di Carol Ann Duffy (trad. di Floriana Marinzuli e Bernandino Nera)
[Dall’1 al 7 Luglio (con un’anteprima online Domenica 30 Giugno) si terrà, ad Ancona e dintorni, la XIV edizione del Festival di poesia La Punta della Lingua.
Tra gli innumerevoli ospiti, italiani e internazionali, una menzione particolare va alla poetessa scozzese Carol Ann Duffy, che sarà protagonista di un reading il 3 Luglio e, il giorno successivo, di un seminario di traduzione dedicato alla sua opera con Floriana Marinzuli e Bernardino Nera.
Pubblichiamo, per l’occasione e in anteprima italiana, tre poesie da Sincerity, di prossima pubblicazione presso Ladolfi Editore, ringraziando I traduttori e l’editore per la gentile concessione.
Per il programma completo della Punta della Lingua https://www.lapuntadellalingua.it/]
La pioggia
Verrà quel tempo
quando comincerà a piovere
nella tua quieta stanza,
il dolore alla ricerca di te;
i suoi curiosi piccoli pollici sui tuoi occhi chiusi,
sul tuo palpitare;
o imbrattando l’inchiostro, qui,
o gocciolando nel bicchiere di vino.
Il momento farfuglia.
Troppo intima,
biografa incessante
compulsi i tuoi libri in rovina,
persistente, finché ogni superficie è fradicia
come se ti lamentassi, notte e giorno,
per tutta la vita;
o fossi scritta, inventata.
Lasciate la stanza alla pioggia…
le lancette dell’orologio fluttuano
sul quadrante affogato
e le foto nuotano dalle cornici
e le ore sono dolore, pioggia, pioggia, dolore…
perché salire le scale per coricarsi là,
inzuppata, insaporita, conosciuta
dalla pioggia spietata?
Hai i genitori morti.
The Rain
That time will come
when it starts to rain
in your quiet room,
grief researching you;
its curious, small thumbs on your closed eyes,
on your pulse;
or smudging the ink of this,
or dipping into that glass of wine.
The moment stammers.
Too intimate,
relentless biographer
poring over your ruined books,
persistent, till every surface is soaked
as though you lamented, night and day,
for a lifetime;
or were penned, invented.
Leave the room to the rain…
the clock’s hands float
on its drowned face
and photographs swim from their frames
and hours are sorrow, rain, rain, sorrow…
why climb the stairs to lie down there,
be drenched, tasted, known
by the pitiless rain?
You have dead parents.
*
La sposa con il ramo di vischio
La sposa di dicembre, stanca
di ballare, scappò via dal salone del castello
per giocare a nascondino, un uccello bianco
luccicante nell’oscurità…
Lo sposo,
la cercò per tutte le stanze, chiamandola
col suo nuovo nome; poi gli invitati alle nozze,
setacciarono tutti i posti, con le torce…
Cinquanta natali finché un fabbro
scardinò una vecchia cassa di quercia; lo scheletro
con le perle sfilate, smeraldi sparsi,
anelli di diamanti, zaffiro, oro…
Via a gambe levate, chiamando gli altri a gran voce
per fargli vedere quel che aveva visto lui; vischio
nelle ossa scomposte di una mano;
come l’amore, pazientemente verde.
The Mistletoe Bride(*)
The December bride who, bored
with dancing, skipped from the castle hall
to play hide-and-seek, a white bird
flickering into the dark…
The groom,
who searched each room, calling
her new name; then the bridal guests,
flame-lit, scouring the grounds…
The fifty Christmases till a carpenter
jemmied an old oak chest; the skeleton
with its unstrung pearls, loose emeralds,
rings of diamonds, sapphire, gold…
The running feet, the shouting for others
to see what he’d seen; mistletoe
in the loose bones of a hand;
love-like, patiently green.
(*) Poesia ispirata dalla ballata tradizionale intitolata The Mistletoe Bough, composta da Thomas Haynes Bayily e musicata da Sir Henry Bishop (circa 1830) che riprendeva lo stesso tema di una poesia Ginevra scritta dal poeta Samuel Rogers (1763-1855) e pubblicata nell’antologia Italy nel 1822.
*
Bosco
Pensavo di essermi lasciata alle spalle il boschetto
al di là delle case
quando avevo lasciato tutto il resto;
anche se sapevo di ogni chiodo che avevamo piantato
sul tronco della quercia—
come piangeva la sua ferita vischiosa—
per arrampicarci e restare a bocca aperta al nido affilato.
Ma il bosco
mi ha seguita fin qui.
Devono esserglici voluti anni
per trascinare le sue radici sui campi
per strade e autostrade; impantanato
nel grano o nella colza; perseguitato dalle pecore;
finché lo vedo stanotte, intagliato su un cielo ardesia,
in fondo al giardino;
lo stesso sentiero stretto per accedervi.
Così entro, con cautela sugli aghi di pino, ghiande,
per posare il piede su un chiodo,
che ancora mi sorregge; bene.
C’era un ramo che non ero mai riuscita a raggiungere,
ma ora è semplice; piantarsi, restare fino a tardi, ignorando
la donna morta, in piedi al suo cancello,
che mi chiama, invano, a casa,
a casa dal bosco.
Wood
I reckoned I’d left behind the little wood
at the back of the houses
when I left all the rest;
though I knew each nail we’d hammered
into the trunk of the oak –
how it wept its sticky hurt –
to climb up and gape in awe at the beaky nest.
But the wood
has followed me here.
It must have taken it years
to drag its roots over the fields
by roads and motorways; knee-deep
in wheat or oilseed rape; haunted by sheep;
till I see it tonight, etched on a slate sky,
at the end of the garden;
the same slim path to enter it by.
So I go in, reverent on pine needles, acorns,
to set my foot on a nail,
still bearing me up; good.
There was a branch I never could reach,
but now it’s simple; to settle, stay late, ignoring
the dead woman, stood at her gate,
who calls me, uselessly, home,
home from the wood.