di Mauro Piras
[Dal 18 al 27 aprile LPLC sospende la sua programmazione ordinaria. Per non lasciare soli i nostri lettori, abbiamo deciso di riproporre alcuni testi e interventi apparsi all’inizio del 2012, quando i visitatori del nostro sito erano circa un quinto o un sesto di quelli che abbiamo adesso. È probabile che molti dei nostri lettori attuali non conoscano questi post. Questo articolo di Mauro Piras è uscito il 20 febbraio 2012].
L’Italia è un paese curioso. Nel bel mezzo di una crisi economica e finanziaria senza precedenti, dovremmo occuparci solo di problemi materiali, ben concreti. Eppure, anche in questo contesto, ci ritroviamo a discutere di cose religiose. Per ragioni serissime: finalmente si parla di limitare i privilegi della Chiesa in materia di Ici, ma con che timidezza. Oppure per ragioni ridicole, come le reazioni smodate delle autorità ecclesiastiche alle quattro sparate populiste di un mediocre (e anziano) cantante a Sanremo. E la supina obbedienza dei vertici Rai. Lo spirituale e il materiale si intrecciano mirabilmente, in questo paese. La non-laicità dello stato penetra terreni in apparenza ben lontani da essa.
Qualche mese fa, il confronto sulla laicità si giocava, con toni anche duri, sulla presenza del crocifisso nelle scuole. La Corte europea dei diritti dell’uomo prima ha detto di toglierlo, poi ha detto di rimetterlo. Molti intellettuali (anche di sinistra) si sono precipitati a difendere il valore del crocifisso, “a prescindere”. Adesso, certo, abbiamo ben altre grane. Questo piccolo elemento di arredo scolastico sembra diventato piuttosto irrilevante. Eppure, le strane incursioni della religione in territori non suoi mostrano che non è così. L’opacità della nostra coscienza pubblica in materia di laicità ci costa (letteralmente) su diversi fronti. E quel simbolo appeso ai muri di scuole e tribunali continua a essere un problema.
La difesa dei crocifissi nelle istituzioni pubbliche va ben oltre il fatto in sé: mette in gioco l’identità morale dello spazio pubblico democratico. Noi tutti sappiamo che dietro si trovano altre cose: l’ora di religione cattolica a scuola, la resistenza passiva contro le ore di attività alternativa, la difesa della famiglia “tradizionale” contro le coppie di fatto, l’annacquamento della libertà di scelta sul testamento biologico, la spartizione arbitraria dell’otto per mille, l’esenzione dell’Ici per gli immobili della Chiesa. E così via. L’insieme di queste cose fa capire a un cittadino italiano che il suo spazio pubblico ha una curvatura precisa. Il crocifisso è anche il simbolo di questo, perciò provoca un conflitto aperto. Allo stesso tempo, sembra essere ancora più saldo di queste pratiche. Almeno nelle coscienze: quando si parla di testamento biologico o diritti delle coppie di fatto qualche divisione della classe politica emerge, e le contrapposizioni sono più marcate nel mondo intellettuale; quando si parla di crocifisso, invece, si crea un fronte compatto, che mette insieme quasi tutti i politici e gli intellettuali, tolte pochissime eccezioni.
Perché? Perché l’Italia fa così fatica a digerire un principio banale della cultura politica liberaldemocratica, secondo cui se le istituzioni sono laiche non possono esporre nessun simbolo religioso? La risposta può essere trovate in tante cause “pesanti”, per così dire: rapporti di potere tra forze politiche, blocchi di consenso politico ed elettorale, interessi sociali. C’è però anche una causa culturale: la grave carenza della cultura politica italiana, che sembra condannata a ricadere nella contrapposizione tra clericali e anticlericali, tra atei devoti e atei militanti, ecc. Tale inadeguatezza è forse dovuta ai caratteri delle due culture politiche che hanno dominato la storia repubblicana, o forse all’assenza di un vero gioco democratico per quasi cinquant’anni, seguiti poi da un sistema di alternanza fondato più sullo scontro senza quartiere che sul confronto democratico. In ogni caso, rivela una grave mancanza di condivisione di alcuni principi chiave che facciano da cornice, e impediscano di trasformare il conflitto politico in guerra ideologica.
Vorrei parlare di questi principi di fondo. I problemi a cui dare risposta sono due: l’interpretazione della laicità dello stato; la tesi del “deficit morale della democrazia liberale”, spesso usata dai difensori di un forte ruolo pubblico della religione.
1.
Quali sono i fondamenti e i limiti della laicità democratica? Uno stato democratico liberale è una associazione di individui che si trattano da liberi ed eguali. Non chiediamoci su che base essi lo facciano, cioè per quali ragioni essi ritengano giusto rispettarsi reciprocamente come individui dotati di pari dignità morale. Partiamo dal fatto che essi ritengono giusto farlo, dal momento che vogliono vivere in un regime politico democratico e liberale, fondato cioè sul rispetto della autodeterminazione collettiva e sulle libertà fondamentali. Se volessero un altro tipo di regime (teocratico, monarchico tradizionale, fondato sul potere carismatico di un capo, ecc.) potremmo supporre legittimamente che non accettano tali principi; ma se vogliono la democrazia, accettano implicitamente i principi di libertà ed eguaglianza.
Ora, il problema è che ogni regime politico si fonda sulla coercizione: non si tratta di una associazione qualunque, da cui si esce e si entra quando si vuole, ma di una associazione in cui si nasce, tenuta insieme dall’esercizio di un potere che impone ai singoli il rispetto delle leggi. Si può lasciare il proprio paese, ma non senza costi elevati. Non si ha verso l’associazione Stato la stessa libertà di entrata e di uscita che si ha verso qualsiasi associazione volontaria non coercitiva. Se il regime è democratico, tutti, tramite le procedure della deliberazione pubblica, esercitano questo potere coercitivo nei confronti di tutti gli altri. Come è possibile che l’esercizio della coercizione sia reso coerente con il rispetto della eguale libertà di ognuno? Ovviamente, tramite tutte le procedure che garantiscono l’eguale partecipazione politica, le libertà fondamentali e una equa eguaglianza di opportunità nelle prospettive di vita dei cittadini stessi.
La legittimazione del potere democratico è un difficile equilibrio tra coercizione e eguaglianza. Sul terreno del rapporto tra religione e democrazia, a questi due elementi bisogna aggiungerne un terzo: il pluralismo. Nella società democratica in cui viviamo esistono diverse concezioni della vita buona: diverse concezioni religiose, morali, metafisiche o altro che producono più visioni generali del mondo, spesso non conciliabili tra loro. Non ha importanza come valutiamo questo fatto; quello che conta è che le cose stanno così. Se volessimo ridurre a unità questo pluralismo dovremmo usare un grado di coercizione molto forte e allo stesso tempo diseguale, perché sarebbe più forte nei confronti di chi non vuole adottare la dottrina etica o religiosa che vogliamo imporre, e meno forte o assente per chi l’ha già adottata. Il principio della legittimità liberaldemocratica, unito al fatto del pluralismo, produce necessariamente la neutralità del potere pubblico nei confronti delle dottrine religiose o etiche.
Qui il discrimine fondamentale è proprio la coercizione. Questo punto viene spesso trascurato nei dibattiti pubblici, e da qui nascono le confusioni di piani. Perché una libera associazione può, al suo interno, preservare un ordine gerarchico, escludere per esempio le donne da certe funzioni, escludere coloro che non approvano una certa dottrina, e invece lo Stato, nei suoi rapporti con i cittadini, non può fare niente di tutto questo? Perché da una associazione libera si può uscire quando si vuole, mentre abbandonare il proprio paese ha costi elevati e l’associazione Stato esercita su di noi un potere coercitivo, tramite il monopolio della forza legittima. Ecco perché un individuo è libero di portare simboli religiosi di qualsiasi tipo in qualsiasi spazio pubblico, e invece lo Stato non può portarne.
Va chiarita la natura di quello che per comodità ho chiamato fin qui “spazio pubblico”. Esiste uno spazio pubblico costituito da tutti i contesti in cui liberi cittadini si incontrano spontaneamente, dibattono, si confrontano, senza nessun tipo di vincolo formale o istituzionale. La libertà di parola e di espressione in questa “sfera pubblica informale” (Habermas) deve essere totale. Chiunque qui può portare la sua identità particolare: facendo questo non esercita nessuna pressione sugli altri, se tutti restano nei limiti della discussione libera. Esiste poi uno spazio pubblico istituzionale (il “foro politico pubblico”, secondo Rawls) in cui le istituzioni statali svolgono una funzione specifica, e così facendo esercitano anche una coercizione sui cittadini. Possono essere le scuole, o i tribunali, o il Parlamento; cito solo alcuni esempi. In questi casi lo Stato è legittimato a esercitare una certa coercizione, ma è evidente che questo gli pone dei limiti, pena la violazione della eguale libertà dei cittadini. L’obbligo scolastico non può trasformarsi nella imposizione di un credo religioso; la pena inflitta al reo non può trasformarsi nell’arbitraria condanna di minoranze religiose; la legge votata e imposta dal Parlamento al paese non può discriminare un gruppo di credenti a favore di un altro. Nell’ambito di queste istituzioni il rispetto del principio di legittimità liberaldemocratica impone una indifferenza dello Stato su certe materie (le concezioni del bene, le dottrine religiose), quindi la sua neutralità; gli impone l’adozione di un linguaggio pubblico condiviso da tutti i cittadini in quanto tali, a prescindere dalle loro appartenenze religiose.
Ecco perché la questione del velo in Francia è diversissima da quella del crocifisso in Italia: il velo è portato da individui, che non esercitano coercizione politica su altri; il crocifisso è portato dallo Stato, che esercita una coercizione politica sui cittadini. Ecco perché la questione del simbolo religioso portato dallo Stato è molto diversa da quella dei simboli religiosi di cui pullulano le città europee e che “non offendono nessuno”. Questi possono essere oggetto di rifiuto o di appropriazione da parte dei singoli, e ognuno lo farà alla sua maniera; il sentimento di appartenenza alla propria città, per esempio, può passare per tante vie, e certo anche per la considerazione estetica, storica o esistenziale delle chiese che vi si trovano, anche per un non credente. Ma queste sono storie individuali. Invece il senso di appartenenza allo stato democratico deve passare per una appropriazione condivisa di alcuni principi fondamentali, su un terreno di eguaglianza: se io mi identifico di più nello Stato perché questo porta simboli che mi appartengono come credente, ma che non mi appartengono come cittadino eguale a te, tu non sei più eguale a me.
2.
Qui emerge il secondo problema: ma questo Stato privo di identità storiche e religiose forti, privo di una “eticità” forte, come può generare nei cittadini un senso di fedeltà e di appartenenza? Come può fornire le forze motivazionali per rafforzare il proprio ethos, per non rendere astratte e come sospese nel vuoto le sue leggi? Questa è la celebre critica del presunto “deficit etico e motivazionale delle democrazie liberali”. Recentemente, questa critica ha avuto un grande successo, si parla molto della religione come collante sociale, di bisogno di comunità. Su questa base viene rivendicato un ruolo pubblico della religione, contro la neutralità liberaldemocratica.
Come si risponde a questa critica tenendo salda invece la neutralità dello stato? In primo luogo, va riconosciuto che i fondamenti dello stato liberaldemocratico sono di natura morale. Il principio dell’eguaglianza di individui liberi è di natura morale, perché si impone come un obbligo di reciprocità. Chi lo condivide è tenuto al rispetto degli altri, come soggetti capaci di azione morale e di scelta razionale. La democrazia deve essere consapevole delle sue basi morali, e alimentarle. La sua eticità è questa: è una “striscia” sottile delle varie eticità che attraversano la vita pubblica, ma è una parte che tutti possono condividere. Le istituzioni non sono solo tenute a farla rispettare, ma anche a farla crescere come consapevolezza morale. È una eticità pubblica, un senso civico, che si spende in “moneta spicciola” (Habermas), nella rivendicazione e nella pratica quotidiana dei diritti, nella partecipazione politica e nel dibattito pubblico, nelle lotte legali delle associazioni e dei movimenti, nell’ideale della mediazione politica che si fonda sul rispetto degli altri come eguali.
La democrazia liberale deve percorrere questa strada stretta tra la consapevolezza dei propri presupposti morali e la modestia della proposta che fa alle appartenenze morali “forti”. Questa modestia è il senso dell’elogio del muro bianco, spoglio di simboli religiosi. Il muro bianco delle aule scolastiche è lo spazio aperto da cui lo Stato ritira il suo potere coercitivo e in cui lascia esprimersi liberamente le identità reali dei cittadini. La suo forza etica è in questa riservatezza; la sua “eticità” è la morale – forte – di rispetto reciproco che il suo distacco incarna.
Il presunto deficit morale della democrazia liberale viene poi combattuto in due altre maniere. In primo luogo, il pluralismo rafforza le prospettive morali e religiose che si confrontano, e se questo rafforzamento avviene nel rispetto delle parti, ciò significherà un fiorire di queste identità, per quanto trasformate dal rapporto con la moralità democratica. Ma niente vive senza cambiare. Inoltre, in secondo luogo, è la storia a modificare l’astratto in concreto. La moralità della democrazia ormai ha una storia, che non sembra interrotta. In questa storia, essa si è concretizzata in pratiche diffuse, in interpretazioni locali (la democrazia in Italia non è la stessa in Francia, né in Usa o in Turchia), nell’abbinamento con tradizioni storiche e anche religiose particolari. È questo il processo che porta a trovare nella democrazia stessa le forze etiche che superano il suo presunto deficit morale. Uso a proposito la parola “etico”, perché si dimentica spesso che Hegel, apostolo dell’eticità contro la moralità astratta, aveva anche già mostrato la possibilità che questo mondo sociale passasse gradualmente, come sta facendo, dall’astratto al concreto. Nella Fenomenologia dello spirito, Hegel parla della sua epoca come di una “età di gestazione e di trapasso”, in cui il nuovo mondo che emerge “dissolve brano a brano l’edificio del […] mondo precedente”. Il nuovo, però, non ha ancora realtà concreta, è solo il “concetto di quel nuovo mondo”; da qui la sua astrattezza contro la concretezza, pur in disfacimento, dell’ancien régime. Ma noi tutti sappiamo che il nuovo mondo di cui Hegel sta parlando è quello in cui la modernità politica vive da ormai più di due secoli; attraverso conflitti anche atroci, è esso, ora, ad avere realtà concreta, perché i diritti astratti si sono fatti in parte istituzione, perché le rivendicazioni politiche e sociali si sono fatte in parte nuovi rapporti sociali, perché i principi egualitari si sono fatti in parte sentire comune, e perché così, con questi passaggi, la moralità astratta è diventata in parte l’eticità della società moderna.
(Torino, febbraio 2012)
[Questo intervento è apparso, in una versione differente, sul sito di «Micromega»].
[Immagine:Banksy, Crocifisso, particolare (gm)].
Caspita che articolo!
Piras celebra qui, partendo dalla questione del crocifisso, l’apoteosi del liberalismo.
Dovessi parlare del crocifisso, non avrei difficoltà a pensarla come Piras in nome di un pensiero laico inteso in senso più ristretto, e cioè in contrapposizione a confessionale.
Ma, visto che il crocefisso appare quasi come un semplice espediente per parlare di una questione ben più generale, il liberalismo, allora non posso che manifestare il mio pieno dissenso rispetto a ciò che Piras scrive.
Innazitutto, Piras non sfugge al paradosso per cui, nel momento in cui vieta di mettere in discussione i propri stessi principi, il liberalismo finisce col coincidere con i sistemi di stato etico.
Per sottolineare ciò, lasciate che io parafrasi Piras dal punto di vista di uno stato teocratico.
Anche in quel caso, si potrebbe dire che non bisogna interrogarsi perchè qualcuno ritenga che un certo ceto religioso debba avere il potere in nome di Allah, ciò che conta è che il popolo questo ha accettato e voluto: se avesse voluto la democrazia, l’Iran non avrebbe fatto la rivoluzione teocratica. Come si vede, esiste una simmetria impressionante, e supporre che esista una supremazia morale del liberalismo su altri tipi di ordinamento non ha fondamento alcuno.
Il punto fondamentale però è un altro, ed è ciò che potrei definire l’ipocrisia liberale sul problema del potere.
In parole povere, se lo stato si ritrae, dimagrisce, lascia spazio non a delle astratte individualità, ma a chi urla più forte.
Lo stato nasce proprio per difendere i più, che sono deboli, da singoli prepotenti. E’ quindi lo stesso processo storico che ha portato alla formazione degli stati, a escludere che gli uomini si possano definire come individui liberi e razionali, e quanto meno dobbiamo ammettere che non lo siamo
in eguale misura.
Io come stato devo evitare di condizionare lo stile di vita delle persone, e così magari, per esemplificare, devo evitare di sconsigliare un certo tipo di alimentazione che la scienza medica considera non igienico, favorendo l’obesità. Nello stesso tempo, non posso impedire a una multinazionale alimentare di lanciare una campagna pubblicitaria milionaria per promuovere il consumo di un alimento del tutto nuovo.
Il paradosso è che, nello stesso tempo in cui lo stato nega a sè stesso quest’opera di influenza sui cittadini, deve garantire che qualunque entità dotata di mezzi finaziari adeguati, lo faccia nella massima libertà. La conseguenza, naturalmente, è che la Nestlè risulterà più potente dello stato.
Il liberalismo non affronta realmente il problema del potere, è come se si voltasse da un’altra parte pretendendo che bastino regole imparziali perchè ciò liberi le energie individuali nella maniera più libera possibile.
Se dei genitori che organizzano una festa di compleanno per il loro figlio invitando i compagnetti di asilo del figlio, la pensassero allo stesso modo, dovrebbero lasciare soli i bimbi a giocare in una stanza a loro dedicata, fidando sulla creatività individuale dei singoli bambini: noi sappiamo che sarebbe una carneficina, e i genitori stanno bene attenti a controllare i piccoli.
Per quanto possa apparire sgradevole in base a un’ideologia su cui si pretende di tacere perchè fondata su una presunta autoevidenza, anche gli adulti hanno bisogno di buoni consigli e sarebbe bene, la storia lo dimostra (pensate a ciò che sta succedendo con l’attuale crisi finanziaria), e si dovrebbe elaborare un’antropologia un po’ più sofisticata di quella su cui si basa più o meno implicitamente il liberalismo.
Per una discussione un po’ più ampia di questi temi:
http://ideologiaverde.blogspot.com/2012/02/il-mio-libro-12.html
Mi scuso, il link è errato.
Riporto qui di seguito quello corretto:
http://ideologiaverde.blogspot.com/2012/01/il-mio-libro-11.html
Caro Cucinotta,
come sempre le sue critiche mi sorprendono. Spero di riuscire a rispondere senza andare fuori bersaglio.
Intanto, non tratto la questione del crocifisso come un semplice pretesto per celebrare l’apoteosi del liberalismo. Per me è un serio problema di giustizia, e quindi di democrazia. Se delle persone si sentono discriminate perché lo stato è confessionale e non laico, vuol dire che non vengono trattate da eguali, quindi quello che è in gioco è la democrazia. Inoltre, è ovvio per me che la democrazia debba essere anche liberale, cioè tutelare le libertà individuali. Se non non lo facesse, sarebbe difficile conservarla proprio come democrazia, perché questa non è il semplice fatto che le persone si riuniscono insieme e deliberano, imponendo poi qualsiasi cosa, decisa a maggioranza, a chi non è d’accordo. La democrazia è fondata sull’autonomia dell’individuo, e solo il delicato equilibrio tra il principio democratico e deliberativo, da una parte, e la tutela dei diritti individuali, dall’altra, può garantire tale autonomia.
Ha visto bene che il mio punto di vista non è anticonfessionale, ma semplicemente laico: non vedo perché lo stato dovrebbe mettersi contro la religione in quanto tale.
Qui veniamo però alla sua obiezione più importante: lei parla del liberalismo in campo religioso come del liberismo in economia. Se lo stato si ritrae, vincono i più forti. Non è così. Lo stato ha comunque il compito di preservare lo status di eguali dei cittadini. In campo economico, per fare questo è evidente che non si può affidare alle sole forze del mercato. Queste potranno avere un loro ambito di azione, ma dovranno essere limitate da tutti quegli interventi (politica fiscale, redistributiva, tutela dei lavoratori, sistema pensionistico, ecc.) che servono a garantire una giustizia che il mercato non può assicurare. In campo religioso le cose non stanno così: l’eguaglianza è tutelata se si stabiliscono dei limiti da non valicare, cioè il rispetto che ogni cittadino deve a ogni altro cittadino come soggetto autonomo di decisione, nel campo della propria vita e della propria coscienza, e tutto l’ambito di integrità e libertà della persona garantito dai diritti fondamentali. Stabiliti questi limiti, ognuno è libero di fare quello che gli pare. Infatti, se si fanno rispettare questi limiti, non è possibile che “prevalga il più forte”. Questo accade quando non si rispettano quei limiti, e si concedono a una confessione religiosa dei privilegi: da noi non c’è liberalismo religioso, semplicemente, perché la Chiesa cattolica gode di molti di questi privilegi (ora di religione, esenzione Ici, otto per mille, ecc.). Quindi, in campo religioso, rivendicare la libertà di ognuno significa tutelare dal potere dei più forti, perché tale libertà deve essere eguale.
A meno di trattare i cittadini come bambini, come fa lei. Se si pensa che gli individui adulti, che vogliamo trattare da eguali, siano però dei minori incapaci di giudicare, come dei bambini, allora devono essere le autorità pubbliche a decidere in base a quale idea del bene essi devono vivere. Ok, ma allora sia coerente: lei certamente non è liberaldemocratico, ma non mi dica questa è una concezione più avanzata dell’eguaglianza o della giustizia, perché in questo caso si accetta come giusto che alcuni (pochi) siano superiori alla massa ignorante e decidano per i molti.
C’è però all’inizio della sua argomentazione un problema molto più serio: lo chiamo il “paradosso della teocrazia”, per come lei lo ha presentato. Se si parte dal presupposto che chi vive in una democrazia accetta i principi morali che la legittimano, questo si può dire di ogni regime politico, per esempio anche di una teocrazia. Quindi, chi vive in una teocrazia dovrebbe accettare per esempio la persecuzione degli eretici. Ha ragione, detta così la cosa è problematica. Ci vuole un po’ per analizzare il problema. Qui dico solo che io ho fatto un ragionamento ristretto: mi limito a parlare delle democrazie liberali, per mostrare che ci vive e rivendica dei diritti di eguaglianza a loro interno è tenuto per questo a rispettare certi limiti. Detto in soldoni: se io sono un cattolico che rivendica diritti di eguaglianza come la libertà personale, il diritto di voto o la fiscalità progressiva, non posso poi rivendicare dei privilegi per la mia religione: sono tenuto anche in questo campo a rispettare l’idea di eguaglianza che mi guida negli altri. Su questa base, lo stato ha il diritto a togliermi certi privilegi. Volevo solo dire questo.
Ho trovato questo articolo ampiamente condivisibile, specie per quegli spunti di volata sulla questione della religione nelle scuole o sulla eutanasia; si potrebbero portare ancora decine di altri esempi che dimostrano come questo Stato sia più confessionale che laico. Ciò dipende in primis dalla presenza in loco della Chiesa; ma anche dal fatto che quei principi di liberalità e democrazia, di rispetto e di uguaglianza di cui parla Piras, non esisterebbero nè in Europa né in tutti i continenti e paesi dove gli Europei hanno migrato, se non fosse esistito il Cristianesimo, in qualsiasi credo e/o sotto-credo sia stato declinato, Cattolico, Protestante, Calvinista, ecc.
E’ per questo che l’Unione Europea ha riconosciuto nel Cristianesimo la radice comune della nostra cultura. E poiché in Italia Cristianesimo è sempre, ancora, uguale a Cattolicesimo, ecco il famoso simbolo del crocifisso spuntare nello “spazio pubblico”. Va detto comunque che nelle scuole l’oggetto è in via di sparizione; negli ospedali l’ho visto finora solo nella cappella; forse nei tribunali la sua presenza è più frequente, ricordo anche il caso di un giudice che – essendosi rifiutato di celebrare un processo in un’aula dove compariva il crocifisso – fu destituito dall’incarico con disonore. C’è poi un altro aspetto, oggi: difendere il crocifisso significa per molti, anche per chi non ci crede (e veniamo agli intellettuali di Sinistra citati nell’articolo) l’ultimo estremo baluardo simbolico di fronte alla diffusione della religione islamica. E’ come dire “noi siamo diversi da voi, e siamo nel nostro Paese: ricordatevelo, anche così”. Su quest’ultimo punto, va detto che la controparte, se potesse, imporrebbe ben altri simboli e, soprattutto, ben altre coercizioni, come i vari Stati islamici dimostrano con i loro ordinamenti molto, molto lontani dalla Democrazia. Dico questo non perché giustifichi le persone che usano il crocifisso come difesa, ma perché ritengo che la nostra laicità conquistata faticosamente e non ancora raggiunta, ci porta spesso ad aperture verso chi non saprebbe e non avrebbe intenzione di ricambiare con pari laicismo.
Che dire? Riguardo all’Italia, dispero ci sia un cambiamento, se non forse fra secoli e secoli. La nostra storia è troppo legata a quella della Chiesa perché il legame si allenti, pur solo in cose apparentemente banali come quella di esporre o no il crocifisso; piuttosto, ben altri sono i nodi da sciogliere, riguardo alla coercizione su noi di Santa Romana Chiesa.
Il senso complessivo dell’articolo di Piras è condivisibile, e ha una portata generale cui non si può replicare con l’assurdo argomento della “non reciprocità” da parte degli Stati islamici (sfido, anche per questo per lo più non ci piacciono!). Quello che non va, secondo me, è l’uso di una terminologia morale (o etica, in questo contesto uso i termini come equivalenti) per definire uno spazio neutro come quello dello Stato liberale: se è neutro non è morale. Lo politica comincia a ibridarsi con la morale (e anche con l’economia) solo nel Novecento con la nascita e la diffusione dello Stato sociale, che si pone questioni di giustizia. Prima di allora, il liberalismo è del tutto asettico. E il neoliberalismo, o neoliberismo, attuale gli propone di tornare a esserlo.
Sono d’accordo con quanto argomentato sul valore del muro bianco, e su quanto detto rispetto al peso relativo e ineguale dello Stato rispetto a tutte le altre “associazioni”, più o meno eticamente motivate, ma mi sorge spontanea una semplice osservazione: mi pare che nel caso dei vari credo religiosi – e delle varie loro incarnazioni organizzative – non si possa sempre e comunque parlare di “una associazione libera [da cui] si può uscire quando si vuole”, e anzi quando ciò accade può capitare di dover subire delle gravi sanzioni da parte della comunità a cui si apparteneva. La religione tende quasi sempre a imporsi con una visione totalizzante e pervasiva sull’individuo e la comunità (“noi abbiamo sempre ragione, perché parliamo in nome del nostro dio”), con una forza cogente che tende a sovrapporsi e a sostituirsi a quella della Stato, al limite della disubbidienza (i vari “non possumus” della gerarchia cattolica).
Questo è un punto di attrito, secondo me, quasi impossibile da ‘lubrificare’ con la dottrina liberale per come su esposta. Certo, nella “sfera pubblica informale” ci può essere rispetto (o meglio, indifferenza) per altri credo religiosi, o per chi non ha sentimenti religiosi (in genere un po’ meno rispetto a chi comunque crede in qualcosa), ma è comunque un atteggiamento di sospensione, in attesa di un’auspicata conversione dell’altro. Un fuoco che cova sotto la cenere. Quando poi si presentano dei problemi nel “foro politico pubblico” spesso si assiste a episodi di vera e propria disubbidienza (civile o meno), al limite di accettare la galera per non venire a compromessi con la propria religione, anche contro il buon senso.
In buon sostanza non si può paragonare un’associazione di persone più o meno grande (dalla setta alle grandi confessioni), tenuta insieme da convinzioni cosi forti come quelle religiose, a un circolo di scacchi – non affermo che Mauro Piras lo pensi, ma lo dico così, per amor di logica.
Il dilemma che spesso si pone ai credenti è proprio questo: rispettare in ogni caso le leggi o non venire mai a patti con la propria coscienza religiosa? La legge dice che le donne sono in tutti gli aspetti giuridici uguali agli uomini, ma nella mia tradizione religiosa le donne sono una proprietà degli uomini: come devo comportarmi? Rettamente secondo le leggi in pubblico, ma secondo le mie consuetudini in privato? E perché non sempre secondo le mie consuetudini, visto che la Legge superiore a cui obbedisco è stata ispirata da Dio?
Come deve comportarsi lo Stato liberaldemocratico in questi casi? Esercitare coercizione affermando che quelle pratiche violano i principi di libertà ed eguaglianza (“debbo poterne uscire, se voglio”) laddove questi sono concetti che per molte confessioni non hanno alcun valore?
Le basi morali della democrazia: discorso scivoloso, anche se condivisibile. “La democrazia deve essere consapevole delle sue basi morali, e alimentarle”, e la proposta sarebbe quella di considerare la sua eticità come una sorta di operatore di congiunzione logica ‘vel’ (AND in logica booleana): l’insieme di tutte le ‘varietà etiche’ da tutti condivisibili. Il che vorrebbe dire individuare, praticamente, tutti quelli aspetti comuni (e condivisibili) a ogni visione etica e religiosa. Sarà mai possibile farlo? E come ci si comporta con quegli insiemi di idee che rimangono disgiunti? In ogni caso è un’idea che di per sé potrebbe portare ad esiti diversi da quelli auspicati per uno Stato libero e democratico.
Se ne esce solo imponendo (vogliamo finalmente dirlo?) quei principi liberaldemocratici di cui si è parlato, togliendo, volenti o nolenti, ogni simbolo dalle pareti, e affermando risolutamente la priorità di quei principi su tutto il resto, a prescindere da una loro eventuale dimensione etica, perché funzionano, perché sono utili, perché comunque sono il presupposto di ogni lotta contro l’arbitrio dei potenti (che si fanno forza di quei principi) che paventa Cucinotta, perché anche un’organizzazione non capitalista non potrebbe prescindere da essi – a meno di non riconsiderare come auspicabile un regime di socialismo reale.
Caro Piras,
grazie per la sua consueta cortesia.
Lo ammetto, avevo equivocato, Lei è così intriso di ideologia liberale da non vederne la fragilità così da pensare di potere sostenere la questione specifica del crocefisso a partire dalla solidità presunta dei principi liberali, mentre per me è esattamente l’opposto, quelle argomentazioni rendono incerta, traballante l’affermazione della tesi “muro bianco”.
Aggiungo che vedo con piacere che le mie obiezioni la sorprendono. Ciò significa che le dicono qualcosa che abbia un minimo contenuto scandaloso, cioè non convenzionale, e ciò implica che in qualche misura non sono inutili.
Nel merito delle questioni, non credo che la distinzione che lei opera tra economia e ambito religioso sia corretta. Il concetto di mercato è così connaturato al liberalismo (non ho scritto liberismo, attenzione!), che non coinvolge solo gli aspetti economici, vale per tutti gli ambiti, anche per quello politico (le elezioni sono una forma di mercato anch’esse). Il concetto di mercato è pervasivo, e non credo che si possa negare che se in un determinato paese la stragrande maggioranza della popolazione segue un determinato credo, per gli altri sia difficile se non impossibile operare se lo stato non si occupa della questione.
I termini della questione sono alquanto più complessi, perchè religione significa costumi di vita, ma costumi di vita significa anche consumi e quindi economia, tutto si lega e per quanto possa apparire comodo, non si può dividere la società in comparti chiusi.
Ripeto, sulla questione del crocefisso non ho dubbio alcuno, è paradossale che chi è già agevolato dalla sua prevalenza numerica, pretenda anche di imporre l’esibizione dei propri simboli, ma devo comunque osservare che ciò che i principi liberali sostengono non garantisce di per sè la libertà religiosa effettiva.
Infine, non ho mai detto di voler trattare gli adulti come bambini, per motivazione argomentativa lei fa la caricatura delle mie posizioni. Io dico che il liberalismo si fonda su una teoria antropologica sempliciona che vede gli uomini come esseri liberi e razionali. Ciò con tutta evidenza non è vero come osserviamo in tutti gli istanti della nostra vita, a meno di tenere gli occhi ben serrati, esiste una componente prevalente di tipo emozionale che se ignorata comporta conseguenze drammatiche per l’umanità.
Nuovamente, la situazione è più complessa di come una teoria sempliciona come quella liberale (e questa semplificazione estrema è parte determinante del suo successo) vorrebbe farci credere, che i comportamenti umani sono soggetti ad un insieme di cause tra loro contraddittorie.
La storia dell’umanità ci mostra continuamente lo sforzo attivo che le persone hanno esercitato per far prevalere il bene inteso come razionalità attraverso una disciplina costante. Ciò che osservo con grande preoccupazione è che oggi si pensa a livello di massa che noi uomini siamo spontaneamente portati verso il meglio (io sono giusto dicevamo nel ’68 e dicevano anche le femministe), mentre tutto questo viene negato dalla realtà attorno a noi.
La reazione appropriata sarebbe quella di smettere di credere alle fandonie dell’ideologia liberale, ed invece non riusciamo ad uscirne pretendendo che siamo noi che non riusciamo ad applicarne bene i sacri principi.
Per evitare di dilungarmi troppo, non affronto il problema economico e del ruolo di controllo che lo stato è tenuto ad esercitare (tanto, stiamo sempre a chi tifa per Rawls e chi per Nozick, senza che si affronti il problema fondamentale, se il mercato è per l’umanità la soluzione o il problema).
Cara Fiorella d’Errico
è vero che le idee di eguaglianza universale e di libertà della coscienza individuale hanno origine anche nel Cristianesimo; ma in questo sono contenute anche altre cose, e quelle idee hanno anche altre origini e si sono trasformate. Infatti, alla fine l’Unione Europea non ha accettato di mettere le radici cristiane all’inizio del progetto di Costituzione (che poi è stato bocciato).
Nelle scuole il crocifisso è in via di sparizione alle superiori, ma alle elementari è molto più presente, e la cosa non è casuale. Ricordo che alle elementari si fanno due ore di religione alla settimana, non una. Negli ospedali forse non si vedono crocifissi nelle camere, ma può capitare che la domenica ti piombi in camera il prete a fare la preghiera, mentre tu non sai dove guardare, per buona educazione (esperienza personale).
E’ scorretto impostare il rapporto con l’Islam partendo dalla “nostra” identità cristiana. Intanto perché questa identità non è di tutti. Poi perché la base deve essere il pluralismo. Infine perché non è vero che “loro” imporrebbero ben altri simboli: “noi” come cittadini (e non come cristiani), con la protezione del potere statale, imponiamo che nessuno imponga simboli di parte. Che in stati non democratici l’Islam venga imposto non è un argomento, dal momento che stiamo parlando degli stati democratici in cui viviamo, e vogliamo difenderli.
Chiedo scusa, più tardi rispondo agli altri commenti.
mp
Gentile Piras
grazie della risposta. Preciso che nel mio commento mi sono limitata a riportare (non a caldeggiare) gli umori popolari che conducono a quella mancanza di laicità che Lei rileva, tanto per dire che le cose sono messe in maniera complessa e radicata, che modificare la sottocultura sarà lungo e complesso.
Cordiali saluti.
Cara Fiorella d’Errico,
grazie per il chiarimento, allora siamo d’accordo.
Caro Rino Genovese,
quando si parla dei fondamenti dello stato democratico-liberale secondo me la terminologia morale è inevitabile. Quali sono questi fondamenti? Io credo che si trovino nell’idea di eguaglianza. Ora, questa idea ha un significato morale. Eguaglianza vuol dire che si devono trattare gli altri da eguali, e questo implica delle obbligazioni morali. Che queste obbligazioni siano morali, e non puramente formali e procedurali, si vede da questo: non si tratta solo di applicare una formula, come riempire tutte le caselle allo stesso modo o dividere una torta in parti uguali. Si tratta di “trattare le persone da eguali”, che è diverso da “trattare egualmente”. Non tratto da eguali se divido in dieci parti eguali una torta tra due ricconi e otto poveracci. E quando mi chiedo in che modo è garantita la libertà eguale degli individui, per esempio nella discussione pubblica, si vede che il problema non è la semplice esistenza numerica delle persone, ma delle qualità morali (come per esempio la capacità di giudicare autonomamente) che ascrivo alle persone.
Il discorso è molto complesso, certo. Ma la democrazia liberale può sopravvivere se riesce a portare alla luce correttamente i propri presupposti morali. Se li rimuove, subisce gli attacchi delle forme facili di eticizzazione (etnica, nazionale, religiosa) della sfera pubblica.
Caro Alberto Ferrero,
obiezioni complesse, e ricche di spunti, grazie.
E’ vero, in un certo senso ho parlato della religione come di un qualsiasi circolo di scacchi. Ed è vero che l’appartenenza a una comunità religiosa può comportare forme gravi di pressione sulle coscienze. Il problema va affrontato da due punti di vista: quello dello stato e quello del credente.
Il punto di vista dello stato. Il reato di apostasia non può esistere nello stato democratico-liberale, quindi lo stato deve sempre garantire la libertà dell’individuo di uscire dalla propria comunità religiosa senza costi. Se per garantire questo diritto lo stato deve usare la coercizione, questo è legittimo, perché è un caso simile all’uso della forza pubblica per tutelare diritti individuali. C’è qui un terreno più scivoloso: ci sono casi in cui pratiche religiose possono minacciare apertamente i diritti individuali, e qui la cosa è pacifica, come per qualsiasi altra pratica; ci sono però casi in cui la cosa è meno chiara, perché ci si muove sul terreno delle credenze religiose. In questi ultimi casi bisogna partire dal rispetto del pluralismo religioso, perché i cittadini sono individui adulti capaci di giudicare; però bisogna essere molto vigili verso forme di manipolazione delle coscienze. Mi spiego: se una persona adulta si impone scelte autolesioniste, in una certa misura è libera di farlo; se però è dimostrabile che c’è una pressione su questa persona, bisogna valutare la possibilità di imporre dei limiti (si veda il problema delle sette).
Il punto di vista del credente. Qui si vede quanto è importante rafforzare i presupposti morali della democrazia, invece di snobbarli perché poco affascinanti teoreticamente. Se i cittadini credenti hanno un senso di appartenenza alla comunità politica democratica, e non solo alla loro religione, in molti casi capiranno che i loro principi particolari devono lasciare il passo ai principi democratici. In alcuni casi particolare, piuttosto “intrattabili” (per esempio l’aborto), questo per loro non sarà possibile. In questi casi si possono trovare altre soluzioni, come l’obiezione di coscienza, che deve essere sempre solo un’eccezione limitata, e non l’abuso generalizzato che se ne fa ora in Italia.
La soluzione è quindi la costruzione di questo senso di appartenenza morale alla cittadinanza democratica. Qui emerge il problema sollevato dall’ultima obiezione: ma questa appartenenza morale comune non rischia di essere una sorta di media, empirica e poco affidabile, delle varie credenze? Non è questa l’idea, però. Il primo passaggio è questo: la moralità democratica non è il risultato di una media, ma è costituita da ciò che le istituzioni democratiche implicano logicamente. Se vuoi vivere nelle istituzioni democratiche, questo implica che sostieni quei valori politici. Il secondo passaggio è più complesso: si tratta di collegare le proprie visioni a quei valori. Il collegamento avviene in tante maniere, anche empiriche e poco coerenti; ma se cerchiamo in questo terreno la coerenza dei filosofi siamo fuori dalla storia e non troveremo la soluzione.
Caro Vincenzo Cucinotta,
ho capito, la parola liberale le fa venire l’orticaria. Ma qui il problema è la democrazia. Ho già cercato di spiegare più volte (anche nella risposta a Ferrero qui sopra) che in materia di pluralismo religioso lo stato esercita un potere di controllo che può anche essere coercitivo, per tutelare la libertà individuale. Quindi non è vero che la posizione da me proposta lascia i più deboli in balia dei più forti. E non mi sembra molto utile ridurre tutto a mercato, perché le teoria sociali unilaterali, che spiegano tutto con un solo fattore, mi sembrano sempre semplicistiche.
In ogni caso, se la soluzione al problema della libertà religiosa non è quella liberale, non ho capito qual è.
Quanto alla faciloneria dell’ottimismo liberale, questa obiezione si potrebbe rivolgere a qualsiasi progetto democratico, e si addice più a Hobbes che a una coscienza politica che propone una qualche forma di emancipazione. Mi va bene, ma deve essere chiaro una volta per tutte che l’amore della sinistra italiana per il pessimismo antropologico porta a destra.
Grazie a tutti,
mp
@Piras
Lei certamente saprà quanto i concetti di destra e sinistra siano ben lungi dall’essere univocamente definiti.
In particolare, per quanto riguarda la destra, ci sono almeno due destre completamente differenti, quella più tradizionale antecedente alla rivoluzione francese, e quella più moderna sviluppatasi all’interno del pensiero illuminista, che tende a minimizzare l’aspetto dell’uguaglianza a favore della libertà, soprattutto insistendo sulla libertà economica.
Così, io non nego certo che la destra tradizionale avesse come retroterra un’antropologia pessimistica. La cosa però che la caratterizzava maggiormente era questa negazione radicale di ogni ipotesi di uguaglianza, fino a giustificare il razzismo.
Mi chiedo tuttavia se per paura di potere somigliare anche vagamente a una teoria politica in sè abbastanza aberrante, abbia senso pretendere dagli uomini ciò che gli uomini con tutta evidenza non sono. Tale cecità a un riscontro obiettivo è proprio ciò che caratterizza le ideologie, e che viene data in pasto agli elettori, mentre chiunque fa politica sa bene quanto sia importante sollecitare queste componenti emozionali degli elettori.
D’altra parte, chi riconoscendosi di sinistra tiene così tanto a riconoscersi in un’antropologia ottimistica, può egualmente essere accusato di pensarla anche lui come la destra, in questo caso la destra liberista di cui dicevamo. In realtà, mi pare che i fatti mostrano come questo pericolo sia molto più concreto, come mi pare che l’esperienza storica dei partiti socialdemocratici europei dimostrano fino al passato più recente, con la standing ovation tributata anche da questo gruppo parlamentare a Monti nella recentissima seduta del parlamento europeo, sposando cioè un liberismo franco ed esplicito.
Insomma, mi pare che lì’antropologia ottimistica porta molto più efficacemente su una strada di destra, per quanto questa distinzione abbia ancora senso.
Nella tua visione, caro Mauro, come in quella di altri, l’eguaglianza puramente formale, garantita dallo Stato di diritto liberale, diviene un fatto morale in sé. La politica, secondo questa impostazione, non ha più alcuna autonomia: è immediatamente morale. Ma non è il difetto più grave. Più grave è che tu (insieme con altri) elimini la tensione utopica verso un’eguaglianza sostanziale – questa sì davvero anche morale – che solo la democrazia consente in quanto garanzia di un conflitto sociale aperto e plurale (cioè non chiuso come quello di una lotta tra culture e religioni diverse). In altre parole, l’esposizione del crocifisso viola un principio liberale di eguaglianza formale tra individui appartenenti a religioni diverse da quella cattolica, oppure non credenti; la riduzione dello Stato sociale è “immorale” in quanto nega l’eguaglianza sostanziale.
Caro Rino,
non vedo queste difficoltà e queste contraddizioni. L’eguaglianza sostanziale è l’eguaglianza morale di cui parlo io: si tratta di preservare una reale eguale dignità delle persone. Quindi: 1) anche la mia è una prospettiva utopica (che io preferisco chiamare ideale o normativa, ma non importa), perché nella realtà questa eguaglianza non è mai realizzata (la realtà sociale è sempre penetrata dal dominio), ma guida la critica perché svela il dominio e spinge in qualche modo a modificare i rapporti sociali in senso più giusto: 2) che si tratti della libertà religiosa o della giustizia sociale, è sempre in gioco la stessa eguaglianza (sostanziale o morale), che è più di quella formale perché non si tratta di garantire solo le condizioni giuridiche (formali) dell’eguaglianza, ma anche i suoi presupposti economici, sociali ed epistemici.
Sono d’accordo per togliere il crocefisso. Però ci lasciamo i buchi, perchè il Buco, cioè il Nulla, è il vero Dio Liberale e Democratico.
@ roberto buffagni:
premetto che io sono contro una legge che obbliga ad esporre il crocifisso nelle aule ma ritengo legittimo che ogni scuola autonomamente esponga nelle proprie classi immagini a scopo didattico e culturale come mappe, foto di città, monumenti, opere d’arte e simili e dunque anche immagini e simboli legate a una o più religioni in quanto oggetto di studio in storia, letteratura, filosofia o storia dell’arte (e dato che sono a scopo didattico non si può parlare di mancanza di rispetto verso le religioni non rappresentate).
Sono d’accordo nel fatto che non si deve fare una divinità dei princìpi liberali e democratici in base alla quale rifondare da capo a fondo ogni aspetto della convivenza umana altrimenti si finisce per privare di ogni valore intersoggettivo qualunque aspetto culturale non universale, non solo legato alle religioni, ma anche legato alle più vari aspetti delle singole culture locali, non solo quelli religiosi, ma anche etnici, linguistici, artistici e così via, che non possono essere cancellati e resi irrilevanti nella sfera pubblica da una totalizzante razionalità individuale assunta da uno Stato che si autoproclama come divinità e unica fonte di princìpi morali imposti dall’alto a tutte le società.
Per questo io ritengo che, come ogni altro singolo e società anche le confessioni religiose hanno il diritto di partecipare al dibattito democratico, e se su questioni come quelle bioetiche su inizio e fine vita o i matrimoni omosessuali alcune di queste confessioni affermano, ritenendo di basarsi sulla sola ragione (e senza usare come premesse verità rivelate e quindi non universali) tesi secondo le quali si devono proibire per legge certe pratiche, allora tali affermazioni, come ogni altra opinione, ha il diritto di essere ascoltata e discussa attraverso le procedure laiche e democratiche a cui partecipano tutti i cittadini di questo stato, ognuno dei quali ha uguale peso in tali procedure a prescindere dalla sua appartenenza a una certa confessione piuttosto che ad un’altra o nessuna.
Certo, come affermava prima Piras ci sono certi limiti, il criterio della maggioranza non può imporre per legge che una sola religione può essere liberamente praticata a discapito di chi non crede ad essa. Mi piacerebbe peraltro chiedere a Piras la seguente domanda (alla quale io ho difficoltà a riuscire a trovare una risposta ben argomentata): ammettiamo che mediante procedure democratiche come referendum o leggi parlamentari uno stato dichiari esplicitamente illegale i matrimoni omosessuali o l’eutanasia a causa del fatto che la maggior parte dei cittadini ritiene che mediante la sola ragione ci siano motivazioni morali per tali proibizioni, e ammettiamo pure che la maggior parte dei cittadini faccia parte di una confessione religiosa che appoggia tali tesi morali ritenendole basate sulla sola ragione. Secondo voi (lo domando non solo a Piras, ma a tutti gli interessati) sarebbero rispettati in tal modo i princìpi della laicità e della democrazia liberale?
Caro Michele dr,
non sono un filosofo, e gliela metto giù terra terra.
La libertà del liberalismo è una libertà negativa. Finchè c’è da difendere gli individui contro le prepotenze dell’assolutismo, il liberalismo è l’unica terapia sinora disponibile.
Le overdosi di liberalismo, invece, ammazzano il paziente, perchè liberandosi di tutto ci si libera anche di se stessi, cioè si muore o ci si annichila: resta solo il Buco.
Oltre alla libertà da, ci vuole anche la libertà di: la libertà, per esempio, di essere se stessi e di fare qualcosetta oltre a liberarsi di fardelli quali religione, identità etnica e nazionale, determinazione sessuale, senso, vita.
Poi è vero che chi fa, sbaglia; però chi non fa, proprio non esiste.
Caro Buffagni,
le risponderò con queste parole di Tocqueville:
“Si sono viste religioni intimamente unite ai governi terreni dominare le anime col terrore e con la fede; ma, quando una religione contrae una simile alleanza, non temo di dirlo, agisce come potrebbe farlo un uomo: sacrifica l’avvenire in vista del presente e, ottenendo un potere che non le spetta, mette a repentaglio il suo potere legittimo. […] La religione non può dunque condividere la forza materiale dei governanti senza caricarsi di una parte degli odi che questi fanno nascere” (La democrazia in America).
Caro Michele Dr,
sì, nell’esempio che fai tu i principi della democrazia liberale sono rispettati.
Le premesse che condivido sono le stesse che poni tu: le religioni hanno tutto il diritto di dibattere, nella sfera pubblica, che deve essere libera, con i propri argomenti, anche con l’uso di verità rivelate ecc. Tuttavia, è ovvio che la giustificazione delle leggi non può appoggiarsi su argomenti di questo genere, ma solo su argomenti che potrebbero essere condivisi da tutti i cittadini in quanto cittadini, e cioè ragioni politiche e morali che derivano dallo status di cittadini e dai principi della democrazia liberale stessa, e conoscenze generali condivisi, note come conoscenze razionali a tutti i partecipanti (che ovviamente possono essere criticate, come tutte le conoscenze razionali, ma possono esserlo su un terreno comune a tutti i cittadini, di qualsiasi fede o credenza).
Date queste premesse, il dibattito nella sfera pubblica deve essere aperto e totalmente libero, ma le ragioni su cui si può convergere per giustificare una legge dovranno poi restringersi a quell’ambito condiviso. È quindi interesse di tutti i partecipanti portare nel dibattito argomenti di questo tipo, e non solo argomenti che possono essere condivisi soltanto da chi ha una certa fede. Nessuno può costringere i cittadini ad argomentare in questo modo. Ovviamente sono liberi di argomentare solo con le loro convinzioni di parte, religiose o altro. Ma allora la decisione a maggioranza potrà portare a leggi nei confronti delle quali i cittadini contrari si sentiranno esclusi in quanto cittadini. Allora è meglio, è una sorta di obbligo morale, per rispettare tutti allo stesso modo, non cercare di imporre argomenti religiosi. Se si fa così, e la maggioranza decide in un modo, la decisione mi sembra del tutto legittima. Se non si fa così, e si arriva a una decisione espressa nel linguaggio, per esempio, di una religione, la decisione è legittima comunque, ma la democrazia è molto più fragile.
Piras, ascolti, il pensiero religioso è un pensiero, un pensiero come qualsiasi altro.
Storicamente, so bene che non è stato così, che le religoni hanno preteso per sè stesse uno speciale statuto, ma trovo ben strano che una persona che si considera laicista assecondi seppure con finalità opposte quelle pretese che almeno in Europa sembra che le religoini stesse rifiutino.
Se il laicismo è questo, allora esso non differisce in alcun modo dalle stesse religioni, si pone come una nuova religione accanto a quelle tradizionali.
La vera caratteristica laica dovrebbe a mio parere consistere proprio nel rifiutare ogni discriminazione. vedo invece che per eliminare le discriminazioni, paradossalemente si usano le discriminazioni, si utilizza cioè una strategia di riequilibrio.
Tali strategie non funzionano, inevitabilmente invece di eliminare le discriminazioni, le moltiplicano, ne fanno fiorire di nuove. E’ come quando un arbitro di calcio sbaglia una decisione e resosene conto, pretenda di eliminare l’errore assumendo un’altra decisione errata, ma di senso opposto, non credo che nessuno direbbe che questa strategia funzioni. Gli errori storici ci sono, e rimangono, non possiamo far altro che accettarli e sforzarci per quanto in nostro potere di evitarli nel futuro. Invece, abbiamo stabilito per legge che il parlamento debba essere costituito da un numero pari di donne e di uomini: possibile che non si capisca che questa costituisce al contrario il massimo della discriminazione?
Caro Piras,
Tocqueville l’ho letto anch’io, e mi piace. Però Tocqueville con il nostro oggi c’entra come i cavoli a merenda.
Nel mondo di Tocqueville era finito il matrimonio fra Trono e Altare, ma l’ancien régime era cosa della settimana prima, e la religione cristiana ordinava simbolicamente la vita quotidiana, la vita interiore, l’etica e la morale di tutti o quasi, atei compresi.
Oggi come oggi queste considerazioni di Tocqueville potrebbero essere d’immediata utilità in Arabia Saudita, in Italia non direi proprio.
Ripeto, tornando rasoterra: il liberalismo propone, e oggi *impone*, perchè ne ha la forza materiale e mentale e la usa, eccome se la usa, una libertà = “liberazione da”. Libera oggi, libera domani, libera dopodomani, degli uomini concreti che cosa resta? Un Individuo/Buco, titolare di diritti giuridici e di un C/C bancario o postale.
Per farla corta. La realizzazione compiuta del progetto liberale coinciderebbe con la sua implosione e il suo rovesciamento in nichilismo puro e semplice: la Libertà che casca anche lei nel Buco che ha scavato.
Per non cascare nel Buco, il liberalismo ha bisogno di nemici. Prima l’assolutismo monarchico e la teocrazia, poi il comunismo e il fascismo. Dopo il crollo dell’URSS, il liberalismo è rimasto solo, e si è messo a cercare nemici interni: sessismo, politicamente scorretto, disuguaglianza tra i sessi, eventuali resti di dimensioni non-individuali di istituzioni come famiglia, Stato, Chiesa, e così via.
Il mondo sarà grande, ma non è infinito: e prima o poi al Buco ci si arriva.
@ Buffagni
Da un lato forse non dovrei intervenire, perché a volte pare l’assemblea permanente LPLC e perché può essere spiacevole, ma questi tuoi interventi mi destano stupore. Io ho 28 anni e non capisco ( cioè in parte lo capisco, penso che hai delle convinzioni basate su errori concettuali e sentimentali ) come ti viene in mente di dire che togliendo certe cose lasciamo il buco, il nulla liberale e democratico. Oppure le tue idee sul sessismo. Scusami davvero, ma hai una idea tutta sballata della natura umana. Io sono ateo da quando ero bambino, non penso nulla di male dei credenti, ho capito studiando che credere è una conseguenza dei nostri processi mentali e del modo in cui si formano le nostre percezioni. Quindi so bene cosa vuol dire dirsi “atei” e cosa vuol dire “credere”. Abbiamo dei processi mentali inconsci che ci condizionano e viviamo immersi in un ambiente che non controlliamo. Di quale libertà parli? Se si divide in due il sistema talamo-corticale, anche la coscienza si divide in due, come pensi di poter ancora sostenere che si può in qualche modo essere sé stessi. Siamo un processo di rinnovamento che si ripete miliardi di volte a livello cellulare, siamo macchine che convertono energia, che vengono modificate continuamente da sostanze esterne, dalle informazioni e dagli stimoli che riceviamo, eccetera. Che poi quando una persona si affida a delle convinzioni sta meglio ( da certi punti di vista, se uno si accontenta di poco ) è un altro discorso, vedi anche alla voce effetto placebo. Togliere il crocifisso o combattere il sessismo non ha a che vedere con il liberalismo, porcaccia miseria, ha a che vedere con la decenza intellettuale. Non riesco a credere che una persona come te che mi parla in un certo modo degli anni ’70 e dell’importanza della storia, poi mi casca sul sessismo o su cosa vuol dire credere nei principi liberali. Il sessismo non è un nemico interno, è un modo idiota di pensare frutto dei nostri processi mentali idioti ( è la differenza fra saper riconosce l’inevitabilità di pensare attraverso stereotipi e l’affidarsi ciecamente a questi ), possibile che ti rimane così difficile capirlo? E poi come ti viene in mente di dire che rimangono solo i diritti giuridici e i conti correnti bancari, ma che dici? :-) Pensare meglio aiuta a vivere meglio. Ma tu hai presente quale idiozia fosse l’idea che le donne non potessero votare o che non potessero ricoprire cariche pubbliche, perché degli idioti pensavano che fossero emotive? La cosa che più mi stupisce è che dovresti essere contento che pian piano ci liberiamo delle scemenze del passato, non essere preoccupato perché staremmo perdendo chissà quale libertà di essere. Ci stiamo liberando dai fardelli di uomini stupidi per acquisire nuova e migliore consapevolezza di cosa vuol dire esseri umani, per citare Wallace, e tu sei preoccupato. De Tocqueville è interessante, ma è un paranoico, e la sua paranoia va presa in maniera costruttiva fino a un certo punto.
Sì, è anche giusto criticare gli errori degli altri, di altre epoche, ma come si fa a credere, essendo contemporaneamente convinti di avere raggiunto il massimo della razionalità, che le proprie convinzioni siano esenti da pregiudizi? Nessuna società è stata così piena di pregiudizi, di luoghi comuni, di conformismi di tutti i tipi, come quella contemporanea.
Come si fa, mi chiedo, a considerare il proprio punto di vista come se ci trovassimo in un non luogo storico? Leggo la sicumera di chi scrive, e neanche gli passa il più fugace sospetto che i condizionamenti sono sempre esistiti e sempre esisteranno, cosa che dovrebbe essere ovvia, vista la nostra natura sociale.
@ Cucinotta
Uffa, si fa leggendo anche le parti fra parentesi dei commenti altrui! :-). A parte che Marx ce l’ho sul comodino, l’ideologia, prima ancora di essere “forgiata” dai rapporti sociali è prefigurata da come funziona il nostro cervello ( per come l’ho potuto apprendere dalle recenti scoperte neuroscientifiche, vedi ad esempio Eric Kandel ), cosa che ovviamente a Marx era facile potesse sfuggire, sebbene Hume ci fosse andato molto vicino. Bias cognitivi. Per questo la scienza è una figata, perché è contro-intuitiva. Poi non sono convinto che abbiamo raggiunto il massimo della razionalità, sebbene ci sono le ricerche di James Flynn sul quoziente intellettivo che ritiene in media aumentato grazie a certi progressi che ci hanno consentito di migliorare le nostre capacità di astrazione. Ma per caso possiedi un pregiudiziometro, un luogo-comunometro e un conformismometro? Mica sto dicendo che è tutto meraviglioso.
Beh, che siamo la società più conformista di tutta la storia dell’umanità mi pare indiscutibile, basta avere occhi per vedere.
Ma non è questo il punto essenziale, basta considerare come ti è finita, confondere la realtà con la realtà scientifica, senza renderti conto di questa affrettata coincidenza.
Che la scienza sia controintuitiva, mi pare non abbia fondamenti sperimentali. Lo può essere, ma al contrario può risultare del tutto intuitiva, perchè mai lo escludi?
Una elementare lezione di filosofia è che senza postulati, non si può formulare nessuna (presunta) verità. Un tipico postulato è appunto la fede cieca nelle scienze.
Tuttavia, io non ho niente contro i pregiudizi (appunto perchè li considero strumenti inevitabili del pensiero), ce l’ho con chi accusa gli altri di pregiudizi senza riuscire a scorgere i propri, tutto qui.
ps. Non capisco il riferimento a Marx. Ucci,ucci, sento odore di un ulteriore pregiudizio…
@ Cucinotta
è un po’ faticoso parlare con te. Io scrivo un commento nel quale non c’è neanche una virgola che può essere interpretata come “voi avete dei pregiudizi, io no”, però tu mi rispondi come se io lo pensassi. Allora scrivo un secondo commento per specificare ancora meglio parlando di bias cognitivi ( bias che coinvolgono gli scienziati stessi e le loro ricerche ), ma tu niente. Con i pregiudizi bisogna avercela se sono sbagliati, e il metodo scientifico è un ottimo metodo per coglierci in fallo. Che la scienza sia contro-intuitiva lo puoi capire pensando a come un tempo si credeva che il Sole si muovesse ( senza entrare nello specifico dei sistemi di riferimento ), o per esempio alla relatività di Einstein, ma pure alla meccanica quantistica, alle molecole d’acqua, al fatto che praticamente tutte le culture hanno sviluppato sistemi di credenze che personificavano gli eventi naturali, che da bambini siamo portati a credere che ogni evento sia causato da un agente, che ad esempio la teoria di Darwin è così difficile da accettare perché ci sbatte in faccia la nostra insignificanza e abbatte ogni idea di teleologia naturale. Poi non ho escluso che possa accordarsi con le intuizioni, era solo un modo per rafforzare il concetto che proprio perché abbiamo dei pregiudizi, ci è utile un metodo per confutarli. Un altro mistero è perché presumi che io confonda la realtà con la realtà scientifica e perché tiri in ballo la fede cieca nella scienza, a meno che non sia un’associazione mentale impropria mia. Il riferimento a Marx è perché dato che sei riuscito a male interpretare un commento molto chiaro, ti può forse essere utile sapere da che fonti attingo. Non vedo infatti in che modo inferire dalle mie parole che avrei un punto di vista astorico e come ti può essere venuto in mente di farmi notare che i condizionamenti sono sempre esistiti e sempre esisteranno, dato che non ho mai asserito il contrario e dato che oltretutto hai letto molti dei miei commenti passati. Con la differenza che io mi riferisco a pregiudizi ben precisi, vedi il sessismo, che sono ormai inaccettabili per chiunque abbia un minimo di cervello, e cerco di discutere nel merito. E il mio riferimento ai pregiudizi non era volto a farlo presente a Buffagni, che immagino lo sappia benissimo, ma al concetto di identità e al chiedere a lui a cosa è dovuta la sua preoccupazione. Il premio best mystery of the year sponsored by LPLC lo vince però la tua convinzione sulla nostra società conformista, addirittura nella storia. Comunque fine OT. Io intendevo rompere le scatole a Buffagni.
@ Vincenzo Cucinotta:
come ho già detto sopra il liberalismo tradisce il suo spirito democratico e di rimozione delle discriminazione se viene inteso come imposizione dall’alto di un’omologazione che esclude dalla sfera pubblica ogni valore delle diversità sia di inclinazioni che di opinioni dei singoli e delle società. Ad esempio io ritengo che le proposte di “discriminazione positiva” da lei citate come le quote rosa ovvero imporre un minimo numero di donne per legge in parlamento sono accettabili solo come attuazione estrema e provvisoria e solo se viene riscontrato che realmente si riscontra un altissimo numero di donne che cercano di intraprendere la vita politica ma scartate in modo non meritocratico ma in base a criteri sessisti. Non è possibile denunciare alcuna discriminazione invece se di fatto in un paese esistono meno donne interessate all’attività politica (e dunque meno donne in cariche politiche pubbliche) rispetto agli uomini.
A Dfw vs Jf:
Concordo sul fatto che l’apporto delle scienze porta a comprendere la nascita di comportamenti umani intuitivi nonché di molti pregiudizi, però da alcune mie letture sulle neuroscienze (forse ne avrò letto meno delle sue, dato che lei mi sembra esperto al riguardo) mi sembra di aver compreso che è scorretto affermare che il cervello e il corpo umano sia fin dalla nascita una macchina “passiva” che non può fare altro che ciò che sembra “programmato” dal codice genetico fin dalla nascita e da eventuali traumi esterni provenienti dall’ambiente (peraltro concezioni simili nell’800 portarono a visioni razziste alla “Lombroso” del tipo che individui con diverse conformazioni del cranio portasse a priori a diverse capacità mentali, il biologo Gould ha scritto pagine rilevanti al riguardo). In realtà l’individuo umano ha la proprietà, mediante le sue azioni, interazioni con l’ambiente di modificare in modo spesso decisivo il suo corpo e cervello (sono numerosi gli studi recenti sulla “neuroplasticità”) e dunque è vero che i comportamenti umani sono influenzati dalle loro proprietà corporee e cerebrali ma è vero anche viceversa (e questo avviene anche nell’evoluzione degli animali diversi dall’uomo, penso agli studi di Darwin sulla selezione sessuale e su animali come i vermi che modificando il terreno modificano attivamente il loro stesso ambiente e di conseguenza i processi della selezione naturale dei loro discendenti). Insomma, natura e cultura si influenzano reciprocamente ed è un motivo in più per evitare di affermare che tra scienze naturali e scienze sociali e umane uno dei due gruppi di scienze è più “importante” al fine di ignorare o ridurre un altro.
Caro Dfw vs Jf,
mi sei simpatico, e quindi mi spiace, ma non mi rompi le scatole, mi metti di buonumore: l’allegria e la fiducia in sè sono gran belle cose, beata gioventù!
Sono contento che tu abbia tanta fiducia nella scienza e nella ragione, si vede che l’illuminismo acchiappa ancora, nonostante tutto.
Tanto per restituire debitamente la rottura di scatole, ti invito a pensare un momento a un paio di cosette.
1) Possibile che tutta l’umanità che non la pensa come te sia proprio scema e arretrata? Parlo della presente (una larga maggioranza) ma anche della passata (la quasi totalità). Se consideri per un attimo quel che costoro, dico i morti, hanno combinato, converrai con me che un Q.I. mica male ce l’avevano anche allora. Un caso?
2) Gente che la pensa, o dice di pensarla, più o meno come te, fa spedizioni militari in posti dove la gente la pensa, o dice di pensarla, più o meno come me, e li spiana per insegnargli il valore della libertà e le brutture del sessismo e degli altri “pregiudizi inaccettabili”. Va bene così? E’ un caso anche questo?
3) Ce la facciamo tutti, un’idea di noi stessi e dell’uomo in generale. Sei sicuro che si possa giungere, con o senza neuroscienze, a una definizione incontrovertibile di quel che siamo? Io, no.
Comunque, ciao.
Nick impronunciabile, se davvero anche tu credi che il pregiudizio è parte ineliminabile del pensiero, non capisco allora la logica dell’andare a scovarli. Io credo all’argomentazione, ma questa presuppone un atteggiamento dialogico, cioè la volontà di capire le ragioni dell’interlocutore, a cui dobbiamo atrribuire un ruolo paritario.
Se invece il confronto sta nell’andare a caccia dei pregiudizi dell’interlocutore, allora non si tratta di dialogo, si tratta di volere imporre i propri pregiudizi a quelli dell’interlocutore.
Io insomma quando sto dialogando, non direi mai che l’altro ha dei pregiudizi ovviamente errati, questo non mi pare un atteggiamento costruttivo, quando poi per colmo chiamo come autorità indiscussa quella della scienza o di cos’altro vogliamo, solo perchè quella è la mia fede.
Così, mi sembra abbiamo un confronto come tra un musulmano e un calvinista entrambi ortodossi (anche fanatici magari). L’uno ha chiamato a suo supporto il vangelo e l’altro gli risponde richiamando il corano, ma che dialogo sarebbe questo?
Se poi a tutto ciò che ti sto contestando ci uniamo anche la pretesa che abbiamo compiuto dei progressi, con un’affermazione in pieno stile apodittico (se poi lo dice James Flynn…), ti puoi ancora chiedere perchè ti faccio obiezioni infondate? Non ti viene il dubbio che sei tu ad avere equivocato sulla natura delle mie obiezioni?
@ Michele Dr
Esperto no, lettore appassionato. Ti do del tu ( se non è un problema ). Da un lato è curioso, perché non volevo contrapporre né natura e cultura né il metodo scientifico alle altre forme di sapere. Non so se dipende solo dal mio modo di scrivere, ma credo anche da come viene spesso trattato il tema in generale. Ho letto Gould ( l’ho scoperto grazie ai Simpson ), Intelligenza e pregiudizio, per quanto ho sentito che egli stesso abbia manipolato alcuni dati, non so di più in merito, forse ne ha scritto proprio James Flynn ( dato che fa ricerche sul QI ), ma per ora in italiano c’è solo un suo libro e non parla di questo. Quindi concordo sulla possibilità di interagire, sulla plasticità, sull’importanza di crescere in un ambiente che sia ricco di stimoli eccetera. Devo ancora approfondire meglio la questione, ma proprio leggendo Kandel si vede come appunto il cervello interpreta continuamente gli stimoli che riceve dall’esterno e “si fa” la sua idea di mondo, e proprio qui arriva il concetto di bias cognitivi. Ma il mio riferimento a ciò non voleva essere un modo per dire che negare il libero arbitrio sia negare la possibilità di scelta degli esseri viventi. Piuttosto è un riconoscere che il nostro concetto di libertà è basato su ideali e che questa erosione identitaria non dovrebbe preoccuparci, perché non stiamo perdendo qualcosa di noi stessi, stiamo costruendo processi alternativi anche per esercitare un migliore autocontrollo ( per chi lo considera un bene, certo ). Così come riconoscere il corredo genetico ci dà solo indicazioni maggiori. Per chiarire meglio il punto delle influenze che non controlliamo cito da Pensieri lenti e veloci di Kahneman:
“Uno dei progressi che abbiamo compiuto rispetto a Hume è di non pensare più che la mente passi attraverso una sequenza ordinata di idee consce. Secondo la visione corrente del funzionamento della memoria associativa, molte cose accadono contemporaneamente. Un’idea che è stata attivata non si limita a evocarne un’altra, ma ne attiva molte, che a loro volta ne attivano altre. Inoltre, solo alcune di quelle attivate vengono registrate dalla coscienza; la maggior parte del lavoro del pensiero associativo è silenziosa, celata al nostro sé conscio. L’idea secondo cui abbiamo un accesso limitato al funzionamento della nostra mente è difficile da accettare, perché è ovviamente estranea alla nostra esperienza, ma è vera: sappiamo di noi stessi molto meno di quanto pensiamo.” Seguono alcuni esempi di ciò che viene chiamato “priming”, quello più divertente è uno studio su alcuni giovani divisi in due gruppi. I gruppi dovevano risolvere un gioco in cui formare frasi di senso compiuto a partire da alcune parole. Poi li facevano andare in un’altra stanza e nel frattempo cronometravano a loro insaputa il tempo di percorrenza fra una stanza e l’altra. Un gruppo fu messo a risolvere indovinelli con parole che rimandavano alla vecchiaia, e proprio questi furono quelli che ci misero di più ad andare nell’altra stanza.
@ Buffagni
Beh, penso un po’ come tutti ho la parte romantica e quella illuminista, anche quella nazista, quella depressa. La mia gioia può essere quella di High Windows di Larkin
1- Aristotele e Cartesio erano geni eppure pensarono anche loro solenni sciocchezze, vedi alla voce opinioni sulle donne e sugli animali. Paul Broca, uno scienziato eccellente, pensava delle donne cose che mettono i brividi per l’orrore. Il rimedio più usato nel XIX secolo era un bel barattolone di sanguisughe biologiche.
2- Non vorrei semplificare troppo il tuo pensiero. Il fatto che paesi potenti compiano azioni criminali non rende meno criminali alcune pratiche di alcune società. Nei principi liberali non c’è scritto di spianare gli altri. Credere che certi popoli abbiano una loro cultura è un rischio che anche gli antropologi hanno evidenziato. Che una donna senegalese pensi che sia normale che il proprio marito torni a casa e la picchi e pretenda un rapporto sessuale non è espressione della cultura di quel popolo, come non lo era nella cultura italiana anni ’50 o giù ( o su ) di lì. È solo espressione delle tare che ci portiamo dietro. Gli stupri sono pratica sovente nel regno animale, e capita pure che siano le donne a esercitare la violenza di branco, quando le condizioni biologiche ( ossia maggiori dimensioni rispetto ai maschi ) glielo consentono.
3- Non sono affatto sicuro, e per citare Lévy-Leblond e il suo meraviglioso libro La velocità dell’ombra, più che dei limiti della conoscenza, occupiamoci della conoscenza dei limiti. E ti cito un passo che rileggo ogni tanto: “…Questo vero e proprio recupero del sapere popolare da parte delle scienze consolidate ha un notevole interesse dal punto di vista epistemologico, ma anche economico…non è il caso di ritornare sulla necessaria distinzione tra le forme scientifiche e le forme comuni della conoscenza. Tuttavia bisogna ancora capire che non si tratta di una dicotomia che separa due categorie fisse, chiuse e omogenee…La conoscenza umana è molteplice, evolutiva e interconnessa: merita quindi il più grande rispetto sia la specificità delle sue molteplici forme sia la fecondità dei loro scambi. Nella sua diversità, bisogna pensare alla conoscenza, come una.
@ Cucinotta
La logica sta nel fatto che i pregiudizi possono rivelarsi sbagliati e dunque inficiare i nostri pensieri. Questo ha ripercussioni negative nel quotidiano come nella ricerca scientifica. Ogni ricercatore deve apprendere che nel fare le sue ricerche sarà influenzato da questi bias cognitivi che lo potranno indurre in errore, sia perché tenderà ad interpretare i dati secondo i suoi preconcetti e sia perché predisporrà la ricerca anche secondo tali bias. Io poi non è che mi diverto a trovare i pregiudizi negli altri, e ogni giorno cerco di capire e di sottoporre a giudizio il mio stesso pensiero. Soprattutto i pregiudizi dei quali possiamo essere consci. Capisco che non è molto costruttivo in un dialogo presumere e far notare degli errori, basati poi su pregiudizi, ma non ci vedo niente di male. È utile anzitutto per me, capire perché penso certe cose, e sapere se posso farci affidamento. In questo punto specifico poi ho chiesto quali sono le preoccupazioni, perché io non le colgo, non mi sento affatto una persona priva di valori o più vuota o nichilista, e mi pare una buona cosa argomentare usando anche le ricerche scientifiche sulla morale, riportata alla pratica e non alla metafisica. Per fare un esempio, io la prima volta ho votato per i Verdi, nel 2006. Simpatizzavo anche per Greenpeace. Poi ho letto alcune cose sulle scemenze anti-scientifiche e irrazionali che hanno propagandato sugli ogm e sulla fuffa biologica e non mi sono sentito affatto bene. Non mi interessa neanche se ci sia della malafede o meno. E su questioni come queste si tirano in ballo anzitutto i fatti, e qui le posizioni non sono paritarie. Su come utilizzare una tecnologia si può discutere alla pari, ma le opinioni che si fondano sui valori religiosi o su concezioni tipo “è contro-natura” valgono zero comunque. Posso rispettare chiunque, ma non tutte le opinioni. Penso che si possa parlare di “progressi” in maniera prudente. Le ricerche di Flynn non le conosco, sono ricerche, penso che sia una cosa bella e basta che più persone grazie a vari fattori ( e fra questi fattori c’è anche la democrazia liberale ) possano avere maggiori possibilità di vivere appieno le proprie facoltà, i propri talenti, i propri sentimenti. Sulle tue obiezioni poi dovresti essere più chiaro: nel tuo primo commento mi chiedi come faccio a credere e a considerare cose nelle quali non credo e che non considero. Per questo ho detto che sono obiezioni infondate. Se mi dimostri il contrario ci posso pure ripensare. Come dovresti dare un minimo di basi alla tua idea che questa sarebbe una società tanto conformista. Il dubbio di aver fatto un’associazione impropria mi è venuto, e infatti te l’ho pure scritto. Se tu dopo tutto quello che ho scritto ritieni che io cito la scienza come un’autorità indiscussa è un peccato, perché non è questa la mia intenzione.
Caro Dfw vs Jf,
la cattiveria è un dato permanente nella storia degli uomini; lo sono anche l’errore, la stupidità, etc.
Ci sono valutazioni assiologiche, però, che non dipendono direttamente da cattiveria e/o stupidità, anche se possono causare o legittimare comportamenti cattivi e/o stupidi.
L’Aristotele che tu citi, persona tutt’altro che cattiva e/o stupida, definisce gli schiavi “strumenti animati”, legittimando un’istituzione che certo anche tu giudichi cattiva. Il giudizio irrevocabilmente negativo che (almeno per ora) portiamo sulla schiavitù dipende da una modificazione delle coscienze che è stata inaugurata dal cristianesimo. Prima del cristianesimo, solo pochi singoli illuminati la rifiutavano radicalmente: per esempio, Epicuro, che pur senza pronunciare esplicite condanne ammetteva donne e schiavi nel suo “Giardino”.
La scienza è una bella cosa, e sul mondo e sull’uomo sa dirci cose molto importanti. Non può, non vuole e non deve dirci che cosa sia, e come sia fatta, la natura umana. Le ricerche “scientifiche” sulla morale, la felicità, la giustizia, lasciano il tempo che trovano (se vuoi, possiamo aggiungere “purtroppo”, perchè in effetti sarebbe comodo).
Mi tiri in ballo la brutalità del senegalese che torna a casa, picchia la moglie e ci fa i suoi comodi, lei volente o nolente, come “gli italiani degli anni Cinquanta o su di lì’ “. In Senegal non saprei, ma guarda che nell’Italia degli anni Cinquanta o su di lì nessuno ha mai pensato che tornare a casa, menare la moglie e stuprarla fosse “l’espressione della cultura di un popolo”.
Che succedesse più meno frequentemente non dubito, perchè il peggio succede sempre; ma un comportamento del genere è, banalmente, un abuso della posizione allora socialmente dominante degli uomini. Il prepotente che agiva così aveva più probabilità di farla franca di quante ne abbia oggi (se non intervenivano i parenti della moglie, che andavano più per le spicce dei tribunali).
Ti ricordo che non c’è potere senza abuso. Oggi, ad esempio, dalle nostre parti occidentaliste, quando una donna chiede la separazione dal marito può, se ne ha voglia, tentare, con ottime probabilità di successo, di portargli via i figli, di aggiudicarsi una bella fetta del suo reddito anche eventualmente riducendolo in miseria, e di continuare a farsi mantenere da lui anche mentre vive insieme a un altro uomo.
La stessa donna occidentale può, se lo vuole, abortire i suoi figli legalmente e gratuitamente senza che nessuno, neanche il padre, possa aprir bocca: e in quest’ultimo caso essa non *abusa*, ma semplicemente *fa uso* di un suo diritto.
Io personalmente, e parecchie centinaia di milioni di senegalesi in giro per il mondo, riteniamo che questo sia sbagliato e cattivo. Come la mettiamo? Chi ha ragione, e in base a quali argomenti? Lo chiediamo alla scienza?
Nick impronunciabile, questa discussione è ormai divenuta molto importante. Non mi interessa, vi prego di credermi, prevalere, come magari qualcuno potrebbe credere, visto che man mano la discussione si allontana sempre più dal tema iniziale. Non è quindi per motivi di stupido puntiglio se insisto, ma perchè tu rappresenti per me un interlocutore ideale, perchè in te vengono a convergere una ottima capcità di argomentare, buone letture e contenuti ideologici del presente, che sono, sia chiaro, nè migliori nè peggiori in assoluto dei miei personali contenuti ideologici, diciamo differenti.
Ho scritto un libro in cui parto appunto dalla constatazione dell’inevitabilità che il nostro pensiero abbia una natura ideologica, e partendo da qui metto in discussione quelli che ritengo siano i due pilastri del pensiero occidentale. L’uno è quello che vede nella storia dell’umanità un cammino di progresso, e quindi tende a considerare ciò che è nuovo come positivo.
Il secondo è quello che pretende di riconoscere gli uiomini come individui, e quindi la società come derivante dall’aggregazione di individui che le preesistono.
Penso che il tempo presente sia un’età storica di svolta, i progressi tecnologici pongono all’umanità dei problemi inediti, di cui il principale è costituito dalla constatazione dei limiti fisici delle risorse e quindi dello stesso sviluppo.
Tuttavia, il punto che mi pare mancare nel pensiero ambientalista è la sua sottovalutazione, come se fosse possibile confinare questo aspetto senza che esso determini una serie di conseguenze di ordine filosofico e politico generale, trattandolo quindi sostanzialmente da un punto di vista puramente tecnico-scientifico. Qui, non è possibile neanche accennare a tutte queste tematiche correlate.
Nel contresto della presente discussione, dire che argomentazioni di tipo religioso valgono zero è essa stessa un argomentazione a valore zero. Voglio dire che la consapevolezza che di credenze indimostrabili non possiamo fare a meno dovrebbe suggerirci una maggiore cautela verso le opinioni altrui, si possono rifiutare, ma perchè valutarle zero, non configura in qualche modo una simmetria, si oppone ad una fede una fede di segno opposto.
in quanto poi al fatto che stia a zero anche l’argomentazione che si rifa a una natura umana, òla cosa è ancora più grave. Capisco che stiamo in un terreno molto delicato, che l’antropologia è uno dei saperi più controversi e più proni ad errori, ma mi pare che non possiamo negare che l’uomo abbia una sua natura, abbiamo un DNA, ed abbiamo dei meccanismi di funzionamento che non possiamo influenzare in alcun modo.
Si tratta del punto forse fondamentale, l’opinione prevalente soprattutto nelle generazioni più giovani, è che ormai l’uomo è un essere culturale, ma vedo saltuariamente la posizione opposta che ci vorrebbe soltanto come esseri biologici. Io credo che il biologico e il culturale siano aspetti entrambi innegabili dell’uomo, la cui complicata interazione determina i nostri comportamenti. Negare che siamo fatti per camminare sui piedi e non sulla testa è una stupidaggine, eppure fa parte del pensiero dominante.
Infine, una questione più specifica, perchè ritengo di avere evidenze che ci troviamo nella società più conformista che sia mai esistita.
Userò per illustrare questo punto il campo della moda, con l’avvertenza che la moda è soltanto l’esempio forse più evidente di una situazione di carattere generale.
Ricorderete che alcuni anni fa qualcuno lanciò la moda dei jeans a vita bassa. Forse perchè a me non sono mai piaciuti, la cosa che mi colpì molto è vedere frotte di ragazzine che nel giro di pochi mesi avevano tutte addosso jeans a vita bassa.
Viene fuori una questione che apparentemente i corifei del liberalismo non considerano, che cioè non basta ad una persona avere formalmente la libertà di scegliere perchè la sua scelta risulta davvero personale, autonoma. In qualche misura, questa stessa retorica della libertà causa lì’effetto esattamente opposto. Visto insomma che dobbiamo scegliere da noi, allora ognuno di noi si trova di fronte all’universo mediatico senza mediazione intermedia, senza l’odioso controllo del genitore o dell’insegnante, potrei dire io e la Nestlè l’uno di fronte all’altro, con la piccola differenza che la Nestlè ha mezzi economici e di comunicazione immensamente maggiori.
L’uomo è lo stesso, checchè se ne dica i tempi dell’evoluzione biologica somigliano per lunghezza a quelli geologici (non così lunghi in verità), ma la cultura è cambiata.
Mi fermo qui, scusandomi per la lunghezza del commento che tuttavia rischia di sintetizzare le questioni in oggetto in maniera quasi caricaturale.
@Dfw vs jf:
contraccambio volentieri il tu, comunque volevo aggiungere alcune precisazioni: certo nuovi sviluppi nelle scienze devono essere tenuti in considerazione nel discutere ed eventualmente modificare le nostre concezioni morali (si pensi ad esempio a tutte le tematiche attuali in bioetica) ma occorre sempre tener conto, come notava Hume, che non è possibile derivare direttamente concezioni morali a partire fatti presenti in natura (è la nota “fallacia naturalistica”).
Ad esempio (correggimi pure se è una mia impressione sbagliata) nel tuo post rivolto a buffagni, nel brano seguente
“Che una donna senegalese pensi che sia normale che il proprio marito torni a casa e la picchi e pretenda un rapporto sessuale non è espressione della cultura di quel popolo, come non lo era nella cultura italiana anni ’50 o giù ( o su ) di lì. È solo espressione delle tare che ci portiamo dietro”
sembra che tu affermi qualcosa del tipo “se qualche azione umana è dovuta a una cultura allora è buona e se invece è ereditata geneticamente o è istintiva allora è sbagliata”. Sinceramente io ritengo che lo stupro nella nostra società è un comportamento da evitare a prescindere se ci sono casi in cui le persone che lo praticano lo compiono per motivi genetici o istintivi innati piuttosto che per motivi ambientali o culturali (poi in ambito giuridico per la punibilità si considera ad esempio l’infermità mentale ma appunto sempre riconoscendo che ci sono altri casi in cui la capacità di fare scelte e più autonoma grazie alla ragione, anche senza postulare un libero arbitrio metafisico).
Insomma ritengo sì che le discussioni etiche debbano tenere conto dei risultati delle scienze ma ritengo anche che i risultati delle scienze non danno *da soli* le risposte a tali discussioni e che dunque i risultati delle discussioni sull’etica hanno un loro margine di autonomia rispetto alle conoscenze su certi aspetti della natura (e questo vale ad esempio anche nelle discussioni bioetiche sugli embrioni o quelle sui diritti degli animali, sapere che questi ultimi possono soffrire più che portare a immediate conseguenze etiche estreme come evitare di andare in auto per non far schiacciare moscerini, al massimo può portare a una maggiore consapevolezza di cosa è accaduto prima della vendita delle bistecche che vediamo al mercato, poi, ognuno con questa pari consapevolezza, si potrà discutere eticamente sulla legittimità di certi comportamenti).
@ Michele Dr
sì, ho messo in moto un po’ di equivoci. Ti seguo perfettamente sulla fallacia di Hume, oltretutto lo ritrovo spesso citato in molti dei libri che leggo, buoni ultimi quello di Simone Pollo, La morale della natura e quello di Corbellini e Sirgiovanni, Introduzione alla neuro-etica.
@ Cucinotta
Cerco di sfrondare un po’ di cose, perché mi pare che tu veda in me cose che in me non ci sono e le associ poi in maniera affrettata al pensiero dominante che vorresti mettere sotto accusa. Le mie convinzioni ideologiche certamente in buona parte convergeranno con quelle che vanno per la maggiore, e vorrei ben vedere. Il punto è che spesso mi contesti credenze in cui non credo, come la fallacia astorica, di cui parla ad esempio una neuro-psichiatra, Nancy Andreasen. Capisco che lo spazio commenti non sarà un luogo adatto, ma è possibile che sono alcuni anni che scrivi e non dici mai un punto preciso che non ti piace? Il fatto che un mio qualsiasi credo si sia sviluppato in seno a questo pensiero dominante lo rende meno condivisibile?
Poi un’altra cosa bizzarra è che io non faccio altro che leggere libri ( e spesso te li cito, ma il problema è che uno legge ciò che vuole leggere, per questo nonostante Marx nel suo manifesto già avvertiva chi lo avrebbe contestato specificando cosa intendesse con proprietà privata dei mezzi di produzione e cosa significasse proprietà a quel tempo, ancora oggi viene spacciato come uno che voleva togliere le cose alle persone. E lo stesso capita a Dawkins, che scrisse chiaramente cosa intendesse con Selfish gene, ma viene sempre citato a sproposito. Per non parlare di Darwin. Ecco perché ancora una volta è così importante saper riconoscere i propri bias cognitivi ) nei quali nelle premesse c’è scritto chiaro e tondo che la dicotomia cultura vs natura ( nature vs nurture ) non ha senso, e che non è districabile l’intrico genetico-epigenetico-ambientale-culturale. Stante che però il latte alcuni di noi non lo digeriscono perché un enzima smette di funzionare, e questo fatto non dipende da alcuna ideologia, è un fatto. Così come da Hume in poi non è più ammissibile se non si vuole risultare ridicoli pretendere dagli altri comportamenti che siano fondati sul volere di Dio o su una qualsiasi concezione di cosa sarebbe naturale. E qui penso che commetti un errore, e scusa se te lo dico, ma non vedo in che altro modo comunicarti questa cosa. L’insegnamento di Darwin è proprio che non siamo fatti per un bel niente. Quello che ti sfugge, e me ne sono accorto dai tuoi riferimenti al femminismo attuale, è che a me come ad altr* non ce ne frega nulla che abbiamo i piedi per camminare, camminiamo con gli organi che ci pare. Che una donna abbia un utero non significa che è fatta per partorire, e se anche lo dicesse Dio in persona non ce ne fregherebbe niente comunque. Partorire non è il compito delle donne, e che oggi ci siano meno rompicoglioni e scassa-ovaie spesso vestiti in modo bizzarro è un progresso. Così come sarà un progresso quando a nessuno verrà in mente di dire che non bisogna usare le biotecnologie perché sono contro-natura. Perché è una cazzata, lo può capire chiunque in un pomeriggio. Le opinioni di tutti sono rispettabili in certi ambiti e non lo sono in altri. La mia opinione in un congresso di chimica vale zero. Io riconosco la varietà del sapere umano, e infatti ho citato apposta quel passaggio di Lévy-Leblond, ( lo hai letto? ), ma la chimica è chimica. Quindi, capisco bene quanto sia vasto il tema del conflitto fra individuo e società, ma non si può neanche lasciare tutto in astratto. E le mie opinioni sulle libertà civili non possono essere sminuite in base alla loro appartenenza a una ideologia, me le devi sminuire nel merito, caso per caso. Se mi dici che io penso ciò che penso perché seguo il pensiero dominante non me ne può fregare di meno, perché non è un problema. Diventa un problema nel momento in cui mi impedisce di capire una certa cosa, ma a quel punto o mi dici perché è sbagliato credere alla bontà di un certo diritto civile oppure di che parliamo? Infine, le tue considerazioni sul conformismo partono da un punto concreto sul quale si può discutere, ovvero di quali regole mettere in campo per il mercato, quali limiti imporre alle aziende e ai loro spazi pubblicitari, questioni circa la privacy eccetera. Dove invece non mi pare il caso di seguirti è sul concetto di libertà. È semplicemente impossibile come riconosci anche tu una scelta libera ed autonoma, perché non abbiamo il pieno controllo di noi stessi e sugli altri. Anche un principio eccezionale come quello del consenso informato in medicina ha i suoi difetti. Dunque l’unica cosa utile e pratica è garantire il più possibile la cosiddetta agency, che è quello che nelle democrazie liberali si cerca di fare. E scusami ancora, ma la tua sul conformismo è una fissa come un’altra. Io non sopporto la musica lirica e il death metal ad esempio, adoro J.S. Bach e il post-punk, ma non ci imbastirei una filosofia sopra.
Io i crocifissi, soprattutto quelli sparsi negli ospedali, ogni volta che mi è possibile li rimuovo, devo dire però che mi preoccupo di riportarli in una chiesa, quello è il loro giusto posto, giusto perché non diventino un oggetto d’arredo mal posto e imposto.
Nick innominabile, ci mancavano solo i problemi di ricevimento da parte di questo sito per rendere sempre più accidentato questo colloquio. Dopo ormai giorni di tentivi inutili, faccio quest’ulteriore prova, sperando infine di riuscire.
Voglio soltanto aggiungere che non mi sbaglioavo, tu hai su un piano filosofico un atteggimento del tutto dogmatico, e pensi di potere interpretare le questioni di principio che ti vengono poste come delle questioni tecnico-specialistiche. Lo fai con le religioni che valgono meno di zero, lo fai con la dicotomia natura-cultura, lo fai riguardo al concetto di libertà che io trovo molto controverso, quasi a sfiorare l’inutilità dovuta al carico eccessivo di ambiguità del termine.
A proposito, tanto per chiarire, non è che io voglia imporre un comportamento presunto naturale, penso sia necessario sapere come siamo fatti, magari proprio per fare tutto l’opposto (come del resto l’umanità ha fatto si potrebbe dire da sempre).
Su queste cose, hai deciso, e del resto chiami a supporto libri vari, ma leggere dei libri non è in sè la soluzione del problema. Anche qui, se non riusciamo a riconoscere la carica ideologica di ogni autore, se non ci poniamo in un atteggiamento critico che ci distanzi dal testo quel poco che basta in modo che lo possiamo davvero osservare, finiamo col fare un’operazione inutile.
Per me, nulla di nuovo, il pensiero dominante come ti dico ormai da tempo, è per te l’unico possibile pensiero, ma secondo me la giovane età spiega tanto ed avrai tempo di confrontarti in futuro con un punto di vista come il mio. Comunque, se ti facesse piacere, ti posso mandare una copia del mio libro, basta che tu ti faccia sentire sul mio blog.
@ Cucinotta
Ho la seria impressione che parlare con te sia più difficile di togliere la palla a Messi senza commettere fallo. Comunque ti scriverò e leggerò e semmai ti dirò ciò che penso del tuo libro. Detto questo, ti invito a rispondermi su una questione, magari leggendo almeno tre volte ciò che scrivo: sei d’accordo o no che se dobbiamo decidere se consentire o meno la coltivazione di piante geneticamente modificate qualsiasi obiezione che si fondi su un pensiero religioso o su una qualsiasi concezione di ciò che è o non è naturale, non ha valore? E inoltre, un pensiero del genere vuole significare che le religioni valgono meno di zero o che ci sono degli ambiti in cui valgono meno di zero?
ps
Sto leggendo Pensieri lenti e veloci di Kahneman che parla proprio della sua esperienza di ricercatore e di come i bias cognitivi ( di cui scrive in questo libro ) lo abbiano ostacolato. Quindi ho appreso già da tempo come prima ancora del portato ideologico ci sia un portato inconscio nelle nostre opere e nei nostri ragionamenti. Quindi è piuttosto snervante che mi scrivi dell’inutilità di citare le fonti senza riconoscere la carica ideologica. Ma messa in luce quest’ultima, rimangono le cose dette, e quelle si giudicano per ciò che sono. Inoltre mi pare di aver scritto fino allo sfinimento che non uso certo le conoscenze scientifiche per stabilire unicamente cosa sia più giusto fare in ambito etico e politico, ma mi pare innegabile che in certi casi siano imprescindibili, come ad esempio certificare le conseguenze di certe pratiche, vedi il caso ogm.
@ Dfw vs Jf
una curiosità, a me risultava che gli ogm fossero avversati da molti per motivazioni ideologiche poco fondate su dati scientifici, ma di solito non sono motivazioni che si basano sul “contro natura” in quanto molti anti-ogm sono pure a favore dei matrimoni omosessuali e della fecondazione assistita. Di solito gli anti-ogm, spesso motivano la loro posizione su discorsi come la difesa delle tradizioni agricole e alimentari e la loro varietà, l’evitare un eccessivo potere delle multinazionali e l’evitare un’idea di progresso che segue le voci del mercato invece che un’agricoltura sostenibile. Io trovo che alcune di queste preoccupazioni potrebbero essere comprensibili ma devono essere supportati oltre che da dati scientifici, anche da una visione di valori adeguata ai nuovi contesti sociali, parlo soprattutto degli atteggiamenti di una certa “sinistra” (oltre agli ogm mi vengono in mente le discussioni su nuove infrastrutture come la tav e su investire su certi tipi di energia piuttosto che altri).
Ciao.
@ Michele Dr
Sì, nei commenti che mi è capitato di leggere le motivazioni sono grossomodo quelle che hai messo, poi c’è anche quella che parlando appunto di mondo agricolo crea una contrapposizione fra il biologico, visto come naturale e quindi giusto, buono; e l’ogm, artificiale, innaturale, cattivo. Io qui l’ho messo principalmente per ricollegarmi agli esempi che vengono fatti in genere per mettere in luce come ci appelliamo inizialmente a un’idea di natura che riteniamo famigliare. Molta della campagna allarmistica che viene fatta, da Beppe Grillo alla Coop ( dove faccio spesa ) passando per Slow food è volta a spaventare, facendo pensare a una cosa che non si dovrebbe fare, ovvero manipolare geneticamente. E in questo modo si fa anche confusione. Perché poi gli ogm in Italia li potrebbe sviluppare la ricerca pubblica. E anche io da sinistra mi sono trovato e sono in difficoltà perché certe volte non so cosa pensare. Nella mia città partecipo alla manifestazione contro l’inceneritore però ancora non ho capito se ho fatto bene o no :-).