di Nicoletta Vallorani
Pensare obliquo, rubrica a cura di Nicoletta Vallorani
[Pensare obliquo è una scuola di resistenza che usa la narrazione come recupero della complessità. Pensare obliquo recupera la lentezza, la riflessione, il tempo del raziocinio contro la velocità, la sintesi, lo sviluppo orizzontale dei media. È una strategia in costruzione che usa i materiali della letteratura e dell’arte. Infine, è un risultato continuamente riscritto, perché chi pensa obliquo non ha paura del dubbio e considera il tempo per intero, non solo qui e ora].
«Ci vuole più impegno …».
Febbraio, 1954, nello Stato del Mississippi: Medgar Evers, afroamericano e attivista, oltre che studente brillante, presenta domanda di iscrizione alla University of Mississippi, ufficialmente preclusa ai neri. La richiesta viene rifiutata, e questo innesca una battaglia legale nel NAACP che si conclude pochi mesi dopo con una sentenza storica: la scuola è un diritto per tutti, e ogni segregazione in questo ambito è anticostituzionale. È una vittoria simbolica, che Evers e altri pagheranno pesantemente. Ma è pur sempre una vittoria: la risposta a una battaglia legale ben condotta, sulla base di un dettato costituzionale del quale i giudici dimostrano la validità.
«Ci vuole più impegno, più lavoro e più sacrificio …».
James Baldwin cita Medgar Evers (1925-1963), insieme a Malcolm X (1925-1965) e a Martin Luther King (1929-1968), in Remember This House, il fascicolo incompiuto di annotazioni per lo più autobiografiche che è poi servito a Raoul Peck per realizzare il docufilm I Am Not You Negro (2016). La sua è una delle tre vite da mettere una di fianco all’altra per dimostrare l’iniquità della condizione degli afroamericani – non “neri”, che è e definizione insufficiente, perché cancella l’identità “americana” – nel loro stesso paese. Bastano queste morti e testimoniare un impegno? Non saprei. Mi pare che qualche problema in termini di segregazione negli Stati Uniti ancora ci sia, nell’epoca di Trump e dopo quella di Obama. E tuttavia per certo “impegno” è una parola che Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King indossano bene, con coerenza inflessibile-
«Ci vuole più impegno, più lavoro e più sacrificio».
Credo che sia così anche per Don Milani: “impegno” è un vestito adeguato, e una parola che, per un profilo come il suo, non bisogna aver paura di usare. In Lettera a una professoressa, Don Milani tra le altre cose scrive: «Alle elementari lo Stato mi offrì una scuola di seconda categoria. Cinque classi in un’aula sola. Un quinto della scuola cui avevo diritto. È il sistema che adoprano in America per creare le differenze tra bianchi e neri. Scuola peggiore ai poveri fin da piccini». Ad ascoltarle con attenzione queste parole, esse hanno ancora più senso oggi. Serve ricordarle in una scuola italiana che sta di nuovo imbracciando un pensiero unico e una sola storia, per disegnare a poco a poco la mappa di un paese fatalmente dimezzato.
«Ci vuole più impegno, più lavoro e sacrificio al Sud»
In Nobody Knows My Name, James Baldwin torna sull’argomento dell’istruzione, e in modo più specifico, si chiede se abbia un senso continuare ad alimentare il dibattito sui diritti e sulle possibilità dei bambini afroamericani in termini di istruzione: «È una disputa criminalmente frivola e indegna di questo paese. Essa è condotta in totale malafede da gente del tutto priva di cultura». È un cerchio che si chiude: ci vuole più cultura per arrivare a capire le cose. Distruggete il sistema formativo di un paese e lo avrete condannato a un regime totalitario senza opposizione alcuna, perché non c’è opposizione senza comprensione.
«Ci vuole più impegno, più lavoro e sacrificio al Sud per recuperare il gap con il Nord, non più fondi. Vi dovete impegnare forte, è questo che ci vuole».
Questo è lei oggi, signor Ministro della Pubblica Istruzione: impegno lavoro e sacrificio per il Sud, che, come è noto, è abitato da pelandroni. Ora, il profilo istituzionale che dovrebbe impegnarsi, per mandato, a vigilare sull’equità delle opportunità formative dichiara pubblicamente che la scuola di una parte del paese può serenamente affondare, perché per definizione indegna di aiuto.
Disimpegnata, forse.
Secondo me, invece, il punto è questo: le parole hanno un significato e una storia, signor Ministro. Prima di usarle, bisogna essere certi di poterle indossare. Lei può farlo?
[Immagine: Marco Bussetti, Ministro della Pubblica Istruzione].
Pensare obliquo, rubrica a cura di Nicoletta Vallorani
Complimenti, un modo molto raffinato di riflettere sul taglio e il peso delle parole – in questi tempi di burian linguistico e non. Il signor Ministro apprezzerà sicuramente.
Chissà: l’importante è che apprezzi chi legge :-) Grazie.
“Diceva la chiarezza esser la base dello scrivere, ma sola essere come l’acqua, senza sapore e senza odore. Voleva l’efficacia: così chiamava tutte le altre qualità che dànno vigore e nerbo e colore, dànno il sangue allo stile. Quelli un po’ aridi e fiacchi li chiamava de frigidis et maleficiatis, e talora diceva: «Manca l’utero».”
Francesco De Sanctis, L’ultimo dei puristi, in La giovinezza. Einaudi, Torino, 1972. p. 238