di Pablo López Carballo (trad. di Valerio Nardoni)

[Pablo López Carballo (León, 1983) ha pubblicato la raccolta Sobre unas ruinas encontradas (Premio Internacional La Garúa, 2010), di cui presentiamo in traduzione le prime dieci poesie; e il libro di narrativa Crea mundos y te sacarán los ojos (El Gaviero, 2012). È laureato in Letteratura spagnola e in Teoria della Letteratura e Letteratura comparata. Sta attualmente lavorando alla sua tesi di dottorato ed è coordinatore delle attività culturali del programma della Duke University a Madrid].

All’inizio le pietre non erano qui
sono comparse dopo in vari punti
della storia, è scienza certa, questo dicono.
Da questa parte gli uccelli
sono azzurri le piume
azzurre la pelle azzurra da questa parte
gli uccelli sono così. Il deserto
è sabbia e non soltanto. Saprai
in che punto siamo, condividendolo
in questo momento certo, senza scienza.
I simboli, mi ripeto, non son altro
che rovine le rovine dovrebbero essere
rovine e sopra di esse le parole
ad abitarle saturando ogni spazio aprendolo:
nomadi tra le pietre.

Las piedras no estaban aquí al principio
aparecieron luego entre varios puntos
de la historia a ciencia cierta, eso dicen.
A este lado los pájaros
son azules las plumas
azules la piel azul a este lado
los pájaros son así. El desierto
es arena y no solo eso. Sabrás
en que punto estamos, compartiéndolo
en este momento cierto, sin ciencia.
Los símbolos, me repito, no son más
que ruinas las ruinas deberían ser
ruinas y por encima de ellas más palabras
habitándolas saturando cada espacio abriéndolo:
nómadas entre piedras.

***

Guardare all’interno di una poesia
farla inciampare questo è verticale
o quasi. Innalzarla montagnosa
sul deserto di montagne
forse cordigliere sembra facile
cartografarla ma presto
si diluisce si inonda
e sarà questo il difficile: distinguerla.
Voleranno gli uccelli
senza rami. Uccelli, in definitiva
come poesie, in volo.
Una fonte con l’acqua ma senza fonte
una luce è un gomitolo.

Mirar hacia dentro del poema
hacerlo tropezar eso es vertical
o casi. Levantarlo montañoso
sobre el desierto montañas
quizá cordilleras parece fácil
cartografiarlo pero pronto
se diluye se inunda
y eso será lo complicado: distinguirlo.
Volarán los pájaros
sin ramas. Pájaros, en definitiva
como poemas, en vuelo.
Una fuente con agua pero sin fuente
la luz es un ovillo.

***

Altre volte
si ancora alla terra
fa delle volute gira cambia
le cose del posto o fotografia
scenari o cose non così tangibili.
Pensare se stessi di linguaggio
vestiti non è uguale
a vestirsi nello specchio.

Otras veces
se ancla a tierra
da vueltas gira cambia
las cosas de sitio o fotografía
escenarios o cosas no tan tangibles.
Pensarse a uno mismo de lenguaje
vestido no es igual
a vestirse en el espejo.

***

LA MUSICA DEL DESERTO

Avanza.
Come le prime nevi nelle crepe
giardino sanato di bianco
sabbia scettica che si moltiplica occultandosi.

LA MÚSICA DEL DESIERTO

Avanza.
Como las primeras nieves en las grietas
jardín saneado en blanco
arena aséptica que se multiplica ocultándose.

***

ESPLORANDO IL GIÀ NOTO

Fra l’occhio e la forma
c’è un abisso; e dopo un altro
e prima. Senza ritorno
senza sapere cosa guardare
appeso tra gli abissi cerco di mettere a fuoco.
Cerco un punto di fuga,
una fonte, l’orizzonte che retrocede
erba e azzurro, un altro punto,
l’espansione di una spiaggia. Cerca
l’occhio seminudo prima che si chiuda
una nuova relazione. Il sogno
è una parabola. Un altro occhio
la forma è un conglomerato
di abissi. L’occhio stesso.
E lo sa bene. Scaglia luce
e lo scopre. Chissà
che alla prossima occasione non se ne ricordi
in tempo.

EXPLORANDO LO CONOCIDO

Entre el ojo y la forma
hay un abismo; y detrás otro
y antes. Ya sin retorno
sin saber a qué mirar
pendido entre abismos intento enfocar.
Busco un punto de fuga,
una fuente, el horizonte en retroceso
hierba y azul, otro punto,
la expansión de una playa. Busca
el ojo semidesnudo antes de cerrarse
una nueva relación. El sueño
es una parábola. Otro ojo
la forma es un conjunto
de abismos. El mismo ojo.
Ya lo sabe. Arroja luz
y lo descubre. Tal vez
la próxima ocasión lo recuerde
a tiempo.

***

La fotografia si svuotò nei suoi occhi
e le parole mutarono, cambiarono nome,
così l’uomo è un’ellisse
ed una strada altra e anche un libro.
Impieghiamo geometri per calcolarne le proporzioni.
Anche il rumore è contemplare, ogni istante
si erige come un nuovo tempio, nuova luce
che si spegne.

Se vació la fotografía dentro de sus ojos
y las palabras mutaron, cambiaron de nombre,
así el hombre es una elipsis
y una carretera otra y un libro también.
Empleamos geómetras para calcular sus proporciones.
El ruido también es contemplar, cada instante
se erige como nuevo templo, nueva luz
que se apaga.

***

Ruido del agua
se abren grietas
rellenar huecos:
otra forma de vacío.

Rumore dell’acqua
si aprono crepe
riempire vuoti:
un’altra forma di vuoto.

***

I PANORAMI NON SON PIÙ I SOLITI

Imporre dei limiti comporta
una certa instabilità emozionale
per non parlare di ragioni estetiche.
La riproduzione di qualunque sistema
conduce alla vacuità conosciuta.
Contempliamo prima e lo facciamo ancora
allo stesso modo: diverso. Lascia a me
ora quello che corrisponde.
Il plastico le piante i panorami non son…
Finisce per esser prevedibile, non tutto
è scarto, può sembrare
quel che non è. Aggiungi sale.

LOS PANORAMAS YA NO SON LO QUE SOLÍAN

Imponer unos límites conlleva
cierta inestabilidad emocional
por no hablar de razones estéticas.
La reproducción de cualquier sistema
conduce a la vacuidad conocida.
Contemplamos antes y lo volvemos a hacer
del mismo modo: diferente. Déjame a mí
ahora lo que corresponde.
El plástico las plantas los panoramas ya no…
Termina por ser esperable, no todo
es chatarra, puede parecer
lo que no es. Añade sal.

***

ASPETTANDO IL SUBLIME

E dici che sembrano arance.
Io non esco più a cercarlo aspetto
con il piatto, color dorato dal sole.
Caddero i fiori e il frutto indurito
attende i segnali. Ti aprirò
la porta, passa nudo, senza cavi
e dimmi che vino bere
che pane mangiare se no lo sciupi tutto
come sempre passa e dovrò
cercare di nuovo o cambiare piatto.

ESPERANDO LO SUBLIME

Y dices que parecen naranjas.
Yo ya no salgo a buscarlo espero
con el plato, color dorado por el sol.
Se cayeron las flores y el fruto endurecido
aguarda las señales. Te abriré
la puerta, pasa desnudo, sin cables
y dime qué vino beber
qué pan comer si no lo estropearas todo
como siempre pasa y tendré
que buscar de nuevo o cambiar de plato.

***

A la espera, se multiplican
las pupilas como un virus
se extiende indescifrable.

Nell’attesa, si moltiplicano
le pupille come un virus
si estende indecifrabile.

[Immagine: Ilena Antici, Pendolo, particolare (gm)]

 

3 thoughts on “Poesie

  1. conoscendo le ultime poesie di Benedetti, comprendo questo post: una ricerca spasmodica su territori diciamo nuovi, l’oltre fine, l’oltre vita, l’oltre Occidente, mi sembra. Pur rimanendovi.

  2. Beh, caro Fierro, il discorso per me è complicato, e non soltanto per me. C’è nuova poesia, questo è certo, forse meno da noi. Metto qui di seguito una recensione al giovane Carballo, come prima lettura per un italiano:
    La febbre gelata delle rovine di Pablo López Carballo, di
    Gaetano Chiappini

    Il percorso del poeta è spettrale, gelido e senza strade, e si dirama per simboli e rovine, appunto, di pietra e ghiaccio, consumato nella tentata ricerca della verità e della vita. Che non sanno né possono incontrarsi. Nemmeno gli specchi rassicurano, dànno solo immagini controverse e incomplete. Il poeta è anch’esso mineralizzato e prova tutti gli accessi agli spazi collocati tra monti e deserto, indotto solo dalla possibile guida di uccelli-poemi azzurri, che unici hanno la leggerezza del volo molteplice delle parole e dei versi. Ma il cammino avviene senza mai trovare la conferma per il ricercatore di riuscire a coagulare l’incontro impossibile tra gli occhi e le forme. Il mondo è cosí un volo spento, privo di bussola e di coordinate. Ma è crisi del poeta-pilota, piú che della poesia, che finisce per isolare solo suoni, rumori, che sono effusi nel vuoto tra crepacci e fossati, inaccessibili gli approdi e le corrispondenze, alla ricerca di echi della scomparsa foresta simbolica baudelairiana: né il nuovo né l’ignoto affiorano all’orizzonte; e solo la casa resta aperta per intransitabili ritorni. E il rientro dal cosmo innevato e congelato non è poi un vero ritorno, semmai, un conato che provi a far fuggire la paura, dove solo il corvo di Noè, non la trepida colomba, potrebbe cercare di resistere, con il soccorso dei cibi che saturano i supermercati e stremano i frigoriferi. Perché anche questi non garantiscono che ci siano vere sostanze mangiabili ma solo miraggi conservati in offerta speciale (prendi uno paghi due). Respinti da arcane disappetenze, i tentativi del poeta vagano e si sperdono nell’attesa vana di trovare un timido e dilazionato ricupero degli slanci vitali. Mentre il diluvio sembra essere piuttosto una vera glaciazione, che ottunde le energie e impedisce gli approdi per quanto riguarda gli occhi, che cosí solo si dilatano nel caos che raffrena il minimo esplorare delle parole. Ed esse stesse sembrano non potersi o sapersi fermare sui fogli azzurri dell’attesa. Anch’esse in perpetuo volo. E non rassicurano delle contingenze del tempo e degli spazi, sempre piú estesi e franati di inutili o vane speranze tra venti inesorabili e alberi senza rami ove appoggiarsi un poco. Per la colomba, crediamo, ma nemmeno per il corvo. Né è possibile la fuga, perché la parola esige fermezza di gesti che non sembrano avere effetto. Né l’allegria lascia intravvedere spiragli se non su qualche minimo fuoco di vita, in un paesaggio di ridotta visibilità e vivibilità: gli esigui licheni ben poco possono a liberare la vita e a consolidare una rima, un accordo purchessia. Ogni fuoco spegne la tormenta sul pack delle rovine. È il ghiaccio il piú vitale dei sospiri fino al silenzio muto che accelera la febbre dell’anima sospesa, ma che non la trasforma in barlume di fuoco. Che ci possa essere vita, si spera, infine, in qualche modo, anche se turbata e perplessa. Nel deserto raggelato si percepiscono esili scorrimenti di lontani fiumi di sottosuolo, ma anch’essi scivolano nel dentro, sotterranei, al limite fra le lenzuola domestiche, dietro i vetri delle finestre del privato, dove comunque quella febbre ansiosa di ricerca è traccia ancora accesa del flusso (riflusso?) sanguigno, pronto sempre a riavviare il motore inespresso della vitalità, che aspetta i paracadute della speranza. Si coglie anzi una vera e propria corrente anche se fluisce solo nel profondo. E questa vorrebbe il suo lecito ricominciare un mondo che si auspicherebbe nuovo. Bisognerebbe, però, abbattere o collocare altrove le statue degli antichi eroi, dei padri, se la memoria soccorresse pur proponendo un radicale cambio di prospettiva, magari anche solo ritrovare i corpi di quei semidei scomparsi, poi appellarsi alle foto di un tempo – per dare volti e sostanza a quelle povere statue frantumate, sommerse nelle rovine –. E gli occhi aiuterebbero persino quelle ansie della ricerca, o basterebbe ritrovare per esempio i batteri della vita e il seme rimasto vivo e fertile sotto il ghiaccio dei frigoriferi. Forse è ancora poco, ma potrebbe non essere inutile proseguire l’incerto cammino, trasformare le pietre e le rovine e riscaldare col pur esile fiato il volo della colomba, affinché essa lasci l’arca rassicurante per affacciarsi di nuovo tra gli ulivi. Questo non dice (e non sa?) il poeta, ma il lettore resta in attesa.

  3. “dentro del poema / hacerlo tropezar ” : la poesia che inciampa è un’immagine che mi piace molto. L’equilibrio pare ritrovarsi solo in un mondo geometrico, fatto di ellissi, verticali, piani… dove persino i sogni sono parabole.

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