di Walter Siti
[E’ uscito ieri, pubblicato da Einaudi, un nuovo «racconto lungo» di Walter Siti, Bontà. Il protagonista è Ugo, anziano editor, infelice e benestante, al servizio di una casa editrice senza nome. Pubblichiamo alcune pagine tratte dall’inizio del secondo capitolo, ringraziando l’editore per avercele fornite (gs)].
Ugo si sveglia sempre di buonumore quando lo aspettano le riunioni di bilancio, e in genere quando si deve parlare non di scrittura ma di numeri. È rinfrescante come fare il turista con molti dollari in tasca: tutto è mercatino, e gadget, e tocca agli altri occuparsi della manutenzione. Portare lo spirito alla cassa insegna a non flirtare con gli strascichi bavosi dei sogni mattutini, è una sana lezione di realismo. In quelle occasioni sente un’onda di rispetto per chi mira francamente al benessere economico e di ogni libro si chiede «quanto farà» o «chi sarebbe l’attore giusto?» – purché non si scambi il mercato con l’oltretempo. Gli autori che impostano un romanzo già pensando al film sarebbero piú stimabili se non si ritenessero guide morali e guru; la notorietà e la pubblicità non sono movimenti di anime, o lo sono nel peggiore dei sensi. Come al solito Ugo è scisso in due e porta in giro con disinvoltura i pezzi decostruiti: dall’ombelico in giú è interamente sociale, mentre testa e cuore sono mistici e vorrebbero tutti malati di divino. (Di notte le due parti si invertono). È sempre amico di chi mette alla gogna le cose alte e nobili per cui segretamente parteggia; il cinismo è la sua escrescenza da titillare, come nell’infanzia è stato il suo biberon. Lui chiama tutto questo mancanza di ipocrisia e beve come una redbull energizzante l’incoscienza di essere ipocrita con se stesso; il contrasto tra produttività ed eterno, tra Cristo e Pilato, annega nel liquido di un’austera frivolezza.
La riunione è fissata per le undici, Ugo ha tempo per (come usa dire) «incanaglirsi con le basse forze»: le quindici o venti persone che alle dieci e mezza avvertono tutte insieme il bisogno di una pausa e affollano il terrazzo per fumare. Maggio ha fatto esplodere le rose e invita col suo tepore ai tessuti leggeri; due lucertole ancora un po’ intontite non si lasciano intimorire dal frastuono.
– Ma ringrazi il cielo che è stata mollata…
– Hai notato che quelli con gli occhi azzurri possono saltare la fila?
– Quel weekend lí è come se vivessi in un altro pianeta… o in un sogno…
– Il tuo cosa fa, Cris, di mestiere?
– Cura i campioncini dell’Inter, da un punto di vista agonistico ma anche di tesseramento…
– «Dream» è l’anagramma di «merda».
– Io, il mio, se gli metto davanti gli spinaci me li sputa…
Umiltà quotidiana che fa apparire la letteratura come un’incallita astrazione di megalomani élitari, o al massimo un passatempo.
– Il mare a Milano Marittima è un bidè lungo due chilometri…
– M’ha detto «dista un chilometro e tre a piedi», forse dista un chilometro e tre con qualunque mezzo di locomozione…
– Avrà voluto dire che in macchina occorre fare un giro piú lungo, figa come sei sofistico…
– Lo so che ha bisogno, mi si è presentato col padre… ma l’altro aveva due master specialistici della Ivy League, non c’era gara.
Squarci illuminati da un dolore o da una rabbia. Ugo se lo ricorda anche lui il «lettore» che era venuto a pregare di essere assunto, accompagnato dal padre; un ragazzo sveglio, piuttosto caruccio, giustamente stufo di leggere e riassumere manoscritti a cottimo per quaranta euro ogni scheda, lordi («se lo sapevo andavo in Africa, Medicina mi è sempre piaciuta, almeno ero utile a qualcuno…»); danni collaterali, ma non c’è tempo per ascoltare la coscienza, la compassione gli arriva come un disturbo lontano – la riunione chiama, «se no poi mi accusano di arrivare sempre in ritardo». Ugo scatta dal muretto spaventando le lucertole: bilancio eccomi, presente, resoconto intermedio di gestione.
Quota di mercato confermata al 7,9 e qui ci siamo; andamento del titolo, ahi, scende dal 2,4 al 2,1 – la saggistica va male, malissimo i periodici. Il Mol è negativo, «calo sostanzialmente riconducibile a tutte le aree di business». Recupero di efficienza nel settore fiction, meno male, con tutte le amputazioni che ci siamo autoinflitte. La scolastica è ovvio che fa un buco, data la stagionalità, si semina adesso per raccogliere a ottobre; tra i quattro marchi, solo la capogruppo è in attivo. Gli italiani meglio degli stranieri e gli hardcover meglio dei paperback. Le linee di credito cominciano a cigolare, si auspicano buone performance per tutto il 2017; bestseller come here, per favore, ci servi come il pane. Due titoli nella classifica dei piú venduti da gennaio a marzo (Manuale per politici corrotti e Uomini che sanno piangere), ma niente acuti che facciano svoltare. Valore patrimoniale netto 96 milioni di euro, «costiamo meno di un calciatore». Il succo, in definitiva, è che si dovrà stringere ancora la cinghia.
Quasi a confermare il rigorismo, un cartello davanti all’ascensore informa che da oggi si potrà usufruire dei «ponti» solo con «utilizzo di istituti feriali» – in parole povere, se per il due giugno vuoi andare al mare ti bruci un giorno di ferie. Nella sala-buoi c’è il solito fermento dopo le notizie economiche: «la Fandom sta perdendo la sua mission degli young adult, per questo zoppica, sarebbe come se Iperborea la smettesse coi nordici»; «mo’ si sono fissati col noir mediterraneo»; «ma le avete viste le pagine 85-88 del libro di ***? continuiamo a farci del male da soli… da una parte spingiamo un autore e dall’altra pubblichiamo chi lo stronca». Qualcuno ancora recrimina su una È in grassetto che ha rovinato un incipit («chi doveva fare l’ultimo controllo ha dormito») e qualcun altro si lamenta che, nella postazione dov’è stato confinato, il sole picchia sullo schermo e gli bastona gli occhi. «Chi se la sciroppa la presentazione di Roberto nella fabbrica occupata?» È pronta la Instagram story su Herbert Graf, che fu il «piccolo Hans» di Freud e che, diventato produttore di opere liriche, si subordinò alle primedonne essendo già stato strumentalizzato in infanzia? «Dammi il concept…»; fin che si svacca in una barzelletta su Wonder Woman (Superman la vede dall’alto completamente nuda che geme come in un amplesso, arrapato si butta su di lei, «e allora?», «allora l’uomo invisibile ha goduto tantissimo»).
Si dice che nessuno sia un grand’uomo allo sguardo del proprio cameriere: chi lavora nell’editoria è un cameriere della letteratura – la vede cambiarsi d’abito, la sorprende in déshabillé o mentre si scaccola senza pudore o si intrattiene con ceffi dall’improbabile contegno. Dall’astronave in cristalli e acciaio di via Vitruvio 19 è impossibile separare il cielo dalla fogna: l’assoluto non è cosí assoluto se si può comprare, la fogna non è cosí fogna se trova le parole. Schiacciati da un confronto implicito con storie piú grandi di loro, stretti tra la soddisfazione di avere un lavoro qualsiasi e i residui di impegno radicale, questi tecnocrati dell’illusionismo consolatore non si accomodano mai davvero in una compiuta maturità – lo si capisce dal modo estroso e deperibile di gettarsi i conformismi alle spalle, dall’ansia di sottrarsi a troppo facili dopolavorismi: sono una comunità di individualisti, che chiedono alle vacanze, ai cibi esotici, ai cani da grembo e ai gin tonic la grazia d’essere promossi piú in alto del loro livello salariale.
Quanto all’ammasso disordinato di incastri che con generosa approssimazione denominiamo «vita privata», ognuno di loro (e di noi) ne sfoggia ovviamente una speciale – ma nell’open space non si manifestano che brevi scintille, scene di un melting pot interclassista di ronzanti api operaie: il resto rimane fuori dalla fabbrica. Sono loro che confezionano i racconti, o sono i racconti che confezionano loro? Stanno dando, o stanno togliendo qualcosa alla letteratura? Quel prisma lucente, con tre lati nel futuro e un solo spigolo nel passato, non è che uno dei tanti luoghi ossequenti al sistema, dove si intesse il gioco subdolo della parola superflua e di quella indispensabile.
– Non lo conosci quasi, che ti frega?
– Guarda che l’altruismo è piú semplice con gli sconosciuti.
Carlo e il giovane Ruben approfittano di qualche sosta del vento lavorativo per prendere confidenza, annusarsi nella loro quasi genetica dissimmetria. Di un tizio del marketing, Carlo ha notato che quando in mensa mangia due gelati poi litiga meno, cosí fa finta di non volere il suo e glielo lascia: al «lettore» che non hanno assunto, invece, che conosce bene perché è figlio di un amico, ha regalato una bicicletta che non usava piú e quello non gli ha nemmeno detto grazie, per cui è rimasto deluso.
– Forse preferiva che tu lo raccomandassi in alto loco…
– Avrei danneggiato qualcun altro… meno entri nella ragnatela di favori e meglio è… l’Italia è un paese vischioso.
– È per questo che ti occupi degli stranieri?
– No, quella è stata una scelta dell’azienda…
– Entusiasmo, eh?
– E tu?
– Io l’ho voluto fortemente, la straniera è sempre stata il mio obiettivo… che poi dire «straniera» non ha piú senso, perché il mainstream non ha confini, è una specie di esperanto… siamo alla Weltliteratur di Goethe, ormai.
Carlo dubita che «letteratura del mondo» e «letteratura globalizzata» siano sinonimi, ma sorvola: quel ricciolino rampante lo intimorisce, con le sue certezze e la famiglia cosmopolita – parla fluentemente cinque lingue, compreso il russo, e conta su una rete di interlocutori coetanei che gli suggeriscono libri e scrittori di nicchia.
– Io con questo Mukhtar Kőspinek azzarderei, era l’esordiente piú stimato dal grande Ajtmatov[1], quello del Battello bianco…
– Se dico a Ughetto che voglio comprare un kirghiso, adesso che cercano il colpaccio… vabbe’ che costa poco…
– Non cedere senza guerreggiare, fammi un po’ di resistenza… niente è piú triste di un best seller che non vende, mentre qui il rischio è minimo e magari ci stupisce.
– Ma l’hai letto?
– No, naturalmente, però la Eksmo-Ast lo sta traducendo a Mosca…
– Quindi aspettiamo, dài…
– Appena è pronto il manoscritto me lo faccio mandare, anticipiamo gli americani.
– Ma guarda come sta bene la Cris…
– Signora De Lellis…
– Non mi far sentire piú vecchia di quello che sono, dammi del tu… macché bene, sono disperata… ho rovinato il microonde, eppure ero sicura che la stagnola non toccasse le pareti…
– Allora è lo shock che ti dà quest’aria cosí pimpante…
– Ho anche cambiato pettinatura, grazie Carlo di averlo notato… senti, hai per caso le coordinate di David Grossman, vorrei mandargli l’intervista di Piperno prima che la pubblichi…
– È riuscita a stanarlo, il laziale scontroso?
– Sei riuscita… sí, stavolta l’ho messo sotto… con le signore è piú malleabile.
– Con le belle signore…
– Ah, ma com’è galante la nostra new entry… Carletto sai dirmi perché rovino sempre quello che tocco?
Lui non risponde, sollecito le passa un braccio intorno alle spalle; si appartano per qualche minuto, parlano fitto; poi le dà un bacio sulla fronte e torna alla scrivania.
– Rimbocchiamoci le maniche, minora premunt.
– Scusa Carlo, ti rubo solo ancora un minuto… a proposito di sorprese che vengono da lontano, perché non hai detto a Ugo che la Han Kang te l’avevo sconsigliata io?
– Perché tendo a tutelare i miei collaboratori.
– Ma io non desidero essere tutelato, non ho bisogno di chaperon, credo di potermela cavare da solo.
– Me lo segno, tranquillo (si apre in un sorriso)… d’ora in poi sarò feroce.
Cristina intanto si è rintanata sul terrazzo, miracolosamente deserto. Contempla le ombre che si allungano e pensa a come ha disarmato Giovanni: cosí virilmente irsuto e cosí indifeso nella piagnucolosa impotenza; se non che lei («con le mie arti manipolatrici») ha saputo volgere al bene l’impasse, e quel che accade adesso tra loro farebbe l’invidia del piú perverso dei pornografi. Chissà se quello è il bene, poi – i maschi sono ordigni delicati, non sai mai fin dove puoi inoltrarti: Giorgio per esempio, l’uomo sposato con cui ha avuto una storia, si è completamente sgretolato quando la moglie gli ha annunciato d’essere incinta di un altro; aveva accolto il divorzio con elegante sportività, sembrava, ma ora si è affossato nella depressione al punto che la ormai ex moglie deve portargli a casa ogni tanto la bambina avuta da quell’altro, cosí almeno è costretto a mettersi un po’ in ordine e a chiamare la donna delle pulizie.
Mirella, mentre prepara la rassegna stampa di una biografia della famiglia Kardashian, è in pena per la madre che soffre di nefropatia grave e ha pregato di poter avere tutti i figli intorno, ma quel testone di Bruno (il fratello) si rifiuta di salire, è la cognata che lo inziga. Tra le file dei Mac spirano refoli di liaison scombiccherate, di abnegazioni fuori tempo massimo – voli senz’ali dal dodicesimo piano, maghe brianzole denunciate ai carabinieri. Strano pomeriggio: i serpenti dell’infelicità strisciano sulla moquette e si insinuano tra le postazioni senza risparmiare nessuno – che può valere, contro il loro veleno, una istituzionale diga di libri?
[1] Čyngyz Ajtmatov (1928-2008) è considerato il maggiore scrittore kirghiso del secondo Novecento; nel romanzo Il battello bianco narra di un bambino maltrattato e sognatore che si suicida gettandosi nel fiume.
[Immagine: Evaristo Baschenis, Due liuti attiorbati, cetera, mandora, fogli con notazioni musicali, chitarra, spinetta, fogli con intavolatura per liuto, scrigno, piatto di mele, garofano e pera (1665), Bergamo, collezione privata]
Sto cercando di commentare senza dare giurizzi tagliati con l’accetta e anzi provando ad essere costruttiva ma mi riesce impossibile. A me piace Walter Siti, ma questa cosa è irritante e mi pare profondamente inutile A chi interessa questo tipo di descrizione del mondo delle case editrici? A cosa serve? Anche esteticamente: che mi sposta?
“uno dei tanti luoghi ossequenti al sistema, dove si intesse il gioco subdolo della parola superflua e di quella indispensabile”. Non si poteva dire meglio, e tutto il brano mi è piaciuto molto. Ma il gioco subdolo della parola superflua e di quella indispensabile non è la cattiva coscienza della letteratura in generale? E una certa smania di canonizzare il “classico” non viene proprio dall’urgenza, magari inconscia, di nascondere quel gioco? Di illudersi di avere stabilito, o poter stabilire, un catalogo di “parole indispensabili “?
che bello il quadro del baschenis, le ditate di polvere sui liuti così sexy (perché non solo i mandolini ricordano…), i fogli accartocciati, la frutta…chissene di Walter Siti. Come disse Walter Benjamin a Scholem quando gli restituì nel ’33 una copia de L’uomo senza qualità: “Il Musil, tienilo pure. Non ho più nessun gusto a leggerlo, e mi sono congedato da questo autore quando ho capito che è più intelligente di quanto sarebbe necessario”