di Francesco Giusti
[È in uscita, per Cesati, il volume Poesia e nuovi media, a cura di Francesco Giusti, Damiano Frasca e Christine Ott. Questa è l’introduzione di Francesco Giusti]
1. Il rapporto tra la poesia e i cosiddetti nuovi media – considerati qui in un’accezione molto ampia che va da cinema e televisione fino a computer, internet, social network e Realtà Aumentata – si presenta come abbastanza complicato. Percorre tutto l’arco che va dall’entusiasmo ottimistico per le nuove possibilità spalancate tanto nel reale quanto nel virtuale e nell’immaginario fino alle posizioni più severamente critiche verso quell’apocalisse dell’umano che l’assorbimento incauto nelle nuove tecnologie sembrerebbe annunciare. Occorre, però, tentare di definire i contorni di questa relazione prima di provare a far emergere le specifiche problematicità.
Tale relazione si può configurare infatti all’interno di un ventaglio di possibilità piuttosto ampio: come apporto tematico all’interno di una modalità di scrittura che conserva alcune sue caratteristiche specifiche; come adozione di soluzioni tecniche che mutano la forma testuale a cui la poesia ci ha abituato, almeno nelle sue tendenze dominanti; come influenza al livello verbale e nella costruzione delle immagini a causa di un mutato universo verbo-visivo di riferimento; come differenti modalità di produzione, diffusione e ricezione dei testi; come integrazione di materiali non verbali (visivi e sonori) all’interno del testo che assume così una forma composita, facilitata dalla visualizzazione su schermo invece che nel tradizionale formato del libro cartaceo; come messa in crisi di quell’ideale soggetto “ottocentesco” a cui la lirica, almeno in una certa sua concezione, sembra essere strettamente legata. Le possibilità qui sommariamente identificate, ovviamente, non si presentano quasi mai come isolate, ma interagiscono nella costruzione di una nuova testualità.
Allo stesso tempo, però, la poesia, e in particolare la cosiddetta poesia lirica, sembra mostrare una straordinaria resistenza a lasciarsi modificare dalle nuove tecnologie. Sia da parte del creatore sia dal parte del lettore sembra esserci una sorta di tenacia nell’aderire a una certa idea di poesia elaborata e divenuta dominante (ma certamente non esclusiva) nel corso dell’Ottocento e ancora oggi ordinariamente praticata[1], nonostante gli innumerevoli e diversificati tentativi di farla esplodere dall’interno o dall’esterno che hanno segnato il secondo Novecento. A fenomeni di permanenza si rivolge Damiano Frasca nel suo contributo, in cui, parlando di Andrea Inglese e del transito di testi poetici attraverso blog e siti letterari, rileva la sostanziale applicabilità a questi testi delle tradizionali definizioni di lirica fornite da Hegel e Northrop Frye – che assegnano tematicamente e formalmente all’io una posizione centrale nel discorso – e il mantenimento dell’autorità culturale assegnata al libro di poesia come organizzazione macrotestuale e nella sua materialità cartacea.
Il computer, come invece si può dedurre dal contributo di Elisa Unkroth, conduce la crisi dello statuto tradizionale dell’opera d’arte ben oltre la sua interminabile riproducibilità, grande segno del moderno, verso la sua potenzialmente infinita ricreabilità[2]. Se gli esperimenti dell’Oulipo già esploravano tale possibilità, il loro trasferimento su supporti informatici ne aumenta a dismisura le possibilità combinatorie – limitate, nella fase iniziale della sperimentazione, proprio dalla materialità del libro cartaceo – fino a superare quelle gestibili e fruibili da qualsiasi lettore o autore umano. Il testo, per tanto tempo considerato una macchina generatrice di senso nell’atto di lettura, sembra esporre sempre più al suo fruitore il suo stesso processo di generazione e rigenerazione da parte di un programma. Il testo tradizionalmente inteso si allontana del suo “autore” identificato e dal controllo che questi dovrebbe esercitare sulla sua configurazione linguistica e semantica, distribuendo l’esercizio creativo in maniera più incerta tra varie entità in collaborazione: autore o ideatore, programma e talvolta programmatore, la rete come via di diffusione, lettore con i vari devices a sua disposizione[3]. La questione dell’autorialità emerge con forza già nel saggio di Bettina Thiers dedicato al teorico tedesco e pioniere del digitale Max Bense.
In altre parole, è sempre più difficile considerare, o meglio ignorare, tutto quel che accade tra l’autore e il lettore come spazio neutro, trasferimento privo di disturbi, comunicazione trasparente[4]. Non è soltanto il medium a mutare, viviamo anche in un’epoca che nutre un enorme interesse per la mediazione. I nuovi media producono nuove fantasie e sono affetti da fantasie che organizzano i piaceri di un certo immaginario. Come suggerisce Martina Daraio, poi, il web non è soltanto un mezzo, ma anche un nuovo territorio virtuale – tutt’altro che astorico o irreale, come pur potrebbe sembrare – che bisogna imparare ad abitare e che implica anche un nuova gestibilità dello spazio fisico[5]. Accanto alla geolocalizzazione, una tecnologia che problematizza radicalmente i rapporti tra reale e virtuale è indubbiamente quella Realtà Aumentata a cui Katiuscia Darici rivolge qui la sua attenzione, grazie a cui la poesia può mutare la percezione del reale in uno «spazio urbano ibrido».
Spostare la propria residenza (il termine è ripreso dal saggio di Daraio) di autore o lettore sul web ha indubbiamente degli effetti sulla produzione e sulla fruizione della poesia, inclusa la costruzione di nuove comunità – interpretative e creative – unite da caratteristiche che possono essere molto diverse da quelle attorno a cui si aggregavano le comunità precedenti. È evidente, per fare un’annotazione ormai banale, che il filtro critico ed editoriale, che stabiliva cosa stampare e quindi diffondere presso il pubblico, è stato sostituito, almeno potenzialmente, da una divulgazione immediata e da un’accessibilità diretta ai testi.
2. Al centro della discussione sembra collocarsi un interrogativo: cosa accade alla poesia lirica nell’incontro con i nuovi media? Le nuove tecnologie mettono in crisi questo genere letterario intaccandone quello che viene spesso identificato come il suo nucleo fondamentale, cioè l’espressione di una certa soggettività moderna? Non bisogna giungere ai più recenti social network con le molteplici identità virtuali che consentono di costruire per notare quanto sia problematico il rapporto tra una certa concezione dell’io e le potenzialità messe a disposizione dalla tecnologia[6]. Sulla scia delle osservazioni di Marshall McLuhan su Narciso, le riflessioni di Christine Ott su alcune poesie di Valerio Magrelli e Amelia Rosselli mettono in luce come già la televisione e il cinema possano destabilizzare profondamente sia nelle pratiche sia nell’immaginario l’autonomia dell’io agente e trasformare il soggetto dell’osservazione nell’oggetto osservato.
La costituzione e la definizione di che cosa sia un soggetto e di che cosa sia l’umano è legata anche alle tecnologie disponibili in un dato contesto storico. Modificazioni significative del sistema dei media a disposizione e dell’universo culturale in cui esso viene elaborato in immagini, concetti, pratiche e possibilità d’uso, implicano anche modificazioni della forma storica di soggettività che in essi si trova ad operare. Se la televisione può essere criticata in Magrelli per il suo deprivare il soggetto umano di un’autonoma attività, attributo di una sua specifica forma storica, essa contribuisce anche a creare una nuova soggettività capace di nuove modalità di produzione artistica. Muovendo dalla tesi di McLuhan secondo cui le nuove tecniche costituiscono delle estensioni del corpo umano e quindi dal potenziale accrescimento delle sue capacità che esse dovrebbero comportare, Lena Schönwälder indaga come i cambiamenti tecnologici mutano le modalità percettive del soggetto umano e problematizzano radicalmente le possibilità auto-rappresentative dell’io lirico in testi di Gianni D’Elia ed Edoardo Sanguineti.
Molto interessante, nei termini di un’evoluzione del poetico, è la differenziazione che Paolo Giovannetti propone tra quel che accade allo storytelling nel suo trasferimento nel digitale – la storia raccontata si dipana e si articola transmedialmente tra libro, cinema, televisione, videogioco, fino ad arrivare a declinazioni web – e quel che invece accade alla poesia, per lo meno quella cosiddetta avanguardistica: nella rete essa si sposta sempre più verso la sua dimensione di oggetto visivo, in un processo di «reificazione» che esalta la natura «installativa» dell’evento poetico. Di conseguenza, «Non c’è più una soggettività che a me si rivolge in modo più o meno diretto, più o meno triangolato; la poesia ora appare dislocata in un altrove non-umano a cui decido di rivolgermi senza alcuna garanzia che non sia un interesse implementativo». Il lettore, dal canto suo, si fa sempre più fruitore visivo dell’oggetto-poesia e assume un ruolo fondamentale nel realizzarlo come opera. Nella virtualità di internet, pertanto, la lirica sembra paradossalmente “materializzarsi” e in questo modo potenziare quella dimensione di artefatto che, secondo Jonathan Culler, costituisce un suo tratto fondamentale[7].
Per quanto riguarda la sopravvivenza della poesia lirica, tutt’altro che scontata, molto dipende da cosa si intende con questa incerta etichetta. In una prospettiva storicista si tratta di una categoria moderna, delineata tra la fine del Settecento e l’Ottocento, più o meno indebitamente applicata con una lettura retrospettiva alla miriade di forme poetiche prodotte in precedenza. Di questo avviso sono Virginia Jackson e Yopie Prins nella loro influente introduzione a The Lyric Theory Reader pubblicato nel 2014[8]. Contrapponendosi a questa tendenza, Jonathan Culler invece, nel suo Theory of the Lyric del 2015, promuove la possibilità di guardare alla lirica come genere di lunga durata che conserva alcuni tratti fondamentali, di natura anzitutto formale e retorica, a partire dalla lirica greca arcaica fino ai giorni nostri[9]. La differente prospettiva da cui si osserva l’oggetto ha delle conseguenze rilevanti. Se riteniamo la lirica indissolubilmente legata a una certa forma storica della soggettività, maturata appunto nell’Ottocento, allora le rivoluzioni tecnologiche e le mutazioni socio-culturali recenti non possono che mettere a repentaglio quel genere letterario, che può semmai essere rintracciato oggi soltanto in fenomeni “conservativi”[10]. E la ribellione delle avanguardie novecentesche – segnate da una vergogna per la lirica – condurrebbe davvero a un’uscita dal genere[11]. Se invece si considera la lirica, per lo meno all’interno della tradizione occidentale, come una serie di caratteri e di tensioni che un particolare uso del linguaggio mantiene attraverso i secoli e che può accogliere, adattandosi, forme storicamente diverse di soggettività, vale allora la pena di indagare cosa accade alla lirica nell’era del digitale.
Forme più orizzontali, diffuse, virtuali e finanche “collettive” di soggettività; una memoria meno profonda e individualizzata; un uso del linguaggio meno legato a un desiderio di originalità singolare; una pratica creativa sempre più legata al sonoro e al visivo, anche con modalità di fruizione collettiva, rispetto al predominio della scrittura alfabetica e alla lettura silenziosa, mettono a repentaglio la poesia lirica? Oppure il lirico, inteso come forma del discorso, è mutato o addirittura si è spostato altrove? Se da un lato la lirica assume le vesti di poesia sonora e visiva, dall’altro si moltiplicano i tentativi di rintracciare momenti e movimenti lirici in altre forme, nei video e nel cinema ad esempio. Non soltanto, quindi, la pratica artistica mostra un desiderio di ampliare il dominio del poetico oltre i confini stabiliti dal moderno, ma anche la critica letteraria (e non solo) dà segni di interesse nei confronti di una riconfigurazione della categoria. Questo da un lato testimonia di una ben nota inafferrabilità della lirica, dall’altro della sua produttiva duttilità. La straordinaria consapevolezza del codice che impiega, del linguaggio che adotta e di quelli che rifiuta, della relazione estetica intersoggettiva che instituisce (al contempo sincronica e diacronica) e delle proprie forme interne che la poesia lirica storicamente possiede sembrano essere in qualche modo adatte alla ridiscussione dell’arte nella nostra epoca. Bisogna, naturalmente, interrogarsi sul come e sul perché.
Si potrebbe ipotizzare che la poesia, nelle sue recenti evoluzioni nel mondo digitale, stia recuperando in forme meno gerarchizzate alcune caratteristiche estetiche che le sono state proprie per secoli – come la citazione, l’imitazione, la collaborazione e la ripetibilità di modelli comunicativi – prima dell’instaurarsi del paradigma romantico con i suoi concetti di originalità, espressività, creatività autoriale, autonomia dell’opera. Come osservano Gian Luca Picconi e Paolo Zublena nella loro indagine su poesia e digitale:
l’opera non è più l’immediata traduzione testuale (tecnica) di un soggetto poetico, ma una sorta di ricontestualizzazione di un oggetto ready-made. Il digitale ha avuto il pregio di sottrarre il soggetto della poesia alle sue pretese sostanzialiste e di riconsegnarlo alla sua convenzionale natura teorica.
I testi tornano a collocarsi in, e a interagire esplicitamente con, contesti discorsivi più ampi; la poesia torna ad essere una pratica nel mondo – e perciò necessariamente interrelata e modellata dalle tecnologie a disposizione – più che un’opera dotata di un certo grado di separazione dal mondo e investita di ambizioni di autosufficienza. Non c’è un soggetto forte che decide di esprimersi nell’opera, magari adottando intenzionalmente il linguaggio degli uomini suoi contemporanei; una forma di soggettività, magari, è presente nell’operazione come supporto e prodotto dell’operazione stessa. L’autore sembra diventare un operatore all’interno di un contesto discorsivo che non può neppure tentare di dominare, deve piuttosto avere a che fare con la sovrapposizione di linguaggi compresenti sulla superficie di quel contesto, anche perché spesso non possiede particolari competenze in merito alle strutture che lo sostengono.
3. Una questione fondamentale è senz’altro il rapporto di connessione storica, ed eventualmente di derivazione, che le attuali sperimentazioni poetiche nel mondo digitale intrattengono con gli esperimenti condotti dalle avanguardie e soprattutto dalle neoavanguardie novecentesche: da un lato l’interesse per le interazioni con il visuale, sia in forme statiche (pittura e fotografia) sia dinamiche (cinema e sequenze video), il sonoro e perfino con il tattile (si pensi, ad esempio, alla poetronica di Gianni Toti negli anni Ottanta); dall’altro i tentativi di “disumanizzare”, o almeno “desoggettivare”, la produzione poetica con testi prodotti da computer (Nanni Balestrini ne è l’esempio più noto in ambito italiano fin dai primi anni Sessanta).
Muovendo dai Calligrammes (1918) di Guillaume Apollinaire, Katarina Rempe indaga le immagini animate della kinetic poetry, una possibilità offerta dal digitale, nei loro rapporti con l’immagine statica della poesia concreta iniziata nei primi anni Cinquanta. Alessandro Scarsella, introducendo le sue letture di Gatto, Balestrini, Accrocca e Zanzotto in relazione a concetti centrali quali l’idiocanone e la mediosfera, rileva l’importanza di osservare le avanguardie del Novecento e le produzioni di tipo analogico per cogliere elementi di continuità e discontinuità sul lungo periodo. Si è discusso abbastanza di tale legame, finanche con tentativi di retrodatare quella che oggi chiamiamo e-poetry, digital poetry, new media poetry o cyberpoetry alla metà del Novecento, ma la proposta più condivisibile appare quella di collocare queste nuove forme poetiche a partire dagli anni Novanta e considerare le precedenti manifestazioni come la loro preistoria, nei termini di Chris T. Funkhouser[12].
Oltre che come specifiche analisi delle relazioni con particolari media storici, in questo volume gli interventi di Caroline Lüderssen sulle trasposizioni musicali dell’io lirico in Luigi Nono, Luciano Berio e Grégoire Lorieux, di Emanuele La Rosa sulla poesia italiana posta di fronte al dibattito sui mass media negli anni Sessanta e Settanta, e di Elisa Unkroth sulle ricerche letterarie di matrice oulipienne tra computer e internet, insieme alle osservazioni di Paolo Giovannetti su Nanni Balestrini e Amelia Rosselli, possono essere letti anche in tale ottica retrospettiva, cioè come indagini sulla preistoria delle sperimentazioni odierne in ambito digitale che mirano ad accrescere l’esperienza della poesia attraverso percezioni spazializzate e multisensoriali. Oggi il virtuale sembra paradossalmente offrire alla poesia la possibilità di dare concretezza materiale ad alcune tensioni e ambizioni che essa ha sempre posseduto: il collocarsi nel qui e ora in cui il lettore presta la propria voce ai versi; l’insistenza su metri, ritmi e sonorità interni al testo; gli sforzi di veicolare percezioni sensibili, non soltanto comunicare stati emotivi; il desiderio di fare del testo un’esperienza nel presente piuttosto che la rappresentazione verbale di eventi precedenti[13]. Katarina Rempe, ad esempio, osserva gli effetti di vocalità della kinetic poetry, la sua temporalità e la sua vicinanza alla performance art dove «invece di concezione, c’è evento».
4. Se la riflessione critica giunge sempre in ritardo rispetto alla creazione artistica, la dinamica è particolarmente manifesta in un ambito così legato a una innovazione tecnologica che si muove a velocità con cui è estremamente difficile stare al passo[14]. I saggi qui raccolti trovano un loro nucleo originario negli interventi del convegno Poesia e nuovi media, tenutosi a Villa Vigoni dal 22 al 25 maggio 2013, a cui hanno preso parte, con gli interventi accolti qui, Martina Daraio, Katiuscia Darici, Damiano Frasca, Emanuele La Rosa, Caroline Lüderssen, Christine Ott, Katarina Rempe, Alessandro Scarsella, Lena Schönwälder, Bettina Thiers, Elisa Unkroth. In seguito a questo nucleo si sono aggiunti su richiesta dei curatori i contributi di Paolo Giovannetti, Gian Luca Picconi e Paolo Zublena. Al momento della pubblicazione, pertanto, il volume porta gli inevitabili segni di questo ritardo, in particolare riguardo a un problema che meriterebbe una riflessione autonoma e su cui si sta già lavorando, cioè l’archiviabilità dei materiali digitali, legata alla deperibilità dei supporti e alla rapida obsolescenza delle tecnologie[15].
Significativamente, alcuni dei link indicati qui come riferimenti bibliografici potrebbero non essere più disponibili al lettore, ma si tratta, ancora una volta, di una questione legata alle tecnologie, che evidentemente aprono nuovi spazi di possibilità tanto quanto pongono nuovi limiti non soltanto alla produzione poetica, ma anche alla critica letteraria che tenta di darne conto[16]. Di necessità la “vecchia” pubblicazione cartacea segue tempi diversi rispetto alla “nuova” pubblicazione sul web. Si ringraziano in ogni caso gli studiosi coinvolti nel progetto per lo sforzo di ridurre per quanto possibile il distacco temporale che sembra essere costitutivo e a suo modo indicativo di un mondo che vive in peculiari asincronie. Trovare una forma di equilibrio, per quanto instabile, tra le differenti temporalità che l’essere umano si trova ad abitare oggi è una sfida specifica del nostro tempo. Un ringraziamento particolare va naturalmente agli altri due curatori del volume, Damiano Frasca e Christine Ott, per aver seguito il progetto fin dalle sue fasi iniziali, e agli organizzatori, insieme a Christine Ott, del convegno da cui il volume prende le mosse, Pietro Cataldi, Caroline Lüderssen e Alessandro Scarsella.
Il volume non ha ovviamente alcuna ambizione di esaustività, vuole piuttosto essere un contributo agli studi in un settore che richiede ancora enorme impegno critico per fare luce sulle direzioni, i movimenti, le tendenze e, perché no, la qualità, di una produzione artistica che rischia costantemente di essere sommersa nel fermento della rete e rapidamente dimenticata nella deperibilità dell’archiviazione online. In Italia, in particolare, c’è ancora molto lavoro da fare sia per quanto riguarda la ricognizione critica delle opere e degli autori sia in merito a una riflessione teorica più generale sulle forme della poesia e della comunicazione poetica degli ultimi anni[17]. Dire che la poesia contemporanea è un genere negletto dalla critica recente è ormai una sorta di cliché dello stesso discorso critico. Forse si è storicamente troppo vicini al fenomeno per averne uno sguardo d’insieme; forse la poesia nelle sue forme tradizionali, sebbene ancora molto praticata, non riesce a tener testa a nuove esperienze artistiche. In ogni caso, una maggiore comprensione delle tecnologie che danno forma alla nostra vita, alla nostra creatività e alla nostra riflessione critica, può aiutare a cogliere quelle non-contemporaneità a cui si è accennato e a capire dov’è la poesia oggi, ancor prima di chiedersi cos’è.
[1] Cfr. Guido Mazzoni, Sulla poesia moderna, Bologna, il Mulino, 2005.
[2] Nel suo studio sulla produzione e la fruizione (reading) del testo di digital poetry, Funkhouser discute di creative cannibalism, transcreation e hyper attention (riprendendo la distinzione tra la tradizionale deep attention umanistica e la nuova hyper attention prodotta dagli ambienti ipermediali proposta da N. Katherine Hayles), in Chris T. Funkhouser, New Directions in Digital Poetry, London-New York, Continuum, 2012.
[3] Simanowski, ad esempio, afferma con risolutezza che «un testo convenzionale scritto al computer e presentato online non rispetta il criterio del richiedere il medium digitale per ragioni estetiche se potrebbe anche essere presentato nel formato a stampa»; per il teorico, tre caratteristiche aiutano a definire l’opera digitale: interactivity, intermediality e performance o processualization (Roberto Simanowski, Digital Art and Meaning. Reading Kinetic Poetry, Text Machines, Mapping Art, and Interactive Installations, Minneapolis-London, University of Minnesota Press, 2011, pp. 27-35, p. 32, trad. mia). Altre serie di caratteristiche sono state proposte, tra gli altri, da Janet Murray, Lev Manovich, Espen Aarseth, N. Katherine Hayles e Noah Wardrip-Fruin. Per una panoramica e una riflessione sull’impatto della testualità digitale sulla teoria letteraria tradizionale, in particolare riguardo la narrativa, si veda Markku Eskelinen, Cybertext Poetics. The Critical Landscape of New Media Literary Theory, London-New York, Continuum, 2012, in particolare pp. 15-46. Per una ricognizione in italiano sulla letteratura elettronica, delle sue generazioni e dei suoi generi è utile Fabio De Vivo, eLiterature questa (s)conosciuta, in «Testo e Senso», 2011, 12, http://testoesenso.it/article/view/53 (ultima visita 30 luglio 2017).
[4] Bootz pone l’accento sullo scarto semiotico che separa text-auteur (il testo scritto dall’autore) da texte-à-voir (quel che il lettore fruisce come testo in una sua forma temporanea) e sull’autore come co-autore, date le differenze prodotte sul testo visualizzato quando il programma viene eseguito in differenti contesti tecnici, Philippe Bootz, Digital Poetry: From Cybertext to Programmed Forms, in «Leonardo Electronic Almanac», XIV (2006), 5-6, http://www.leoalmanac.org/wp-content/uploads/2012/09/04Digital-Poetry-From-Cybertext-to-Programmed-Forms-by-Phillipe-Bootz-Vol-14-No-5-6-September-2006-Leonardo-Electronic-Almanac.pdf (ultima visita 30 luglio 2017).
[5] Alle nuove spazialità che le recenti tecnologie consentono alla letteratura e agli studi letterari è dedicato David Cooper – Christopher Donaldson – Patricia Murrieta-Flores, Literary Mapping in the Digital Age, London-New York, Routledge, 2016.
[6] A proposito delle nuove forme di soggettività nella electronic literature sono interessanti le osservazioni condotte in Sandy Baldwin, The Internet Unconscious. On the Subject of Electronic Literature, New York-London, Bloomsbury, 2015. Sulle precedenti venture della soggettività lirica nella poesia del Novecento la bibliografia è sterminata, per l’ambito italiano si rimanda almeno al volume pubblicato in questa collana Costruzioni e decostruzioni dell’io lirico nella poesia italiana da Soffici a Sanguineti, a cura di Damiano Frasca, Caroline Lüderssen e Christine Ott, Firenze, Cesati, 2015, e a Damiano Frasca, Posture dell’io. Luzi, Sereni, Giudici, Caproni, Rosselli, Pisa, Felici, 2014.
[7] Jonathan Culler, Theory of the Lyric, Cambridge, Harvard University Press, 2015. Culler riprende l’idea di artefattualità da Roland Greene (Post-Petrarchism: Origins and Innovations of the Western Lyric Sequence, Princeton, Princeton University Press, 1991), ma considera un carattere dominante quello che per Greene era un possibile polo dialettico nella tensione tra rituale e finzionale.
[8] The Lyric Theory Reader. A Critical Anthology, a cura di Virginia Jackson e Yopie Prins, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 2014, pp. 1-8. Si veda anche Virginia Jackson, Dickinson’s Misery. A Theory of Lyric Reading, Princeton, Princeton University Press, 2005.
[9] Il critico discute la prospettiva storicista in Culler, Theory of the Lyric, cit., pp. 83-90. Cfr. Francesco Giusti, The Lyric in Theory. A Conversation with Jonathan Culler, in «Los Angeles Review of Books», 27 maggio 2017, https://lareviewofbooks.org/article/the-lyric-in-theory-a-conversation-with-jonathan-culler/ (ultima visita 30 luglio 2017).
[10] Da una tale prospettiva sulla lirica muove Adalaide Morris, New Media Poetics: As We May Think/How to Write, in New Media Poetics: Contexts, Technotexts, and Theories, a cura di Adalaide Morris e Thomas Swiss, Cambridge-London, The MIT Press, 2006. Se «la lirica presenta una serie di caratteristiche che includono l’ideologia di un singolo autore, una retorica dell’autoanalisi, della giustificazione e della ricostruzione del sé, un’idealizzazione del mistero di oggetti artistici unici nel loro genere e, non ultimo, un controllo della diffusione degli artefatti attraverso tradizioni pedagogiche, protezione dei diritti d’autore e costose edizioni critiche a stampa»; Morris vuole collocare i new media poems «in un campo espanso che non è né poesia né non-poesia, ma uno scambio attivo tra due forme del discorso: da un lato la lirica tardo romantica a stampa, dall’altro la poesia in rete (networked) e programmabile». I new media poems sarebbero, «in effetti, laboratori in cui l’io della lirica si trasforma (morphs) nell’io polisemico, distributivo e in costante cambiamento dell’economia informazionale» (pp. 19-20, trad. mia).
[11] Di vergogna della lirica parla ad esempio, in ambito americano, Gillian White, Lyric Shame. The “Lyric” Subject of Contemporary American Poetry, Cambridge, Harvard University Press, 2014.
[12] Chris T. Funkhouser, Prehistoric Digital Poetry: An Archaeology of Forms 1959-1995, Tuscaloosa, University of Alabama Press, 2007. Per una discussione del “genere” si veda anche Loss P. Glazier, Digital Poetics: The Making of E-Poetries, Tuscaloosa, University of Alabama Press, 2002.
[13] Questo aspetto della lirica, già osservato da altri, assume un ruolo davvero centrale in Culler, Theory of the Lyric, cit.
[14] Una ricognizione importante delle possibilità offerte dal digitale agli studi letterari è A Companion to Digital Literary Studies, a cura di Ray Siemens e Susan Schreibman, Chichester, Wiley-Blackwell, 2013, pp. 318-335.
[15] Cfr. Beat Suter, Archivability of Electronic Literature in Context, in Beyond the Screen. Transformations of Literary Structures, Interfaces and Genres, a cura di Jörgen Schäfer e Peter Gendolla, Bielefeld, transcript, 2010, pp. 443-464.
[16] I curatori hanno ricontrollato tutti i link presenti nei saggi e aggiornato la data di ultima visualizzazione al 2017. Nei casi in cui le pagine non siano più disponibili si è scelto di lasciare la data di ultima visualizzazione indicata dall’autore, in genere risalente al 2013.
[17] Tra i contributi recenti che si muovono in questa direzione si segnalano almeno il numero di «L’Ulisse» (2016, 19) dedicato a Forme ed effetti della scrittura elettronica; gli studi di Paolo Giovannetti, Retorica dei media. Elettrico, elettronico, digitale nella letteratura italiana, Milano, Unicopli, 2004, e Id., La poesia italiana degli anni Duemila, Roma, Carocci, 2017; Filippo Milani, Rete (1993-2013), in Poesia e Storia, a cura di Niva Lorenzini e Stefano Colangelo, Milano, Mondadori, 2013, pp. 307-325, e Id., Interferenze informatiche nella poesia italiana contemporanea, in «Between» IV (2014), 8, http://ojs.unica.it/index.php/between/article/viewFile/1318/1119 (ultima visita 30 luglio 2017).
[Immagine: Computer].
argomento interessante: ad alcune delle considerazioni contenute nell’articolo, sfiorandole, c’eravamo arrivati tempo fa…
https://michelenigro.wordpress.com/2014/09/15/web-poetry-poesia-ipertesto-sperimentalismo/
” In ogni caso, una maggiore comprensione delle tecnologie che danno forma alla nostra vita, alla nostra creatività e alla nostra riflessione critica, può aiutare a cogliere quelle non-contemporaneità a cui si è accennato e a capire dov’è la poesia oggi, ancor prima di chiedersi cos’è.” (Giusti)
Oh, si dicesse una parola *anche* sugli effetti *politici* in poesia (e annessi) di quest’adozione delle “tecnologie che danno forma alla nostra vita, alla nostra creatività e alla nostra riflessione critica”! Effetto Salvini anche qui?