di Tommaso Giartosio
[Pubblichiamo tre poesie da Come sarei felice. Storia con padre di Tommaso Giartosio, uscito di recente per Einaudi].
Il corpo a corpo con il tricolore
fu nella chiesa. Una bandiera non è
mai così linda come su una bara,
inamidata come il tuo colletto.
Mi ci tengo stretto. Ho cinque anni.
Sto a cavalcioni sulle tue spalle,
scrivo sulla tua testa una poesia
col dito. Vuoi saperla? Te la dico
altrimenti non la leggerai mai.
La leggo bene perché non so leggere.
Sorridi (non ti vedo ma lo so),
mi chiedi di copiartela su un foglio.
Mentre mi calo capisco che è
un trucco. Troppo tardi. La bandiera
ti era planata addosso, dove c’era
il tuo sorriso indovinato vedevo
le quattro repubbliche marinare,
in una delle quattro finestrine
c’era un leone con un libro in mano.
*
Sei tornato. Non eri mai davvero
morto. Era un trucco. Ti eri imbarcato
su un mercantile, di nascosto
o in borghese. Lunghe conversazioni
con i topi. Finalmente sbarcavi
a lume di luna
in una rada bianca. Vedevi un mulo
dritto e fetente sui sassi e un ovile
dove dormivi. Eri ancora
vivo, mangiavi fette di pecorino,
olio, ceci. Così
per due mesi. Poi un uomo
senza cappello era venuto a prenderti
e ti aveva condotto al mercato o suk
di un villaggio puramente nominale.
Era una cosa improvvisata.
Vendevano separatamente cavalli,
selle, speroni, e biada che contrattavano
a lungo sottovoce, non si sa (non si sapeva)
come campi questa gente. Le donne
se la prendevano comoda a friggere
dolci di farro sulle porte. Lusso
calma voluttà: calma! Noi non
ti mancavamo ancora e comunque non capivi
cosa si volesse da te e chiedevi solamente
un po’ di carne e del vino, ma non ne hai
chiesti. Ma
proseguiamo. Venne sera. L’uomo
venne a riprenderti, ora aveva
un feltro grigio con sopra una piuma
azzurra. Hai seguito
il tonfo dei suoi passi
finché non è scomparso oltre il cancello.
Durante la tua assenza
l’ovile era stato pulito
ed era questa pulizia, la morte.
*
Sono il figlio o la pietra con il tuo nome,
il portavoce del tuo silenzio, padre, ancora
sveglio tra le lenzuola fredde di questa
notte di padri che appaiono ai figli e nei figli
e figli ai padri e nei padri,
notte di guardie e di ladri.
Sono non so se non me, o non te, o non so che.
Mi stringo a un corpo di carne non tua che
si stringe a un corpo di carne non mia, ma ti ho
stretto tante di quelle volte quando parlo
che il tuo vuoto mi vuole
il freddo mi sembra saldo.
Mi compaiono accanto il foglio e la penna
e scrivo il nostro nome: ma scompare
come pietra nel mare.
Con la barchetta di carta,
col nero remo di carne,
riprendo a navigare.
[Immagine: Gerhard Richter, Uomo al telefono (1965), particolare].
Grazie per la segnalazione. Ho preso il libro in bibioteca e comincio adesso a leggere.
Davvero di buona qualità, lo dico da poeta. Versi decisamente migliori di tanta parte della poesia italiana contemporanea. Sono autobiografici ma non puramente ‘privati’, possono riguardare tanti altri padri e figli, attuali e possibili. Leggerò il resto.