di Adelelmo Ruggieri
[Seconda tappa del viaggio di Adelelmo Ruggieri intorno a Muccia: la prima parte si può leggere qui].
3, Taccoli
Schizzare la stella non è stato difficile, c’era il centro, Muccia, Il crocevia degli Appennini, avevo fissato la distanza dei nodi esterni dal centro, sui venti chilometri, e quella dei nodi interni, dodici chilometri, e i nodi dovevano essere dodici, come i mesi, e è venuto lo schizzo che sta su in alto, e decisi di percorrerla in senso orario, a partire da Taccoli; mi faceva simpatia quel toponimo, che forse tiene a sé il minuto corvide grigiastro, socievole e in volo rettilineo, e dopo c’era un nodo interno che capitava fra le acque del lago di Caccamo, e il terzo non distante da Gualdo, a seguire gli altri nove in nota[i]. C’era un che di molto arbitrario in tutto ciò, ma la figura non lo era. Mi avviai fiducioso. E ora ero nel minuto borgo di Taccoli, che se ne sta sul suo poggio, pressoché rotondo, sulla valle del Potenza, alla sua sinistra, quando il suo corso ha già iniziato ad aprirsi di molto. Ho preso da est, sulla Septempedana, il secondo bivio a salire. C’è uno spiazzo di arrivo, poi la strada prosegue stretta, ai due lati le case basse, a riprendere il primo bivio sulla piana, e qui sta la Zona industriale, grande mille volte il borgo in alto. Quassù c’è quiete. Sto seduto a una panchina addossata a un muretto di cemento, che limita un orto ad ulivi. Si odono le voci nelle case. C’è il sole di febbraio con la sua bella luce. La temperatura è mite. Si sta bene. Giù al piano, prima di salire, mi sono fermato al bar della gran rotonda e ho chiesto a un anziano che avrà avuto la mia età, sperando fosse del posto, la strada da fare, la sapevo, avevo guardato a sufficienza la cartina informatizzata, ma una conferma aiuta; era un tipo spiccio, fluido, di quelli che hanno sempre la battutaccia saporita pronta all’uso: “Ti devi fare il navigatore”, come? “Ti devi fare il navigatore”, mi trovo bene così, per ora, “ma do’ vivi?”, a Fermo, non molto distante, mi può aiutare? “Giù al primo incrocio vai a destra, arriva a San Severino, alla seconda rotatoria ci sei, la strada è quella”, grazie, “ti devi fare il navigatore”, grazie del consiglio. Certo, non aveva tutti i torti, toccherebbe farlo, ma per ora resto senza, poi si vedrà, e così mi fermo, sto in pensione, ho tanto tempo, esco dall’abitacolo, leggo la guida, prendo a camminare, ché fa sempre bene, e rallenta anche il calo mnemonico fisiologico legato all’età.
4, Caccamo
La prima vista del lago è arrivata sulla provinciale 502 a scendere, appena dopo il borgo di Borgiano, Domine, Domine, quare non Borgianasti regiones nostras? Signore, Signore, perché non hai fatto le nostre terre come Borgiano? La domanda viene ascritta, nella leggenda, a un antichissimo mercenario, quando assaggiò il vino spumante di queste terre, la vernaccia. Come dargli torto? Unica nel suo colore, dal granato al rubino, un’esplosione di profumi: frutti di bosco, susine, chinotto, tamarindo. Prosit! Poi è arrivata la prima vista del lago, e il nodo della stella, da qualche parte, era lì. Da Borgiano sono sceso a Caccamo, dove sta la diga sul Chienti. Il lago ha l’età di chi sta scrivendo queste righe, tredici lustri. Ero già stato alcune volte, d’estate, c’erano sempre molte persone, a prendere il sole o a camminare alle rive ampie. Stavolta non c’era nessuno, ma c’era quella vista, come di amplissimo corridoio in prospettiva centrale, largo a salire circa sempre lo stesso, ma nello sguardo ampio alla base e isoscele stretto su al vertice, e le due sponde che prendono ad avvicinarsi, i fianchi verdi dei colli di Borgiano e Borgianello, e di fronte Pievefavera, e in mezzo il ceruleo invernale delle acque. Al belvedere adiacente la diga, affissa al muro di sostegno della ripa di fronte c’è una targa di pietra con su scritto: “I siculi abitatori della sinistra del Chiento, sin da quattro millenni avanti l’Era Cristiana, Caccamo chiamarono questa Contrada. G. Speranza. Storia del Piceno”. Cosa? Sei millenni? Mi parve un poco inverosimile, ma magari è così, e così sta scritto lì, sulla pietra, e se fu così di certo scelsero un bel posto quegli antichissimi abitatori della sinistra del Chiento. Si stava bene, e era tanto che non vedevo un lago da vicino, le sue rive così chiare e ampie, con lo strato sottile di fango che si secca, e ricopre di uno spessore gracile tutto quanto, e fa questo chiaro che borda le acque. La 77 a quattro corsie verso Muccia gli corre veloce subito sopra.
5, Gualdo
Arrivare a Gualdo è stato non poco zigzagante di colline alte e pedemontane. Il nome pare che derivi da wald, nel significato di bosco. Forse era tutto bosco qui. Sono fermo a un piccolo spiazzo non distante dal paese, con la sua forma che da qui pare che sia ellittica allungata, e l’asse maggiore messo di sbieco nella direzione da ovest a est, e si vede tutto il volume dell’edificato storico che prende a salire, ma di non tanto, e su in alto è un poco spianato, e ci sono due torri, e una pare nuova e l’altra antica, attorno è tutto verde, con il colle che scenderà nella vista di un centinaio di metri, forse più, e a salire, al punto più alto del borgo, saranno altrettanti; c’è una grande quercia con quell’intreccio severo e monumentale che fanno i suoi rami d’inverno, e incornicia a destra la superficie rapida dello sguardo, e altri alberi segnano il lato sinistro della strada; è una bella vista, e un poco te lo aspetti sempre per i paesi e i borghi delle Marche, ma ogni volta ti sorprende lo stesso. Si è fatto tardi, non potrò fermarmi. Dopo l’incipit così tanto beneducato di Spiccio mi hanno aiutato in sei a tenere la strada giusta, due cantonieri che stavano sistemando una carreggiata, È questa la strada per Gualdo? Sì, è questa, stai andando bene; due britannici che dal finestrino, dopo Caldarola (dove avevo voltato per Camporotondo di Fiastrone, e qualcosa non mi convinceva) mi ripetevano: No, no, su, a Pian di Pieca, must go, chilometro 78, decisi al centimetro, e così tanto indecisi se restare in Europa; e a Pian di Pieca ho chiesto a una madre con il suo bimbetto al bar dell’incrocio. Devi passare per Sarnano, è più lineare, fai così. E anche a Pian di Pieca, dove le colline molto alte tutt’attorno, Norichella, Cerreto, Rocca Colonnata e le altre, qui si fermano, a questo vasto pianoro tra di esse, era bello a starci. Ma no, non erano state del tutto arbitrarie queste ore. Certo, avrei potuto prendere i nodi di un’altra qualsivoglia figura con il suo centro nel Crocevia degli Appennini, e anche presi da un bussolotto, a caso fra i mille abitati che sicuramente ci sono, o più ancora, avrebbero formato una figura, ma, in questo caso, era pressoché del tutto escluso che avrebbe avuto il suo centro proprio lì, a Muccia, dove volevo che fosse, e non era arbitrario il raggio esterno e quello interno, erano del tutto realistici per lunghezza da percorrere in un solo giorno. Certo, sarebbe stato, come è stato, tutto molto veloce, ma mi avrebbe dato da fare il suo bel tempo a dirlo in parole, quel veloce che era stato, e i due tempi si sarebbero sommati in uno più ampio.
16 aprile
[i] III: Fiastra, Preci, Montecavallo – IV: Rasiglia, Annifo, Nocera Umbra – V: Sefro, Collamato, Castelraimondo.