di Laura Pugno

 

[Questo testo è un estratto da In territorio selvaggio di Laura Pugno, edizioni nottetempo 2018 (collana Gransassi-Trovare le parole). All’interno del saggio, rappresenta un testo a sé, forse l’inizio di un nuovo libro. Si ringrazia l’editore per averne permesso la pubblicazione].

 

Un altro appunto. Poesia Terzo paesaggio?

 

Quella che segue, e che si svilupperà in queste poche pagine, è un’analogia tra il concetto di Terzo paesaggio dello studioso e paesaggista francese Gilles Clément e la situazione della poesia oggi in Italia, e altrove. Un’analogia, un’intuizione, non una tesi sistematica, come, mi sembra, pur non essendo un’esperta del campo, la stessa idea di Terzo paesaggio è.

 

Per Clément, nel “Manifesto del Terzo paesaggio”:

 

Frammento indeciso del giardino planetario, il Terzo paesaggio è costituito dall’insieme dei luoghi abbandonati dall’uomo. Questi margini raccolgono una diversità biologica che non è a tutt’oggi rubricata come ricchezza.

 

Terzo paesaggio rimanda a Terzo stato (non a Terzo mondo). Spazio che non esprime né potere, né sottomissione al potere.

 

Né potere, né sottomissione al potere. Può questo oggi aiutarci a pensare la poesia? Potere non ne ha. Cerca sottomissione al potere?

 

Piú avanti, la definizione si chiarisce. Giardino planetario è tutto il mondo vivente, la biosfera. È la sua finitezza a farne un giardino. A farla percepire come un giardino. Il Terzo paesaggio, rifugio per la diversità, si compone di insiemi primari, o riserve di fatto, luoghi in qualche modo rimasti allo stato primario, per quanto possibile; di riserve, istituite de jure, e di residui, o terreni in precedenza sfruttati, e poi abbandonati, ma anche margini incolti. Quest’ultima categoria è la piú interessante.

 

Il residuo deriva dall’abbandono di un territorio precedentemente sfruttato. La sua origine è molteplice: agricola, industriale, urbana, turistica ecc. Residuo (délaissé) e incolto (friche) sono sinonimi.

 

Piú avanti:

 

Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un’attività umana subito si scopre (sarà una dimenticanza del cartografo, una negligenza del politico?) una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Si situa ai margini. Dove i boschi si sfrangiano, lungo le strade e i fiumi, nei recessi dimenticati dalle coltivazioni, là dove le macchine non passano. Copre superfici di dimensioni modeste, disperse, come gli angoli perduti di un campo; vaste e unitarie, come le torbiere, le lande e certe aree abbandonate in seguito a una dismissione recente.

Tra questi frammenti di paesaggio, nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è scacciata.

 

E ancora:

 

Un territorio dichiarato «riserva» da un punto di vista amministrativo è oggetto di protezione, sorveglianza, sanzioni. Un bordo di strada, un residuo urbano non sono oggetto di alcuna protezione. Luoghi che si cerca di ridurre o di sopprimere. Eppure, tutti costituiscono riserve biologiche.

 

Questo è il quadro? La poesia oggi è in questi margini, l’incolto dell’editoria, una striscia d’erba ai margini di un campo, anzi di un’autostrada? Vorrebbe essere diversa ed è residuo, nell’assoluta varietà delle forme?

 

Scrive ancora Clément:

 

In teoria, la diversità non è finita.

 

…Il Terzo paesaggio si pone come un territorio rifugio, situazione passiva, e come il luogo dell’invenzione possibile, situazione attiva.

 

In quanto riserva di tutte le configurazioni genetiche planetarie, il Terzo paesaggio rappresenta il futuro biologico.

 

 

C’è qualcosa di spaventoso in quest’analogia, il fatto che ci sembri – la sentiamo – vera. Vera come sono le intuizioni, le immagini. È qui che siamo, e allo stesso tempo in tutto questo c’è anche qualcosa di confortante. I margini esistono, in essi, invisibili, c’è erba.

 

Cosí,

 

Dal punto di vista della società, il Terzo paesaggio appare come:

uno spazio naturale (assunzione di responsabilità sul Terzo paesaggio da parte dell’istituzione);
uno spazio per il tempo libero;
uno spazio improduttivo (disinteresse per il Terzo paesaggio da parte dell’istituzione);
uno spazio sacro.

[…]

Uno spazio privo di Terzo paesaggio sarebbe come una mente priva di inconscio. Una simile situazione perfetta, senza demoni, non esiste in alcuna cultura conosciuta.

 

Piú avanti, il Terzo paesaggio è definito un possibile “spazio comune del futuro”.

 

La poesia, le erbe, erbacce quindi? Leggermente mosse dal vento. Le ginestre di Leopardi? È poco, è molto?”

 

Le citazioni in italiano nel testo sono prese da Manifesto del Terzo paesaggio, di Gilles Clément, ed. Quodlibet, a cura di Filippo De Pieri, traduzione di Filippo De Pieri e Giuseppe Lucchesini.

4 thoughts on “Poesia come Terzo paesaggio

  1. “La composition du poème est comparée au système d’irrigation des jardins…”

    Jean Bollack, Empédocle. I. Introduction à l’ancienne physique. Gallimard, Paris, 1965. p 311

  2. Analogia molto efficace e interessante, anche per il senso di apertura e sollecitazione lasciata al lettore dall’autrice.

  3. viva le analogie e questa che mi porta in luoghi fuori ma così dietro casa con le cianfrusaglie delle altre lingue, cose, disoccupazioni – e allora grazie da un vecchio amico di Giulio – ho rubato il testo per amiche in cerca di parole
    Angelo Ferrarini, Padova

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