a cura di Massimo Gezzi

[LPLC va in vacanza. Per non lasciare soli i nostri lettori durante la stagione estiva, riproponiamo alcuni pezzi usciti nei mesi o negli anni precedenti. Questo articolo è stato pubblicato il 3 maggio 2018.

Nell’undicesima apparizione, la rubrica degli inediti a cura di Massimo Gezzi ospita tre prose e alcuni versi di Gilda Policastro, autrice dei romanzi Il farmaco (Fandango, 2010), Sotto (Fandango, 2013) e Cella (Marsilio, 2015) e di libri di poesia tra cui Non come vita (Aragno, 2013), Inattuali (Transeuropa, 2016), Esercizi di vita pratica (Prufrock spa, 2017). Tra i suoi libri di critica, Polemiche letterarie: dai Novissimi ai lit-blog (Carocci, 2012) e vari studi su autori dell’Ottocento e del Novecento italiano. Dal 2017 è docente di Poesia presso la scuola di scrittura Molly Bloom, con sedi a Roma, Lecce, Milano. Le prose che seguono appartengono a una sezione intitolata al momento Bravure].

Avevamo fame pallidi magri mangiavamo niente la spesa l’hai fatta tu e non l’aveva fatta apriva una scatoletta di tonno la impiattava dalla lattina e ci scolava la pasta senza mescolare io affettavo due patate due carote senza cipolla veniva un’acqua tinta e un’ora dopo avevo fame anche lui aveva fame e ci guardavamo magri e disperati sempre più pallidi e pensavamo a cosa mangiare ma non c’era niente aprivamo e niente c’era da mangiare stavolta la spesa la fai tu ma si scordava tanto aveva il tonno che rovesciava senza mescolare e avevamo fame e ci guardavamo magri e disperati e pensavamo a chi vive di stenti non avevamo di che pagare le bollette però ogni tanto ci vestivamo bene e andavamo al ristorante eravamo magri e senza soldi il vino lo prendono no per carità acqua senza gas eravamo talmente magri che quella pasta del ristorante impiattata bene e mescolata non ci bastava eravamo pallidi e avremmo dovuto bere del vino rosso mangiare la carne ma sei pazza guarda quanto costa e niente lo volete il pane meglio di no grazie due euro in più non possiamo ci alzavamo da tavola pallidi magri ben vestiti e con tanta fame adesso torniamo a casa e ci facciamo la pasta di rinforzo col tonno avanzato eravamo debilitati non sapevamo dove sbattere la testa tossivamo di notte ma più spesso dopo pranzo se qualcosa mangiavamo e dopo erano visite lastre ma non usciva che la fame la malnutrizione è causa del vostro malessere e di tutta quella tosse è produttiva chiedevano ma non lo sapevamo se era fame tosse da fame come il tale che sgranocchiava le pietre e piuttosto rubavamo il caffè non lo pagavamo con la scusa che ci conoscono ed è proprio quello il modo in cui li freghi oppure al contrario dov’eravamo solo di passaggio ci alzavamo piano nessuno ci avrebbe fermato e prendevamo anche i vasetti se non c’era l’antitaccheggio o toglievamo i codici e rubavamo anche al supermercato grande rubavamo quando avevamo fame ma anche quando non ne avevamo pensando a quando ne avremmo avuta di nuovo e guardavamo i programmi e mangiavamo i piatti con gli occhi anche quando ci disgustavano e quando qualcosa non l’hai è lì ogni momento e noi pensavamo alla colazione dell’indomani il pasto facile con il latte a 0.99 ci stai bene una settimana razionare il cibo congelare il pane tutto perché abbiamo fame quelli la roba la buttano ma non possiamo noi che abbiamo sempre fame che non abbiamo soldi che non ce ne dà nessuno nemmeno se per ipotesi lavoriamo un giorno o due quando abbiamo fame a volte mangiamo lì all’angolo sotto il sole e quando fa caldo è peggio abbiamo ancora più fame oppure scambiamo per fame quella spossatezza che ci toglie le forze e a stento riusciamo a mangiare e poi c’è sempre il tonno una volta a casa ci condiamo la pasta per rinforzare e l’unica cosa che ci tortura al di là del disgusto che abbiamo certe volte per il cibo è la fame tanta di quella fame che ci saremmo mangiati pure i sassi a quel punto e guardavamo sempre quelli che mangiavano perché quando non hai da mangiare sei come un segugio è sulle tracce del cibo che te ne vai in mezzo agli altri mentre i sazi non ci pensano nemmeno a mangiare sono meno allertati senza quel compito quella fatica di pensare a quanto vorresti mangiare prima o dopo senza pensarci

*

Quanto dolore c’è nel mondo lo canto nei miei versi immortali lo porto sulle spalle me ne carico senza risparmio lo assumo lo rendo a voi perché lo condividiate in ogni dove e li commiseriamo li aiutiamo nei loro magnifici rifugi che sono la nostra tana il deposito delle coscienze dilavate dai versi i versi compassionevoli il canto levato alla bellezza del mondo e alla bruttezza dell’uomo o alla bruttezza del mondo e alla bellezza dell’uomo ma non posso farne a meno quando li guardo nei nostri rifugi sporchi che puzzano che non vedono da quanti mesi una stanza tutta per loro nella mia tutta per me io li scrivo dopo che li vedo e li guardo e mi carico il dolore che diventa mio che lo assumo che lo porto per loro che lo prendo al posto vostro interamente che me ne lascio abitare che lo stringo a pugno che non me ne smarco che ci penso ogni notte nel succedersi delle carestie delle inondazioni che non ci credo più alla poesia se non faccio i versi sul dolore del mondo questo angusto atomo di dolore catafratto

Siamo andati a fare propaganda per l’Università in questa cittadina che da sola meriterebbe dieci pagine di mail. Una collina con una poderosa fortezza, case slave e turche a discendere, resti di età romana e una cascata talmente bella da sembrare finta. Di fianco, a pochi chilometri, una mostruosa industria che butta fumo verso la città. […] Danilo o Simone, non ricordo, ha detto che volevano dividerli in gruppi ma lui si è opposto, Danilo che somiglia a Rino Gaetano e vuole studiare letteratura, Danilo o Simone, che abita a Jajce, dov’erano i musulmani. Poi vennero i croati che cacciarono i musulmani poi i serbi che cacciarono i croati poi la comunità internazionale che cacciò i serbi rimettendo i musulmani

E dobbiamo accogliergli e prima forma di umanità è la condivisione dei nostri spazi i nostri spazi cioè quelli di tutti gli spazi che già condividiamo sui muri i muri della mia stanza la mia scrivania il mio computer lo schermo il mio schermo la finestra le chiavi le serrature le mie password gli accessi all’emancipazione dalla miseria che è la mia che la porto sulle spalle che la scrivo che la canto che la estrometto dai tuguri che la dico a voi che la sappiate che ce ne carichiamo nelle piazze nelle piazze della televisione dove diciamo che dobbiamo dobbiamo che si deve si deve tutti noi che uno sforzo che allora il mondo che quando forse un giorno che già una volta e che noi siamo noi siamo ospitali nei piazzali custodiamo il segreto del futuro e della proprietà noi che abbiamo in odio il mondo in cui bambini di tutte le nazioni in quei piazzali ci restano o nei fondali e d’altra parte non si potrà più scrivere domani dopo i fatti dopo gli orribili fatti del mondo la parola muore e può vivere solo nelle anime sensibili di ultracorpi come il mio che assumo il dolore tutto intero senza sconti al posto vostro

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Sono belle le case di chi non le abita case di lusso comfort tre piani mentre sono a Parigi Londra Berlino New York per shooting turismo matrimonio di figlia o nipote business class tuguri stamberghe magazzini quelle dei carcerati della vita intima le macchie di risulta le blatte delle cinque di mattina l’ora in cui ti alzi se non sei morto di angina il minuto prima una volta sono andata a cena a Madrid e sono tornata l’indomani ma dove nel loft anni Sessanta bella quella lampada mansardato soppalcato nell’economia degli spazi poco funzionali diceva dalla sua specola meccanica ingegneria fuori corso a Napoli appartamento in sette bagno unico la pizza più scarola scaldata da impegno settimanale di Madre col pullman il pacco pagare e salire riportare le vaschette riciclabili i piatti celebrities sono tutti diversi dai viaggi indonesiani Taiwan Oman poi tornano e li aspettano Matilda e Mimma i cani col profilo Instagram se sono case piccole è perché vivono a Londra per studio le figlie d’arte ma quando tornano per le vacanze hanno il terrazzo skyview non posso nemmeno fumare diceva tre stanze cinquanta metri quadri vista tangenziale polveri sottili bronchite trimestrale a casa un mese due a riprendersi la casa delle blatte mentre skyview no non hanno i problemi respiratori le nostre vacanze di Natale e la sua bravura nel catturare attimi di Maldive con tutti i mezzi tecnologici vita semplice come raccomanda Francesco (il papa) a Elisabetta (Canalis) dai tetti Wellness and Fitness o Francesco figlio del padre Pooh e padre da dive diverse in queste case coi muri di cinta le rampicanti si rotolano sul pavimento acquario i bambini di tutte le madri e via subito nuovi attimi LA l’aeroporto come pianerottolo a noi la polvere sui tubi gli scarichi a prova di acido il Natale è una festa di tradizione con 100 invitati e dove il cibo soverchia c’è la dieta vegana nelle case tugurio l’occasionale transito dei corpi smentisce l’abituale franchezza del grigio la casa di chi te l’ha fatta è di sicuro meglio della tua lo spumantino naptime&fake husband in Mars Harbour Bahamas le stories imparziali i commenti proletari (tre del pomeriggio walk orizzonte colors #hashtag) le pareti interne a schermare la riabilitazione del pianto su cui cfr. Deleuze abecedario non è come credi la provenienza del nome resta ignota qui è la casa ciò che è in luce ciò che è in ombra passaggio di nuvole da una porta ufficio cinema letto ufficio cinema letto uff tuttavia ma avrei osato ringraziarti non fosse stato per le piastrelle credevo d’esser l’unico ad averle ma era bella bella davvero compiutamente realizzata progetto approvato sottoposto a condono senza visto fuori legge piano rialzato lo stesso muro dove appoggiare la fronte a disperarsi soffitta cucina divano balcone vista like: zero (forse meglio prenotare un b&b)

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Inattualissime

Ogni testa è un tribunale

Ho fatto risveglio interiore

Brutta gente, la letteratura

Io di lavoro farei la morte

Isolati si isolavano stavano sempre da soli

Scrivo molto preso male, introspettivo

La catarsi non è intelligente

 

 

[Immagine: Wolfgang Tillmans, Still Life].

1 thought on “Inediti /11: Gilda Policastro

  1. Ahimé, sarò additato come un lettore poco raffinato e di dubbio comprendonio, ma poco importa, la franchezza non ha prezzo: non ho capito il testo. Questo non sottrae alcunché alla discussione sui requisiti di letterarietà, che lascio a persone più esperte di me; ci si chiede però se tale discussione possa prescindere dal rispetto delle più basilari convenzioni epistemologiche: come posso conoscere, capire, se alla base non c’è il rispetto delle regole grammaticali, che non sono certo state codificate nelle aule accademiche da grigi burocrati della lingua, ma sono il frutto di processi spontanei volti alla reciproca comprensione. Mi riferisco in questo caso alla punteggiatura e ai nessi logici. Forse la scelta dell’autrice è stata condizionata dal noto flusso di coscienza. Ma quest’ultimo è in realtà perfettamento logico, basandosi su quello che la psicoanalisi chiama il metodo delle libere associazioni; e l’inconscio, ci spiegava già Lacan, ha la sua ratio, la sua ragione logica. Qua non la ravviso, non fornendoci l’autrice il significato dei simboli, o perlomeno il contesto entro cui interpretarli, come accade invece nel più noto “Camminare” di Bernhard, cento e passa pagine di flow of consciousness.

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