceserani; Barański e Pertile; Barenghi; Pierangeli).[5] Negli ultimi anni, però, si sono moltiplicati i tentativi di ricostruire il passato prossimo del romanzo (tra i più interessanti La Porta; Simonetti; in una prospettiva più teorica i volumi di Di Gesù; Donnarumma; cfr. Carnero)[6] che hanno adottato strategie simili per rispondere a queste difficoltà, individuando direzioni di sviluppo e, necessariamente, escludendone altre dal proprio quadro. Al di là delle polemiche che spesso hanno suscitato, questi testi rivelano la necessità di un’opera di sistematizzazione su un orizzonte temporale più esteso, e ci dicono che quest’opera è diventata possibile. Perché oggi e non vent’anni fa?
L’ipotesi è che negli ultimi anni siano diventati evidenti fenomeni iniziati nei tardi anni Settanta, quando il sistema letterario è andato incontro a una progressiva ricon gurazione. In particolare, negli anni Zero prende forma per la prima volta una koinè narrativa, una “lingua comune” fatta di tecniche, stilemi, motivi, topoi spirituali. Vi sono state altre koinè in passato (il romanzo storico o il Verismo nell’Ottocento; il romanzo decadente, il Neorealismo o il romanzo di neoavanguardia nel Novecento, per fare alcuni esempi), ma si è trattato spesso di fenomeni epigonali, basati su mode presto svanite. Come si dirà meglio, la storia del romanzo italiano è una storia puntiforme e forse proprio l’assenza di un humus comune da cui attingere ha prodotto la peculiare conformazione della nostra geografia romanzesca, puntiforme, più simile a un arcipelago che a un continente: le lingue comuni sono sempre state locali, parziali, mai accettate pienamente dai contemporanei (se questa storia fosse un film, lo si potrebbe intitolare La koinè contro tutti). La koinè che si rivela negli anni Zero è invece diffusa: è condivisa da scrittori che un tempo si sarebbero giudicati highbrow e da autori di cassetta, che in altri momenti riferivano a varianti narra- tive in netta opposizione (ad esempio quella tra romanzo sperimentale e romanzo medio “di qualità”). Inoltre, è evidente dalla diffusione dei suoi elementi che questa volta la koinè ha occupato il centro dello spazio romanzesco.
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Un elemento che caratterizza il campo letterario è l’idea di letterarietà, cui si farà spesso riferimento in queste pagine. Anch’essa oggetto di contrattazioni e mutamenti, identifica i caratteri intrinseci al testo letterario che hanno valore differenziale rispetto ad altri giochi linguistici. Vedremo che i cambiamenti cui la letterarietà è andata incontro negli ultimi quarant’anni aiutano a definire diverse posizioni letterarie e a individuare i momenti di svolta.
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Lo sviluppo di una koinè negli anni Zero è il risultato di un processo iniziato negli anni Settanta, quando il campo letterario subisce una serie di mutazioni. Una investe lo spazio letterario nel suo complesso, e riguarda la perdita di primato della lirica. Due sono interne al sistema romanzesco: le crisi delle forme dominanti gli anni Cinquanta-Settanta, il romanzo medio “di qualità” e lo sperimentalismo,[7] che daranno l’improvvisa esplosione (“punteggiatura”) di forme diverse di use negli anni Ottanta. Una, di natura socioeconomica, riguarda il mercato editoriale, al cui interno mutano sia il pubblico – che ricerca forme di intrattenimento culturalmente più complesse del romanzo “medio”, ma guarda con sospetto agli eccessi formali degli sperimentalisti – sia l’organizzazione editoriale, che entra pienamente nella modernità industriale. L’ultima coinvolge quell’a priori estetico alla base della modernità letteraria che Theodor Adorno chiamava «canone del proibito»,[8] un atteggiamento che vede nella novità specie formale – nell’originalità dell’opera – il valore principe del fatto letterario, sintetizzabile nell’esortazione di Ezra Pound «make it new!». Il canone del proibito, l’idea che un’opera sia importante perché diversa da quelle che l’hanno preceduta, tende via via a scomparire. Così torna l’interesse per trame e personaggi, per il romanzo compatto, come dimostrano Il nome della rosa e Se una notte d’inverno un viaggiatore. Queste mutazioni durature sono oggetto del capitolo 1.
Una volta che la principale moneta del campo letterario, l’originalità, ha perso valore, gli scrittori cercano altri modi per accumulare capitale simbolico: di qui l’importanza della letterarietà per la narrativa degli anni Ottanta, che è al contempo una strategia per farsi riconoscere come attori nel campo e una risposta alla crisi delle strutture di senso della modernità. Da questa specola il capitolo 2 analizza la produzione narrativa tra il 1979 e il 1990. Esso è diviso in due parti: nella prima si dà conto, con una serie di esempi, della variabilità formale che caratterizza la narrativa degli anni Ottanta, che – pur entro i paletti della leggibilità – sembra ispirarsi a tradizioni molto diverse, tutte accomunate da un grande prestigio letterario, che risolleva anche gli inserti provenienti da forme letterarie basse o popolari. Così il romanzo storico, quello modernista e le forme premoderne di narrazione occupano il centro della scena. L’evoluzione della narrativa d’argomento storico permette di introdurre il problema dei generi, che a partire dagli anni Ottanta acquistano rilevanza anche per le opere che si pongono al centro dello spazio letterario, un fenomeno evidente anche nel progressivo interesse per i generi del discorso – narrativa documentaria e autobiografica – che s’intersecano sempre più spesso con il romanzo. La seconda parte del capitolo cerca di sussumere quanto detto precedentemente entro due modalità di confronto con il reale: una caratterizzata dall’accumulo di codici discorsivi i più disparati, filtrati da una serie di dispositivi tipici del romance, che esplora il mondo “a lungo raggio”; un’altra che predilige una quantità più ristretta di codici perlopiù inerenti alla vita quotidiana, e perciò chiamata “a corto raggio”, ispirata più direttamente al novel. In questa distinzione emerge quella che è una costante di tutto il periodo analizzato: la tensione tra aspirazione al discorso generale e irredimibile singolarità del fatto narrativo.[9]
Il capitolo 3 copre esattamente il decennio degli anni Novanta e identifica alcuni caratteri (tecniche, temi) comuni: l’utilizzo di generi romanzeschi e discorsivi come codici, in fase di emersione già nel decennio precedente; il ricorso a tecniche narrative e a stilemi dei nuovi media, in particolare della televisione; una sensibilità nuova per forme midcult e avantpop. Entro questo quadro identi co tre aree: una recupera più esplicitamente la cultura pop (la “giovane narrativa”, la narrativa di genere e in particolare il noir, i “Cannibali” e il pulp); una si rifà più esplicitamente al postmodernismo e anzi alla variante high postmodern ( omas Pynchon, Philip Roth, Don DeLillo, John Barth…), grossolanamente divisibile tra chi indaga l’immaginario mediatico e chi esplora la storia recente o la società contemporanea, spesso riattando alcuni dispositivi realistici; un’altra è la non fiction, in cui la dominante ontologica postmoderna[10] si salda al rovello che ha occupato buona parte dei romanzi degli anni Ottanta e Novanta, il rapporto tra racconto del particolare e discorso generale. Viene identificato come momento di svolta il 1999, quando escono alcuni romanzi che chiariscono i diversi esiti di questo campo di tensioni.
Nel capitolo 4, che copre il periodo 2001-12, la koinè si è formata: ne vengono individuati gli elementi fondamentali, sul piano sia delle tecniche (ricorso al documento e all’“e etto di vero”; insistenza sulla dimensione letteraria, nzionale del testo; ossessione per il corpo e le emozioni come strumenti conoscitivi che permettono di registrare sulla pagina il reale) sia delle strutture di senso (insistita superficialità e, di converso, arbitrarietà dei tentativi di sviluppare il discorso su un livello verticale, che unisca più strati di senso; interesse per la performance e per la natura materiale della scrittura e dell’esistenza; centralità dell’autore nella produzione dell’opera) che in parte Walter Siti ha raccolto nell’immagine del “mito Pasolini”. Alla fine del capitolo vengono analizzati nel dettaglio tre romanzi degli anni Zero particolarmente significativi che allo stesso tempo mettono in atto e sovvertono i caratteri della koinè, il che permette di verificare le tesi sostenute prima grazie a un confronto più diretto con i testi e di sottolineare – se ce ne fosse bisogno – che le strutture di senso non hanno valore rigidamente normativo e possono sempre essere oggetto di negoziazione da parte degli attori culturali.
Il capitolo 5, infine, è una coda che segue rapidamente l’evoluzione della narrativa a partire dal 2013, quando la koinè ormai formata entra in una fase di (relativa) stasi. Molte opere uscite in questi anni potrebbero essere definite manieriste per il loro accogliere i tratti della koinè senza che essi diventino oggetto d’indagine, utilizzandoli spesso al primo grado o mischiandoli tra loro in modi inediti. Inizia anche a emergere con maggior decisione una sfera narrativa non legata al medium della scrittura, in particolare nell’area dei fumetti, non più considerata parte di aree culturali minoritarie o periferiche. Si tratta di poche osservazioni sparse che non hanno pretesa di sistematicità, data la minima distanza che le separa dai fenomeni trattati. In generale nel corso del testo si è proceduto per campionature di opere, cercando così di coniugare le ragioni di un’indagine approfondita dei testi e di una griglia di lettura capace di indicare le linee di forza che organizzano lo spazio romanzesco. Molte opere o correnti non sono sopravvissute alla falciatura necessaria per mantenere questo libro nei limiti del leggibile, o sono state ridotte a brevi cenni: la lunghezza dedicata alla trattazione di questo o quel romanzo non necessariamente riflette un giudizio di valore. Allo stesso modo si prenda quanto segue come una proposta, effettuata come direbbe Leonardo Sciascia con «il senso e il senno dell’oggi», con i difetti di vista e percezione che abbiamo oggi, e che volentieri accoglie integrazioni, indagini ulteriori, ripensamenti: questo libro, come tutti, è il segno di una storia, e il segno di una resistenza a quella storia.
Note
[1] F. Jameson, Inconscio politico (1981), Garzanti, Milano 1990, p. 3
[2] I. Calvino, Introduzione 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, in Id., Romanzi e
racconti, vol. I, a cura di M. Barenghi, B. Falcetto, dir. da C. Milanini, Mondadori, Milano 1991, pp. 1185-204, p. 1196.
[3] L. Matt, Forme della narrativa italiana di oggi, Aracne, Roma 2014.
[4] Mi permetto di rimandare al mio Il museo, la critica, la trama. Prospettive d’indagine sull’orlo della modernità, in W. Nardon e C. Tirinanzi De Medici (a cura di), Pro e contro la trama, Università degli studi di Trento, Trento 2012, pp. 203-214.
[5] S. Tani, Il romanzo di ritorno. Dal romanzo medio degli anni Sessanta alla giovane narrativa degli anni Ottanta, Mursia, Milano 1990; R. Ceserani, Il romanzo sui pattini, Transeuropa, Massa 1991; S. Baran’ski e L. Pertile (a cura di), e New Italian Novel, Edinburgh UP, Edinburgh 1993; M. Barenghi, Oltre il Novecento. Appunti su un decennio di narrativa, 1989-1999, Marcos y Marcos, Milano 1999; F. Pierangeli, Ultima narrativa italiana (1983-2000), Studium, Roma 2000.
[6] F. La Porta, La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine
secolo, 2a ed., Bollati Boringhieri, Torino 2001; G. Simonetti, I nuovi assetti della narrativa italiana (1996-2006), in “Allegoria”, 57, pp. 95-136; M. Di Gesù, La tradizione del postmoderno. Studi di letteratura italiana, FrancoAngeli, Milano 2003; Id., Palinsesti del moderno. Canoni, generi, forme nella postmodernità letteraria, FrancoAngeli, Milano 2005; R. Donnarumma, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, il Mulino, Bologna 2014; R. Carnero, La nuova narrativa italiana dagli anni Ottanta a oggi, Principato, Milano.
[7] Sebbene “sperimentalismo” indicasse originariamente la proposta letteraria del gruppo di “Officina”, si è deciso di utilizzare il termine per definire l’insieme delle narrazioni di ricerca sviluppate tra la seconda metà degli anni Cinquanta e gli anni Settanta (seguendo in parte Maria Corti che, nel Viaggio testuale, 1978, parla di neosperimentalismo per il romanzo degli anni Settanta). Si tratta di un’area che copre autori di tendenze e ispirazioni assai diverse, ma di cui a posteriori possiamo vedere l’omogeneità. Oggi le somiglianze tra la scrittura di Roberto Roversi, Paolo Volponi, Vincenzo Consolo, Pier Paolo Pasolini, Edoardo Sanguineti, Francesco Leonetti paiono maggiori delle di erenze ideologiche e di poetica che li hanno separati a volte in modo radicale.
[8] Th. W. Adorno, Parva aesthetica. Saggi 1958-1967 (1967), Feltrinelli, Milano 1979, p. 31; cfr. J. M. Bernstein, Introduction, in . W. Adorno, e Culture Industry: Selected Essays on Mass Culture, Routledge, London-New York, pp. 1-27, pp. 21 ss.
[9] Cfr. G. Mazzoni, Teoria del romanzo, cit.
[10] B. McHale, Postmodernist Fiction, Routledge, London-New York 1987, p. 26.
[Immagine: Alvise Raimondi, Presente infinito]