di Franco Buffoni

 

[Esce l’8 maggio, per Marcos y Marcos, Due pub, tre poeti e un desiderio, il nuovo libro di Franco Buffoni, tra saggio e racconto. Ne pubblichiamo in anteprima il capitolo Sono un ibrido, forse anche sessuale].

 

SONO UN IBRIDO, FORSE ANCHE SESSUALE

 

Nel suo vagare disperato per l’Europa negli ultimi due anni di vita, uno dei primi luoghi di accoglienza per Wilde fu Posillipo, proprio di fronte a quella Ischia dove sarebbe approdato Auden cinquant’anni dopo. E da dove era passato Byron ottant’anni prima, a bordo del brigantino Hercules, nel viaggio fatale da Genova alla Grecia, dopo la sosta all’Elba.

 

BYRON

 

Nel gennaio 1820 Byron invitò a Venezia a festeggiare il carnevale l’amico più anziano che a Cambridge lo aveva introdotto nel circolo degli “iniziati”, William Bankes, ormai diventato parlamentare. E per rallegrargli il soggiorno gli cedette per qualche settimana il Tita, alias Giovanni Battista Falcieri, il gondoliere muscoloso e fedele, dalla barba corvina, che aveva assunto a suo esclusivo servizio. Ne era orgoglioso: sapeva che non gli avrebbe fatto fare brutta figura, in nessun senso… Per la cronaca, tredici anni più tardi, William Bankes fu accusato a Londra di sodomia, ebbe la carriera politica stroncata e riuscì a evitare la prigione lasciando precipitosamente l’Inghilterra. Come un altro amico di Byron – il bibliofilo Richard Heber, proprietario della più ricca collezione di libri antichi inglesi – che nel 1826, per la stessa accusa, dovette abbandonare tutto e fuggire a Bruxelles.

 

Questo il clima in cui si formò e visse il doppio politico di Byron, scozzese e inglese al contempo, e poi veneziano e greco, con gli esibiti amori femminili, gli innamoramenti feroci per gli efebi alla Edleston, gli incontri clandestini con pugili e stallieri, gli amori impossibili per Shelley e Pietro Gamba.

 

Da notare che, dopo la morte di Byron, il Tita fu assunto a pieno servizio a Londra da John Cam Hobhouse, già appartenente al gruppo degli iniziati a Cambridge, quindi compagno di scorribande nel Mediterraneo, nonché velatissimo esecutore testamentario: colui che – per non compromettere in primis la sua personale reputazione – fece distruggere i diari di Byron, ripagando l’editore Murray delle duemila sterline versate al poeta all’atto dell’acquisizione dell’opera. Commettendo in tal modo un imperdonabile crimine non solo contro la letteratura ma anche contro il futuro movimento Lgbt+. Perché, dai frammenti che ci sono giunti, sappiamo che in quei diari – scritti sul continente con stile impareggiabile – Byron raccontava la verità su sé stesso e i suoi più intimi desideri.

 

WILDE

 

In tale ottica non fu da meno il doppio politico di Wilde, irlandese e inglese al contempo, e poi francese e italiano, protestante e cattolico, nel suo ibrido sessuale con i figli avuti da Constance, l’amore per Bosie e il sesso con i ragazzi di vita.

 

L’aneddoto potrebbe riguardare una lettera inviata dall’Italia a Robert Ross, suo futuro esecutore testamentario, nonché primo amante quand’era ancora adolescente. Wilde aveva quindici anni più di Robert, ma la saggezza, la dedizione, la profondità nell’amicizia, la fedeltà, stanno tutte dalla parte di Robbie Ross. Wilde gli scrive: “Palermo, dove ci siamo fermati otto giorni, era splendida. La città è posta nella miglior posizione del mondo: passa la vita nella Conca d’oro, una splendida valle che si stende tra due mari. I limoneti e gli aranceti erano così assolutamente perfetti che sono ridiventato preraffaellita, e ho detestato i soliti impressionisti, i cui animi torbidi e la cui intelligenza offuscata avrebbero reso solo con melma e macchie quei lumi dorati appesi in una notte verde. Di Monreale, coi suoi chiostri e la cattedrale, hai sentito parlare. Ci siamo andati spesso in carrozza: i cocchieri sono ragazzi deliziosi, magnificamente scolpiti. In loro, non nei cavalli siciliani, si vede la razza. I miei preferiti erano Manuele, Francesco e Salvatore. Mi piacevano tutti, ma mi ricordo solo di Manuele. Sono diventato molto amico anche di un giovane seminarista che abitava nella cattedrale di Palermo, lui e undici altri, in stanzette sotto il tetto, come passerotti. Ogni giorno mi faceva visitare un po’ per volta tutta la cattedrale, e io letteralmente mi inginocchiavo davanti all’enorme sarcofago di porfido nel quale giace Federico II. Dapprima il mio giovane amico, di nome Giuseppe Loverde, dava a me le informazioni, ma dal terzo giorno gli ho dato io delle informazioni e come al solito ho riscritto la storia, spiegandogli tutto sul Sommo Sovrano, la sua Corte di Poeti e il tremendo libro che non ha mai scritto. Giuseppe aveva quindici anni ed era dolcissimo. La ragione per cui si era fatto seminarista era squisitamente medievale: «Mio padre è povero e a casa siamo in molti, così è stato utile che ci fosse una bocca in meno da sfamare. Perché, malgrado io sia magro, mangio molto: troppo, temo». Gli ho detto di rallegrarsi, perché Dio fa leva spesso sulla povertà per condurre a sé le persone. Così ho dato coraggio a Giuseppe; gli ho anche regalato un libretto di devozioni, molto grazioso, con più illustrazioni che preghiere; quindi molto utile per Giuseppe, che aveva begli occhi. Gli diedi anche molte lire, e gli predissi un cappello cardinalizio, se fosse rimasto molto buono e non mi avesse mai dimenticato. Disse che non lo avrebbe mai fatto: e credo davvero che non gli succederà, perché ogni giorno lo baciavo dietro l’altare maggiore.”

 

AUDEN

 

Più novecentesco, certo, il doppio politico di Auden, inglese e statunitense, ma poi italiano e austriaco: il matrimonio con Erika e la richiesta di matrimonio a Hannah Arendt; i matrimoni non celebrati con Christopher Isherwood e Chester Kallman, l’attrazione irresistibile per i pugili berlinesi e alla fine per il giovane “boscaiolo” poi premio Nobel Iosif Brodskij.

 

L’aneddoto potrebbe proprio riguardare Brodskij, finalmente rilasciato dalle autorità sovietiche dopo la detenzione siberiana, messo su un aereo e spedito in Occidente. Chi c’era ad attenderlo all’aeroporto di Vienna? Auden, il più attivo e autorevole tra gli intellettuali che – grazie a un forte movimento di opinione – erano riusciti a ottenere la sua liberazione. Auden con Chester Kallman. E in una splendida catena di antiche amicizie e solidarietà, il poeta condusse il frastornato, ma ancora splendido, Brodskij nel castello francese di Stephen Spender…

 

Curioso che Brodskij non avesse capito che Auden era omosessuale…

 

Si consideri l’attacco brodskiano della poesia Ulisse e Telemaco:

 

                       Telemaco mio,

                                                 la guerra di Troia

                       è finita.

 

Si tratta dello stesso tono che Auden attribuisce a Prospero con Ariele in The Sea and the Mirror: dello stesso uso di un materiale classico (la Tempesta di Shakespeare per Auden, l’Odissea di Omero per Brodskij) in funzione apparentemente anti-mitica. Apparentemente, perché in realtà tale intonazione va assolutamente a rafforzare il mito.

 

Ma leggiamo il finale del testo brodskiano, che risale al 1972: l’anno stesso del trasferimento del poeta in occidente. Auden sarebbe morto l’anno successivo: “Certo non sei più quel fanciullino / davanti al quale io trattenni i buoi. / Vivremmo insieme… / Ma forse hai fatto bene: senza di me / dai tormenti di Edipo tu sei libero, / e sono puri i tuoi sogni, Telemaco”.

 

Quanto Brodskij – dopo il processo e i lavori forzati – avesse voglia e tempo di pensare al complesso di Edipo, sinceramente mi sfugge. Suppongo che volesse più che altro dimostrare ammirazione per il suo mentore. Una ipotesi che, cinque anni più tardi, Iosif Brodskij – ormai diventato Joseph Brodsky – pare avvalorare in York: In Memoriam W.H. Auden: “Sono quattro anni che sei morto in quell’albergo austriaco. / Sotto la freccia del passaggio pedonale non c’è un’anima: / solo tetti, asfalto, calce, pioppi. / Anche Chester è morto, lo sai certo meglio di me”.

 

Chester Kallman era morto alcolizzato ad Atene nel 1975 senza lasciare testamento. E poiché tre anni prima aveva ereditato l’intero patrimonio di Auden, l’estate audeniana passò in toto al suo parente più prossimo, l’odiato padre Edward, di professione dentista. Ma questa è tutta un’altra storia.

 

Torniamo all’eterosessuale Jo Brodsky, che scrive: “Nulla trasforma così un noto portone in una selva di colonne / come l’amore per un uomo, specie se egli è morto.” Lontano il tempo dei quaranta metri quadri a Pietroburgo da condividere coi genitori, ponendo sopra l’armadio scatoloni e valige al fine di ottenere un minimo di intimità, allorché una ragazza era disponibile a mostrare “qualcosa di più del seno”.

 

Brodsky non è più un “vittoriano” nei confronti della sessualità, come all’epoca del suo arrivo in Austria: “Non sapevo che Wystan fosse omosessuale. La cosa mi era sfuggita. Non che io faccia troppo caso a queste cose. Ma venivo comunque dalla Russia, che in un certo senso è un paese vittoriano”.

 

Una riflessione sconcertante. Come è possibile leggere e amare per anni un poeta come Auden senza comprendere il tipo di sensibilità nei confronti della sessualità che permea la sua poetica? Evidentemente la “cosa” nel mondo slavo godendo di così infima reputazione, non poteva concernere – in mente Brodsky – un grande poeta come Auden!

 

[Immagine: Benjamin Britten e Wystan Hugh Auden. Stampa al bromuro, 1941. National Portrait Gallery, Londra].

1 thought on “Due pub, tre poeti e un desiderio

  1. Anch’io, quando traducevo Saba in albanese (30 anni fa), non sapevo nulla della sua omosessualità. L’ho saputo dopo che il libro era uscito. Se sapessi, l’avrei tradotto meglio? Non credo

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