di Luigi Severi
da Lai de l’ombre (variazioni sull’Odissea)
(prologo)
avremmo voluto esserci meglio, esercitarci
fino al torso, comprovare il cordame e stimolare
le ossa in vetro del vento, fino al suo midollo,
al suo discorso
così scendevamo di giorno verso il porto
tutto sommato senza grandi domande,
ma con certe tuniche sportive, scarpe aperte, viso assorto,
il peso in sabbia di troppi attimi alle spalle
le mille dita in tasca, tabacco, una biro con l’ultimo inchiostro,
e una manciata di calcoli sicuri
in diecimila lingue diverse, un fatto di competenza
giullari elementari
in equilibrio, mani in alto, sul piano dell’eclittica
contava il fuoco sulla testa,
la linea addomesticata del sale
in ricordo di una stanza muta,
contava tutta quell’ombra stipata controsole,
bianco di unghia lungo la murata
(i morti invece sono cadmio blu, diceva piano,
scopri di notte le fosforescenze, medusa noctiluca,
fumando la pipa, e corde le vene:
considera la distanza
senza ambizione, che richiede aria: ossigeno che accende:
adesso espira)
griselle, sartie di rinforzo, manovelli
roncigli (scintille) puntelli / aggràppati alle cose,
a ogni decoro di ozono:
i calcoli finiscono di notte
frantuma l’atomo con gli occhi e vai oltre,
si tratta dell’oggetto di ghiaccio, in solitudine,
al limite di tutto viaggia Eris, da questo stesso mare di bitume
aggrappati al suo strascico, dirada verso l’alba
fino a che:
chi può intercedere, domandi nel sonno: chi c’è dietro quel vetro / e intanto
il vento ha un osso fermo, a rodere la musica, e ritorno
è un fatto di rigore, un’urgenza geometrica di
definizione: idea che puoi pesare, vestire di stagnola
ovvero, in altre parole: le ramaglie,
se preferisci, da sfalci, potature, e quel signore
che si dilegua subito dopo, di arancione, quanto scuro nel volto, apostrofandolo,
ha un buco nella fronte, un liquido dalle tempie, una passione
indurita da rughe
o i fondi di caffè, filtri di tè, gusci di uova, gusci di noci,
lettiere biodegradabili di animali, non carnivori, mi raccomando,
bisogna anche evitare: e se ne ottiene: il modello migliore in commercio, per capire,
azoto, fosforo, potassio: un titolo possibile
da uomini vivi coi piedi ancora caldi (Benn), sopra le moltitudini di
sieri / tagliacapelli ricaricabile, i maxi-dischetti struccanti sono ideali, 100 %
cotone, sospensione orale gusto menta / ancora mi ricordo, ero ragazza
(240 ettari, tra le 4500 e le 5000 tonnellate scaricate, 330 tonnellate di fanghi,
poi cadere in un butto, non riemergerne che a sera tarda
(si versava all’interno, calce viva
la qualità delle barche può variare: ad esempio, la
persona da sacrificare era stata individuata in un uomo ghanese
dai fiumi o dagli scarichi fognari / nel mare di fronte alla città
ma basta con la retorica, vi prego: denti fissi in sei ore, una più facile definizione,
finché non ne potei più, non potei continuare / Thilafusi è un luogo tipico, confronta, conforta, rianima: avevo
la casa piena di motivi / ci ricavavo da vivere, ricordo / poi continua:
ma senza retorica, io non sopporto chi / bidone nero lucido
il migliore (75 litri) da tenere
basta osservare bene: distinguere, anzi, con chiarezza
razionale: parola chiave:
le bianche città sono vuote, e mi ricordo davvero (ero ragazza):
ha una proterva tendenza a succedere realmente
*
Telemaco
(dalla Sequenza del figlio)
suono con un dito soltanto, a pelo d’acqua. Respiro
dalla pelle, che so di avere per via delle ferite
aperte come occhi sulle cose. Col dito muovo, controsole,
certi cori concentrici, certi scoppi di aurore
che fanno da segnale, per chi dorme nuotando, chi non riesce a tornare
tensione superficiale dell’acqua: immettere una nota di flauto tra i legami
è la mia specialità: so anch’io nuotare a ritroso, fare immersioni
nel mondo di mezzo, dove i pollini danzano, i pianeti invisibili fibrillano
in sequenza di minuscole ere. Qualche volta ritrovo persino
l’ordine perfetto delle ultime ammoniti, il rumore di zoccolo
del loro corpo duro, il loro saluto, lasciato ad alitare in sospensione
ho sognato enormi mani di mulino, darsene ribollenti di pece, nuove
macchine per filare. Ho ascoltato il rumore delle mie ossa che si allungano
di notte, il rumore di deltaplano di un desiderio che cresce,
non si scopre: materia oscura, la sfioro verso le sette e trenta
ogni mattina, e senza sapere cosa, o chi, o nessuno,
per l’ultima giravolta, in cento bracciate: attenua il colpo
un lago di idrocarburi, tastando a occhi bendati
il ciclo del metano, ventoso più che mai, Mare Sirenum, 0 km.
di diametro, onde enormi soltanto nella tua mente, nell’attimo
in sospeso del battito: là ho incontrato figure di vivi, l’altro giorno
Amid che mi diceva di essere scappato sei volte, e cinque volte ucciso, e che era l’ora
vincendo la forza delle correnti, battere per la prima volta
le palpebre, necton, un plasma morbidamente
ovale, sogna un’ultima volta dentro il flusso,
poi un attimo dopo la fine del racconto
prendi la mira per primo, spara in tondo
[Immagine: Pitch Lake, Trinidad e Tobago].