di Patrick Chamoiseau

[È appena uscito per add editore Fratelli migranti. Contro la barbarie, di Patrick Chamoiseau, nella traduzione di Maurizia Balmelli e Silvia Mercurio. Ne pubblichiamo un estratto, ringraziando l’editore].

 

Cosa significa dunque agire o portare-manovra al di là dell’emergenza senza trascurare l’urgenza né perdere di vista l’essenziale, e senza considerare che l’origine di questa tragedia è governata da forze invisibili? E tuttavia, come non vederle? Il neoliberismo che tende a trionfare; la sua finanza dedita a isterie letali; il Politico che diserta se stesso in democrazie divenute erratiche; lo Stato che si assottiglia, abbandonando il timone ai soli economisti, e si piega alle innumerevoli entità mercantesche, diffuse e operanti nel tessuto del mondo. Non un software, non uno schermo, non una scoperta delle nano e delle bio-tecno-scienze, non una maglia della mente o una connessione che sfugga al loro dogma!… Ed ecco che questo ottenebramento planetario provoca l’esclusione, il rifiuto, la violenza, la stupidità, l’odio e l’indecenza che fermentano da ogni parte, che si amplificano in sequenze algoritmiche e social network, che esplodono nell’orda istintiva dei media affascinati da questi network al punto da diventare mimetici. Questo cedimento genera una perdita di etica, e quando l’etica vacilla la bellezza precipita. Pasolini aveva ragione a inquietarsi tanto davanti a una notte politica italiana che sembrava trionfare. Una notte simile ci inghiotte, in sordina, insensibile, invisibile, finché a un tratto assume sembianze maligne sotto un ciuffo biondo al comando della più potente nazione degli uomini…

 

La morte visibile

 

Ma lasciamo l’invisibile e restiamo su quello che vedete, in questo istante crepuscolare come ormai da anni, come di anno in anno e per anni ancora, gente, migliaia di persone, non meduse o colonie d’alghe gialle ma persone, piccole grandi vecchie persone di ogni genere, che deperiscono e periscono, e a lungo moriranno sul patibolo delle frontiere, ai bordi delle nazioni, delle città e degli Stati di diritto… Le frontiere dell’Europa si stagliano come feritoie viola. Alimentano uno degli inferni danteschi e ricreano una forma di quell’Abisso di cui parlava Glissant. Abisso di vite affogate, di immobili palpebre aperte, di spiagge dove i corpi strappati alle profondità vanno ad agitare la schiuma. Abisso di bambini fluitati, addormentati in una forma di corallo, inghiottiti dalla sabbia o teneri e disarticolati da impavide onde lunghe. Qua, Lampedusa, un po’ roccia, un po’ torcia, un po’ ostrica, quasi stellare, che risucchia e digerisce senza spazio né tempo una sostanza viva, e con lei il blu cobalto del mondo, il suo onore color del grano, la sua verde decenza e anche i soli della sua coscienza. Là, rossa, l’isola di Malta, che vede formarsi intorno terribili corone, anelli di sopravvivenze, onda tumultuosa di cuori, speranze stratificate in schiuma su orizzonti chiusi. Ai confini greci e italiani – bianchi squarciati su grigi d’impotenza – gente, non rocce, non reti di plastica, persone, migliaia di persone, si accalcano si ammassano si avvinghiano in una vischiosa trina in cui la morte e la vita non distinguono più le proprie maglie, e si sorreggono così in cenci tremanti di un intenso viola scarlatto, l’una nell’altra. Le gradazioni segrete del vento sono abitate da grida.

 

Zattere nere popolano i neri flutti. In questa deriva oscura i lamenti non trovano dove posarsi, dove opporsi. Dolori vorticosi si ripetono senza fine, dalle macerie ai vicoli ciechi, su ogni modulo conosciuto firmato autorizzato e… dimenticato! per l’accesso al Rifugio, per la richiesta di Asilo e dei Diritti cosiddetti dell’Uomo. L’Iraq la Siria l’Eritrea l’Afghanistan il Sudan la Libia… sono arterie aperte. Schizzate da un viola immutabile marezzato da un fondo di fucina. Ciò che sanguina, queste onde vive che si riversano, parlo di gente, parlo di persone, sanguina da noi, sanguina verso di noi, tra noi, sanguina per tutti. Dal fondo dell’Atlantico, il continente degli africani – continente senza recapito, di cui per secoli le stive della nave negriera hanno macinato le fondamenta, i primogeniti del genere umano – ritrova in una esatta siderazione il suo doppio nel Mediterraneo. Blu ghiaccio, disertato da ogni limpidezza! È come un singhiozzo generale, uno spasmo delle nostre storie, un conato – di fatto, un vero e proprio nuovo inizio, non dell’uguale, ma delle forze riabilitate dell’orrore.

 

La pace neo-liberale

 

Nell’essere umano la barbarie è naturale, colore di fondo, molto freddo oppure molto caldo, seppia o carminio di manganese, ci sfinisce senza che riusciamo a finirla, ci passiamo senza mai oltrepassarla. Alberga e sempre albergherà in noi, lunare solare, solida e disponibile, e sempre di una lunghezza involutiva in anticipo su di noi. Ingenui ostinati, innocenti risoluti, ancora restii a conoscere le asperità fondatrici, pensavamo che i tempi più arcaici fossero ormai alle nostre spalle: violenze ancestrali, biancori calcinati dei sacrifici mistici, efferatezze tribali, ferventi inquisizioni, il sanguinoso compendio della conquista e delle dominazioni, tratta dei negri schiavitù e colonizzazioni (che riepilogano tutti gli oltraggi al genere umano per meglio concentrarli e profetizzarli), patrie guerriere, conflitti mondiali, campi nazisti di acidi e braci, gulag dagli anni bisestili, rivoluzioni culturali correttive, genocidi che travalicano la loro stessa definizione… tutte pratiche assassine iscritte come altrettante reliquie nella Storia purpurea dei vincitori e nella legittimità talvolta sconvolgente di coloro che resistettero e che resistono ancora… Alle nostre spalle, violenze arcaiche! Alle nostre spalle!… Alcuni hanno perfino decantato le virtù di questo impero capitalista che offriva la pace del libero-scambio. Li abbiamo visti santificare l’ordine del Grande Mercato, giustificare le frenesie della finanza e delle sue banche, e permettere che una vita – le nostre intere esistenze! – si ritrovasse candita dal carico di un carrello straripante e del «potere d’acquisto». Hanno cantato i fasti di una tranquillità spendereccia in cui il desiderio si sublima in ciò che si consuma, si realizza e si derealizza, placandosi senza mai consumarsi, come una persistenza ostile al divenire.

 

Certo, c’erano quei barbari arcaismi che continuavano a riapparire: persistenze coloniali senza colonizzazione, immaginari fossili mal decolonizzati, carneficine di droni ciechi che non distinguono più tra guerra e polizia, esecuzioni di Stato, atrocità collaterali, pulizie etniche, primavere di popoli spezzati da inverni grigio acciaio, impunità israeliane, disperazioni palestinesi, dittature esperte in armi chimiche ed erette a baluardi contro l’ipnosi islamista… – e adesso le follie terroriste che ne conseguono e le replicano, alimentate dall’istanza plenaria dell’islamofobia, dai suoi echi servili e dalle sue fonti razziste… Ma non potevano che essere sussulti marginali! Non dovevano e non potevano farci dimenticare che noi eravamo in Pace! Che avevamo per così dire raggiunto un grado di serenità inalterabile, se non addirittura, sotto la ferula occidentale, un traguardo di «civiltà». Che potevamo andare-e-venire, democratizzare a piacere, filosofare profondo sorseggiando birra, produrre cinema per festival, romanzi per premi, turismo decerebrante, dedicarci a consumi culturali inoffensivi e compiaciuti. Che in fondo non avevamo davvero motivo per lamentarci e che i tempi barbari appartenevano a un altro tempo.

 

Questo incontestabile successo ci autorizzava a marginalizzare quelle eruzioni (di un’intensità di ossido e di cadmio) che qua e là si manifestavano, insistevano, persistevano, fino a fiorire nelle brutalità di Lampedusa Malta Sudan Eritrea Libia… in Siria, dove Aleppo abbandonata da tutti ormai non è che un’imprescrittibile accusa a tutti, in ogni angolo del Mediterraneo, alle porte del santuario d’Europa rimaste chiuse… Erano solo anomalie le cui onde d’urto venivano contenute da Frontex e dal glorioso esercito dei guardatenebre armati dalle civiltà. È vero, avevamo… La pace capitalista e finanziaria, però, non è la Pace. È portatrice di una barbarie che addomestica le vecchie barbarie sotto l’egida dei «costumi moderati» in cui trafficano i banchieri, gli affaristi e i commercianti. Sull’onda del suo trionfo, questa barbarie perde invisibilità, vede emergere le sue segrete e straripare le sue stive, rivelandosi infine altrettanto virulenta di una vecchia arca di Noè in cui si concentrino a diversi livelli tutte le virulenze mai esistite… Ah! Che le morti di massa nel Mediterraneo ci aprano gli occhi! Che ci permettano di distinguere le piccole morti della quotidianità, il disastro disperso nella schiuma dei nostri giorni, la catastrofe senza nome la cui ombra lacera pesa su di noi con tutta la sua assurdità!…

5 thoughts on “Fratelli migranti

  1. Apprezzabili le intenzioni, indigeribile lo stile. Non so quando creperà definitivamente questa sinistra della pappa del cuore, emotiva e retorica, che invece di contare e ragionare fa cadere dall’alto degli esercizi di stile non richiesti, come questo francese che scrive “quando l’etica vacilla la bellezza precipita”. Mi spiace davvero perchè temo che così la barbarie leghista sia ancor più dura da battere.

  2. Gli occhi, le bocche, i corpi serrati di questi sconosciuti cosa stanno per dire? Chi qui in Italia o in Europa è oggi in grado di ascoltare? Forse bisognerebbe partire da Fanon non da Chamoiseau…

  3. “Migrazioni s’intitola il capolavoro di Miloš Crnjanski, il romanzo uscito fra il 1929 e il 1962, capolavoro della letteratura serba moderna, storia disperata e barocca che racconta le vicissitudini d’un esercito serbo volvoda al servizio della monarchia austriaca, migrante attraverso tutto l’Impero, fino al cuore della Germania, nel 1744. […]
    Credo che soltanto il romanzo di Crnjanski esponga a puntino il tema della migrazione come stato estremo e disperato. La vita che di solito è ricoperta da consuetudini quasi inavvertite, da mura di casa, da ritorni incessanti di certe vedute e di certi volti, nella migrazione si denuda. Così si rivela perché Ermete fu dio della sapienza e del vagabondaggio.”

    Elémire Zolla, La migrazione, in Lo stupore infantile, Milano Adelphi 1994. pp. 93-95

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