di Adelelmo Ruggieri
Non poco tempo fa vidi un documentario[i] del Settantatre di Franco Simongini che mostra e racconta, passo dopo passo, la genesi di un dipinto dell’ultimo De Chirico, il Sole sul cavalletto [Olio su tela, cm 64,5×81, luglio 1973]. Mi colpì tanto, e la mano fermissima del pictor optimus intenta a tirare sulla tela bianca le linee mi parve avere un che di sorprendente per l’età sua di allora, ottantacinque anni.
Erano trascorsi più di sei decenni dai suoi primi memorabili dipinti metafisici. Provai a scrivere qualcosa ma non ci riuscii, o ci riuscii ma ebbi fretta di cestinare quanto prima quanto scritto, per sottrarmi al pericolo incombente d’incaponirmi su di un quadro, non sarebbe stata certo la prima volta. È che alcuni dipinti mi entrano così tanto nella testa da diventare in quattro e quattr’otto perfino materiale visivo per i miei sogni, sia quelli belli che quelli meno. E tant’è che sognai qualcosa che somigliava a questo Sole sul cavalletto, è un ricordo-non ricordo, certo: c’era un filo che partiva da qualcosa e aveva il colore di quel qualcosa, e arriva a qualcos’altro, da tutt’altra parte, e aveva il colore di questo qualcos’altro da tutt’altra parte, era sera nel sogno, c’erano i colori del crepuscolo. E c’era forse anche un ampio varco da cui si vedeva un paesaggio a occidente. Una somma di all’incirca fu quel sogno. Con certezza posso dire invece che l’altro ieri, mercoledì 7 novembre, rientrato da Osimo, ho rivisto quel documentario tre volte di seguito, per cercare di capire il colpo che mi era venuto poche ore prima, a trovarmi di fronte al Sole sul cavalletto.
Apro una breve parentesi per accennare al contesto di quel mio sbalordimento. Sto in pensione da quasi due anni e ho preso l’abitudine, a metà settimana, per spezzare la freccia del tempo, e così non faccia il giro completo della settimana, e mi prenda come bersaglio il lunedì della successiva, di stare mezza giornata fuori casa, ma delle volte torno indietro alla prima rotonda, altre volte cambio direzione o torno indietro a metà tragitto. Ma l’altro ieri mattina era tutto perentorio, e la strada da fare una sola, e una e solo quella la meta: Osimo, Palazzo Campana: “Giorgio de Chirico e la Neometafisica”, a cura di Vittorio Sgarbi, l’ultimissimo de Chirico che mette sulla tela i medesimi soggetti del periodo metafisico, ma in una rappresentazione più lieta e quasi ironica, scrive il curatore.
Bene, eccomi giunto nella sede espositiva, con le sale a piano primo in fondo a un lungo corridoio, tutte spaziose e nitide. Molte le opere esposte, sculture, carte e tante tele, e i cartelloni esplicativi affissi a muro per nulla invadenti, come spesso accade. In uno di essi d’inquadramento de Chirico trentunenne – nel ’19, un secolo fa – spiega per iscritto cos’era per lui a quella data “l’aspetto metafisico delle cose”: Pigliamo un esempio: io entro in una stanza, vedo pendere una gabbia con dentro un canarino, sul muro scorgo dei quadri, in una biblioteca dei libri; tutto ciò non mi colpisce, non mi stupisce poiché la collana dei ricordi che si allacciano l’un l’altro mi spiega la logica di ciò che vedo; ma ammettiamo che per un momento e per cause inspiegabili ed indipendenti dalla mia volontà si spezzi il filo di tale collana, chissà come vedrei l’uomo seduto, la gabbia, i quadri, la biblioteca; chissà allora quale stupore, quale terrore e forse anche quale dolcezza e quale consolazione proverei io mirando questa scena. La scena però non sarebbe cambiata, sono io che la vedrei sotto un altro angolo. Eccoci all’aspetto metafisico delle cose.
Smetto di trascrivere, ora guardo e basta, delle volte contemplo – e quando è contemplazione si riconosce, il guardare si fa intenso e assorto – annoto il titolo: questo è Il pittore, questo è L’astrologo, questo è il Trovatore, questo il Ritorno al castello, questo Il rimorso di Oreste, questo è un Interno metafisico con squadre, questa è l’Armonia della solitudine, e loro? Le muse della lirica. Questi sono Ettore e Andromaca. Qui siamo nella seconda sala, questa è una carta, Tutti e l’oggetto misterioso, questo è Il mistero di Manhattan, questa è l’immagine-effigie della mostra, L’anniversario del Principe. E qui siamo nella terza sala, questo è Il segreto della sposa, ecco i Cavalli antichi di Apollo, e costoro? Questi sono i Quattro gladiatori nella stanza con vista del Colosseo. Questo è Il mistero di una stanza d’albergo a Venezia, qui è la Vita silente con testa di Minerva, qui una Piazza d’Italia con statua di Cavour.
I dipinti in mostra stanno per finire, ma è proprio adesso che arriva qualcosa che a vederlo lì mi sembra un prodigio, è il Sole sul cavalletto. Mostra l’interno di una stanza con una finestra amplissima su di un paesaggio montuoso. È il crepuscolo. In cielo c’è un sole nero e c’è una luna nera. Un filo, nero prima e giallo poi, come si accendesse, collega il sole nero al sole giallo appoggiato sul cavalletto, così per la luna spenta in cielo e l’altra accesa nella stanza, sul pavimento. Poi ci sono una poltrona e due panneggi ai lati che scontornano il dipinto. L’ho ricordato subito, e senza leggere la targhetta ho ricordato il titolo. È lì, come fosse uscito dal documentario del ’73 che vidi non pochi anni fa. sono molto emozionato, è l’emozione dell’incontro imprevedibile, torno indietro, rifaccio piano il giro delle sale per ritrovarmi davanti al Sole sul cavalletto come non l’avessi già scrutato cinque minuti di seguito, e torno indietro un’altra volta, e ora c’è una giovane donna, è davanti l’Interno metafisico con officina, e sono molto contento di non essere più solo, inabissato tra i quadri. Le dico, È una mostra splendida. E lei risponde, È vero.
Sono quasi le tredici, fra poco chiudono. È ora di andare.
Mentre guido piano verso casa continuo a ripetermi, Ma ora ammettiamo che per un momento si spezzi il filo della collana, che per un momento si spezzi il filo della collana, il filo della collana. È questo il punto, è lo stesso filo che tiene insieme i due soli del dipinto e le due lune del dipinto, il nesso di ferro che s’allunga per il tempo di una vita, e se lo togli via, addio collana e pietre di luna e pietre di sole e crepuscoli di luce.
[i] https://m.youtube.com/watch?v=eoVdP1IhKrc
[Immagine: Giorgio De Chirico, Il sole sul cavalletto, 1973]
Per conoscenza, la bellissima registrazione è riascoltabile su youtube!
Consiglio agli amanti del maestro di visitare la sua casa-museo a Roma, in piazza di Spagna. Io l’ho fatto e ho avuto una perfetta agnizione sul significato di “metafisica”, grazie a un lapsus linguistico della guida che parlava inglese: lo racconto molto in breve qui.
https://esageratore.wordpress.com/2016/02/12/metafisica-involontaria/