di Daniele Comberiati
[Questo testo è la traduzione dell’introduzione del volume Daniele Comberiati, Un autre monde est-il possible? Bandes dessinées et sciene-fiction en Italie, de l’enlèvement d’Aldo Moro jusqu’à aujourd’hui (1978-2018), Macerata, Quodlibet, 2019].
Negli anni Cinquanta Michel Butor, in un libro ormai celebre, accusava la maggior parte delle opere considerate di “fantascienza” di essere in realtà ispirate all’esotismo più classico: storie tradizionali sarebbero dunque ambientate nel futuro, nelle costellazioni dall’altra parte dell’universo o simultaneamente nei due. Un gran numero di romanzi e racconti popola questa famiglia ambigua, degna secondo Butor della più accesa diffidenza. Egli nomina tale attitudine “riduplicazione”[1], considerandone l’incapacità di immaginare società future embrionali senza modellarsi sull’immagine rassicurante delle società presenti o passate. L’idea stessa di inserire un codice “retrò” in narrazioni futuriste potrebbe essere il sintomo di una società in crisi che si rifugia nel ricordo idealizzato di un passato pieno di falsa incoscienza. L’idea di ispirarsi, nella concezione di futuri lontani, al proprio presente, è un’evidenza nella fantascienza contemporanea: se consideriamo uno dei suoi sottogeneri più utilizzati, la narrazione distopica, si nota facilmente questa assoluta corrispondenza fra costruzioni narrative e paure e ossessioni di un’epoca specifica. Le narrazioni distopiche del Giappone degli anni Cinquanta e Sessanta erano centrate sul terrore di un nuovo attacco atomico, così come le utopie inglesi degli anni Cinquanta ispirate a 1984 di Georges Orwell, all’indomani della seconda guerra mondiale, si focalizzavano sulla persistenza dei regimi totalitari[2]: la fantascienza italiana degli ultimi quarant’anni non fa eccezione: ogni periodo storico ispira, o per meglio dire influenza, le proprie produzioni culturali, tanto che potremmo affermare che un genere così malleabile come la fantascienza, con l’appoggio fondamentale delle rappresentazioni grafiche del fumetto, può essere considerato uno specchio abbastanza fedele delle evoluzioni sociali e politiche italiane degli ultimi quarant’anni.
In questo libro si è deciso di partire da una fumetto che non sarebbe esagerato considerare come “rivoluzionario”: le avventure di Ranxerox, pubblicate a partire dal 1978. Accanto a Ranxerox (1978-1996)[3], che descrive l’Italia degli anni Settanta e soprattutto Ottanta, sono stati scelti altri due testi di riferimento – Nathan Never (dal 1991 a oggi) e Orfani (dal 2013 a oggi)[4] – che mostrano rispettivamente gli anni Novanta e Duemila e gli anni Dieci del ventunesimo secolo.
Attraverso queste tre opere, che costituiscono anche una sorta di “chiave” per analizzare altri fumetti contemporanei e fungono da riferimenti simbolici di un’epoca, verranno analizzate le evoluzioni del romanzo grafico in Italia, i cambiamenti in seno alla società italiana e le rappresentazioni delle paure e delle ossessioni della Nazione. Ranxerox metteva in scena, grazie alla sua violenza gratuita e all’ambientazione in una Roma inquinata e devastata, la deriva terrorista e le disillusioni da parte dei movimenti politici dopo il 1978. Non è forse un caso che le pubblicazioni siano iniziate l’anno del sequestro Moro da parte delle Brigate Rosse, un momento topico per un’intera generazione. Nathan Never, nel suo mondo in cui razze e classi creano tensioni sociali costanti, è uno specchio dell’Italia degli anni Novanta, con la seconda repubblica, l’arrivo al potere di Berlusconi e le prime grandi ondate di immigrazione. La paura dell’altro diventa l’ossessione di Orfani, nel quale l’umanità si lancia in una guerra ambigua contro degli extraterrestri che presenta diversi punti in comune con alcune guerre contemporanee.
Tali fumetti hanno avuto la capacità di comprendere e rappresentare le contraddizioni della società italiana, costituendosi al tempo stesso come punti di riferimento del genere. Pur essendoci differenze evidenti fra le opere presentate (e ci soffermeremo in seguito sulla distanza, vera o presunta, fra romanzo grafico e fumetto commerciale), i testi studiati e in generale la maggior parte fra quelli citati nel saggio utilizzano l’ampio e inclusivo sottogenere dell’anti-utopia – riprendendo la definizione di Francesco Muzzioli, che la considera, a partire dal carré sémiotique di Greimas, come sinonimo della distopia[5] –, in modi ovviamente molto diversi. Se le definizioni del genere anti-utopico sono numerose e spesso contraddittorie[6], è possibile affermare che tali narrazioni facciano in generale riferimento a contesti di repressione e/o obblighi politici e morali dei cittadini, ciascuna opera evidenziando il o i settori specifici nei quali espandere la violenza del sistema politico descritto: il contesto dei media, la lingua, la sessualità, la sorveglianza e il controllo, le migrazioni, il commercio, ecc… Le società contemporanee vengono così analizzate in tutti i loro elementi per tracciare un futuro in cui, attraverso un percorso à rebours, i limiti e i difetti del presente sono facilmente individuabili. Il rapporto di queste opere con la violenza è ugualmente esplicitato: a partire da Ranxerox (che si presenta nel 1978 come un fumetto “pieno di violenza gratuita”, come vedremo in seguito) e finendo con Orfani, dove i colori volutamente eccessivi mostrano una società in cui il sangue (metaforico e reale, in ogni caso considerato come elemento identitario centrale nella costruzione dei personaggi) scorre ovunque e deforma l’immagine presentata al lettore. Si può pensare a tale proposito anche a un romanzo grafico recente, La terra dei figli di Gipi[7], nel quale la violenza, in un mondo post-apocalittico dove qualsiasi relazione umana sembra essere stata soppressa, rimane l’unico comportamento che regola le convenzioni sociali.
Una riflessione su violenza e paura è alla base di tali produzioni culturali. Già nel 1994 Marshall McLuhan proponeva un’analisi approfondita sulle relazioni fra società, fumetti e violenza:
Non avendo compreso nulla della loro forma [dei fumetti], non hanno capito nulla del contenuto. Per loro, non c’era che violenza e brutalità. Con la loro semplicistica logica letteraria, pensavano che la violenza sommergesse il mondo. O attribuivano ai comic-book la criminalità già esistente […]. Abbiamo messo la gioventù in una giungla d’asfalto, piena di urla e rumori striduli, accanto alla quale la più profonda e oscura giungla tropicale appare calma e tranquilla come una tana per conigli […]. E non appena l’industria del divertimento ha voluto proporre una riproduzione approssimativa della violenza quotidiana della città, abbiamo aggrottato le sopracciglia[8].
È molto interessante, in una prospettiva più ampia, comprendere come la fantascienza è utilizzata in questi fumetti contemporanei. Lo spazio e l’extraterrestre, così come il mondo del futuro e le innovazioni tecnologiche, appaiono scene esotiche dove si perpetuano le atrocità della modernità, a partire da una riflessione inevitabile sull’imperialismo e sulla versione contemporanea del mondo capitalista. Possiamo notarlo facilmente attraverso le fonti d’ispirazione di Ranxerox che, pur estremamente innovatore, ha dei rapporti stretti con il fumetto francese coevo e con quello americano commerciale e underground degli anni Sessanta e Settanta, nel quale erano profetizzate le vittorie delle lotte anticapitaliste: negli anni Sessanta l’impegno contro la presenza americana in Vietnam, negli anni Settanta, dopo il ritiro delle truppe statunitensi dall’Indocina e la crisi dei gruppi rivoluzionari più attivi (Black Panthers, Weather-men), con l’interesse verso l’ecologia che diviene il tema principale[9].
L’idea alla base del libro è esaminare queste tre opere tenendo in considerazione le modifiche delle paure sociali che rappresentano e legandole all’evoluzione della società italiana – e globale – contemporanea.
Durante gli anni Settanta – e sarà il caso di Ranxerox – sono ancora la tecnologia e l’ibridazione fra corpo umano e macchina che spinge gli autori a riflessioni “morali” sul tema: pensando anche al concetto di “uomo aumentato” coniato da Miguel Benasayag[10], possiamo notare come l’idea che la tecnologia meccanica possa prolungare o modificare alcuni sensi o organi del corpo diventi centrale nella costruzione dei fumetti di fantascienza. Questa tecnologia modifica le relazioni sociali e il corpo stesso degli esseri umani. Ma, a differenza di alcuni sociologi dei media, Benasayag capisce perfettamente che questa evoluzione non è senza fine e che il corpo umano vive al tempo stesso un processo di aumento e diminuzione: se la tecnologia “aumenta” certi organi, di conseguenza ne fa regredire altri, creando una nuova modalità di gestione del corpo. Questa condizione è già visibile in Ranxerox, il cui impatto così intenso sul fumetto italiano e straniero – Ranxerox può realmente essere definito un proto-testo, secondo le classificazioni di Even-Zohar[11] – è probabilmente dovuto anche al fatto che le paure dei decenni successivi sono al suo interno già rappresentate ed elaborate.
Le inquietudini e le ossessioni della società descritta in Nathan Never sono invece totalmente differenti: l’impatto della tecnologia è ormai considerato un dato di fatto. Ciò che angoscia gli autori è il nuovo funzionamento di una società che, per cinquant’anni, si è regolata grazie all’equilibrio creato dalla Guerra fredda. Questo sistema, seppur ingiusto e basato su meccanismi di violenza, era per lo meno esplicito nel mostrare l’evidenza di alcuni rapporti di forza. L’Italia degli anni Novanta, che perde il suo ruolo strategico dal punto di vista politico e culturale, deve ripensarsi all’interno di un “sistema-mondo” del quale non conosce le regole e nel quale rischia di essere sempre più marginale. Nathan Never, come vedremo, mantiene ancora la speranza di poter mettere ordine al caos, credendo che, anche in una società in cui i rapporti di razza, classe e genere sono gerarchizzati, ci sia ancora spazio per una nuova forma di giustizia.
Le ansie e le angosce descritte in Orfani, invece; ci mostrano il mondo di oggi, che sembra del tutto privo di speranza: impossibile riorganizzare questa società secondo principi legati alla giustizia e all’uguaglianza; la lotta per la sopravvivenza è diventata talmente difficile che nessuno può permettersi di seguire i propri ideali. Il fatto di utilizzare come protagonisti dei bambini senza famiglia ci mette di fronte ad un mondo in cui la fine dell’innocenza diviene l’elemento centrale. La gestione oculata dei rapporti di forza, che implicano sempre, in un modo o nell’altro, la violenza, resta la sola maniera di avanzare senza essere distrutti.
Il libro sarà diviso in quattro parti, ad esclusione di questa breve introduzione che si vuole descrittiva più che metodologica. Il primo capitolo sarà dedicato a Ranxerox e alle sue “filiazioni”, ovvero ai fumetti dell’epoca o posteriori che ne sono stati ispirati. Il secondo sarà consacrato a Nathan Never, mettendo in luce la differenza fra fumetto underground, d’autore e commerciale, poiché la grande innovazione dell’opera di Medda, Serra e Vigna è stata la capacità di saper lavorare per un pubblico più ampio, elemento che mette in luce anche la portata simbolica, all’epoca, di un imaginario specifico. Ovviamente una parte del capitolo sarà incentrata su altre opere che hanno avuto con Nathan Never una relazione privilegiata. Orfani sarà invece il fulcro del terzo capitolo, per capire come si possa utilizzare il genere della fantascienza oggi e se questa “doppia marginalità” cui si fa riferimento nel saggio (fumetto e fantascienza, ovvero un linguaggio e un genere a lungo considerati “minori”) abbia trovato nuove modalità di espressione. Una parte importante del capitolo sarà incentrata su altre opere contemporanee, ma anche sulla diffusione, circolazione e ricezione dei testi. In questi capitoli si cercherà di riflettere sul contenuto e sulla forma dei fumetti proposti, per vedere se, a precise innovazioni tematiche, corrispondano delle evoluzioni grafiche di disegni e colori. Un’ultima parte conclusiva – ad eccezione di una bibliografia che vuole essere un primo “arnese da lavoro” per un tema ancora poco esplorato – sarà costituita da alcune riflessioni finali utili per puntualizzare le suggestioni presentate nel corso dell’analisi delle tre opere.
Note
[1] Michel Butor, L’emploi du temps, Minuit, Paris 1956. 11
[2] Cf. Jacques Sadoul, Histoire de la science-fiction moderne. 1911-1984, Laffont, Paris 1984.
[3] Stefano Tamburini, Tanino (Gaetano) Liberatore, RanXerox, Primo Carnera, Roma 1978.
[4] Michele Medda, Antonio Serra, Bepi Vigna, Nathan Never, Sergio Bonelli, Milano 1991; Roberto Recchioni, Emiliano Mammucari, Orfani, sergio Bonelli, Milano 2013.
[5] Francesco Muzzioli, Scritture della catastrofe, Meltemi, Roma 2006.
[6] Cfrr. Raymond Trousson, Histoire du pays de nulle part: histoire littéraire de la pensée utopique, Editions de l’Université de Bruxelles, Bruxelles 1975 ; Fredric Jameson, Archaeologies of the Future: The Desire Called Utopia and Other Science Fictions, Verso, London-New York 2005 ; Eric D. Smith, Globalization, Utopia and Postcolonial Science Fiction : New Maps of Hope, Palgrave Macmillan, New York 2012 ; Daniele Comberiati, Distopie identitarie/Antiutopie diasporiche. Immaginare il futuro all’interno della letteratura migrante, in Fulvio Pezzarossa, Ilaria rossini (a cura di), Leggere il testo e il mondo: Vent’anni di scritture della migrazione in Italia, Clueb, Bologna 2012, pp. 85-99.
[7] Gipi (Gian Alfonso Pacinotti), La terra dei figli, Fandango, Roma 2016
[8] Marshall Mcluhan, Understanding Media. The Extensions of Man, McGraw-Hill, New-York 1964, p. 190 (traduzione mia).
[9] Daniel Riche, Boris Eizykman, La bande dessinée de science-fiction américaine, Albin Michel, Paris 1976, p. 109.
[10] Miguel Benasayag, Organismes et artefacts, la Découverte, Paris 2010. 18
[11] Itamar Even-Zohar, Polysystem Studies. Poetics Today, Duke University Press, Durham 1990.
[Immagine: Tanino Liberatore, Ranxerox].
“È noto il celebre frammento di Eraclito: ‘Coloro che sono svegli sono nello stesso mondo, ma quelli che dormono sono ciascuno in un mondo particolare’. I nostri mondi di sognatori non sono comunicanti e sono molto simili gli uni agli altri. Le mitologie classiche riunivano gli elementi in comune di questi sogni in miti unici e comunitari.
Adesso immaginiamo che un certo numero di autori, invece di descrivere a casaccio e molto rapidamente delle città più o meno intercambiabili, si metta a prendere come scenario delle loro storie una sola città, con un nome, situata con esattezza nello spazio e nel futuro; che ciascun autore tenga conto delle descrizioni fornite dagli altri per introdurre le proprie idee nuove. Questa città diverrà un bene comune allo stesso titolo di un’antica città scomparsa; poco a poco, tutti i lettori daranno quel nome alla città dei loro sogni e la modelleranno a loro immagine.
La fantascienza, se potesse darsi dei limiti e unificarsi, sarebbe in grado di acquisire sull’immaginazione collettiva un potere vincolante, paragonabile a quello esercitato da una qualsiasi mitologia classica. In breve tempo, tutti gli autori sarebbero costretti a tener conto di questa città, i lettori conformerebbero le loro azioni in relazione alla sua esistenza imminente e si troverebbero, al limite, nell’obbligazione di costruirla”.
Michel Butor, La crise de croissance de la science-fiction, [1953] in Essais sur le modernes, Gallimard, Paris, 1992. pp. 236-37
” Venerdì 17 gennaio 1997 – Sento che leggono fantascienza. Io, che la leggevo quarant’anni fa, ormai vorrei soltanto scriverla. (Ho sempre pensato che anche la Recherche sia un romanzo di fantascienza) “.