di Giulietto Chiesa
Accadde a luglio del 2011, alla vigilia del vertice del G-20. Il mondo del mainstream, istruito per farci vedere il varieté, ci raccontò gl’incontri dei grandi e dei meno grandi, ma non ci disse niente in prima pagina sul posto dove quelle loro – si fa per dire – decisioni erano state prese, prima che costoro si riunissero.
Soprattutto si è guardato bene dal dirci “chi” erano quelli che le avevano prese, e poi, opportunamente confezionate, le avevano fatte servire agl’ignari abitanti di Matrix.
Il luogo fu Basilea, la città cui è toccato di scandire, con la precisione degli orologi svizzeri, il cambio d’epoca cui siamo forzati ad assistere. Si chiamano “Basilea 1”, “Basilea 2”, “Basilea 3” (in fieri) , le tappe in cui i regolamenti finanziari sono stati definiti negli scorsi anni. Basilea non per un capriccio del destino, ma perché è la sede della Bank for International Settlements, cioè la superbanca delle superbanche, il luogo dove si decidono le regole delle banche, cioè ormai degli Stati (dal momento che questi ultimi sono dei nani al servizio dei ciclopi); il tempio dove si stabilisce il grado di libertà che le superbanche intendono riservarsi nel loro agire.
A luglio 2010 non si tenne una “Basilea 3” definitiva, ma di sicuro quella riunione resterà nella storia del capitalismo finanziario mondiale, perché fu là che si misurarono i rapporti di forza tra i potenti del pianeta, per meglio dire tra i potenti dell’Occidente, perché fu tra di loro che si regolarono – provvisoriamente – i conti. Erano sei mesi fa e, a occhio e croce, si può dire che quella partita è già finita e se ne stanno aprendo altre, probabilmente assi più dure di quella.
Saranno scontri violentissimi, perché violenti sono gl’interessi che collidono. Questo anche per dire – a un considerevole numero di illusi, che continuano a ripetere questo luogo comune – che non esiste a tutt’oggi alcun “ordine mondiale” e che, anzi siamo in pieno caos mondiale, in cui i veri detentori del potere, i “proprietari universali” sono impegnati in lotte senza quartiere, per stabilire chi sopravviverà e chi dovrà morire, chi resisterà e chi sarà travolto.
I partecipanti erano in 50 , in rappresentanza di 27 paesi dell’occidente. Scrivo “in rappresentanza” non perché qualcuno di voi, lettori, li abbia indicati come suoi rappresentanti. Si sono rappresentati da sé, non hanno bisogno di voi e di noi. Sono quelli che davvero contano, sono quelli che decidono, dopo essersi accoltellati fraternamente.
I loro nomi, salvo quelli di alcuni, non sono importanti. La loro forza è l’anonimato. Compaiono raramente sulle prime pagine dei giornali, sono, a loro modo, figure di secondo piano. Ma alle riunioni del Bilderberg, dove non si fanno fotografie, siedono nelle primissime file e, a conferma della loro importanza, anche i loro conti bancari sono superlativi e le loro proprietà sono introvabili sebbene siano sterminate.
Conta dunque sapere piuttosto “chi rappresentavano”. Conta sapere “cosa” rappresentavano.
Erano, sono i “i rappresentanti del capitale finanziario dell’Occidente”, i gestori del denaro. La crema del denaro. E, a quell’incontro, partecipavano simultaneamente i banchieri globali e i controllori globali dei banchieri globali. Tutti insieme. Poiché, sia chiaro, i controllori globali non possono controllare un bel niente se non c’è il consenso dei controllati. Che quindi non si vede bene come possano essere controllati, visto che possono – se occorre – mandare a spasso anche i controllori, nominandone altri disponibili a controllare meno e a condividere di più.
Questa è la regola del loro club. Che non ha nulla a che vedere né con le regole giuridiche che valgono per i comuni mortali, né con quelle del mercato internazionale. Ecco perché a Basilea non c’erano i maggiordomi della politica internazionale, quelli che poi si sarebbero incontrati al G-20. Quelli non contano quasi niente, quelli servono il caffè.
La materia del “contendere” si può riassumere così : quanto denaro le banche devono conservare nei propri forzieri elettronici, dopo averlo creato (o dopo averlo ricevuto in regalo dalle banche centrali), emettendo azioni e obbligazioni e dopo avere incassato i profitti?
Detto in termini più volgari: qual’è il livello di “scoperto” che può essere consentito alle banche? Già, perché se le cose non vanno bene, potrebbe darsi che tu debba restituire il capitale a chi ha comprato le tue azioni. Glielo hai promesso, anzi gli hai promesso anche dei dividendi. E, fino ad ora ha funzionato benissimo (per le banche). Solo che ormai siamo in tempi grami, in cui non funziona più. Perché per continuare a far crescere la montagna del debito dovresti avere in cassa gli spiccioli necessari.
E se il tuo scoperto è troppo grande, questi “spiccioli” non li troverai Ora la prima regola, quella che si è affermata negli anni delle vacche grasse, senza che nessuno dei regolatori muovesse un dito, si esprime così: “se sei molto grande non fallirai”. A prescindere dal debito che hai accumulato prestando soldi che non avevi o soldi virtuali che non esistevano.
Ora si dà il caso che, tra i controllori, ci siano ex banchieri – prestati all’occorrenza per quelle funzioni ma sempre pronti a ritornare all’ovile – che si rendono conto dei rischi che il sistema corre in questi frangenti. Pensare che siano disposti a sacrificarsi sull’altare, non dico dell’equità ma anche soltanto della ragione, è manifestazione di grande ingenuità. Nessuno lo fa e nessuno lo fece neanche in quella riunione.
Ma ci fu chi, per esempio Philipp Hildebrand, presidente della Banca Centrale Svizzera, invitò gli astanti a non tirare troppo la corda. Pare che, in un suo intervento, abbia accusato i banchieri di avere sottovalutato gravemente i rischi cui sottoponevano i capitali altrui. E si capisce bene perché fosse un tantino irritato. La banca nazionale Svizzera dovette intervenire, nel 2008, per salvare l’UBS sganciando 60 miliardi di dollari USA, proprio a causa della spensieratezza con cui i dirigenti della UBS avevano giocato alla roulette. Ma anche questo piccolo richiamo alla saggezza fece scrivere a un giornale svizzero che difficilmente il signor Hildebrand avrebbe trovato di nuovo un posto nel Gotha della finanza mondiale una volta lasciato il prestigioso posto di regolatore centrale della mecca dei capitali.
Contro di lui s’innalzarono le voci iraconde dei banchieri, in primo luogo di quelli americani, coalizzati dentro l’Institute of International Finance, con base a Washington. Tutte le più importanti banche d’investimento americane ne fanno parte, dunque la sua voce deve essere risuonata forte in quelle austere stanze settecentesche.
Perché dovremmo immobilizzare capitali per fronteggiare eventuali perdite del tutto improbabili? Già “Basilea 1” e “Basilea 2” con le loro assurde limitazioni all’attività bancaria ci hanno rotto le uova nel paniere. Figuriamoci, roba di ridere pretendere di imporci quel rapporto dell’8% tra patrimonio di Vigilanza (PV) e rischio di credito (RC). E poi, siamo franchi, chi va a vedere cos’è questo patrimonio di vigilanza? In America lo abbiamo usato per lucidarci le scarpe!
A queste dichiarazioni minacciose avrebbero fatto eco i banchieri europei, inveendo contro i regolatori: con le vostre ridicole regole voi non fate altro che avvantaggiare le banche americane, che se ne fregano, contro le banche europee, che sono in qualche modo costrette a farci i conti. Insomma se noi possiamo prestare meno avremo meno profitti, mentre gli americani vengono qui in Europa e si comprano i debiti sovrani come fossero noccioline, senza praticamente immobilizzare capitali, visto che sono garantiti. Cioè a rischio zero.
Garantiti da chi?, avrebbe replicato qualcuno dei regolatori. Non vi rendete conto, cari signori, che qui sta per saltare anche il banco europeo?
Ma come perdite “improbabili”, avrebbe risposto un altro regolatore: siete appena falliti tutti insieme e siete appena stati salvati dalla Federal Reserve! La lezione della Lehman Brothers non vi è bastata? Francamente non giurerei su questa battuta. Chi l’avesse fatta avrebbe perduto il posto nei successivi 10 minuti. Facciamo finta che sia esistito, tra quei cinquanta, qualcuno con la testa sul collo. ma avrebbe potuto soltanto pensarla, quella frase, non dirla. Cose del genere non si possono dire in quel contesto. Eppure il clima era questo, aggravato dalle alte temperature, assicurate dal riscaldamento climatico, dell’estate svizzera.
Tuttavia presiedeva Jean-Claude Trichet, ancora per poco banchiere centrale europeo. E riferiscono che intervenne, a un certo punto, per ricordare educatamente che si era dentro una delle peggiori crisi della storia della finanza mondiale tutta intera. Nero in volto, palesemente inquieto , si dice che abbia esclamato: “Stiamo attenti che la democrazia occidentale potrebbe non sopravvivere a una nuova, catastrofica picchiata verso il basso”. E, invece di autorizzare il coffee break, la pausa per rifocillarsi, avrebbe mandato via i camerieri, quelli veri, intimando a tutti di stare ai loro posti: “fino a che troviamo un accordo”. Ecco, così si manifesta un vero senso di responsabilità! Pochi giorni dopo si sarebbe svolto il G-20, Come si poteva lasciare l’augusto consesso senza un parere , ovviamente vincolante?
Alle cinque della sera, senza citare Garcia Lorca, dato che si trattava di una coincidenza fortuita, l’accordo venne raggiunto. Il rapporto tra patrimoni e indebitamento netto, la cosiddetta leverage ratio, venne fissato al 3%. E, per non correre rischi, lo rinviarono al 2018. Mica subito, conservandosi altri sei anni di Bengodi senza regole.
Naturalmente anche questa cifra è un bluff, perché questa leverage ratio se lo calcolano come gli pare e quando gli pare. Basta truccare i numeri dei livelli di rischio, basta trattare la gran parte delle transazioni over the counter, cioè sopra il banco, in modo che non ne resti traccia, ed ecco che il 3% diventa una favola. Si ricorda il record di leverage della Long Term Capital Management, che quasi quasi portò al tracollo della finanza americana nel 2001, e che era di 1/250. Fu salvata da Alan Greenspan che, dopo, confessò candidamente che “non ci aveva capito niente”, né della LTCM, né della finanza in generale, pur essendo stato alla testa della Federal Reserve sotto tre presidenti americani.
Ma anche il 3% ufficiale che sarà la cifra chiave di “Basilea 3” significa pur sempre qualche cosa. Dice che una banca potrà prendere in prestito, e a sua volta prestare, 32$ per ogni dollaro che immobilizza nella sua riserva. Chi pensa che, con questi accordi, il mondo sarà stato messo in salvo, si sbaglia. Del resto perché stupirsene visto che è un accordo tra banditi?
[Questo articolo è già uscito su “Sinistrainrete”, qui].
[Immagine: Scott Shepard, Annuit coeptis, particolare (gm)]
Analisi decisamente poco convincente.
1. Nella crisi creditizia in cui si trova ora l’economia europea innalzare i vincoli di capitalizzazione delle banche peggiorerebbe solo la situazione; già adesso per esempio le banche dovrebbero raccogliere centinaia di miliardi sui mercati per adeguarsi del tutto a Basilea 3, ma se lo facessero alla lettera toglierebbero credito alle imprese (e già ne danno poco) in piena recessione. La crisi europea è una crisi del debito pubblico, non del debito privato: il problema è lo squilibrio tra moneta unica e debiti nazionali, non l’eccessivo indebitamento in sé.
2. Troppo semplicistico dire che gli Stati non contano niente e decide tutto la finanza. Gli Stati forti possono influenzare le dinamiche economiche e finanziarie. Gli Stati europei sono dei nani, questi sono impotenti; una vera Unione europea politica potrebbe molto di più. In ogni caso, quello che accade non è determinato solo da dinamiche finanziarie: la Germania punta i piedi per ragioni politiche, che hanno a che fare con gli interessi politici ed economici interni, e la sua politica aggrava la crisi finanziaria. Inoltre, dall’altro lato, i mercati finanziari premiano le politiche di crescita e puniscono le rigidità monetarie.
3. Descrivere la politica internazionale come determinata da pochi superpotenti ricconi anonimi è un complottismo da vignetta satirica. Certo, l'”ordine mondiale” non esiste, ma il caos internazionale è fatto di tante forze, anche politiche e sociali, complesse, in cui entrano le dinamiche di potere degli stati, regionali, i conflitti politici interni, ecc. Se ci buttiamo su questa demagogia siamo proprio fuori strada.
complimenti per la chiarezza con cui tratta questo importantissimo e, a mio parere, sottovalutato tema. Segnalerò il link a molti amici che … non capiscono, che non vogliono interessarsi, che “la matematica non gli piace”…. e preferiscono continuare a infilare la testa sotto la sabbia.
Consiglio la visione di Too big to fail, io l’ho intercettato su Sky cinema il mese scorso ma credo che chiunque un filo più abile di me riesca a trovarlo sul web.
Mauro Piras scrive: “La crisi europea è una crisi del debito pubblico, non del debito privato”. E’ una lettura possibile, certo; la più comune oggi, la più facile, la si può leggere su Repubblica tutti i giorni, secondo me è la meno convincente. In un articolo pubblicato molti mesi fa, sempre su questo sito, Riccardo Bellofiore spiegava molto bene come quella che appare oggi come crisi del debito pubblico è in realtà una crisi del debito privato camuffata: “la crisi del debito sovrano non è davvero una crisi del debito pubblico”. Rimando a quest’articolo per una riflessione sulla crisi che mi sembra molto più complessa, interessante e convincente.
Ho scelto di pubblicare questo articolo di Giulietto Chiesa perché credo, anzitutto con Marx (terzo libro del Capitale), che l’alta finanza speculativa sia davvero composta, alla fine, da un numero relativamente piccolo di persone, spaventosamente influenti e spaventosamente pericolose. Il pregio di questo pezzo, condivisibile o meno nella sua linea di fondo, è il suo taglio descrittivo, il modo con cui ce le mostra. Pochi lo fanno.
Caro Daniele Balicco,
grazie per l’indicazione, guarderò l’articolo di Bellofiore (avrei dovuto farlo da tempo, in realtà). E’ vero che crisi del debito pubblico e del debito privato sono intrecciate, sono stato riduttivo per amor di polemica, lo confesso. Però in ogni caso il contesto europeo è diverso da quello americano. Inoltre, mi teneva sottolineare che, sul piano pratico, chiedere che le banche capitalizzino di più significa aggravare la crisi e allearsi con le posizioni monetariste più ortodosse, piuttosto procicliche.
Continuo a non essere convinto che le cricche governino il mondo. I sistemi e la contingenza dominano anche la cricche. Non è detto che sia meglio.
mp
Neanche a me piace il tono romanzesco di Chiesa, in cui non si riesce a percepire l’aspetto sistemico di una crisi che nelle sue parole rischia di apparire come un problema di pochi malvagi.
Che questi avidi malvagi esistano davvero, non cambia il fatto che poi è l’unico che conta, che essi hanno potuto operare come hanno operato perchè ve ne erano le opportunità, e tali opportunità preesistono a tali individui.
Ciononostante, non posso che obiettare a Piras.
Innazitutto, ed è il punto fondamentale, la crisi non è del debito pubblico ma al contrario è del debito privato. Nel 2008, le maggiori banche degli USA e del Regno Unito erano fallite, esttamente come è fallita la Lehman & brothers. Soltanto la messa a disposizione di settecento miliardi di dollari da parte del governo USA ha consentrito il loro salvataggio.
Si tratta tuttavia di un salvataggio d’emergenza che non elimina la causa del fasllimento, dovuto all’emissione di titoli non più esigibili.
Oggi, anche dopo gli interventi di salvataggio da parte di entità statali varie (per ultima la BCE con il presitto senzxa gatranzia e quasi a zero interessi), il sistema bancario globale è tecnicamente già fallito per un’insolvenza che prima o poi si materializzerà qualunque sarà l’intervento statale.
Se le cose stanno così, e non vedo come se ne possa dubitare, come si può affermare che il problema è di un debito pubblico che per quanto ingente, non è aumentato di tanto in questi ultimi anni?
Inoltre, il debito pubblico non è un reale problema finchè rimane la prerogativa degli stati sovrani di stampare moneta (il denaro è una forma di debito, diremo allora che gli stati non devono più emettere denaro, che bisogna proibire l’uso del denaro?).
La seconda obiezione riguarda il fatto che chiedere alla banche una maggiore percentuale di depositi a garanzia, è nello stesso tempo necessario ed impossibile, nel senso che appunto lo stato di fallimento già in atto delle banche impedisce loro di attuare ciò che sarebbe buona norma attuare.
Salve. L`articolo di Chiesa mi colpisce molto perche` nei recenti incontri di Basilea i delegati della finanza, nonostante lo scoppio della crisi nel 2007:
1. non sembra abbiano compreso affatto la portata dei vuoti lasciati dalle operazioni di credito. Al contrario, continuano a scommettere su questo punto, convinti del fatto che “se sei molto grande non fallirai”. Appunto, vedi l`Italia. D’Altronde, tutte le recenti manovre degli stati europei mirano a colpire il lavoro salariato e le pensioni esattamente con l`intento di risarcire il sistema creditizio e tutelare i redditi alti nati da questo e promotori di questo (vedi ad esempio in Italia gli scudi fiscali all`1% e, appunto, l`idea di recuperare i patrimoni all`estero tramite condono; decisione deliberata di esculudere piani patrimoniali tranne l`imu che colpisce di nuovo,soprattutto, i redditi da salari; ricerca di delicati compromessi per combattere l`evasione fiscale senza minacciare i grandi patrimoni; etc.).
2) L`assenza di un ripresitino delle regole al settore creditizio infatti sarebbe veramente difficile proprio come dice Chiesa per la perdita di sovranita` degli stati. Infatti, la perdita di sovranta`non si ha solo quando in tempo di guerra la Grecia,ad esempio, deve accettare le richieste della BCE producendo crisi umanitarie per fame e lavoro e distruzione dell`economia reale. Non si ha solo quando l`Italia viene sconfitta ed e` costretta a cambiare primo ministro se non vuole essere rasa al suolo dai cannoni delle speculazioni. Ma anche qunado in tempo di pace molta parte dei gestori e rappresentanti della finanza (provenienti dai fondi credito pensioni; dalle banche; dalle assicurazioni; dai CDA di aziende e multinazionali) si scambia continuamente ruolo dalla politica alla finanza e viceversa (Gallino L, p. 73 -76, 2010). Non a caso Monti, ma anche Prodi, sono stati entrambi cosulenti della Goldman Sachs. E Draghi, prima di diventare governatore della BCE, e`stato direttore del tesoro; vice presidente dell`Europa, di nuovo, per la Goldman Sachs; e governatore della Banca d’Italia.
Quale notorieta` aveva avuto Monti prima di questo momento? Eppure era li`da 30 anni a salaguardare e a investire nel CDA della Coca Cola e della Godman Sachs. E`vero quindi che esiste un intreccio tra finanza e politica dove una non puo` stare senza la seconda. La finanza si e`deregolarizzata solo attraverso un contino smantellamento delle regole Keynesiane condotto da riforme politche. E per ottenere questo la finanza deve,di volta in volta, prestare dei suoi rappresentanti alle istituzioni politiche. Prima di allora, molti di loro, tranne che per gli esperti dell`accademia e Il Sole 24 ore,credo, o gli addetti ai lavori, rimangono, per noi, abbastanza nell`anonimato.
Conclusione. Cosi` riesco ad immaginare gli incontri anonimi di Basilea non rappresentati e che hanno, certamente, legami con primi ministri, subordinati maggiordomi, fratelli, complici, colleghi e quant`altro. La cosa che mi sconcerta di piu` di quest`articolo e` appunto l` incapacita`totale di questo sistema di ricostruire dei limiti in generale,credo, e al sistema creditizio in particolare alla luce di tragedie come quella graca, per esempio.Di fronte a persone che semplicemente muoino di fame (e che stavolta non stanno in Africa, come ci dicevano quando eravamo piccoli, ma dentro l`Europa, a casa nostra) il senso del tragico e` stato rimosso completamente, tant`e` che si crede che finalmente si e` presi la strada giusta.
Vorrei fare notare come a distanza di parecchi giorni dalla data di pubblicazione, il post non sembra attirare attenzioni o almeno commenti.
Forse, la tesi che vedo riprodurre qui ma anche altrove, secondo cui sarebbe più agevole descrivere la crisi personalizzandola, narrandola come se si trattasse di un intreccio più o meno romanzesco, non ha molto fondamento. Forse allora, dovremmo piuttosto chiarire i termini della questione prima di tutto su un piano politico e possibilmente anche economici.
Non è che questa crisi possa vedersi come si vuole, chi preferisce la vede come una crisi del debito pubblico, e chi invece ha differenti preferenze, la può vedere come la crisi del debito privato: mi pare un po’ complicato riuscirne a parlare in maniera minimamente costruttivo se prima non stabiliamo la natura della crisi.
Per questo, non mi stancherò di urlarlo ai quattro venti, siamo in un sistema bancario globalizzato tecnicamente già fallito e tenuto su con stampelle improvvisate da governi di tutto il mondo pusillanimi e perciò criminali: altro che complotto di pochi malvagi, qui vengono al pettine i nodi fondamentali del capitalismo, una crisi sistemica di cui nessuno riesce a vedere l’esito finale.