di John R. Searle, Maurizio Ferraris e Angela Condello
[È da poco uscito Il denaro e i suoi inganni (Einaudi), di John Searle e Maurizio Ferraris, a cura di Angela Condello, che ha tradotto il saggio di Searle e scritto il saggio conclusivo. Searle e Ferraris sono due tra le voci più autorevoli nel campo dell’ontologia sociale e, almeno apparentemente, le loro teorie sembrano complici e rivali. Per Searle, la realtà sociale è creata dai soggetti perché pensata, rappresentata e riconosciuta collettivamente come tale. Per Ferraris, l’intenzionalità collettiva non è sufficiente a spiegare la realtà sociale: sono le tracce, i documenti e le registrazioni a depositare il senso dello scambio che, prima e oltre l’intenzionalità, costituisce il mondo sociale.
In questo libro i due filosofi affrontano gli inganni del denaro (Searle) e l’enigma del suo fondamento (Ferraris): dal confronto emerge un «soprannaturale moderno» (la definizione è di Walter Siti) che per Searle esiste solo nella misura in cui un’entità è pensata e rappresentata in quanto denaro. Per Ferraris invece esiste un livello ontologico che precede la rappresentazione e ne spiega il senso. Angela Condello riprende gli aspetti salienti delle due teorie mettendole in relazione].
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Che cos’è il denaro
di John R. Searle
Quali sono le ragioni per cui il pezzo di carta che ho davanti è considerato denaro? Per rispondere a questa domanda bisogna affrontare una serie complessa di questioni di filosofia del linguaggio ordinario.
[…]
Ci si può deliberatamente discostare dagli usi, ma se l’investigazione mira ad essere filosoficamente rilevante, allora deve essere incardinata nel linguaggio ordinario. Fanno eccezione questioni strettamente tecniche, per cui se si cerca di definire l’implicazione filosofica del principio di sovrapposizione nella meccanica quantistica, l’uso ordinario di termini come «sovrapposizione», «meccanica» e «quantistica» sarà verosimilmente inutile. Al contrario, per questioni filosofiche tradizionali come la verità, la causazione, la virtú non vi è alcuna via d’uscita dal linguaggio ordinario.
Potrebbe d’altra parte sembrare che la natura del denaro sia una questione per economisti e che dunque un profano come me non dovrebbe intromettersi per cercare di spiegarla. Penso che vi siano molte questioni tecniche relative al denaro – per esempio, i tassi di interesse e la loro influenza sull’offerta di moneta e la propensione marginale al consumo – che vanno ben oltre il mio raggio di azione, comprensione e capacità di speculazione filosofica. Ciononostante, la mia esperienza mi ha insegnato che molte discipline tecnicamente solide si basano su ipotesi teoriche inespresse e irrisolte e dunque non è poi cosí sbagliato che una persona apparentemente estranea alla questione vi si avvicini per tentare di spiegarla. Qualcosa di analogo mi è successo con la trattazione dell’intelligenza artificiale, quando ho scoperto che molti dei tecnici impegnati a lavorarvi continuavano a non capire alcune distinzioni fondamentali tra le simulazioni computerizzate e i processi mentali.[1]
In ogni caso, ho deciso che procederò in questo mio tentativo (da dilettante) di comprendere la natura del denaro. Mi sembra che la strategia corretta per avanzare in questo percorso teorico sia anzitutto partire da una definizione del denaro, per poi analizzare come alcune entità soddisfino quella stessa definizione e altre invece no. La tesi di questo mio testo può riassumersi con una frase: il denaro è una funzione di status. Al fine di giustificare la mia tesi, devo spiegare cosa sia il denaro e che cosa sia una funzione di status. Prima di farlo, devo chiarire altre distinzioni assolutamente fondamentali e inizierò dalla natura dell’oggettività e della soggettività
Le montagne, le molecole, gli oceani e le galassie esistono a prescindere dal fatto che qualcuno ne faccia esperienza. Sono, dunque, ontologicamente oggettivi. I dolori, il solletico e il prurito, d’altro canto, sono ontologicamente soggettivi poiché esistono soltanto nella misura in cui ne faccia esperienza un soggetto umano o, piú in generale, un soggetto animale. Un aspetto rilevante di questa distinzione è che possono esserci affermazioni epistemicamente oggettive a proposito di una questione ontologicamente soggettiva. La coscienza, per esempio, è ovviamente ontologicamente soggettiva. Gli stati di coscienza esistono soltanto nella misura in cui se ne faccia esperienza, ma le affermazioni sulla coscienza in neurobiologia possono, nonostante le premesse, essere epistemicamente oggettive. Spesso si sbaglia nel confondere i due piani appena descritti: si tratta di un errore filosofico piuttosto frequente.
Molte entità sono […] dipendenti dalla mente dell’osservatore. Persino entità su cui possiamo fare affermazioni epistemicamente oggettive, come il denaro, la proprietà privata, il governo, e il matrimonio. Tutte queste entità esistono solo relativamente al coinvolgimento di mente e pensiero umani. Non sono indipendenti dall’osservatore, ma sono dipendenti e relative all’osservatore. Per quanto riguarda la relazione tra queste due distinzioni, si deve notare che tutti i fenomeni dipendenti dall’osservatore contengono in realtà anche elementi di soggettività ontologica poiché esistono soltanto nella misura in cui sono pensati, o considerati, come esistenti. Nondimeno, su molti di questi fenomeni possiamo fare affermazioni epistemicamente oggettive. Di nuovo, questo è evidentemente il caso del denaro. Il denaro esiste soltanto nella misura in cui un’entità è pensata in quanto denaro. La sua esistenza è dunque dipendente dall’osservatore. Possiamo tuttavia fare affermazioni epistemicamente oggettive sul denaro e piú in generale sugli oggetti la cui esistenza è dipendente dall’osservatore. Il fatto che io possieda una banconota da venti dollari nella mia mano è epistemicamente oggettivo anche se il fatto che questo oggetto che ho in mano sia una banconota da venti dollari contiene elementi di soggettività ontologica. Si tratta di una banconota da venti dollari soltanto se osservata in relazione alle nostre disposizioni e in relazione al nostro punto di vista comune su questa banconota. Tutti i fenomeni dipendenti dall’osservatore sono creati da stati mentali coscienti, o a volte inconscienti; ma gli stati mentali che possono creare fenomeni relativi all’osservatore non sono in sé relativi all’osservatore. Hanno invece un’esistenza che è, per cosí dire, completamente intrinseca o indipendente dall’osservatore. Il fatto che l’oggetto che tengo in mano sia denaro è vero indipendentemente dalle disposizioni e dagli atteggiamenti mentali di individui come me. Ma il fatto di avere questo atteggiamento, e di pensare «Io penso che questo sia denaro», non è dipendente dall’osservatore. Si tratta di un fatto intrinseco che mi riguarda.
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Il colore dei soldi
di Maurizio Ferraris
È nato prima il denaro o il valore che gli attribuiamo? L’interrogativo ne richiama un altro, di Platone: le cose sono pie perché amate dal dio oppure il dio le ama perché sono pie? Tranne che nel caso del denaro la risposta sembra essere, a prima vista, molto piú facile: il valore (o quantomeno il bisogno) precede il denaro. Ma forse non è esattamente cosí. Certo, quando maneggiamo il denaro abbiamo l’impressione che valga perché la collettività in cui viviamo ritiene che valga. Eppure, è altrettanto difficile nascondersi l’evidenza che quando maneggio il denaro ho l’impressione che il valore stia nel denaro, e non nella mia testa, che può avere teorie sbagliate sul denaro, o nessuna teoria, senza che questo comprometta il valore del biglietto che ho tra le mani. Ecco un enigma psicologico e filosofico che va svelato, e che prende la forma di un dilemma: se i soldi valessero perché noi decidiamo che valgono, perché non basta cambiare idea per togliere valore al denaro? Ma se non siamo noi a dare valore ai soldi, chi glielo dà? Questo dilemma ricorda la domanda se sia nato prima l’uovo o la gallina, e per evitare la circolarità propongo di distinguere due livelli. Un livello manifesto, che riflette la nostra intuizione immediata, che è appunto quella secondo cui il valore precede il denaro; e un livello profondo, e molto meno intuitivo, ma di cui cercherò di dimostrare la legittimità, secondo cui è il denaro a determinare il valore.
Cosí, dopo aver presentato l’immagine manifesta, risalirò alla struttura profonda per cui quel documento paradigmatico che è il denaro precede e produce il valore, manifestandosi attraverso il sacro rispetto che il colore dei soldi (per richiamarsi al titolo di un vecchio film) suscita nei suoi adepti, ossia in ognuno di noi, indipendentemente dalle convinzioni etiche, le disposizioni psicologiche, gli orientamenti ideologici, che ci guidano nel guadagnarli o non guadagnarli, desiderarli o meno, investirli razionalmente o dissiparli, risparmiarli o buttarli dalla finestra.
Mi occuperò anzitutto di epistemologia, ossia di ciò che sappiamo (o crediamo di sapere) della realtà sociale. Ossia mi occuperò dell’uovo, distinguendo, nella realtà sociale, una immagine apparente (l’idea che la realtà sociale sia costruita dall’intenzionalità, dai nostri pensieri e rappresentazioni) e una struttura profonda (l’idea che la realtà sociale emerga da quello che definisco «documentalità»: un sistema di registrazioni dotate di forme riconoscibili che è all’origine degli oggetti sociali, a partire dal denaro). Poi passerò all’ontologia, ai processi che stanno alla base della formazione del valore e della portata normativa del denaro e, piú complessivamente, della documentalità. Ossia mi occuperò della gallina, cercando di rendere ragione dei fondamenti della struttura profonda, rispondendo alla domanda: qual è la forza che rende possibile la forma della documentalità (gli oggetti sociali) una volta che abbiamo rinunciato a riconoscere nell’intenzionalità come atto vivente il fondamento ultimo della realtà sociale? Infine, introdurrò una terza dimensione che è a mio avviso necessaria per spiegare la natura del denaro, e della realtà sociale in generale, ossia la tecnologia, termine con cui designo le azioni che svolgiamo nel mondo sociale, e che il piú delle volte non sono guidate da una conoscenza chiara di quel mondo, caratterizzandosi cosí come una competenza senza comprensione.
L’idea di fondo è che – contrariamente a quanto credono i teorici del contratto sociale – entriamo in contatto con la dimensione ontologica, nella fattispecie con le forze sociali (obbligo, responsabilità, motivazione, intenzionalità) non attraverso la comprensione (l’epistemologia), bensí attraverso l’azione. Quando maneggio il denaro, non applico una teoria economica (o almeno una teoria economica vera: magari credo che valga perché può essere scambiato con dell’oro, e ovviamente non mi chiedo perché l’oro valga). Semplicemente agisco, con quello che, piú in generale, è il carattere di fondo del mio rapporto con la realtà in generale. Poco alla volta, attraverso l’azione, posso, anche se non necessariamente devo, acquisire consapevolezza di quanto faccio, e la competenza si trasforma in comprensione, ossia (ecco la tesi che vorrei dimostrare conclusivamente) l’ontologia trapassa in epistemologia.
[…]
Siamo noi che diamo valore ai soldi? No, sono i soldi (e piú complessivamente quello che definisco «documentalità») che creano la nozione di valore, il che spiega sia perché anche un anarchico, dopotutto, è restio a buttare i soldi dalla finestra, sia perché un essere umano senza soldi sia incline a considerarsi di poco valore (e, cosa ancor peggiore, perché un essere umano con tanti soldi sia portato ad attribuirsene tanto). Se Searle è incline a vedere il denaro come un inganno, è perché ha una visione troppo lusinghiera dell’essere umano, come un ente che basta a se stesso e che per comodità inventa il denaro, ed è illuso dagli artifici che lui stesso ha creato. Per me, invece, un essere umano senza tecnica, e soprattutto senza quelle tecniche eminenti che sono la scrittura, la cultura e i documenti, non è un selvaggio perfetto e filosofo, ma un animale poco attraente e destinato a una vita solitaria, povera, indecente, brutale e breve. Non sorprende che, al contrario, sin dal loro primo affacciarsi al mondo, gli umani si provvedano di tecniche, le raffinino, e poco alla volta creino dei barlumi di storia, di coscienza, di significato. In tutto questo, il denaro non fa eccezione. Se provate a pensare a un mondo senza soldi, sarete anche costretti a pensare a un mondo senza idee, senza arte, senza spirito, senza linguaggio. È un pacchetto completo, non si può scegliere e la cosa saggia da farsi è cercare di comprendere – comprendere, per esempio, che il processo che ha portato allo sviluppo del sistema creditizio è lo stesso che ha generato la Bibbia, Shakespeare e il Code Napoléon. Per me dunque il denaro non è un inganno, ma un enigma, non meno della religione, e proprio in questo mistero (su cui Searle e io abbiamo provato a gettare un po’ di luce) si radica quello che Pascal definiva fondamento mistico dell’autorità.[2] Il potere delle cose che sono lí da sempre, e che determinano la coscienza molto prima e molto piú di quanto questa, da sola o con la finzione di un’intenzionalità collettiva, possa pretendere di determinarle. Dunque, invece di pensare che il denaro ci rubi l’anima, consideriamo che senza denaro (e senza la rete di concetti di cui fa parte, e che costruisce la realtà sociale) non avremmo niente che le assomigli sia pure vagamente, niente con cui pagare lo psicoanalista, ma neppure alcunché da far curare.
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La cornice e l’oggetto sociale simbolico. Il denaro tra intenzionalità e documentalità
di Angela Condello
Jefferson Hayman è un artista contemporaneo. Vive a Tappan, New York. Il suo lavoro riflette nostalgia, simboli comuni, memoria. Un giorno prende un dollaro americano stampato nel 1995 e lo incornicia. Ne fa una serie di venticinque copie, una serie limitata, come ad affermare l’irriproducibilità ad infinitum dell’oggetto che nel mondo piú circola e piú si riproduce. L’opera è intitolata One Dollar ed è da quest’opera che voglio partire. One Dollar non è interessante come ready made, perché in questo senso può diventare interessante ogni oggetto oppure nessuno, dipende dal gusto. Lo è invece per come viene posizionato l’oggetto in questione, cioè la banconota: in una forma miniaturizzata al centro di una cornice scura, come fosse una pietra preziosa. Qualcosa su cui fermare lo sguardo una prima volta e poi ancora: l’opera è un invito a guardare oltre l’oggetto. A riflettere sul significato del denaro in quanto ente che è, a un tempo, comune ed eccezionale, portatore di responsabilità e fonte di diritti, dispositivo di potere deontico (per dirla con Searle) e forza che mobilita (per dirla con Ferraris). Il secondo sguardo suggerito dall’opera di Hayman conduce dunque in un vortice di doppie nature, di rappresentazioni e meta-rappresentazioni: il denaro è già di per sé un oggetto che sta al posto di qualcos’altro, e in One Dollar questo primo livello rappresentativo è amplificato dalla cornice, che sta lí proprio a suggerire di approcciare con uno sguardo nuovo la questione del denaro. La sfida di questo libro è guardare al denaro diversamente, attraverso le teorie di due figure esemplari nel panorama filosofico internazionale, che si confrontano su un tema centrale per l’ontologia sociale. […] Il risultato (c’era da aspettarselo dai massimi esperti di ontologia) è che il denaro guadagna un posizionamento tutt’altro che eccezionale rispetto alla società, al linguaggio, alla vita umana. La cornice è dunque soltanto una metafora del sistema simbolico in cui il denaro conduce, e da cui il denaro emerge come strumento d’uso che funziona attraverso il linguaggio mettendolo in discussione, in cui opera attraverso le relazioni sociali definendole, e grazie a cui mostra paradigmaticamente le ragioni e i modi operativi dello scambio in quanto fatto sociale fondativo.
Una volta che un oggetto è una moneta, non può smettere di esserlo soltanto perché l’intenzionalità collettiva sposta il valore su un altro oggetto, per esempio un cappello. Se un uomo è un marito, perché smetta di esserlo è necessario passare da una lunga (e dolorosa) trafila burocratica fatta di registri, archivi, pratiche, firme: in altre parole, è necessario passare dal sistema documentale che fino ad allora ha assicurato la persistenza di quello status. Una sorta di contrappasso materiale, fisico e tracciabile, di quella intenzione espressa il giorno delle nozze («Lo voglio», nel senso anche di «L’ho raffigurato», «Lo comprendo», secondo il significato filosofico di intenzionalità). Il termine latino status costituisce quindi […] il primo raccordo tra i due filosofi: esso indica lo stare saldo nel senso del restare saldo, il rimanere posizionati in un luogo e in un certo modo, il mantenere un equilibrio piú o meno fissato. La dimensione intenzionale, centrale nello sguardo del filosofo americano, deve incardinarsi affinché la funzione del denaro non sia effimera, ossia affinché non si fermi al mero baratto (una sorta di scambio peer to peer ante litteram, possibile antenato del bitcoin). Ferraris spiega come tutto ciò sia possibile. Pur riconoscendo l’importanza dell’intenzionalità nella filosofia del denaro e in genere nell’ontologia sociale, egli indaga il modo in cui il denaro può mobilitarci (e non soltanto il perché, come fa Searle). Il risultato è che entrambe queste letture collocano il denaro al centro della nostra società perché il denaro è paradigma del suo funzionamento: aumenta il nostro potere perché oltre la forma dell’oggetto (la moneta, la banconota, ma anche piú ampiamente il conto in banca, la banca stessa, e cosí sino al Fondo Monetario Internazionale) esiste una forza dell’oggetto. Il denaro è un’allegoria dell’obbligazione umana pur vivendo ormai in una dimensione indipendente da quella dell’obbligazione in senso giuridico tradizionale. Questa allegoria incorpora lo scambio degli scambi e perciò, osservandola, si osserva la società intera.
L’immagine profonda è un sistema di registrazioni: una rete di documenti direttamente connessa con l’intenzionalità ma che, secondo Ferraris, la precede. Altrimenti non si spiegherebbero le grandi depressioni. Se l’intenzionalità precedesse, per tempo e importanza, la documentalità, le grandi depressioni si sarebbero evitate spostando l’intenzionalità collettiva verso un altro oggetto. La conclusione intermedia è che deve esserci un sistema ulteriore di elementi nella costruzione della realtà sociale perché funzioni, valori e status possano resistere ed essere riconoscibili nel tempo. Il fondamento mistico del potere deontico di cui parla Searle non può essere (solo) l’intenzionalità collettiva. Certamente non può essere il fondamento primo del valore del denaro e di ciò che, in ragione di quel valore, ci fa agire. Il fondamento della forza deontica del denaro è, a mio avviso, il passaggio dalla funzione qualunque espletata da un oggetto alla funzione di status: l’oggetto, grazie alla funzione di status, viene registrato in quanto oggetto di scambio. L’iscrizione è quindi un nucleo in cui l’intenzione coincide con la traccia, e soltanto una nuova traccia può modificarla. L’elemento di misticismo che emerge dall’idea di potere deontico di cui parla Searle corrisponde all’identificazione dell’origine di quel potere con una forza quasi trascendente, per cui qualcosa obbliga attraverso il denaro.
Conviene fare con il denaro ciò che Yan Thomas suggerisce di fare con il diritto, cioè focalizzare l’attenzione sugli usi per la comprensione profonda delle pratiche linguistiche che costituiscono gli oggetti giuridici. Nel caso del denaro è lo scambio il momento dinamico in cui l’oggetto si carica di un significato ulteriore. Proprio sullo scambio intendo chiudere la mia riflessione. Credo sia infatti questo il luogo di intersezione fra le due teorie del denaro descritte da Searle e Ferraris. Se il denaro è l’oggetto simbolico, lo scambio è il momento simbolico in cui la società accade, si modifica, si produce e si distrugge. Un momento il cui carattere essenziale è, paradossalmente, l’incommensurabilità: dei valori, dei linguaggi, dei principî che governano la vita umana e la sua variabile normativamente organizzata, la società. Osservato nella prospettiva dello scambio, il denaro è dunque ancora una volta da cogliere nella sua ambiguità, in questo caso nella sua doppia radice di elemento sempre presente nella vita umana e al tempo stesso presente sotto forme sempre differenti. A questo proposito Ferraris cita acutamente un esempio di speculazione sul denaro, i subprimes, e la piú recente forma di transazione propria solo del Web, criptata, immediata: il bitcoin, che segue appunto una logica peer to peer, senza terzo mediatore nello scambio.
[1] John R. Searle, Mind, Brains and Science, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1984.
[2] Pensées, Éd. Brunschvicg 294.
[Immagine: Andy Warhol, Dollar signs].
In sunto una parola spiega ogni cosa sopra,sotto,e nei dintorni del denaro-
contingenza1
con·tin·gèn·za/
sostantivo femminile
1.
Accidentalità, eventualità, possibilità di essere o non essere; concr., le cose non necessarie, cioè relative o eventuali.
“La contingenza che fuor del quaderno Della vostra matera non si stende”
2.
Occasione, circostanza, congiuntura, spesso straordinaria, triste o dolorosa.