di Helen Pluckrose, James A. Lindsay, Peter Boghossian

 

traduzione italiana a cura di Mimmo Cangiano, Alberto Comparini, Guido Mattia Gallerani

 

[LPLC si prende un periodo di vacanze natalizie. Per non lasciare soli i nostri lettori ripubblichiamo alcuni pezzi già usciti. Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2018. La versione originale, apparsa sulla rivista «Areo», si può leggere qui].

 

 

Quando alcune settimane fa questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Areo ne siamo stati entusiasti. Due di noi hanno studiato negli Stati Uniti, e l’inganno che è al centro del saggio ci confortava in un’idea che sosteniamo da anni: esiste in alcuni settori dell’accademia anglofona – prevalentemente in ambito umanistico – un sistema di controllo ideologico che veicola le direzioni della ricerca; esiste, vogliamo dire, una macchina del consenso che costringe alla subalternità le posizioni dei ricercatori (di sinistra come di destra) non allineati a ciò che qui viene definito come “studi del risentimento”. Diremo di più: mentre i ricercatori di destra, spesso supportati da fondi esterni all’accademia, hanno comunque i loro spazi per formulare una contro-ideologia, quelli di sinistra si ritrovano schiacciati fra l’egemonia in questione e il rischio di essere apparentati con quelle posizioni destrorse che certo non condividono.

 

 

Un altro elemento del saggio che ci è piaciuto è che, a differenza del vecchio Affare Sokal, qui il proposito non è ridicolizzare la cultura umanistica dichiarandone la nullità rispetto alle scienze dure, ma esporre la vacuità di una cultura di ricerca che non si sostiene su rigore, intelligenza, creatività, ma esclusivamente sulla ripetizione di formule facili, accettate in quanto allineate ad alcune direttive ideologiche. E siamo certi che molti degli studiosi impegnati in questi pseudo-studi non ci credono fino in fondo, ma vi si adattano per quieto vivere, per sfruttarli come ascensore sociale, per stare in maggioranza. Qualcosa del genere era del resto già accaduto, negli anni ’50-’80, proprio rispetto a quella cultura marxista classica che noi continuiamo a sostenere, quella stessa cultura che ha da tempo spiegato quale potenza il consenso rappresenti. Va da sé che ogni campo di ricerca si muove in un sistema di potere ben definito, il cui linguaggio, spesso, genera strutture rigide e talvolta impermeabili; nei casi qui proposti, però, all’ideologia della ricerca accademica si è sostituita un’agenda politica, se così si può definire, priva di finalità scientifiche.

 

 

Siamo preoccupati? Certo lo siamo. Comprendiamo benissimo come le argomentazioni dell’articolo possano offrire il fianco a una cultura di destra impegnata a delegittimare l’accademia, la ricerca, gli studi finalizzati a sviluppare una maggiore equità sociale. E certo non possiamo essere d’accordo con l’articolo in ogni sua parte: in particolare la sezione sulla verità oggettiva e sulla a-ideologia della scienza non ci ha convinto per niente.

 

 

D’altro canto abbiamo trovato ridicolo l’immediato fare quadrato degli accademici contro questo articolo. Un’istituzione che accetta di pubblicare 7 saggi chiaramente artefatti nella loro assurdità, dovrebbe avere il buon gusto di cominciare una severa autocritica, invece di accusare di disonestà (o addirittura di creazione para-trumpiana di fake news), come accaduto, chi l’ha così facilmente raggirata.

 

 

In ultimo, se abbiamo tradotto questo articolo è perché crediamo alla possibilità di una funzione politica dell’università, e pensiamo che la direzione presa dagli “studi del risentimento” non sia quella giusta, ma sia anzi una via che produce scollamento fra accademia e opinione pubblica, creando una cultura rigidamente moralistica, e meramente finalizzata, nel suo furore etico, a una reprimenda puritana non interessata a socializzarsi sul piano del vero consenso: non quello chiuso nei corridoi universitari, ma quello che si manifesta al momento del voto. Al ricatto “se non sei con noi sei di destra” non ci stiamo, anche perché la cultura del risentimento non ha più nulla di sinistra. È solo un regolamento di conti fra gang della classe media.

 

(Mimmo Cangiano, Alberto Comparini, Guido Mattia Gallerani)]

 

 

Prima parte: Introduzione

 

Qualcosa è andato storto all’università – specialmente in alcuni campi di studio umanistici. La ricerca non si basa più sul trovare la verità, ma sul partecipare a quel risentimento sociale che, in tali campi, è ormai dominante. Gli studiosi sempre più bullizzano studenti, personale amministrativo e membri di altri dipartimenti al fine di farli aderire alla loro visione del mondo. Tale visione non è scientifica né è perseguita con metodi rigorosi. Molti hanno segnalato tale problema, ma è mancata finora una seria ricerca che portasse le prove di quanto sta accadendo. Per tale ragione noi tre abbiamo deciso di lavorare per un anno all’interno del campo scientifico in questione, analizzato quale parte intrinseca del problema.

 

 

Abbiamo impiegato questo tempo per scrivere articoli accademici e per pubblicarli in riviste, a revisione paritaria, associate con i campi di ricerca che vanno sotto il nome di “cultural studies”, “studi identitari” (per esempio i gender studies), “critical theory”, tutti campi correlati a quella interpretazione postmoderna della ‘teoria’ emersa a partire dagli anni ’60. Abbiamo deciso di definire questi campi quali “studi del risentimento” a causa del loro obiettivo comune di problematizzare aspetti culturali minuti al fine di diagnosticare gli squilibri di potere e i meccanismi oppressivi correlati alle varie identità.

 

 

[…] Dal momento che una franca discussione su temi identitari quali il genere, la razza e la sessualità (e sulla ricerca articolata su questi temi) è quasi impossibile, il nostro obiettivo è proprio quello di far ripartire il dialogo. Speriamo che ciò dia alle persone – in particolare a quelle interessate alla liberalità, al progresso, alla modernità, alla ricerca aperta, alla giustizia sociale – una visione chiara riguardo alla follia identitaria che emerge dall’accademia e dall’attivismo di sinistra, e faccia loro dire: “No, non vi seguirò. Voi non parlate in mio nome”.

 

Questo articolo include i primi risultati del progetto e rappresenta il tentativo iniziale di comprendere il significato dei dati rilevati. A causa della sua lunghezza e del suo essere estremamente dettagliato, proporremo, prima, le informazioni fattuali, e solo in seguito la spiegazione di queste, seguendo tale schema:

 

            ° Metodologia, che è centrale per la dimostrazione delle nostre tesi

 

            ° Un riassunto del progetto dalla sua ideazione alla sua necessità di diventare pubblico

 

            ° Una spiegazione del perché l’abbiamo fatto

 

            ° Un sommario del problema in questione e della sua importanza

 

            ° Una chiara spiegazione del progetto e della sua formazione

 

 

° I risultati del nostro studio, includendovi la lista degli articoli presentati, la decisione delle varie commissioni su questi, i commenti rilevanti dei revisori

 

            ° Una discussione sul significato dei risultati ottenuti

 

            ° Un sommario del lavoro che ancora si potrebbe fare

 

Seconda parte: Metodi

 

Il nostro approccio può essere inteso come una tipologia di etnografia riflessiva. Significa che abbiamo condotto uno studio particolareggiato della cultura universitaria immergendoci all’interno di questa, riflettendo sui dati ottenuti e modificando la nostra comprensione del problema.

 

Il nostro obiettivo era comprendere questa cultura fino a diventarne esperti linguisticamente e metodologicamente, pubblicando poi articoli a revisione paritaria all’interno di quelle riviste in cui, solitamente, solo gli esperti del particolare campo di ricerca sono in grado di pubblicare. Dal momento che abbiamo concettualizzato questo progetto come etnografia riflessiva, cercando di comprendere il campo e il modo di prender parte a questo, capire come rendere accettabili le assurde tesi che abbiamo presentato negli articoli risultava fondamentale. I commenti dei revisori, infatti, sono spesso più rivelatori dello stato della ricerca del fatto stesso che gli articoli siano stati accettati.

 

Mentre tutti i nostri saggi sono stravaganti o intenzionalmente fallaci in modi differenti, è importante capire che essi si adattano quasi perfettamente al tono e ai contenuti di altri articoli pertinenti alle discipline qui analizzate. Al fine di dimostrare la nostra tesi avevamo infatti bisogno che gli articoli fossero accettati specialmente da riviste importanti e influenti. […] Avevamo anche bisogno di scrivere saggi che si prendessero il rischio di testare ipotesi tali da rendere la loro pubblicazione immediatamente una spia del problema da noi studiato (si veda in seguito la sezione Articoli). Di conseguenza, e benché i nostri articoli manchino decisamente di rigore, abbiamo sempre mantenuto identica un’importante variabile: la metodologia utilizzata per scrivere ogni articolo.

 

[…] ogni articolo è cominciato manifestando preoccupazioni, epistemologiche o etiche, riguardo lo stato del campo di ricerca, ed è continuato suggerendo come sanare i problemi correlati allo stato della ricerca stessa. L’obiettivo è stato sempre quello di usare la letteratura esistente in modo da rendere accettabile, al più alto livello di rispettabilità intellettuale del campo di ricerca, ogni follia o insensatezza. Ogni articolo è cominciato affermando qualcosa di assurdo o di fortemente immorale (o entrambe le cose) che noi eravamo interessati a sviluppare e chiarire. Abbiamo poi lasciato alla letteratura esistente sul tema il compito di farci accettare nel corrente canone accademico.

 

Questo è il punto centrale del progetto: ciò che negli articoli descriviamo non è produzione di conoscenza; è mera sofistica. […] La differenza maggiore fra noi e il tipo di ricerca che stiamo studiando attraverso l’emulazione, è che noi sappiamo che stiamo inventando.

 

[…] Cosa sarebbe successo scrivendo un articolo sostenendo la necessità di addestrare gli uomini come cani al fine di evitare la cultura dello stupro? Ecco il saggio “Dog Park”. Cosa scrivendo un articolo affermando che quando un ragazzo si masturba privatamente pensando a una donna (senza il consenso di lei e senza che lei lo scopra mai) l’atto rappresenta una violenza sessuale nei suoi confronti? Ecco il saggio “Masturbation”. Cosa affermando che la super-intelligenza artificiale sia potenzialmente pericolosa perché programmata, seguendo il Frankenstein di Mary Shelley e la psicoanalisi lacaniana, per essere maschilista e imperialista? Ecco “Feminist AI”. Cosa affermando che il corpo di una “persona obesa sia legittimamente costruito” come base per introdurre il bodybuilding per ciccioni quale categoria sportiva e professionale del bodybuilding tout court? Potete ora leggerlo in Fat Studies.

 

In altri casi abbiamo perlustrato gli “studi del risentimento” letterari per analizzare la questione a monte e per sottolinearne i problemi. Glaciologia femminista? Ok, scriveremo un articolo di astronomia femminista sostenendo che l’astrologia queer dovrebbe essere considerata parte della scienza astronomica, la quale va etichettata come intrinsecamente sessista. I revisori erano entusiasti dell’idea. Usare un metodo di analisi tematica al fine di favorire un certo tipo di interpretazione dei dati? Bene abbiamo scritto un articolo circa i transessuali sul luogo di lavoro che serve allo scopo. Gli uomini creano un ambiente prettamente maschile per mettere in atto discorsi di un morente machismo che in una società allargata non sarebbero accettati? Nessun problema. Abbiamo pubblicato un saggio riassunto come “A gender scholar goes to Hooters to try to figure out why it exists”. […] Il nostro articolo “Dildos” risponde alle domande “Perché gli uomini eterosessuali rifiutano di masturbarsi mediante le penetrazioni anali, e cosa potrebbe succedere se lo facessero?”. Indizio: secondo il nostro articolo pubblicato in Sexuality and Culture, rivista leader del settore, sarebbero meno transfobici e più femministi.

 

Abbiamo usato anche altri metodi, come il “mi chiedo se il progressive stack[1] di cui leggiamo sui giornali possa essere utilizzato in un saggio che sostiene la necessità di togliere la parola agli uomini bianchi nelle università, e, per sicurezza, la possibilità di chiedere loro di restare seduti a terra in catene per ‘esprimere il loro bisogno di riparare al male commesso’”? Questo era il nostro saggio “Progressive Stack”. La risposta sembra di sì, la famosa rivista femminista Hypatia ha accolto le nostre idee con trasporto. Un altro momento per noi difficile è stato “Mi chiedo se una rivista femminista pubblicherebbe una riscrittura di un capitolo del Mein Kampf di Hitler”. Anche in questo caso la risposta è sì, dal momento che la rivista Affilia lo ha appena accettato. Andando avanti abbiamo cominciato a capire che praticamente ogni cosa poteva funzionare finché rientrasse all’interno dell’ortodossia morale e dimostrasse la conoscenza della letteratura esistente.

 

Detta in un altro modo, abbiamo ora abbiamo buone ragioni per credere che, appropriandosi degli studi esistenti nel modo corretto (e c’è sempre una citazione o un modo per farlo) si possa dire ogni cosa, politicamente alla moda, che si desideri. In ogni caso la domanda che emerge è questa: cosa abbiamo bisogno di scrivere, e cosa abbiamo bisogno di citare (tutte le citazioni da noi usate sono reali), per far diventare questa follia accademica una ricerca pubblicata ai più alti livelli?

 

Cosa abbiamo fatto?

 

 

Abbiamo scritto e inviato venti articoli alle migliori riviste nei vari campi […] ottenendo un notevole successo, anche se abbiamo dovuto far diventare il progetto prematuramente pubblico interrompendo così la ricerca prima della sua naturale conclusione. A questa altezza temporale abbiamo:

 

            ° 7 articoli accettati

 

            […]

 

            ° 7 articoli sotto revisione che ora dobbiamo fermare

 

2 “corretti e posti nuovamente a revisione” e in attesa di una risposta. (E’ piuttosto raro per un articolo essere accettato al primo tentativo )

 

1 ancora in attesa della prima revisione

 

su 4 non abbiamo avuto il tempo di tornare dopo il rifiuto della rivista o la richiesta di correzioni

 

            ° 6 ritirati come non pubblicabili

 

° 4 inviti, alla luce della nostra eccezionale competenza, per revisionare articoli altrui (per ragioni etiche abbiamo declinato. Ci sarebbe piaciuto molto partecipare pienamente a questa dominante culturale, sarebbe stato un’opportunità impareggiabile per dimostrare come questi campi di ricerca siano falsati perché, almeno parzialmente, il processo di revisione paritaria incoraggia i preconcetti politici e ideologici esistenti).

 

° 1 articolo (quello sulla cultura dello stupro nei cani al parco) ha ottenuto un riconoscimento speciale da Gender, Place, and Culture, una rivista ben considerata e leader incontrastata nel campo della geografia femminista. Il giornale, come parte delle celebrazioni per il suo 25° anniversario, ha premiato l’articolo come uno dei 12 saggi migliori nel campo.

 

Riassumendo: abbiamo impiegato 10 mesi per scrivere gli articoli, strutturando un nuovo articolo più o meno ogni 13 giorni (solitamente la pubblicazione di 7 articoli è considerata sufficiente ad ottenere l’Associatura nelle università più importanti, sebbene le regole varino da istituzione a istituzione). 80% dei nostri articoli sono arrivati alla fase di revisione paritaria, solo il 20% è stato immediatamente rifiutato senza revisione. Dopo alcuni mesi di pratica e esperimenti con articoli fasulli, abbiamo migliorato la nostra performance dallo 0% al 94,4%. […]

 

[…] I saggi si muovono fra almeno 15 sotto-campi di ricerca negli studi del risentimento, e includono femminismo, studi di genere, studi sulla mascolinità, queer, studi sulla sessualità, psicoanalisi, teoria critica della razza, teoria critica della whiteness, fat studies, sociologia e filosofia educativa. […] I saggi hanno anche provato ad essere umoristici in almeno alcuni aspetti minori. Il progetto ha finora generato oltre 40 articoli e valutazioni di esperti, circa 30,000 parole che vanno ad aggiungersi al conteggio precedente e ai dati ottenuti che forniscono una prospettiva unica e “interna” del campo di ricerca e dei suoi modi operativi.

 

I nostri articoli presentano una metodologia grossolana, incluso alcune statistiche non plausibili (“Dog Park”), affermazioni non supportate da dati (“CisNorm”, “Hooters”, “Dildos”), e analisi qualitative motivate ideologicamente (“CisNorm”, “Porn”). Sono stato utilizzate alcune dubbie metodologie quantitative, come l’indagine poetica e l’auto-etnografia […].

 

Alcuni articoli propugnavano dubbie questioni etiche quali l’addestramento di uomini come cani (“Dog Park”), la necessità di punire gli studenti bianchi maschi per la schiavitù, chiedendo loro di sedere in silenzio e incatenati sul pavimento durante la lezione per imparare dal disagio (“Progressive Stack”) […]. C’era anche un certo considerevole tasso di stupidità nel pretendere di aver educatamente analizzato i genitali di quasi 10,000 cani mentre si interrogavano i proprietari sulla loro sessualità. Abbiamo insistito sulla possibilità di imparare qualcosa sul femminismo nel mettere quattro ragazzi a guardare migliaia di ore di pornografia spinta, mentre gli stessi quattro svolgevano ripetutamente il Gender and Science Implicit Associations Test (“Porn”). Abbiamo manifestato dubbi sul perché le persone si preoccupino circa i genitali altrui quando impegnate in un rapporto sessuale con questi medesimi genitali (“CisNorm”) […].

 

Verso la fine di luglio 2018, dopo che il nostro “Dog Park” ha ottenuto un’incredibile attenzione mediatica sui social media, attenzione generata dall’account Twitter “Real Peer Review” (piattaforma finalizzata a esporre ricerche scadenti), abbiamo ritenuto necessario chiudere il progetto. Ci sono state prima piccole e poi più estese pubblicazioni giornalistiche su Helen Wilson, il nostro autore fittizio, e sulla nostra non-esistente istituzione, the Portland Ungendering Research Initiative (PURI). Sotto pressione, la rivista Gender, Place, and Culture ci ha chiesto di provare l’esistenza dell’autore e si è poi dichiarata preoccupata circa l’articolo. Ciò ha generato un’attenzione anche maggiore che è arrivata a coinvolgere il Wall Street Journal e, ancor più importante, ha modificato i presupposti etici alla base del progetto. Con l’arrivo delle maggiori testate giornalistiche e poi con due riviste a chiederci prove dell’esistenza degli autori, l’etica investigativa si sarebbe spostata dal mostrare la necessità di una ricerca alla menzogna vera e propria. Abbiamo dunque spiegato tutto al Wall Street Journal all’inizio di agosto, e abbiamo cominciato a preparare velocemente un riassunto dell’esperienza.

 

Parte III: Perché l’abbiamo fatto?

 

 

Perché siamo razzisti, sessisti, bigotti, misogini, omofobi, transfobici, antropocentrici, problematici, privilegiati, bulli, di destra, uomini bianchi eterosessuali (e una donna bianca che dimostra di aver internalizzato la misoginia e il terribile bisogno dell’approvazione del maschio) che vogliono diffondere l’intolleranza, preservare il privilegio e schiararsi con l’odio? Niente di tutto ciò. Tuttavia di ciò saremo accusati e sappiamo perché.

 

Per quelli che non lavorano all’università, particolarmente per quelli che sono scettici sul valore di questa istituzione, tutto ciò può sembrare una discussione ridicola rispetto ai problemi del mondo reale. Vi sbagliate. La questione qui analizzata è della più assoluta rilevanza proprio per il mondo reale e per chi lo abita.

 

Differentemente, quelli che giudicano l’accademia positivamente e supportano eticamente e/o politicamente le scienze umane e le scienze sociali, concentrate sulle tematiche della giustizia sociale, possono pensare che il lavoro fatto dai vari ricercatori negli “studi del risentimento” sia assolutamente importante e corretto. Avete ragione, è importante, ma non sempre è corretto – alcuni di questi lavori sono assolutamente terrificanti e surreali ed esercitano però una considerevole influenza sul campo e fuori da questo. Voi potete pensare che i problemi qui analizzati siano connessi alla necessità di pubblicare continuamente che le nostre università-azienda e un’editoria opportunistica ora pretendono, ma siate scettici sul fatto che esista un serio approccio epistemologico o etico dietro questo tipo di lavori.

 

In quanto persone di sinistra capiamo la vostra resistenza di fronte allo stato della ricerca accademica (su questioni legate alla giustizia sociale) che il nostro discorso rivela. Il lavoro fatto in tali campi di ricerca pretende di continuare il lavoro dei movimenti per i diritti civili, del femminismo di sinistra, del Gay Pride. Fa riferimento all’oppressione razziale, delle donne e delle minoranze sessuali. Certo, voi potreste quindi credere che questa ricerca sia essenzialmente buona e giusta, pur riconoscendola come un po’ sciocca e pretenziosa.

 

Dopo aver trascorso un anno a diventare esperti riconosciuti in questi campi, oltre ad esser diventati testimoni degli effetti divisivi e distruttivi che si creano quando gli attivisti e i social media mettono in uso metodi mafiosi, possiamo ora affermare con certezza che questi studi non sono né fondamentalmente buoni né fondamentalmente giusti. Questi studi non continuano affatto il nobile e importante lavoro del movimento per i diritti civili; lo corrompono, usando i suoi temi al fine di far penetrare un viscido odio sociale su un pubblico sempre più disgustato. […]

 

Qual è il problema?

 

 

Abbiamo affermato fermamente che c’è un problema nelle nostre università, e che questo problema si sta diffondendo all’interno del mondo della cultura. È aiutato dal suo essere difficile da comprendere e dall’uso intenzionale di parole emozionalmente potenti – come “razzista” e “sessista” – usate in modo tecnico e fuori dal loro significato comune. Il nostro progetto identifica gli aspetti del problema, li testa e li espone.

 

Il problema è epistemologico, politico, ideologico e etico, e corrompe profondamente la ricerca nelle scienze sociali e umanistiche. Il centro del problema è formalmente definito come “costruttivismo critico”, e i suoi scolari più eminenti talvolta come “costruttivisti radicali”. Esprimere il problema accuratamente è difficile, e molti che ci hanno provato hanno evitato di farlo in modo succinto e cristallino. Tale reticenza, mentre è comprensibile data la complessità del problema e delle sue radici, ha però aiutato il problema a diffondersi.

 

Il problema si riassume affermando il credo (quasi sacro) che molte delle caratteristiche comune alle esperienze umane e alle società siano socialmente costruite. Tale costruzioni sono viste come quasi interamente dipendenti dalle dinamiche di potere fra gruppi di persone, dinamiche dettate da sesso, razza, orientamento sessuale o di genere. Tutto ciò che forma la base di evidenza del reale è interpretato come creato, intenzionalmente e non intenzionalmente, dalle macchinazioni di gruppi potenti al fine di mantenere il potere sui subalterni. Tale punto di vista produce l’imperativo morale di distruggere quelle costruzioni.

 

Le comuni “costruzioni sociali” sono viste come intrinsecamente “problematiche” e quindi da smantellare, includendo:

 

° l’idea che ci siano differenze cognitive e psicologiche fra uomini e donne che possano spiegare, almeno parzialmente, perché i due gruppi facciano scelte differenti riguardo a lavoro, sesso e vita familiare;

 

° l’idea che la cosiddetta “medicina occidentale” (benché tantissimi eminenti medici non siano occidentali) sia superiore alle pratiche curative tradizionale e spirituali;

 

° l’idea che le norme occidentali che garantiscono alle donne e ai gruppi LGBT uguali diritti siano, in questo riguardo, eticamente superiori alle norme religiose o culturali non-occidentali;

 

° l’idea che essere obeso sia una condizione di salute limitante piuttosto che una ingiustamente stigmatizzata, e ugualmente sana e bella, scelta fisica.

 

Sottolineare queste presunte “costruzioni sociali” è la preoccupazione più importante di tutti questi campi di ricerca. Si tratta smantellare l’idea che la scienza stessa – ad uno con i nostri metodi di “raccolta dati”, analisi statistiche, […] – sia superiore a un metodo per determinare informazioni di tipo non-scientifico, tradizionale, culturale, religioso, ideologico o magico. Questo accade, per gli studiosi del risentimento, perché la scienza stessa e il metodo scientifico sono profondamenti problematici, se non direttamente razzisti e sessisti, e hanno bisogno di essere riformulati su base identitaria al di là della imparziale ricerca della verità. Queste stesse accuse sono anche estese alla tradizione filosofica “occidentale” in quanto favorevole alla ragione sulle emozioni, al rigore sull’elucubrazione, alla logica sulla rivelazione.

 

Come risultato il costruttivismo radicale tende a credere che la scienza e la ragione vadano smantellate per far sì che “altre forme di conoscenza” abbiano la stessa validazione. Tali forme di conoscenza, connesse ovviamente alla teoria in questione, sono proprie delle donne e delle minoranze razziali, culturali, religiose e sessuali. Sono anche considerate come inaccessibili alle caste privilegiate della società, cioè agli uomini bianchi eterosessuali. Gli studiosi del risentimento giustificano questo pensiero regressivo come una epistemologia alternativa chiamata “teoria del punto di vista”. Il risultato è un relativismo epistemologico e morale che, per ragioni politiche, promuove modi di conoscenza che sono antitetici alla scienza e un’etica che è antitetica all’universalismo liberale.

 

Il costruttivismo radicale è così un’idea pericolosa diventata autoritaria. Sviluppa la concezione che noi dobbiamo, per ragioni morali, rigettare la credenza che esista la possibilità di accedere alla verità oggettiva (oggettività scientifica) […]. A tale credenza ci si riferisce di solito come “scetticismo radicale”, sebbene i filosofi intendano altro con questo sintagma. Sebbene la conoscenza sia sempre provvisoria e aperta a revisione, ci sono metodi migliori o peggiori per avvicinarsi ad essa, e il metodo scientifico è il migliore a nostra disposizione. Per contrasto i mezzi utilizzati dalla teoria critica sono fatalmente difettosi. In particolare questo approccio rigetta l’universalità e l’oggettività scientifica e insiste, su basi morali, sul fatto che dobbiamo senza dubbio accettare la nozione di molteplice, la verità su base identitaria, così come nel caso della “glaciologia femminista”. Nell’ambito del costruttivismo critico ciò ha una esplicita e radicale motivazione politica.

 

 

Ogni ricerca che prenda le mosse dal presupposto, radicalmente scettico, che sia impossibile approdare alla verità oggettiva non può trovare la verità oggettiva. Di contro promuove pregiudizi e opinioni e li spaccia per “verità”. Per il costruttivismo radicale, queste opinioni affondano nello specifico nell’agenda politica connessa al tema della “Giustizia Sociale” […]. A causa del costruttivismo radicale, […] questi studiosi sono come banditori ciarlatani che interpretano la nostra società come martoriata da una malattia che solo loro possono curare. Questo malattia, per come essi la vedono, è endemica in ogni società che sostiene l’agency dell’individuo e l’esistenza (o la possibile conoscenza scientifica) di verità oggettive.

 

Avendo passato un anno su questi temi, comprendiamo perché questa difettosa tipologia di ricerca risulti attraente, comprendiamo perché sia inevitabilmente errata nei suoi fondamenti, e comprendiamo come possa essere usata per sollevare assurdi dubbi etici. Siamo stati studiosi e parte di questa cultura, una cultura che “prova” l’esistenza di certe problematiche e poi propone soluzioni divisive e degradanti.

Sappiamo bene che il sistema di revisione paritaria, che dovrebbe filtrare i pregiudizi mediante i quali tali problematiche si accrescono e guadagnano influenza, è inadeguato rispetto agli “studi del risentimento”. Si tratta di riconoscere che non è tanto un problema della revisione paritaria in sé, quanto un problema legato alle persone che vi partecipano. I controlli e l’equità che dovrebbero caratterizzare il processo di ricerca sono stati sostituiti da uno stabile venticello di pregiudizi confermati che porta gli studi del risentimento sempre più avanti.

 

Sebbene i finanziamenti alla ricerca non siano per la maggior parte coinvolti nel problema (ma certo le case editrici lo sono), siamo davanti a un caso di evidente corruzione. In questo sistema, una ricerca politicamente di parte e fondata su premesse altamente discutibili, viene legittimata come conoscenza certificata. Da qui passa a permeare tutta la nostra cultura, perché professori, attivisti e altri citano e insegnano questo corpus di ricerche fallaci e ideologicamente distorte.

 

Ciò è importante perché, sebbene la maggioranza della popolazione non leggerà un singolo articolo durante tutta la sua vita, le riviste a revisione paritaria sono il massimo standard a nostra disposizione nel campo della conoscenza. […]

 

Come società dovremmo poter fare affidamento sulle riviste scientifiche, sui ricercatori, sulle università, sul rigore filosofico e accademico (e molte riviste accademiche sono certamente affidabili). Abbiamo bisogno di sapere che c’è un fronte contro questa corruzione accademica che si estende al campo politico, morale e ideologico. Il nostro progetto suggerisce con chiarezza che al momento non possiamo fare affidamento sulle ricerche che ossequiano e trafficano con gli studi del risentimento, perché questi studi, basati sul costruttivismo radicale (campo derivativo delle ciniche filosofie postmoderne e poststrutturaliste), hanno corrotto le riviste accademiche.

 

Queste sono le ragioni e motivazioni del nostro progetto. Ma come l’abbiamo fatto e quali principi guida abbiamo utilizzato?

 

Parte IV: Il Piano – Come l’abbiamo costruito

 

Nel maggio 2017 James e Peter hanno pubblicato un articolo in una rivista di basso livello, sostenendo, fra le altre cose, che gli organi riproduttivi maschili causino concettualmente i cambiamenti climatici. L’impatto di questo articolo fu molto limitato e le critiche assolutamente legittime. La rivista era di bassa qualità e solo per questo motivo aveva pubblicato il nostro articolo (il controllo era lasco, non c’erano standard adeguati e l’autore doveva pagare per pubblicare). Questo primo tentativo di confondere le acque ci ha fatto comprendere che l’articolo “The Conceptual Penis” non poteva provare alcunché circa le condizioni del campo di ricerca (i gender studies) […]. Per farlo avevamo bisogno di studi assai più rigorosi.

 

Ci siamo approcciati a ciò facendoci due domande fondamentali: Abbiamo ragione nel sostenere che le migliori riviste a revisione paritaria nel campo degli studi di genere (e campi collegati) pubblicheranno articoli ovviamente artefatti? (per “artefatti” intendevamo articoli che presentassero almeno una delle seguenti caratteristiche: tesi chiaramente assurde, struttura dilettantesca, chiara mancanza di rigore, poca comprensione del campo di studio). E se no, cosa invece pubblicherebbero?

 

Ci siamo dati tre regole basiche: (1) ci concentreremo quasi esclusivamente sulle riviste al vertice delle rispettive discipline; (2) non pagheremo per pubblicare articoli; (3) se un editore o un revisore (ma non un giornalista!) ci chiederà se l’articolo è artefatto, lo ammetteremo. Queste regole sono state scelte per far sì che ogni dato raccolto fosse emblematico della situazione del campo di ricerca, e non parte integrante di un problema solo parzialmente collegato alla nostra ricerca: la proliferazione di riviste truffaldine con standard estremamente bassi. […]

 

La risposta alla prima domanda è stata chiarissima. “Abbiamo ragione nel pensare che riviste accademiche di standard elevato e che si occupano di studi di genere e campi contigui pubblicherebbero articoli artefatti?”. La risposta è stata negativa fino a Novembre. Ci sono bastati pochi mesi e pochi articoli per capire che mentre era possibile imbrogliare riviste di basso livello con i nostri articoli, un testo come “The Conceptual Penis” non sarebbe mai stampo stampato in riviste di alto livello.

 

Riguardo alla seconda domanda (“Cosa pubblicherebbero?”), abbiamo trovato risposta in una vasta analisi dei campi di ricerca connessi agli studi del risentimento. Prima di tutto abbiamo eseguito un’estesa ricerca etnografica, cercando i commenti dei revisori paritari e conformandoci a quelli, siamo così via via diventati più abili nel muoverci all’interno di quella cultura che favorisce questo tipo di studi. In secondo luogo, abbiamo raccolto tutto ciò che era prova significante per affermare le nostre tesi e sostenere l’esistenza di un problema e di pregiudiziali nei campi influenzati dagli approcci e dalle tesi del costruttivismo critico.

 

Parte V: I risultati (di tutti e 20 gli articoli)

 

 

(Articoli e revisioni sono tutte leggibili qui).

 

“Dog Park”

 

Titolo: Reazioni umane alla cultura dello stupro e performatività queer nei parchi per cani della città di Portland, Oregon

 

di Helen Wilson, Ph.D., Portland Ungendering Research (PUR) Initiative (inesistente)

 

Gender, Place, and Culture

 

 

Status: Accettato e pubblicato

 

Riconosciuto come articolo eccellente. Preoccupazioni sono state sollevato a livello giornalistico e ci hanno costretto a interrompere i nostri studi.

 

Tesi: I parchi per cani sono luoghi dove la cultura dello stupro è tollerata e dove vige una sistematica oppressione dei “cani vittima”. Mediante ciò è possibile misurare l’attitudine umana nei confronti del medesimo problema. L’analisi della situazione fornisce elementi sul come addestrare gli uomini per portarli fuori dalla violenza sessuale e dal bigottismo cui sono soggetti.

 

Scopo: comprendere se le riviste avrebbero accettato argomenti chiaramente assurdi e non-etici qualora questi avessero supportato e perpetuato la nozione di “mascolinità tossica”, etero-normatività e pregiudizi a questa correlati.

 

Commenti selezionati dei revisori:

 

“Questo è un articolo fantastico – incredibilmente innovativo, con un’analisi complessa e estremamente ben costruita. Tiene in conto tutta la letteratura del settore e le questioni teoretiche che il problema comporta. Il modo in cui l’autore sviluppa tesi e corollari dell’articolo è impressionante. Il lavoro sul campo contribuisce immensamente alla fattualità dell’articolo quale innovativa e valida ricerca, sviluppatasi su campi differenti e interdisciplinari. Credo che questo articolo, empiricamente e intellettualmente valido, debba essere pubblicato e mi congratulo con l’autore per il suo lavoro. – Primo Revisore, Gender, Place, and Culture […]

 

 

“Come sapete, GPC è nel suo venticinquesimo anniversario. Come parte dei festeggiamenti per l’occasione, ripubblicheremo 12 saggi. Vorremmo pubblicare il suo articolo, Reazioni umane alla cultura dello stupro e performatività queer nei parchi per cani della città di Portland, Oregon, nel settimo numero. L’articolo focalizza l’attenzione su così tante tematiche connesse alla geografia femminista, e mostra inoltre come tale lavoro possa contribuire a ravvivare la disciplina. È un articolo perfetto per le celebrazioni in corso. Vorrei avere il vostro permesso per pubblicarlo. – Editore di Gender, Place, and Culture

 

 

“Fat Bodybuilding”

 

Titolo: Chi siamo noi per giudicare? Superare l’antropometria e i confini verso un bodybuilding per ciccioni

 

 

Di Richard Baldwin, Ph.D., Gulf Coast State College (una persona reale che ci ha concesso la sua identità accademica per pubblicare questo articolo)

 

Fat Studies

 

Status: Accettato, pubblicato

 

Tesi: È solo a causa delle oppressive norme culturali per cui in società il muscolo è più ammirevole del lardo che il bodybuilding per grassi non è consentito. Il bodybuilding si avvantaggerebbe dall’introdurre la sua versione cicciona e non-competitiva.

 

Scopo: Capire se le riviste avrebbero pubblicato tesi ridicole e chiaramente pericolose per la salute qualora queste supportassero le tesi del costruttivismo radicale circa la positività del corpo e la grasso-fobia.

 

Commenti selezionati dei revisori:

 

 

“La materia dell’articolo è piuttosto originale e coinvolge una tematica rilevante connessa a categorie emarginate. Il saggio si concentra sul bodybuilding come elemento di un’attività stigmatizzante verso i corpi grassi, e invoca il bodybuilding per ciccioni come un “modo per distruggere lo spazio culturale del bodybuilding tradizionale”. – Revisore 1, Fat Studies

 

“Mi sono davvero goduto questo articolo e credo sarà un contributo importante per il campo e per la rivista. Concordo quasi totalmente con quanto sostenuto. È ben scritto e ben strutturato”. Revisore 3, Fat Studies

 

“A p. 24 l’autore scrive “un corpo grasso è un corpo legittimamente costruito”. Sono completamente d’accordo. Revisore 3, Fat Studies

 

“L’uso del termine ‘frontiera finale’ è problematico. Il termine frontiera implica l’espansione coloniale, la conquista ostile, il genocidio delle popolazioni indigene. Usare un termine differente.” Revisore 3, Fat Studies

 

 

“Dildos”

 

Titolo: Passare dalla porta sul retro: Problematizzare l’omoisteria e la transfobia degli uomini eterosessuali attraverso l’uso ricettivo e penetrativo dei Sex Toys

 

Di M Smith, M.A., PUR Initiative (inventato)

 

Sexuality & Culture

 

Status: Accettato, pubblicato

 

Tesi: Forse il fatto che gli uomini si penetrino solo raramente per via anale mediante l’uso di sex toys è connesso alla paura di fare pensieri omosessuali (“omoisteria”) e intolleranti verso i trans (transfobia). Incoraggiarli dunque a penetrarsi analmente ripetutamente farà calare la transfobia e aumentare i valori femministi.

 

Scopo: capire se le riviste avrebbe accattato argomenti assurdi qualora questi supportassero la pretesa che le comuni (e innocue) scelte sessuali fatte da uomini eterosessuali siano in realtà omofobe, transfobiche, anti-femministe.

 

Commenti selezionati dei revisori:

 

“Questo articolo è un incredibilmente ricco di idee e rappresenta un eccitante contributo agli studi su sessualità e cultura, e particolarmente a quelli sull’intersezione fra mascolinità e analità… Tale contributo è importante, tempestivo e meritevole di pubblicazione”. – Revisore 1, Sexuality and Culture […]

 

 

“Grazie per questa appassionante ricerca. Mi sono divertito a leggere il tuo articolo e lo raccomando per la pubblicazione nonostante alcune revisioni da fare”. – Revisore 2, Sexuality and Culture

 

 

 “Hooters”

 

 

Titolo: Una etnografia della mascolinità nei ristoranti con cameriere seminude: Ragioni della reificazione, conquista sessuale, controllo maschile, durezza mascolina nei ristoranti sessuali reificanti

 

di Richard Baldwin, Ph.D., Gulf Coast State College

 

Journal: Sex Roles

 

 

Status: Accettato, pubblicato

 

Tesi: gli uomini che frequentano quei ristoranti con cameriere seminude come Hooters lo fanno in quanto nostalgici della dominazione patriarcale e godono a dare ordini alle donne attraenti che gli girano attorno. L’ambiente offerta da questi ristoranti incoraggia gli uomini a perpetuare la reificazione e la conquista sessuale, ad uno con la durezza mascolina e la dominazione maschile finalizzata alla “mascolinità autentica”.

 

I dati raccolti sono un chiaro nonsense e le conclusioni tratte del tutto ingiustificate (N.B. uno dei revisori ha mostrato dubbi circa il rigori dei dati).

 

Scopo: Capire se una rivista avrebbe pubblicato un articolo che problematizza l’attrazione eterosessuale maschile accettando una sciatta metodologia qualitativa e le interpretazioni ideologicamente motivate che la supportano.

 

Commenti selezionati dei revisori:

 

“Io e i revisori abbiano espresso assenso su molte parti del manoscritto, e crediamo che sarà un importante contributo al campo di ricerca”. – Editore, Sex Roles

 

 

“Sono d’accordo sul fatto che tali ristoranti siano un lungo importante per criticare la mascolinità, ricerca finora neglette nella letteratura esistente. Questo studio ha il potenziale per diventare un contributo significativo”. – Revisore 2, Sex Roles

 

“Mentre l’autore ben conosce la ricerca sull’argomento e sui luoghi della sottocultura maschile dove queste forme tradizionali di mascolinità sono avallate, l’articolo è presentato in modo confuso e poco chiaro”. – Revisore 2, Sex Roles […]

 

 

“Avendo letto le opinioni dei revisori esterni, abbiamo deciso di non pubblicare l’articolo. Comunque il materiale era certamente interessante e sono sicuro troverà spazio in un’altra rivista”. – Editore, Men & Masculinities

 

 

“Sebbene l’articolo sia certamente interessante e dia da pensare, sarebbe più adatto per essere insegnato in una classe universitaria sul tema”. – Revisore 1, Men & Masculinities […]

         

 

  

“Hoax on Hoaxes 2” or “HoH2”

 

Titolo: Quando si scherza su di te: una prospettiva femminista su come la posizione in società influenzi la satira

 

di Richard Baldwin, Ph.D., Gulf Coast State College

 

Hypatia

 

 

Status: Accettato

 

Tesi: Gli scherzi o le altre forme di critica ironica e satirica sulla ricerca concernente la giustizia sociale sono non-etici, caratterizzati da ignoranza e basati sul desiderio di preservare il privilegio.

 

Scopo: capire se una rivista avrebbe accettato un argomento finalizzato a silenziare le critiche della ricerca accademica sulla giustizia sociale. (Questo articolo pure anticipa e mostra le possibili critiche dell’epistemologia femminista sul nostro corrente progetto, e dimostra il problema di quando un articolo del genere risulta pubblicato su una delle migliori riviste del settore. Insomma, per criticare il nostro lavoro toccherà loro citarci).

 

Commenti selezionati dei revisori:

 

“Uno studio promettente e di grande utilità”. – Revisore 1, Hypatia

 

 

“Articolo ben scritto, chiaro e accessibile, focalizzato su un tema importante. Data l’enfasi sulla posizionalità in società, la tesi chiaramente critica le simmetrie di potere e enfatizzata la voce dei gruppi marginalizzati, e in tal senso è un importante contributo alla filosofia femminista sul tema della pedagogia della giustizia sociale”. – Revisore 2, Hypatia […]

           

 

“Articolo eccellente e tempestivo! Particolarmente ben tratteggiata la connessione fra pedagogia e attivismo”. – Revisore 1, Hypatia (seconda revisione)

 

“Ho un paio di commenti minori che trascrivo sotto l’elogio dei revisori. Voglio però dire che anche a me il saggio è piaciuto molto”. – Editore di Hypatia, lettera di accettazione

 

 

“Moon Meetings”

 

Titolo: Moon Meetings e il significato della sorellanza. Un ritratto poetico della vivente spiritualità femminista

 

di Carol Miller, Ph.D., PUR Initiative (inventato)

 

Rivista: Journal of Poetry Therapy

 

Status: Accettato (senza richiesta di revisione o commenti)

 

Tesi: Tesi non chiara. Uno sconnesso monologo poetico di un triste divorziata femminista, per lo più prodotto mediante il teenage angst poetry generator prima di essere editato e reso leggermente più “realistico” e poi cosparso con un autoindulgente autoetnografia con riflessioni sulla sessualità e sulla spiritualità femminile scritte in meno di sei ore.

 

Scopo: capire se se le riviste avrebbero accettato di pubblicare sconnessi non-sense semplicemente perché favorevoli alle donne, implicitamente anti-maschili e supportanti l’alternativa dell’autonomia femminile e la via femminile alla conoscenza. (N.B. Scritto interamente da James, un uomo).

 

 

Mein Kampf Femminista o “FMK”

 

Titolo: La nostra lotta è la mia lotta: solidarietà femminista come risposta intersezionale al femminismo neoliberale e a quello della scelta

 

Autrici: Maria Gonzalez, Ph.D., e Lisa A. Jones, Ph.D., del Collettivo femminista Feminist Activist Collective for Truth (FACT) (fittizie)

 

Rivista: Affilia (accettato)

 

 

Tesi: allorché il femminismo mette in primo piano la scelta e la responsabilità individuale, nonché l’azione e la forza femminile, esso stesso può essere contrastato da un femminismo solidale alle vittime più emarginate della società.

 

Scopo: verificare se fosse possibile trovare la “teoria” per rendere qualsiasi cosa relativa al risentimento (in questo caso parte del capitolo 12 del primo volume del Mein Kampf, con qualche cambiamento con parole alla moda) accettabile per le riviste, quando si mescolano e si abbinano tra loro argomenti alla moda.

 

Selezione dei commenti dei revisori:

 

Si tratta di un articolo interessante, che mira a compiere passi in avanti verso un femminismo inclusivo, preoccupandosi delle questioni legate alla solidarietà e alleanza.” Revisore 1, Affilia

 

Leggendo il suo testo, ho trovato l’inquadramento e il trattamento sia del femminismo neoliberale, sia di quello della “scelta” ben fondati.” Revisore 2, Affilia

 

Mi trovo molto solidale con la tesi principale del saggio, vale a dire la necessità della solidarietà e la natura problematica del femminismo neoliberale.” Revisore 1, Feminist Theory

 

Benché sia assai favorevole alla tesi dell’articolo e al suo posizionamento politico, nondimeno temo di non poter avvallare una pubblicazione nella sua forma attuale.” Revisore 2, Feminist Theory

 

 

 I revisori appoggiano questo lavoro e rilevano le sue potenzialità nel contribuire all’importante dialogo tra gli assistenti sociali e tra le accademiche femministe.” Co-direttore, Affilia (prima revisione)

 

I revisori sono stati molto favorevoli, ma restano alcune questioni marginali da risolvere. Pertanto, vi invito a rispondere ai commenti dei curatori e dei revisori riportati alla fine di questa lettera e a rivedere rapidamente il testo, in modo da poter procedere alla pubblicazione.” Co-direttore, Affilia, seconda revisione

 

[…]

 

 

“Progressive Stack”

 

Titolo: Il Progressive Stack: un approccio alla Pedagogia femminista e intersezionale

 

Autori: Maria Gonzalez, dottore di ricerca, FACT (fittizio)

 

Rivista: Hypatia

 

 

Stato: rifiuto e nuovo invio

 

 

Tesi: Gli educatori dovrebbero discriminare gli alunni secondo la loro origine e determinare lo stato dei loro studenti secondo il loro livello di privilegio, per poi privilegiare i meno privilegiati dedicando loro più tempo, attenzione e commenti positivi e contestualmente penalizzare i privilegiati rifiutandosi di ascoltare i loro contributi, deridendo i loro commenti e interrompendoli intenzionalmente, facendoli anche sedere sul pavimento e incatenandoli, nel quadro di un contesto di opportunità educative che abbiamo definito come “riparazioni esperienziali”.

 

 

Scopo: Verificare se le riviste avrebbero potuto accettare argomenti sostenenti la valutazione degli studenti in base alla loro identità, privilegiando i più emarginati e discriminati rispetto ai più privilegiati, fino a farli sedere sul pavimento in catene. (Nessun requisito per la revisione ha incontrato problemi su questo punto, che anzi è stato pienamente accettato.)

 

 

Selezione dei commenti dei revisori:

 

Si tratta di un saggio solido che, dopo revisione, darà un forte contributo alla letteratura emergente che affronta l’ingiustizia epistemica in classe. L’attenzione sul concetto di progressive stack è interessante ed è significativo che l’autore cerchi di suggerire alcuni approcci specifici.” Revisore 1, prima revisione, Hypatia

 

Mi piace molto questo progetto. Penso che le intuizioni dell’autore siano fondate su obiettivi specifici e che la letteratura sull’ingiustizia epistemica abbia molto da offrire alla pedagogia in classe. L’autore ha il mio incoraggiamento per continuare il lavoro su questo progetto.” Revisore 2, prima revisione, Hypatia

 

Questo è un progetto meritevole e interessante. Semplicemente il saggio non è ancora pronto per la pubblicazione.” Revisore 2, seconda revisione, Hypatia

 

 

“IA femminista

 

 

Titolo: Super-Frankenstein e l’immaginario maschile: epistemologia femminista e super-intelligenza artificiale

 

Autore: Stephanie Moore, dottore di ricerca, libera ricercatrice (fittizio)

 

Feminist Theory

 

 

Stato: Corretto e rinviato (correzioni formali in relazione alla lunghezza e allo stile)

 

 

[…]

 

 

“Astronomia femminista”

 

 

Titolo: Stelle, pianeti e genere: una cornice per un’astronomia femminista

 

Autore: Maria Gonzalez, dottore di ricerca, FACT (fittizio)

 

Rivista: Women’s Studies International Forum

 

 

Stato: corretto e reinviato (fuori tempo massimo)

 

 

Tesi: La scienza astronomica è ed è sempre stata intrinsecamente sessista e occidentale. Questo pregiudizio maschilista e occidentale può essere corretto al meglio includendo l’astrologia di ascendenza femminista, queer e indigena (ad es. l’oroscopo) come parte integrante della scienza astronomica.

 

 

Scopo: Verificare se lo stesso risultato raggiunto dalle tesi sulla glaciologia femminista esposte nel nostro articolo accettato potessero essere introdotte anche negli studi femministi e postcoloniali sull’astronomia.

 

 

Selezione dei commenti dei revisori:

 

Questo articolo affronta le critiche femministe alla scienza, concentrandosi specificamente sull’astronomia. In quanto tale, è un argomento interessante e darebbe un utile contributo alla rivista.” Revisore 1, Women’s Studies International Forum

 

Per i sostenitori degli studi femministi sulla scienza, questo contributo ha significato anche come prossimo passo da compiersi: gettare uno sguardo femminista sulle discipline scientifiche al di là delle scienze “morbide”, della biologia e degli studi ambientali, per andare sempre più verso critiche e interventi sulle scienze cosiddette “dure”, come la fisica e l’astronomia. L’obiettivo principale è rilevante e interessante.” Revisore 2, Women’s Studies International Forum […]

 

L’autore riesce efficacemente a mostrare l’originalità della sua tesi. Al livello più elementare la tesi del contributo – cioè che l’astronomia femminista è / dovrebbe / potrebbe essere realtà! – potrebbe essere entusiasmante per i lettori di studi femministi e di genere, studi scientifici e tecnologici e forse anche, si spera, di scienza astronomica.” Revisore 2, Women’s Studies International Forum

 

 

“CisNorm

 

 

Titolo: Strategie per ribattere alle aggressioni discorsive eterosessuali sul luogo di lavoro: disturbo, critica, rafforzamento del sé, complicità

 

Autore: Carol Miller, dottore di ricerca, PUR Initiative (fittizio)

 

Rivista: Gender, Work, and Organization

 

 

Stato: in revisione (già rifiutato dalla rivista Gender & Society sulla base di revisioni contrastanti, ma per la maggior parte critiche)

 

 

Tesi: Le persone transessuali sono tutte oppresse e costrette, anche inconsapevolmente, a un linguaggio cisnormativo sul posto di lavoro. Gli attivisti transessuali che vengono marginalizzati sul lavoro confermano l’esistenza della transfobia. Gli uomini transessuali che sono scettici nei confronti del transattivismo hanno paura della transfobia e / o approfittano del privilegio maschile.

 

 

Scopo: Verificare se le riviste avrebbero potuto accogliere uno studio metodologicamente scadente, condotto su un piccolo campione di transessuali e sulla base di interpretazioni chiaramente motivate dall’ideologia, nemmeno supportate da risposte correttamente registrate.

 

 

Selezione dei commenti dei revisori:

 

Nel complesso, ritengo che questo lavoro in quattro parti sia utile per far progredire la comprensione della cisnormatività, in particolare attraverso le risposte di persone transessuali e di generi non conformi a certi sistemi di potere.” Revisore B, Gender & Society

 

Questo articolo offre un caso empirico interessante e importante per capire come le disparità sul posto di lavoro persistano in molti luoghi solo formalmente più inclusivi. Un punto di forza di questo articolo è la sua attenzione alle esperienze dirette di transessuali, di persone di generi non conformi, e la sua interpretazione delle aggressioni che perseverano anche nei luoghi di lavoro che possono sembrare inclusivi. Sottolinea inoltre la rigidità che perdura nell’ordinamento di genere tradizionale.” Revisore C, Gender & Society

 

 

 

“Masturbation

 

 

Titolo: Rubbing One Out: definire la violenza metasessuale e reificante attraverso la masturbazione non-consensuale

 

Autore: Lisa A. Jones, dottore di ricerca, FACT (fittizio)

 

Rivista: Sociological Theory

 

 

Stato: Rifiutato dopo revisione tra pari (fuori tempo massimo)

 

 

Tesi: Quando un uomo si masturba in privato, fantasticando su una donna che non gli ha dato il permesso di farlo, o mentre fantastica su di lei in modi cui lei non ha acconsentito, commette una violenza “metasessuale”, anche se la donna non lo scoprirà mai. La violenza “metasessuale” viene descritta come una specie di violenza sessuale non fisica che causa la depersonalizzazione della donna attraverso la sua oggettivazione sessuale e la sua riduzione a sostegno mentale utilizzato per facilitare l’orgasmo maschile.

 

 

Scopo: Verificare se la definizione di violenza sessuale potesse essere allargata fino a comprendere i crimini mentali.

 

 

Selezione dei commenti dei revisori:

 

Un aspetto a cui ho pensato è stata la misura in cui la violenza metasessuale, e in particolare la masturbazione non consensuale, introduca incertezza in tutte le relazioni. Non è possibile per le donne sapere se un uomo si è masturbato pensando a loro e ritengo che potrebbe essere possibile, dal punto di vista teorico, fare leva su questo aspetto “inconoscibile” della violenza metasessuale. Potrei anche immaginare scenari in cui gli uomini potrebbero armarsi di questa inconoscibilità in modi molto tangibili. Ad esempio, l’ambigua affermazione “Penso a te tutto il tempo” detta da un uomo a una donna senza esplicita richiesta diventa particolarmente insidiosa considerato il contesto strutturale della violenza metasessuale nel mondo. Non so se gli autori vogliano prendere questa direzione con questo saggio, ma posso ipotizzare una sezione che discuta l’ambiguità e l’ansia che la violenza metasessuale introduce nelle relazioni interpersonali e come la violenza metasessualeo aggravi altre forme tangibili di violenza.” Revisore 1, Sociological Theory

 

Ho anche cercato di pensare attraverso esempi concreti come questa argomentazione teorica possa avere implicazioni nelle relazioni consensuali di tipo romantico. Leggendo l’articolo, ho riflettuto sull’aumento della pratica del sexting e dei selfie pornografici di tipo consensuale tra le coppie, e di come situarlo nelle vostre argomentazioni. Penso che questo sia interessante perché gli autori potrebbero sostenere che, benché queste immagini siano condivise e contenute in una relazione privata consensuale, le immagini stesse sono una reazione all’idea che l’uomo possa pensare a un’altra donna mentre si masturba. L’intera industria della fotografia boudoir, in cui talvolta le donne si fanno scattare foto erotiche per il loro partner prima di partire in missione militare all’estero è, ad esempio, un modo implicito per dire: “Se hai intenzione di masturbarti, potrebbe anche essere per me”. In sostanza, anche in relazioni consensuali monogamiche, le fantasie masturbatorie potrebbero creare un certo livello di coercizione per le donne. Gli autori menzionano questo problema a pagina 21 in termini di consumo di media digitali non consensuali, come lo stupro metasessuale, ma penso che sia interessante pensare in merito a elementi potenzialmente consensuali, ma anche coercitivi, di tipo ben più sottile.” Revisore 1, Sociological Theory

 

[…]

 

 

 

 

“Queering Plato”

 

Titolo: Queering Platone: l’allegoria della caverna come testo queer teoretico e emancipante sulla sessualità e il genere

 

Autore: Carol Miller, dottore di ricerca, PUR Initiative (fittizio)

 

GLQ: A Journal of Gay and Lesbian Studies

 

Stato: Rigettato dalla redazione dopo diversi mesi e quindi abbandonato

 

[…]

 

 

 

“Bufala su bufala (1)” o “HoH1”

 

Titolo: Il bullismo accademico egemonico: L’etica degli articoli artefatti alla Sokal sugli studi di genere

 

Autore: Richard Baldwin, dottore di ricerca, Gulf Coast State College

 

Journal of Gender Studies

 

 

Stato: ritirato (ultimo rifiuto: Journal of Gender Studies senza revisione esterna)

 

 

Tesi: Il tentativo morale di perpetrare bufale accademiche dipende interamente dalla posizione che la rivista o il campo di indagine occupa rispetto alla giustizia sociale. In particolare, non è etico burlarsi di riviste che perseguono la giustizia sociale nel corso scolastico. […]

 

Scopo: Verificare se le riviste applicassero spudoratamente uno doppio standard per quanto riguarda la critica dei settori di ricerca dedicati alla giustizia sociale. (Come “Bufale su bufale 2” dimostra, questa ipotesi non era del tutto sbagliata.) Inoltre, lo scopo era verificare se avremmo potuto pubblicare un documento che critica “Il pene concettuale”, in realtà un’autocitazione (ipotesi, anche in questo caso, non completamente sbagliata).

 

[…]

 

Parte VI: Discussione

 

Esattamente che cosa dimostra questo esperimento? Vi lasciamo decidere da soli, ma invitiamo a riflettere sul fatto che ci sono ottime ragioni per dubitare del rigore di alcuni studi nel campo dell’identità, quelli ce abbiamo riassunto sotto l’etichetta di “discipline del risentimento”.

 

Siamo riusciti a ottenere la pubblicazione di sette articoli scadenti, assurdi, non eticamente sostenibili e politicamente faziosi in riviste rispettabili e appartenenti al campo delle discipline del risentimento. È la dimostrazione che il mondo accademico è corrotto? Assolutamente no. Mostra che tutti gli studiosi e i revisori negli studi umanistici che interrogano il genere, la razza, la sessualità e la forma fisica sono corrotti? No. Affermare una di queste due cose significherebbe esagerare il significato di questo progetto e mancare la vera questione in oggetto. Vorremmo chiedere a chi lo farà di ritornare sui suoi passi. La maggior parte delle ricerche è solida e la revisione tra pari rigorosa: entrambe contribuiscono alla conoscenza a vantaggio della società.

 

Nondimeno, l’esperimento mostra che ci si dovrebbe preoccupare piuttosto di come certi campi di studio nelle discipline umanistiche incoraggino questo tipo di “ricerche”. Non dovrebbe essere possibile pubblicare articoli talmente scadenti in riviste di così alto credito. E questi sette articoli non sono che la punta dell’iceberg. Invitiamo chi ritiene sia stato un colpo di fortuna a considerare quanto semplice sia stato arrivare a questo risultato. […] Si guardi ai commenti dei revisori per capire dove i ricercatori debbano andare a parare per poter essere pubblicati e costruire carriere di successo. E si veda quanto spesso essi ci abbiano richiesto non di essere meno politicizzati e più rigorosi, ma piuttosto di avanzare maggiormente oltre le nostre premesse ed essere più coraggiosi.

 

Considerate il fatto che ci è stato chiesto di revisionare gli articoli altrui non meno di quattro volte, benché noi stessi avessimo presentato contributi totalmente privi di fonti e con dimostrazioni assurde e moralmente discutibili. […]

 

Chiedetevi, allora, se questo sistema sta ancora funzionando. Se pensate di no, unitevi a noi per chiedere alle università di risolvere questo problema.

 

 

 

Part VII: E adesso?

 

A che cosa deve portare questo progetto? Questo sarà deciso da altri. Il nostro progetto è stato poco più di una prima esplorazione di un problema che mira principalmente a fornire prove della propria esistenza, cogliendo dall’interno una prospettiva sui settori di ricerca che lo producono e delineandone così l’intima natura. I nostri dati indicano che le discipline del risentimento rappresentano un serio problema accademico, che necessita di attenzione immediata.

 

È facile identificare alcune risposte populiste, ma sbagliate, alla domanda su cosa dovrebbe accadere in seguito. Un potenziale risultato di questo progetto potrebbe essere che le riviste inizino a chiedere a coloro che propongono articoli un’identificazione e un attestato delle loro qualifiche, al fine di impedire a persone come noi di riuscire in un’impresa simile. Questa appare una soluzione errata, che mira a mantenere lo status quo. Una ricerca dovrebbe valere per i suoi meriti, indipendentemente dalle qualifiche o dall’identità dei suoi autori. Seguire questo approccio consentirebbe alle riviste soltanto di sopperire alla propria paura di cadere in una situazione imbarazzante e ridurrebbe la loro responsabilità nel divulgare studi rigorosi, ma non farebbe nulla per migliorare gli standard accademici all’interno di quei campi di studio. Potrebbe persino peggiorare il problema amplificando e riverberando altrove tali pratiche. Il nostro lavoro è stato accettato per i suoi meriti, non perché abbiamo scritto sotto pseudonimi, e tale problema, che è ciò che conta, non può essere affrontato semplicemente richiedendo prove d’identità per poter proporre degli articoli.

 

Altre due risposte sbagliate sono attaccare il sistema di valutazione tra pari o il mondo accademico nel suo complesso. […] Combattere l’accademia o il sistema di revisione tra pari sarebbe come uccidere il paziente per porre fine alla malattia. Ci aspettiamo di vedere tali attacchi, soprattutto da parte dei politici conservatori, ma questi attacchi restano sbagliati.

 

[…] I problemi più frequenti li troviamo nella ricerca su argomenti quali razza, genere, sessualità, società e cultura. Forse la cosa più preoccupante è come le discipline più ideologiche di oggi minino il valore delle ricerche più rigorose condotte su queste stesse tematiche e corrodano la fiducia nell’intero sistema universitario. La ricerca in queste aree è cruciale e deve essere condotta rigorosamente. Più i risultati su questi argomenti divergono dalla realtà, maggiore è la possibilità che tali studi possano colpire coloro che la ricerca intenderebbe invece aiutare.

 

Peggio ancora, il problema della corruzione di certi studi è già largamente trapelato in altri campi come l’istruzione, l’assistenza sociale, i media, la psicologia e la sociologia, tra gli altri, e pare impegnato a diffondersi ulteriormente. Il problema si sta facendo gravemente preoccupante per come sta rapidamente minando la legittimità e la reputazione delle università, distorcendone la politica, soffocando il dialogo e la sua necessità, spingendo la battaglia culturale verso prese di posizione sempre più deleterie. Inoltre, esso sta influenzando l’attivismo politico a favore delle donne e delle minoranze razziali e sessuali in maniera controproducente per gli obiettivi di uguaglianza, alimentando l’opposizione reazionaria di destra contro quegli stessi obiettivi.

 

Cosa speriamo che accada adesso? La nostra raccomandazione è innanzitutto un invito a tutte le principali università a intraprendere una revisione critica di queste aree di studio (studi di genere, teorie critiche della razza, teoria postcoloniale e altri campi di ricerca basati sulla “teoria” all’interno delle discipline umanistiche e delle scienze sociali, in particolare sociologia e antropologia), per poi poter distinguere le discipline e quegli studiosi che producono conoscenza da coloro che generano soltanto una sofistica costruttivista. Speriamo che l’intero campo di studio possa venire riscattato, non distrutto, poiché gli argomenti che vi si studiano – genere, razza, sessualità, cultura – sono di enorme importanza per la società e richiedono quindi la più attenta considerazione e il massimo livello di rigore scientifico. Inoltre, molte delle prospettive che emergono da questi studi sono degne di attenzione e meritano più considerazione di quanto attualmente ricevono. Ciò richiederà loro di aderire più onestamente e in maniera più rigorosa ai criteri della produzione della conoscenza e di mettere la ricerca davanti a qualsiasi interesse in conflitto con essa. Questo è il cambiamento che speriamo possa venire da questo progetto.

 

Per quanto ci riguarda, intendiamo continuare a sottoporre a critica le discipline del risentimento usando l’esperienza fino ad ora maturata, per spingere sempre più le università a risolvere questo problema e a riaffermare il loro impegno verso una produzione della conoscenza il più rigorosa e non settaria possibile. Lo facciamo perché crediamo nell’università, nel rigore della ricerca, nel perseguimento della conoscenza scientifica e nell’importanza della giustizia sociale.

 

[traduzione di Mimmo Cangiano, Alberto Comparini, Guido Mattia Gallerani]

 

 

 

[1] Tecnica pedagogica finalizzata a dare a gruppi marginalizzati più libertà di parola in classe.

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