di Chiara Portesine e Alessandro Brizzi

Chiara Portesine

Ieri sono stata al comizio di Salvini; per curiosità, soprattutto, e per capire.

Per uscire dal circuito autoreferenziale e sostanzialmente confermativo delle mie relazioni personali, su cui quotidianamente misuro il mio dissenso, e perché gli unici ‘comizi’ a cui fossi stata, dal vivo, erano quelli organizzati dalle feste dell’unità a Genova, prima della fase Renzi; un discorso di piazza del tutto inattuale se non nostalgicamente vintage.

Per elaborare un’analisi, soprattuto, e per misurare la mia responsabilità.

‘Il capitano’ arriva all’improvviso dalle retrovie, gli smartphone si sollevano come nuovi accendini che salutano l’ingresso di una rockstar. Da politico scaltrito, si presenta al pubblico raccontando di aver appena ricevuto una telefonata (in realtà, aveva già discusso della notizia, poche ore prima, a Siena) che lo informava di una nuova nave con a bordo 239 migranti; la folla grida “no”, Salvini risponde che se ne sta già interessando, e il dissenso si trasforma in sollievo. Tutti si sentono, per un attimo, protagonisti in presa diretta della storia, stanno vivendo l’evento insieme ai potenti, vengono per la prima volta messi a parte (artificialmente) di un evento politico prima e in alternativa alle istituzioni. Al pubblico senese e a quello pisano viene data la stessa illusoria speranza di sorprendere la politica nel suo farsi, di poterla, attraverso il megafono-Salvini, orientare e telecomandare come una macchinina semplice, che gli intellettualoidi della ‘vecchia politica’ (le presunte “cooperative rosse”) volevano dipingere come un dispositivo complesso soltanto per truffare la gente perbene. Salvini, invece, sembra vero, in tempo reale, senza che alle sue spalle esista un palazzo, nella sua infallibile retorica è tutto e sempre decidibile nella scenografia della piazza.

Qualcuno si sta occupando di tutti loro, i telefoni certificano la presenza concreta di un volto che qui ed ora si sta impegnando personalmente per rispondere ai fantasmi lasciati per troppo tempo latenti negli sgabuzzini della coscienza. Lui è arrivato a esibirli in piazza, ad assegnare loro la dignità di discorso, promette come individuo di sostenere sulle proprie spalle larghe il peso di un disagio sociale che si trova finalmente legittimato a esistere come posizione politica, senza alcuno strascico di sensi di colpa (saranno i buonisti di sinistra, al massimo, a piagnucolare e a invocare vecchi illuminismi umanitari per élite).

L’ironia di Salvini mi spaventa. Riconosco il tono canzonatorio del bullo che al liceo sfoderava un repertorio di battute pronte (“signora, non mi parli di pensioni; prima sognavo l’uomo nero, oggi sogno la Fornero”), che non dialoga con l’antagonista politico ma lo squalifica a priori (“tu sei l’unico con la maglietta rossa in tutta la piazza”). L’unico fondamento logico del suo sarcasmo è, in fondo, la diversità, è un’ironia separativa, che per confermare la maggioranza ha bisogno di capri espiatori ben visibili, di cui si ammette l’esistenza solo per beffa, senza cercare mai un reale confronto argomentativo. All’avversario Salvini spesso non imputa colpe precise, ma la persona stessa del nemico giustifica l’irrisione (“ormai se passa un giorno senza che la Boldrini mi contesti, allora significa che quel giorno ho sbagliato qualcosa”); Balotelli, Saviano, Gad Lerner vengono citati come puri nomi che in sé fanno ridere il pubblico, non importa il discorso specifico di cui si siano fatti, di volta in volta, portatori.

Salvini raramente commette gaffe, non ha il talento dell’ultimo Berlusconi di risultare inopportuno e maldestramente inattendibile; non presenta dati smaccatamente ‘sbagliati’, ma semplici illazioni, slogan inverificabili, porta alla ribalta frasi di senso comune che assistono alla propria legittimazione pubblica per un semplice effetto ottico di prospettiva e di tranfert. Sopra la tribuna, in giacca e cravatta, un politico può diventare il megafono per la pancia della gente, può permettersi di ripetere esattamente quei discorsi da bar della stazione che prima ciascuno si sarebbe vergognato di sostenere nel passaggio alla dimensione pubblica del discorso sociale.

Salvini è un maestro nello scendere in picchiata da un livello general-nazionale alla cronaca aneddotica locale (il noir un po’ morboso che tradizionalmente appassiona), e cita un episodio del giorno precedente – l’arresto di un trentenne tunisino che, durante una rissa, ha ferito il proprietario di un celebre locale-discoteca pisano. L’espatrio non è stato possibile perché il colpevole è sposato con una donna italiana incinta. Silenzio volontario, aspetta e ottiene la risata del pubblico; la notizia in sé viene letta come se fosse una barzelletta. Salvini sorride, commenta con l’eloquenza dei gesti, sottolinea maliziosamente di non voler entrare nella camera da letto degli italiani ma consiglia alle donne di scegliersi un marito italiano (ancora meglio, pisano). Non importa se alla notizia della donna ‘ingravidata’ dal migrante qualcuno dal pubblico abbia urlato “abbattiamola”, e che la risposta, attorno, sia stata un riso di consenso, al massimo uno sguardo bonariamente torvo di chi pensa ‘è una bravata, ma in fondo ha ragione”.

È troppo facile e semplicemente controproducente etichettare Salvini attraverso le definizioni di razzista, fascista o populista; è semplice e inutile sentirsi ‘dalla parte giusta’ sfoderando i temi, gli slogan e la contestazione dell’antifascismo storico, in cui la coscienza dell’uomo di centrosinistra può sentirsi pacificata e legittimata nel rifiuto di ascoltare o dialogare con questa fetta consistente dell’elettorato italiano.

La retorica di Salvini procede per auto-legittimazioni causali: io sono una persona perbene, do per scontato che il mio elettorato sia composto da persone per bene (frase che Salvini ha adoperato quando un giornalista, poche ore prima a Siena, gli aveva domandato se sapesse che, in prima fila al suo comizio a Rosarno, si trovassero persone affiliate alle cosche mafiose), quindi tutto quello che dirò sarà l’espressione del buonsenso ‘giusto’ della brava gente. I commercianti, la brava gente che si sente orgogliosa e compiaciuta di essere inclusa in questo paradigma morale, viene ulteriormente rassicurata dall’insistenza percussiva di clausole come “a Dio piacendo” o “nel giorno del Signore”. Quando Salvini si propone come padre di famiglia e uomo di Chiesa, sembra del tutto naturale accompagnare con un boato di cieca violenza e rifiuto la proposta di edificare una moschea, perché la moschea diventa, in questo regime di discorso, il nemico delle persone oneste. Se una piazza gremita può accettare e applaudire il passaggio logico secondo cui la sinistra risolve il problema della bassa natalità regalando alle giovani coppie senza figli i migranti ventenni già cresciuti (“senza che ci sia bisogno di portarli all’asilo o di curarli”), allora significa che con la auto-giustificazione di essere ‘brava gente’ si può accettare ogni argomentazione, è una sorta di passepartout ideologico che legittima e manleva dalle conseguenze di qualsiasi spregiudicatezza retorica. Io sono perbene, dunque tutto quello che dirò sarà legittimato e accettabile senza necessità di verifica.

Se questi comizi oggi sono possibili è perché non si è formato un contro discorso, una prospettiva politica alternativa che spieghi che le migrazioni internazionali non sono né il problema né la soluzione. Se Salvini aizza le folle spiegando che i rom non pagano le tasse, bisognerebbe chiedere a quegli stessi pisani stipati in Piazza Carrara (i commercianti, la brava gente) se loro stessi paghino diligentemente le tasse, producano fatture e scontrini fiscali, nel loro quotidiano fieramente italico e pisanissimo. Nella mia esperienza di studentessa e ‘cittadina pisana’ da cinque anni, che abita nel centro della città e che prende spesso il treno in quella stazione paragonata ieri a Nairobi, posso dire che i problemi non sono quelli posti sotto i riflettori da Salvini, e vorrei una politica che spiegasse che un altro discorso è possibile.

Se, tuttavia, è possibile assistere a un comizio che si appoggia soltanto su premesse indimostrabili e facili giochi di amplificazione, forse è anche colpa nostra, di quelli che Salvini apostrofa come “sfigati”, gli intellettuali che “vivono chiusi nelle biblioteche”. Rivendico orgogliosamente il fatto di studiare e lavorare per acquisire conoscenza e per comprendere il mondo, Salvini non potrà fare in modo che io viva la mia istruzione come una colpa e una sottrazione rispetto a un presunto ‘fare quello che vuole la gente con il linguaggio che vuole sentire la gente’ ; eppure, quando la musica epica accompagna la fine del comizio, sento che qualcosa, nel mio ruolo di intellettuale, è storicamente fallito.

È fallito perché sembra troppo facile mostrare le contraddizioni logiche del discorso di Salvini e dei presentatori leghisti che l’hanno preceduto (“il candidato di sinistra ha partecipato per anni alle sedute in Consiglio e non è stato capace di fare nulla” – stacco di dieci minuti “il candidato di destra ha l’esperienza politica di essere stato in Consiglio per anni, non è ignorante come lo dipingono i giornali rossi”). Il tradizionalista tecnobofo che non vuole far crescere i figli di fronte al Grande Fratello e agli schermi televisivi, conclude il comizio invitando gli elettori ad avvicinarsi al palco per ricevere la loro dose di selfie quotidiana, ma l’ossimoro logico non viene percepito come tale, tutto fa brodo. Sembra così facile da decostruire, sembra non valerne la pena.

È fallito perché se l’unico discorso da opporre alla propaganda salviniana è quello che si limita aristocraticamente a considerare sbagliate e razziste le posizioni di Salvini, la sinistra ha perso la capacità di orientare e costruire una posizione politica autonoma che prescinda dall’ormai fantomatico ‘buonismo alla Fabio Fazio’.

È fallito, in fondo, perché il modo classico di contestare un linguaggio che giudico inaccettabile non è più possibile, perché l’atto stesso della contestazione contribuisce soltanto ad alimentare il circolo vizioso del ‘solito centro sociale’ (i figli di papà annoiati – stereotipo che reintroduce anche, in forme paradossali, una sorta di ‘lotta di classe’) che minaccia la libertà d’espressione di un onesto cittadino virtuoso. Perché non si riesce a spostare il discorso pubblico su altri temi, riempire i non detti di Salvini con interpretazioni che non suonino come sterili antagonismi che si limitano a misurarsi (da perdenti) sullo stesso terreno discorsivo? Salvini ha criticato i contestatori che non sanno godere della bellezza di una cena su un Ponte di Mezzo barricato, ma quanti tra i presenti al comizio hanno davvero potuto usufruire di quella sofisticata opportunità gastronomica, e non hanno, invece, visto sottrarsi la possibilità di spostarsi in uno spazio pubblico che appartiene alla cittadinanza? Quante persone hanno applaudito al presentatore leghista quando ha accusato i rom che rubano i portafogli di disincentivare il turismo e impedire a Pisa di diventare una delle città più ricche d’Italia, quando il problema per i turisti è perlopiù costituito dai pisani stessi e dalle strutture/modalità per l’accoglienza dei turisti presenti sul territorio italiano? Forse quegli stessi commercianti, supportati da una medesima e contraria operazione di propaganda, si scaglierebbero contro i turisti che ‘sporcano’ la città e diminuiscono il tasso di una presunta pisanità, se Pisa diventasse realmente una città-vetrina assediata dalle migrazioni ricche del turismo globale.

Credo che ci sia bisogno di costruire un discorso, senza partire dallo stesso meccanismo perverso di degradazione retorica e snobistica dell’avversario e dell’opinione altrui, e senza appellarsi a un astratto quanto pericoloso buon senso. C’è bisogno, in fondo, di un pensiero dialettico.

Alessandro Brizzi

Chiara Portesine fa un ottimo resoconto del comizio di Salvini a Pisa, a cui aggiungo alcuni elementi:

– La composizione anagrafica e sociale della piazza. L’età media era di circa 50-60 anni: pochi i giovani, molti i baby-boomers. Non a caso, il riferimento costante (del candidato Conti, ma anche di Salvini) erano gli anni ’80, descritti come un’età di spensieratezza e tranquillità. Dal punto di vista sociale, mi è parso che prevalessero di gran lunga i pensionati e quelli che – in assenza di una definizione migliore – chiameremmo piccolo-borghesi, soprattutto per marcare la differenza rispetto alla cena tenuta poco prima dalla Confcommercio. Rimane sempre il rischio di usare vecchie categorie, connotate in senso spregiativo, e di farsi sfuggire il rapporto che intercorre tra la composizione sociale della piazza e quella della città, che sembra caratterizzata dalla prevalenza dal commercio al dettaglio, della produzione artigianale, del lavoro impiegatizio o nei servizi. Se non si conosce Pisa e la sua evoluzione storica, economica e sociale (e qui ammetto la mia ignoranza), è difficile parlare di un comizio per le elezioni comunali pisane.

– Tra i pochi giovani presenti, c’era un divario piuttosto netto (ma per nulla sorprendente) tra i pisani e gli universitari fuori sede, a cui si aggiungevano alcuni studenti medi dei giri militanti. Girando per la piazza, cercavo di distinguere i curiosi dai sostenitori, intercettando molte occhiate, bisbiglii e segnali di ostentato straniamento. Qualche volta ho sorpreso amici e conoscenti, imbarazzati quanto me per essere sgattaiolati oltre i cordoni e le transenne “per vedere di nascosto l’effetto che fa”. Credo che molti condividessero un senso di impotenza e frustrazione, reso ancora più palese alla fine del comizio, quando Salvini si è prestato alla cerimonia dei selfie. Lì sarebbe stato semplice contestarlo, complice lo sbandamento di una piazza di anziani, poco adatti alla fusione mistica nella folla per più di due ore. Eppure, come ci ha rimproverato uno studente Erasmus, non si è fatto niente. Vero, ma forse in molti abbiamo condiviso la percezione che il problema più pressante – l’incontro tra una cultura politica reazionaria e gli strumenti del potere normativo e repressivo – non si risolvesse nel carisma di cui la piazza investiva Salvini, ma che andasse oltre. Non è una valutazione secondaria, soprattutto se ci aiuta a ridimensionare – in parte – l’ansia che ci deriva dai confronti sommari con gli anni ’20 e ’30. Dove sono le folle di studenti universitari, nerbo dei movimenti nazionalisti e fascisti? In maniera più provocatoria: dove sono i fascisti?

– I temi. Dovrebbe essere la parte più importante, nel resoconto di un comizio, ma devo ammettere che non ricordo esattamente il discorso di Salvini. Nella mia vita ho visto tre grandi comizi elettorali a Torino (Veltroni 2008, Bersani 2013, Grillo 2013), e per ovvie ragioni questo della Lega si può confrontare solo con l’ultimo. Di quello di Grillo mi è rimasta soprattutto una certa insistenza sull’olio tunisino, che faceva il paio con la filippica di Salvini contro il riso cambogiano “impastato con il cemento”. Quello che stupisce è la disposizione del discorso, l’associazione dei concetti, che non fa che rafforzare strutture di senso consolidate. La questione dei rom, per esempio, è stata liquidata con del sano “buon senso”: se paghiamo le tasse per i loro campi, perché non possiamo controllarli? Al ministro dell’Interno è bastato dire questo, perché poco prima il deputato Ziello era riuscito ad associare, nel suo discorso, la presenza dei campi rom alla rovina economica di Pisa.
Si è parlato di diverse cose, che andavano dalla politica nazionale a quella cittadina. Ziello ha scelto di puntare tutto sulla cristianità e sulla comunità; la sindaca Ceccardi ha parlato dell’assegnazione delle case popolari; Salvini, più degli altri, ha legato il discorso dell’identità nazionale a quello dell’accesso ai servizi sociali. Eppure, quando si parlava di scuole e ospedali, si registravano pochissimi applausi: molti di più, in ordine crescente, sui parcheggi e sulle strisce blu, su spesometro e redditometro, sul degrado della stazione, sullo spaccio, sull’immigrazione e sui barconi, sulla moschea (vero boato), fino all’uscita che ha riscosso più consenso in assoluto: quella contro quei “quattro sfigati dei centri sociali”, invitati a studiare e a farsi una vita. Di quei quattro sfigati, quei pochi presenti in piazza, che fossero studenti medi di tutte le estrazioni sociali, studenti fuori sede (in affanno o meno tra studio, affitti e lavoro) o normalisti privilegiati, si sono sentiti chiamati in causa per la prima volta. E credo che un po’ di loro si siano guardati intorno e abbiano pensato che la dicotomia classista tra “figli di papà” e “onesti produttori” non dicesse molto della differenza che correva realmente tra loro, il pensionato con la polo e la sigaretta elettronica al loro fianco, il professionista di mezza età con il toscano e la camicia bianca (che applaudiva meno degli altri e sorrideva) o i veri “figli di papà” traghettati dalla cena di Confcommercio al comizio e pronti a farsi il selfie con la fidanzata e con Salvini. Molti sinceri democratici vorrebbero che la differenza fosse tra intelligenti e analfabeti funzionali; i nazionalisti rispondono che è tra classi produttive patriottiche ed élites cosmopolite e idealiste. Conviene sfuggire a questa tenaglia.

– Sipario. Alla fine del comizio, mi avvicino alla zona selfie, in cui Salvini sta incontrando i fan. Sono a un metro e mezzo da lui e devo combattere la tentazione di dirgli, anche in maniera calma, che lo trovo spregevole. Vengo però distratto da una discussione tra due ragazze e un trentenne: capisco subito che le prime sono di sinistra, mentre l’altro è difficilmente identificabile. Loro gli dicono, con molta foga, che il nemico non è l’immigrato, ma il padrone; che il problema è il capitalismo, e che non possiamo pensare solo ai soldi, ma dobbiamo concentrarci sulle persone. Lui dice che sono tutti bei discorsi, ma bisogna partire dalle cose concrete: i cambiamenti vanno fatti passo per passo, non si può essere idealisti; per lui Salvini, su alcune cose, ha il merito di individuare dei problemi concreti. Mi intrometto, e scopro che il ragazzo è un netturbino che dovrà pulire la piazza alla fine del comizio; ha votato Movimento 5 Stelle e su alcune questioni sostiene questo governo, ma è contrario alla flat tax. Le ragazze gli chiedono di pensare a un cambiamento complessivo della società, ma lui obietta che non vede come si possa cambiare tutto così, da un giorno all’altro: chi farebbe lo spazzino, se non esistessero forme di coazione al lavoro? Allora ci mettiamo a parlare di reddito, di automazione, di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, delle difficoltà a cui andrebbe incontro un’economia nazionale isolata se si facesse carico delle questioni sociali; poi ancora di hotspot per i migranti e di canali umanitari, del sistema dell’accoglienza, dell’assenza di solidarietà europea. Sulla questione dell’immigrazione rimaniamo in disaccordo, anche perché su quelle ho potuto sentire e leggere le rivendicazioni dei migranti organizzati; sul resto, però, troviamo molti punti di contatto. In qualche modo, entrambi lasciamo la piazza più sereni.

[Una prima versione di questi interventi è apparsa su «Facebook»]

 

[Immagine: Matteo Salvini a Pisa]

17 thoughts on “Il comizio di Salvini a Pisa

  1. Analisi abbastanza articolata e realistica del discorso salviniano.
    Mi permetto tuttavia di fare osservare che tale analisi non spiega il successo, perchè Salvini lo propone ormai da quando ha assunto la guida della Lega, ma il modesto successo degli inizi sia più che altro dovuto all’insuccesso degli altri, alla loro totale sprovvedutezza.
    A me pare, ed almeno nel mio personale caso funziona così, che il discorso continua a disturbare a molti, e che il consenso non sia al discorso, non sia dovuto quindi alla sua brillante retorica, quanto invece ai fatti, alle cose che propone e che esegue, alla lacerazione spietata della narrazione piddina di un mondo ingiusto ma che va per il momento accettato in attesa di far passare “a nuttata”. L’ultima è l’indubbio successo di Conte alla riunione di Berlino, dove l’ipotesi Macron è stata semplicemente stracciata, è ormai fuori dall’agenda della UE, e la proposta all’odg è invece quella del bieco governo gialloverde.
    Ho cioè l’impressione che fermarsi allo stile retorico non spieghi alcunchè, magari gli italiani sono stanchi di sentirsi dire che non bisogna contraddire madame Merkel perchè sennò ci mettono nell’angolo. Non è quindi un sentimento irrazionale che guida i comportamenti elettorali, ma al contrario una razionalità di fondo. le attese ci sono, i risultati ancora limitati, ma mi pare razionali dare fiducia a costoro dopo gli insuccessi clamorosi di quelli che c’erano prima.
    Se chi si propone per l’analisi politica non fa questo ulteriore passo, temo che alla fine dimostri di essere lui stesso vittima della narrazione precedente.

  2. 1 Salvini ora ha preso in mano il centrodestra ma non è che l’Italia -e non era l’unico paese- mancasse di retorica nazionalista. Ricordiamoci di aver avuto una legge Bossi-Fini e un governo FI-AN-LEGA.

    2 La sinistra non deve cercare nessuna alternativa. È Salvini l’alternativa, al massimo Grillo. Dal momento che il PD è diventato la voce dell’FMI in Italia, non esiste più l’alternativa a sinistra. Eltsin, ossia la politica dell’FMI, ha portato Putin, per altro con gran sollievo dei russi. Purtroppo temo che Salvini non abbia le abilità di un Putin, a parte i diversi armamenti a disposizione e il diverso ruolo geopolitico delle due nazioni.

    3 La scena finale è molto bella nella sua realtà ma restituisce perfettamente la sterilità di una sinistra da 5%. Per risalire la china non basta confabulare dietro le quinte, ci vogliono delle realtà da combattere. Quali ? Direi le politiche di contrazione salariale + apertura sconsiderata ai mercati + impossibilità di agire sulla moneta+ scetticismo verso la democrazia intesa come possibilità di scegliere diversi modelli sociali tutti rispettosi del regime parlamentare. Diamo loro delle facce a questi nemici, facciamone i nostri nuovi Berlusconi, per raccogliere più voti: Juncker, Clinton(il trattato transatlantico era roba da non credere), Monti, Mattarella. Ecco, qualcosa non torna, e non è certo colpa del povero Renzi. E se Trump come presidente avrà anche solo la metà del successo di Putin, i PD + 5% di questo mondo avranno tempo per continuare la loro eroica resistenza dal salotto di casa. Alla fine il più sensato mi sembra proprio l’amico netturbino.

  3. p.s Se non ricordo male il PD ha i suoi maggiori elettori tra i sessantenni. Non credo sia il caso della Lega, certamente non quello dei 5 stelle. Quanto alla Francia sono sicuro, 50-70 anni piuttosto per Macron, 20-40enni piuttosto per Le Pen. Anche in questo caso se la sinistra vuole capire il mondo deve un po’ cambiare i propri schemi mentali: il 60enne non è più il vecchio, laido e reazionario, ma colui che ha goduto degli ultimi vantaggi degli anni ruggenti e ora ha paura di ogni forma d’instabilità o semplicemente non capisce di cosa si lamentino i giovani in questo mondo in cui c’è tutto: benessere, apertura, stagnazione de prezzi.

  4. non si tratta di rinnegare le ore passate nelle biblioteche ma di chiedersi se stando lì abbiamo letto i libri giusti
    tanto per fare un esempio, è inutile smontare coi fatti le dichiarazioni di Salvini perché le persone non votano seguendo i fatti e la razionalità ma le emozioni (si vota con il cuore e la pancia, non con la testa), se non si capisce questa cosa basilare della politica assisteremo ancora a molti comizi di Salvini e a molti netturbini più saggi degli intellettuali anche se meno colti

  5. Vedo che alcuni rimproverano alle nostre riflessioni – che non hanno la pretesa di costituire un’analisi strutturata – di pretendere una politica razionale, basata sui fatti. Nel nostro piccolo, si evocava semplicemente l’esigenza di una contronarrazione; al massimo, si è messo in evidenza l’enorme investimento politico e simbolico su tempi specifici (come quello dei campi rom) per la soluzione di problemi reali, pressanti e complessi (come l’innegabile declino economico di Pisa, o la crisi dei servizi, come case popolari, ospedali ecc.).

  6. Vedo che alcuni rimproverano alle nostre riflessioni – che non hanno la pretesa di costituire un’analisi strutturata – di pretendere una politica razionale, basata sui fatti. Nel nostro piccolo, si evocava semplicemente l’esigenza di una contronarrazione; al massimo, si è messo in evidenza l’enorme investimento politico e simbolico da Salvini e dei suoi su temi specifici (come quello dei campi rom) per la soluzione di problemi reali, pressanti e complessi (l’innegabile declino economico di Pisa, o la crisi dei servizi, come case popolari, ospedali ecc.).

  7. Oltre ai punti di contatto segnalati da Brizzi e alla fiducia data per una razionalità di fondo, di cui scrive Cucinotta, ho osservato, partecipando a una riunione preelettorale per ascoltare Bagnai, che la Lega è un vero partito strutturato, efficiente, inclusivo. Mi è venuto in mente il centralismo democratico del PCI. Questa idea di partito che la Lega trasmette: unitari come una falange, nessuna contraddizione interna, il comando è sicuro, i “quadri” sono coltivati e messi ai posti giusti, è protettiva e confortante. Il partito leggero, all’americana, che emerge solo al momento elettorale, non serve nei problemi presenti.

  8. @Axel Shut
    Non confondiamo una forma di comunicazione efficace con la licenza di praticare una qualsiasi politica se siamo abili nella comunicazione politica.
    Io non sottovaluterei gli elettori, sono molto più razionali di quanto si vorrebbe credere.

  9. Grazie di questo reportage-riflessioni. Emerge la centralità del tema della retorica, della comunicazione.
    Secondo me è questa la direzione verso la quale occorre spingere l’analisi, a fondo.
    Il modo di comunicare di Salvini non è solo erede di quello di Grillo. E’ il loro modo di comunicare che è il nostro. Ogni volta che prendiamo la parola sui social, prima di quel che diciamo, conta il fatto che ci siamo. Oggi la comunicazione della presenza, dunque uno spostamento verso i soggetti coinvolti a scapito degli argomenti, è strutturale, costitutivo.
    Inoltre i contesti sono esplosi. Oggi una battuta di Lercio produce effetti comunicativi che rimbalzano immediatamente nella percezione “seria” delle questioni. Quando apriamo FB, siamo assediati da questo modo di comunicare in cui tutto è satira, niente è satira, in cui dire “andremo casa per casa a fare pulizia dei clandestini” è razzismo ma non è razzismo, perché sono “solo” parole, revocabili, come quelle dei bambini che giocano al “ora facciamo che”.
    Per ora l’unica cosa che siamo stati capaci di dirci (perché siamo pavidi e non ammettiamo che la politica è conflitto e che oggi il conflitto va spostato contro il capitalismo dei media) è che bisogna insegnare alle persone a decodificare, verificare le fonti, fare confronti, filtrare. Cioè: i politici dicono quello che vogliono perché son fatti così, la propaganda è costitutiva del loro essere. I media non possono che riferire, perché questa è la realtà. Gli unici tenuti al pensiero critico sarebbero i poveri cristi di cittadini. Tutto sulle loro spalle. Poi se non ci riescono, qualcuno li deride pure come analfabeti funzionali Grillo-Salvini-votanti.

    Segnalo: https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:4403

    Saluti e grazie

  10. Mi permetto di rispondere al commento di Alessandro Brizzi, precisando per prima cosa che il razzismo salivano è nefando, non vorrei ci fossero confusioni.
    Ciò detto, il servizio sarebbe stato forse più d’attualità se si fosse intitolato: il programma sociale della Lega esiste (1)?
    Prima puntata perché è una questione che naturalmente non si può risolvere in un solo servizio e merita di essere seguita nei fatti positivi della legge e delle manovre economiche.
    Ecco, questo sarebbe stato un approccio diverso rispetto al solito primo piano dell’avversario in cui si cerca di mostrare quanto è brutto. Interessante anche perché questo è il grande scoglio del populismo di destra al momento di raccogliere un vasto elettorato, ossia di far combaciare lato sociale e lato “razzista”.
    Molti imputano alla sua sola incapacità il disastro di Marine Le Pen nel dibattito prima del secondo turno. In realtà Le Pen, nel momento in cui ha dovuto parlare con una sola voce, e non a anti frammenti d’elettorato, si è trovata di fronte alla Sfinge: partito anti-immagrazione o partito sociale ? Come chiunque si trovi nel panico, ha scelto la via più facile, quella vecchia, il partito anti-immigrazione. Avrebbe perso comunque ma così ci ha fatto una pessima figura e buttato alle ortiche 5 anni di lavoro svolto dal suo partito per essere altra cosa dal partito dei razzisti.
    Salvini, in una certa misura, si trova davanti allo stesso problema. Per ora sta facendo come la Le Pen. La cosa produrrà una sconfitta simile o i 5 Stelle garantiranno il lato “sociale” della maggioranza ? Rispetto al FN la Lega ha un passato meno ingombrante che gli permetterà di insistere sul lato razzista del proprio programma? Personalmente non credo, perché alla lunga la gente sarà stanca di questi piatti forti. In ogni caso lo scoglio dell’Euro e delle politiche europee dubito che Salvini possa evitarlo. La crescita della Lega come partito si deve soprattutto alla coerenza del suo euroscetticismo, così come all’impressione di competenza tecnica in questioni economiche, grazie all’arrivo di tanti ottimi economisti euroscettici. In giro non ne mancano.

  11. La cosa alquanto stravagante di tutta questa faccenda è che i presunti analisti politici sono essi stessi parte in causa. Ad esempio, l’articolo linkato da Lo Vetere, è perfino imbarazzante, perchè dire che va fatto un censimento dei campi ROM (ecco, nell’usare l’espressione “censimento dei ROM” viene fuori la comunicazione di Salvini per niente così abile e machiavellica come si vorrebbe sostenere) è una cosa che non capisco perchè vada demonizzata. Tra l’altro, un censimento di questo tipo è stato fatto sia dalla regione Emilia Romagna e anche dal comune di Milano, entrambi area PD come si sa. Sembrerebbe che la stessa cosa suona razzista se annunciata da Tizio e invece progressista se fatta invece da Caio, che razzista non può essere (per definizione?).
    Qui, parliamo di comunicazione, sostenendo che una certa rozzezza espressiva paghi, quando a me pare che sia il suo punto debole, perchè ciò che la gente va a guardare sono le politiche concrete.
    Nello sforzo di sostenere quanto siano stupidi gli elettori, qualcuno potrebbe non essersi accorto che l’elettore è più razionale dello stesso analista politico.

  12. Quando si perde, e si perde molto male, è consigliabile chiedersi anzitutto dove abbiamo sbagliato noi, non dove sbaglia l’avversario, che evidentemente ha sbagliato di meno.
    Se invece preferite “lasciare la piazza più sereni”, continuate così, e grazie, la prossima volta la Lega si prende l’80%.

  13. Esistono ancora modi intermedi fra la percepita brutalita’ sulle cose di chi governa oggi e la fin troppo esperita inconsistenza nelle parole di chi governava ieri: la politica attiva in altre forme, l’associazionismo relazionale tuttora molto forte, l’impegno privato individuale mai abbastanza considerato, il commentario in pubblico pacato e intelligente, la parola scritta a ritorno atemporale. Fra 2014 e 2015 ebbi un inatteso e non voluto ritorno di voce che si chiuse con queste, forse adatte al momento delicato. Da qui: http://golfedombre.blogspot.com/2016/02/giuseppe-cornacchia-alcuni-inediti.html

    ——–
    MIGRANTI (2015)

    Nel coma non ho visto nulla
    accade ciò che si vuole che accada.
    Dentro il nero sei solo
    e tutto si ferma, né vivo
    né visto da fuori che vivi.
    Proviamo al contrario: io tu famiglia
    villaggio città provincia regione
    nazione continente pianeta sistema
    galassia galassie clusterizzate
    settore ramo di convoluzione.
    La luce non regge più il tono.
    Sono morto di nuovo.

    *

    D’un tratto hai quarant’anni.
    Si vede già quel che eri tu ieri
    ripetere la scia.
    Il passato è passato.
    Hai da scrivere questa
    poesia e fissare il momento
    ma poi squilla il telefono
    e la vita in cui sei finito
    ti dice di tornare sulla via.

    *

    Se sono arrivato fin qui spinto dal limite
    e quindi perduto alla vista comune
    troppo presto, adesso è impossibile
    tanto il bagaglio accumulato di frizioni.
    Dall’occhio astigmatico che male si accoppia
    all’altro che è miope, a quello
    severo ingiustamente calibrato
    che ha vinto su di me sommerso nella pece.

    *

    E poi di colpo il gelo
    quando anche la pece solidifica
    e tutte le persone che lasciasti
    sono morte, tu affoghi nel rimpianto
    ma non affoghi, è questo lo zero
    della vita, tutto è fermo ma grida.

    *

    Di nuovo fuori, di nuovo per acqua
    il grido qualcosa ha smosso
    e son tornato a sentire dolore
    a forza, prima la testa e poi tutto il resto.
    Non credo d’aver fatto da solo, non credo
    qualcuno ha donato il sangue al mio corpo
    per un ruolo che non ho mai vissuto.

    *

    Il suono della vita mascherato
    e fa dire che non siamo agiti
    sotto la pelle. Ci sono le ossa
    tutto intorno all’acqua, l’impulso
    numero dei nostri pensieri combinati
    la sintesi di tutto ciò che siamo.
    I corpi fanno campo nella relazione
    e quel che tu leggi, quel che io leggo
    sono diverse espressioni dei modi
    tra le quattro forze della fisica pura.

    *

    Di nuovo a casa. Dove picchia il sole
    le forze naturali della vita
    semplificano quel che sono
    i bisticci per motivi economici
    o forse l’altrettanto naturale spinta
    al gesto che qui non trovo. Ripartirà
    un altro simile a me, nei suoi occhi
    la noia e la rassegnazione del dovere
    la necessità del moto. Capisco.

    *

    La mia lunga assuefazione all’assenza
    infine diventata assenza
    ha poi reso indistinguibile il resto
    la forma del corpo nel campo dato
    altrettanto importante al tempo
    da farsi in un istante causa esatta.

    *

    Omino del mare io ti riaffido
    in nome delle stelle del mio cielo
    la terra generatrice di mostri
    gli stessi che porti sul cuore nero
    delle pestilenze che già vivesti
    da quando il toro bianco mi prese
    esposta come mai al grande blu
    promettendo un amore duraturo
    battuto e fiero in ogni tempo nuovo.

    —————-

  14. “ Martedì 26 giugno 2018 – Poi vedo la prima pagina del Manifesto di oggi. C’è una grande foto con il nuovo sindaco di Siena De Mossi e Salvini che si fanno un selfie in Piazza del Campo. Sulla foto c’è un titolo: « Deserto rosso ». Così penso che fare il giornalista è bello, e fare il titolista anche di più. Perché è facile, anzi « di una facilità mostruosa », come diceva quel piccolo – di statura – giornalista che ho conosciuto tanti anni fa. Però mi chiedo anche: ma lo sanno quello che fanno? Lo sanno che « Deserto rosso » è un film? Lo sanno che cos’è un film? La risposta è no, perché nemmeno se lo chiedono. Perché sono piccoli – tutti i giornalisti sono piccoli, mostruosamente piccoli. Ma cresceranno, io dico che dovranno crescere, vedrai se non è vero. Quello che ho conosciuto io, intanto è già cresciuto: è diventato professore universitario. Per non sapere né leggere né scrivere… “.

  15. Per gli intenti che si prefigge, l’articolo mi sembra eccellente. Non manca la necessaria autocritica, ma – dal mio punto di vista – non si può tacere sulle innumerevoli contraddizioni e semplificazioni che contrassegnano la retorica salviniana, quest’ultima sarà pure vincente ma non può essere considerata esente da critiche. Del resto parlare per i prossimi 5 anni esclusivamente del PD e della sua crisi non mi sembra poi così tanto interessante.
    Ci si chiede quale sia effettivamente la politica sociale della Lega, ma quale può essere realisticamente la politica sociale di una forza politica che propone la Flat Tax? Si potrebbe sostenere che, almeno sulla carta, la tenuta “sociale” dovrebbe essere garantita dal previsto reddito di cittadinanza, ma personalmente continuo a ritenere che sia ingiusto – oltre che sbagliato – far parti uguali fra diseguali.
    Sinceramente non vedo molta razionalità negli attuali comportamenti elettorali, altrimenti non si capisce perché l’immigrazione diventi un tema centrale del dibattito pubblico proprio nel momento in cui gli sbarchi – con metodi assolutamente discutibili – sono diminuiti del 70 %. Il disagio sociale è forte e pressante, ma non si può semplicemente accondiscendere alla narrazione che lo ricollega automaticamente agli sbarchi e ai costi dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Il problema delle periferie non nasce nel corso di questi ultimi anni e l’efficace retorica dei vincitori non può e non deve intaccare le – poche – ragioni dei vinti.
    Infine, vorrei segnalare che Salvini parlava di “censimento dei rom” e non dei loro “campi”, senza contare che la relativa proposta era finalizzata all’espulsione di massa dei presunti irregolari…Ebbene, si tratta di una soluzione sostenibile ed efficace, oltre che costituzionalmente legittima, al problema della loro integrazione?

  16. @ A.C. Pane
    Lei si domanda: “Sinceramente non vedo molta razionalità negli attuali comportamenti elettorali, altrimenti non si capisce perché l’immigrazione diventi un tema centrale del dibattito pubblico proprio nel momento in cui gli sbarchi – con metodi assolutamente discutibili – sono diminuiti del 70 %”

    Risposta: perchè dopo venti anni di “immigrazione è sempre bello & inevitabile, chi solleva il minimo dubbio è un fascioleghista barbaro e malvagio” gli elettori italiani non si fidano più delle classi dirigenti progressiste, e punto. C’è voluto un bel po’, ma dai e dai è successo.

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