19 thoughts on “Per «il manifesto»

  1. Ancora? Sono dieci anni che organizzano collette e gridano alla crisi! Scusate, ma se fosse venuto il momento di chiudere finalmente, una volta per tutte questo giornale? Se l’esperienza “Il Manifesto” fosse giunta al suo termine, non per il complotto di qualcuno, per la mancanza di cultura politica nel paese, ma semplicemente perché non corrisponde più allo spirito nostri tempi e non è capace più di esprimere nulla? Perché sempre e solo accusare il governo, montare teorie del complotto, parlare di chi «vuol far piazza pulita del pluralismo»? Se anche i lettori più affezionati non riescono a comprare il giornale più di due volte a settimana, forse il giornale dovrebbe cominciare a prendere atto (con enorme ritardo) del fallimento del progetto che ne era all’origine.

    Valentino Parlato «fondatore del manifesto e presidente del Consiglio di amministrazione» sembra abbia rilasciato questo messaggio rivolto ai lettori: «Non vi chiediamo soltanto soldi – ha detto – ma anche idee e suggerimenti. Il giornale si è un po’ addormentato, non ci ha fatto bene il governo dei tecnici, dobbiamo tornare a fare un giornale battente. Articoli più brevi, pungenti. Anche più ironico». Perché mai si deve sostenere un giornale che è talmente a corto di idee da dover elemosinare idee di giornalismo ai suoi sostenitori? Perché non chiudere, prendersi una vacanza, un po’ di tempo, pensare, riflettere, pensare eventualmente a qualcosa di nuovo, e soprattutto di più necessario?

  2. Ma poi cosa mai “manifesterà” sto manifesto? Nessuno lo sa. Lo leggevo quando ero adolescente. E fosse per me lo lascerei vivere solo nei ricordi.

  3. E’ proprio vero. E questo blog si accomuna per la mancanza di un qualsivoglia orientamento… nemmeno lo ricerca, si affida alla casualità, tanto argomenti di qualunque genere sono innumerevoli, postarli fa parte della non-scelta del contemporaneo: c’è sempre chi ne parla, tanto pour parler. Niente si vuole affrontare veramente. Né letteratura, né società, vedo commistioni senza alcun senso o con senso compromesso alle ragioni dell’indifferenza e deleterio, ecc. si pensa di offrire uno spazio non sapendo che spazi di questo tipo abbondano, miserevolmente

  4. Io sinceramente lo leggo e mi dispiace di tutto questo.
    Magari ho delle limitazioni cognitive, non lo so, può darsi, in realtà l’ho sempre sospettato.
    Comunque, io ritengo che l’intervento dell’editoriale on-line sia molto onesto e dica semplicemente le cose come stanno: si è preferito fare tagli all’editoria piuttosto che a altre cose (dato di fatto con cui si può concordare più o meno, per carità), il giornale in questione ha/ha sempre avuto una posizione politica tale da precludersi un vasto pubblico (anche a sinistra, ovviamente), il giornale in questione manca (per diretta conseguenza al punto due) di sostegni pubblicitari adeguati, il giornale in questione chiede dunque aiuto ai propri lettori, al proprio “piccolo pubblico”.
    Insomma, non ci vedo nulla di sbagliato, in questo. E’ normale che stiano lottando per tenere aperto il LORO giornale. Io farei lo stesso. Nel senso, non vedo perché accanirsi. Basta non sostenerli e punto.

  5. @Gemma
    «Si è preferito fare tagli all’editoria piuttosto che a altre cose». A me risulta che il governo abbia tagliato un po’ ovunque
    Non capisco perché uno stato debba sostenere giornali -cioè imprese private– che come dice lei «si precludono un vasto pubblico» a priori. Se un giornale non riesce a vendere è giusto che chiuda. Lo stato non è un erogatore di elemosina pubblica. E il mondo intellettuale dovrebbe imparare a vivere di quello che fa, e non delle prebende pubbliche. Lo stato francamente imbarazzante della cultura dipende anche da questa forma di assistenzialismo ideologico e rassicurante.

  6. Diciamo che leggere il Manifesto, oggi come oggi e se si ha più di 18 anni, fa molto radical chic. Se lo tolgono dalle edicole come faranno a riconoscersi tra loro?
    Scherzi a parte, Rudi Dutschke ha perfettamente ragione. Il manifesto ha ricevuto fino all’altro ieri palate di contributi pubblici dallo stato. E ora, che i contributi gli vengono ridimensionati, non riesce più ad andare avanti. Il che vuol dire che è un quotidiano non autonomo, senza sponsor, senza una campagna abbonamenti seria e quindi, è un quotidiano non letto.
    Un giornale così nella stragrande parte dei paesi europei sarebbe inconcepibile. Non vedo perché lo stato italiano dovrebbe ancora una volta farsi garante di una cosa così obsoleta.
    E, per concludere, un’osservazione su questo post. E’ veramente insensato e anche un po’ antipatico, che uno spazio serio come questo si prenda la briga di perorare la causa di un quotidiano che, per le suddette cause, dovrebbe essere tranquillamente ignorato. Questo post mi sembra un’inutile bandiera politica apposta sul vostro sito, una bandiera di quella sinistra totalmente fuori dalla realtà che, assieme all’ignobile personaggio che ci ha governato per 17 anni, ha contribuito alla degenerazione di questa società.

  7. Senza entrare nel merito della questione, ciò che davvero mi sbalordisce è la protervia ideologica, se mi passate l’espressione, di alcuni degli intervenuti. Che sia il mercato a decidere chi deve sopravvivere e chi no è dato per scontato, come cosa ovvia e indiscutibile.
    Mi dite voi che differenza ci sarebbe dunque tra lo stato teocratico iraniano e la cosiddetta società aperta di Popper che idolatra il mercato? Entrambe, mi pare, si basano su assiomi, come tali non degni neanche di essere discussi.

  8. Probabilmente sono stata fraintesa.
    Ho detto: il governo ha fatto tagli all’editoria ( DATO SU CUI SI PUÒ CONCORDARE O MENO, PER CARITÀ); in senso: ha fatto tagli dappertutto, come appunto è stato ribadito, ed è tranquillamente plausibile che li faccia anche lì, che personalmente uno possa concordare o non concordare.
    IN seguito: in ho meno di diciotto anni e non sono una radical chic; lavoro in modo precario, studio all’università, vivo (assieme al mio ragazzo) in un appartamentino di 45 metri quadri dentro ad un condominio che pare Babele.
    Detto ciò, a me il Manifesto non dispiace. Certo, a volte non sono d’accordo con certi articoli, ma mi capita anche di non essere d’accordo con quel che leggo sulla Repubblica o sul Fatto.
    Sarò mentalmente limitata, o una mancata intellettuale-snob, cosa devo dirvi. Magari dentro di me alberga un obsolescente mostro sociale e non lo so.
    Scherzi a parte: ‘intento del mio commento era semplice: è normale che chiedano aiuto ai loro lettori, e che cerchino di difendere la loro causa; non ci trovo niente di strano, od esotico, nel tentativo di restare a galla. Potete non essere (in modo assolutamente legittimo) d’accordo, ma ovviamente la redazione crede in ciò che fa (magari a torto) e combatte per continuare a farlo.
    Secondariamente: il problema non è soltanto di una testata che può rimanere simpatica o meno. Questa legge comporterà dei tagli enormi in un settore in cui, salvo qualche grande nome e qualche dirigente, non c’è molta ricchezza; a rimetterci saranno i soliti collaboratori, piccoli giornalisti, pubblicisti bistrattati, poligrafi, che andranno puntualmente a trovarsi senza un lavoro da un mese ad un altro (all’incirca 5 mila persone); magari sono gli stessi che rinnovano il tesserino per 100 euro l’anno e non gli rimborsano le spese. Non sono discorsi retorici, ci sono tranquillamente statistiche e documenti reperibili in merito. Sto in un giornale, e so quanto deve sgobbare una persona per mantenere lo stipendio entro la soglia della sopravvivenza.
    Ovviamente i tagli da qualche parte vanno effettuati, ma non mi rassegno al fatto che c’erano altri modi per reperire quel denaro (magari riformando altrimenti l’editoria, perché no), modi che non è il caso di stare ad elencare, altrimenti andrei vergognosamente fuori argomento.
    Poi boh, sono idee vanno prese in quanto tali.

  9. ops, scusate: al secondo rigo è IO HO PIÙ DI DICIOTTO ANNI (23, per la cronaca).
    Ehm, magari sì, un poco ricoglionita sono sul serio.

  10. Nessuno è rincoglionito sotto i 30. Io ne ho piena figucia, si tratta di parlare insieme, apertamente, con paletti dettati dalle rispettive competenze e serietà.
    Sforando nel divertissement a volte, ma non inutilmente. Si tratta anche di mettersi ad apprendere.
    Lo dice un 60enne.

  11. Per esempio, in Iran non c’è uno Stato teocratico, almeno non si riverbera sulla società. Cucinotta è mai vissuto in Iran, io un anno. E’ molto diversa da qui la società e molto interessante, e molto libera se volete. Ci si informi meglio. Questo è un paletto per l’occidentale condizionato da quello che passa dai suoi media, dall’Inghilterra, ecc.

  12. Volevo contribuire al Manifesto perché, pur avendolo letto poco, mi sembra (già la versione online) infinitamente più interessante dei giornali mainstream. Perché? perché non si limita a dare i fatti ma li interpreta, perché tiene accesi i riflettori su situazioni abbondantemente ignorate dai giornali a grande tiratura, perché le recensioni del supplemento ALIAS sono di classe e perché non ho trovato mai nulla di scontato negli articoli che ho letto. Poi, per carità, la mia esperienza di lettore di quotidiani è limitata, però sinceramente mi dispiace tanto se il Manifesto dovesse chiudere. Cercherò, per il pochissimo che posso, di perorarne la causa. Credo che troppi pregiudizi politici e ideologici (e sì, magari anche certe scelte intransigenti a livello promozionale, che però io ammiro proprio per il loro non scendere a patti) abbiano precluso al giornale una diffusione più vasta che – se il criterio fosse quello della qualità degli interventi – sicuramente meriterebbe.

  13. @Gemma
    «c’erano altri modi per reperire quel denaro (magari riformando altrimenti l’editoria, perché no), modi che non è il caso di stare ad elencare, altrimenti andrei vergognosamente fuori argomento»

    Invece sarebbe interessante capire in che modo sarebbe stato possibile reperire quel denaro. In ogni caso, a me sembra che il finanziamento pubblico dell’editoria fatto in questo modo abbia costituito soprattutto delle sacche di privilegio. Migliaia di aziende della piccola e media imprenditoria sono fallite e hanno chiuso in questi due anni: non godevano di nessun finanziamento pubblico e nessuno ha mai mosso un dito per aiutarle. Non capisco perché per un giornale poco letto che a quanto pare riesce a vivere solo grazie a finanziamenti pubblici o una serie di testate parrocchiali sia necessario gridare allo scandalo politico. Tra l’altro il giornale su carta stampata è un oggetto piuttosto antiquato. E’ come arrabbiarsi perché lo stato decida di sospendere il sostegno finanziario alla produzione di calesse.

    @Cucinotta
    Si può parlare degli assiomi, ma cominci per primo lei e spieghi perché deve essere necessario sovvenzionare e sostenere pubblicamente un’impresa privata che non riesce a sopravvivere da sé. Un giornale è un’impresa, cioè una porzione del mercato, ed è giusto che il mercato decida della sua sopravvivenza.

  14. Il cartaceo è fuori moda? Ben venga il cartaceo ma non Il Manifesto se non è in grado di sostenesrsi da sé, o con i suoi sporsor privati.

  15. @Camerana
    Guardi che io non ho detto una singola parola sulla quantità di libertà che c’è in Iran. Dicevo che è uno stato teocratico perchè esiste un organismo di natura religiosa che ha poteri di tipo politico, e quindi tecnicamente l’Iran è uno stato teocratico.
    In ogni caso, io sollevavo il caso dell’Iran prorpio per affermare qualcosa della nostra società.

    @Dutschke
    Io non ho mai affermato che bisogna sovvenzionare il Manifesto, anzi ho premesso che non sarei neanche entrato nel merito.
    La mia osservazione non riguardava per niente il caso del Manifesto ma le parole sue e di qualche altro commentatore che esprime invece un’opinione specifica sul caso in oggetto dal punto di vista del mercato. Niente di male in tutto ciò, si può essere a favore del mercato, come si può credere in Allah.
    Io, ad esempio, non credo nè in Allah nè nel mercato, mentre apparentemente Lei, anche nella replica, cita il mercato come una motivazione ovvia ed indiscutibile.
    Le volevo solo fare presente, sempre che la cosa possa essere per Lei di qualche interesse, che esistono persone che non credono nel mercato, e che per queste persone, poche o molte che siano, le sue motivazione valgono zero, tutto qui.
    In ogni caso, il Manifestro non è un pezzo del mercato, almeno non solo, è anche un quotidiano, un veicolo di idee, come un operatore del mercato è anche un essere umano: è possibile evitare di dare alla realtà una falsa struttura unidimensionale?

  16. @Cucinotta
    Se la butta sulla fede non se ne esce più. E l’analogia tra un quotidiano e un uomo non tiene. Un quotidiano è innanzitutto un’associazione economica organizzata a scopi commerciali (mentre un uomo non è un’entità economica che ha solo scopi commerciali). Si tratta, soprattutto e per lo più di produrre notizie per il precipuo scopo della loro vendita. Se le notizie che questo quotidiano produce non hanno alcun interesse per la comunità a cui sono destinate, è giusto che il quotidiano chiuda. Il fatto che si chieda allo stato di mantenerlo in vita è assurdo. Ripeto, allora tanto vale chiedere che lo stato mantenga in vita l’impresa che produce scarpe che a me piacciono tanto ma che non riesce a vendere. E’ la stessa logica di assistenzialismo che ha rovinato l’economia oltre che la cultura italiana (come giustamente dice @Luna)

  17. Il problema è che tutta l’editoria italiana è assistita dallo Stato e dalla politica, compresa Mediaset. Non scordatevi che il Presidente del consiglio satrapo invitava gli inserzionisti a non comprare la pubblicità dai mezzi di comunicazione ” disfattisti “, con il risultato di raccattare con le sue aziende più pubblicità della sua quota di mercato. Ora pare abbia ottenuto un lasciapassare economico giudiziario (ma se non vende alla svelta tutto l’ambaradan, secondo me lo rovinano come fecero con Angelo Rizzoli). Questo sconto che la politica dicono gli abbia promesso, non credo valga sul mercato della pubblicità, dove le aziende editoriali di Berlusconi sono destinate a perdere quote almeno in proporzzione ai propri ascolti e alle proprie vendite. Significa che se esse avranno ascolto 1 avranno pubblicità per uno, non per 1,5 (se le risorse vengono spalmate in base a criteri numerici, ne guadagnano le iniziative editoriali minori). Lo stesso vale per concessioni, frequenze o quant’altro.

    Per fare il magnate dell’editoria bisogna investire, se non lo fai vuol dire che c’è qualcosa che non va, che approfitti di posizioni dominanti, di collusione con la politica e con le strutture dello Stato. Qui siamo in un sistema canaglia, politico editoriale finanziario bancario, dove i grossi mangiano i piccoli, dove i piccoli hanno sempre meno diritto ad esprimersi a difesa delle soggettività minori che rappresentano (mettiamo i precari e gran parte della classe operaia… per non dire tutti gli sfruttati, a partire dalla manodopera extracomunitaria… per non dire dei senza diritti…). Abbiamo per esempio una stampa che non può permettersi di fare il controllo dell’economia, per via dei ricatti incrociati fra giornali ed editori. Ancora peggio: c’è il rischio che i giornali, a partire da Repubblica, facciano gli interessi economici dei loro proprietari. Per esempio Repubblica potrà fare campagne sull’energia e la politica energetica, obbiettive, certo, ma di sicuro non a sfavore di Sorgenia… Senza contare i giornali di proprietà del vecchio satrapo, o a lui riconducibili per via di parentela stretta, che perdono danaro a bocca di barile, ma vengono usati come clava a favore di suoi interessi economici, politici e giudiziari. Vi è più chiaro perché Il Manifesto deve vivere?

    Poi, da liberale, sono per togliere qualunque sostegno all’editoria (anche all’industria) e alla cultura, ma va fatto un piano graduale. Sono convinto, anche per esperienza, che alle prese con il cosiddetto mercato i contenuti valevoli emergerebbero di più di quanto succede ora (le nostre tv, il nostro teatro, il nostro cinema, tutti copiosamente assistiti dallo Stato, fanno schifo solo a me?). Che succede ora? Che quelli collusi con il sistema politico editoriale, hanno più possibilità di altri di ricevere attenzione e finanziamenti. Per fare un esempio concreto: oggi per fare teatro bisogna essere prodotti dagli Enti Pubblici; se tu fai teatro privatamente sei destinato alla rovina, perché non troverai i teatri (quasi tutti gestiti dagli enti pubblici, che fanno gli scambini…); in più dovrai fare i conti con la concorrenza sleale, perché gli spettacoli prodotti dai grandi enti possono perdere danaro, anzi, hanno per certi versi l’obbligo, di perdere danaro, in nome della cultura bene comune… non solo, i teatri pubblici, dovendo dimostrare che il ” popolo ” li segue, fanno politiche di prezzi bassi, e distribuiscono biglietti omaggio in quantità industriale, cosicché tu non potrai fare un teatro indipendente con il biglietto mettiamo a 20 euro, senza omaggi… perché il pubblico (quasi tutto borghese, compresi i giovani studenti), lo troverà un affronto, mentre chiunque paga 20 euro per vedere una partita in curva… o per comprare un qualunque romanzetto.

    Vabbè. L’unica critica che faccio a quelli del Manifesto è che il lamento continuo, che dura da troppi anni, è inestetico. Io suggerirei loro di ritirararsi a produrre contenuti editoriali sul web, magari uscendo una volta a settimana con un numero cartaceo e con allegati contenuti editoriali (musica, film, libri) davvero importanti, che nessun altro edita; dovrebbero farlo approfittando degli ammortizzatori di cui disporrebbero in caso di chiusura, nonché della benevolenza democratica del Presidente della Repubblica e del segretario del maggior partito di centrosinistra, che penso li aiuterebbero a traghettare, forse a risorgere (finché ci sono… o finché c’è la democrazia…). Lo stesso, del resto, dovrebbero fare il Riformista e tanti altri giornali minori.

    Poi un giorno qualcuno mi dovrà spiegare come è possibile che la sinistra, sindacati compresi, faccia capo a 15-20 milioni di persone, abbia in Italia quasi il 50% dei consensi, ma nemmeno il 10% delle iniziative editoriali (perché ci metto il gruppo Repubblica-Espresso…); e perché l’Unità, che fa capo a un partito di 10 milioni di voti, stenta a vendere in edicola 50.000 copie (e ad avere almeno la corrispettiva quota di inserzioni pubblicitarie…). Non sarebbe meglio anche per l’Unità uscire sul web e fare un giornale militante che esce in edicola solo di domenica, che vende a iscritti e simpatizzanti magari porta a porta, che so, 500.000 copie?

  18. Invito Alberto Camerana (o chiunque ne sia capace) a aggiornare il sito di Wikipedia, sulla base di ciò che ha scoperto durante il suo soggiorno in Iran. Alla voce Iran, dove è scritto “Forma di governo” è anche scritto “Repubblica islamica (Teocrazia)”. Dato che Alberto Camerana afferma con sicurezza che “in Iran non c’è uno Stato teocratico, almeno non si riverbera sulla società”, occorre sostituire la dicitura “Repubblica islamica (Teocrazia)”, con “Repubblica islamica (Teocrazia, ma non si riverbera sulla società)”.

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