di Corrado Costa

 

[Pubblichiamo un’anticipazione del volume di Corrado Costa La moltiplicazione delle dita (con una lettera di F. Fortini e una Lettera Smarrita), a cura di Andrea Franzoni e Roberta Bisogno, di prossima uscita per Argolibri, nella collana Talee diretta da F. Orecchini ed A. Franzoni. Il libro, ordinabile in prevendita qui, sarà presentato in anteprima nazionale per il Festival “La punta della lingua” di Ancona il 6 Luglio].

 

 

 

NOTE E OSSERVAZIONI SCIENTIFICHE SULLA DIFFUSIONE DEL COLERA

 

“Il Caffè Satirico di Letteratura e Attualità”, anno XX, n. 10 Marzo 1973 – 1974.

 

Nell’estate 1973 un napoletano ingerisce una cozza probabilmente d’importazione tunisina: è il colera. Fino all’autunno Napoli vive nella paura del contagio. Stampa e televisione non rifuggono dai soliti luoghi comuni, anzi li imbellettano: Napoli ornata di spazzatura + scarse condizioni igieniche + cittadini napoletani versus cittadini del sottosuolo, i topi (nel corso degli anni ‘70 si stimò essere superiore il numero dei topi a quello dei cittadini).

Per scongiurare l’epidemia arrivano gli americani a bordo della US Navy che contiene scorte di vaccini. Gli americani, come in un déjà-vu storico, sbarcano e sparano i vaccini nelle braccia dei napoletani, attraverso delle pistole-siringhe. Questo accadimento piuttosto anacronistico ambientato a Napoli, fornisce a Costa l’occasione per scrivere Note e osservazioni scientifiche sulla diffusione del colera.

 

Sulla falsa riga de Il teatro e la peste, di Antonin Artaud, Costa compone un articolo in cui ai fatti si sovrappone il sogno collettivo dei fatti stessi. Un racconto dalla dizione giudiziaria, ma anche uno dei primi scenari del futuro autore di The Complete films, sempre proteso al rovesciamento del reale: la «nave vera» attraversa un «mare falso». Da un fatto di cronaca, l’autore sviluppa la questione dell’autenticità. Ma non solo. Si scopre infatti nell’ultimo paragrafo, che la sintomatologia non comporta alcuna alterazione sensibile, l’individuo colpito dal male, «normo-conformato», vive una vita regolare: «L’errore che si commetteva, in realtà, venne inteso come un errore del sogno. Si preferì, colposamente, credere a un errore dell’entità subconscia collettiva, piuttosto che formulare l’idea di un errore della conoscenza obiettiva e razionale».

 

 

 

A Anna e George Lindenmeyer

 

UNA NAVE sconosciuta ha portato il colera a Napoli. Era la fine di aprile 1973 e la nave era americana. Nessuno però può garantire sulla sua autenticità. Di due fumaioli, uno era certamente truccato con eccezionale abilità. Due delle cinque bandiere battenti sul pavese, almeno due, erano false, imitate alla perfezione.

Prima di apparire nella rada, la nave sconosciuta era comparsa nei sogni. Tutti, a Napoli, fecero un sogno unico e collettivo. Stavano in sogno alla finestra, anche quelli con casa senza alcuna veduta o affaccio, e guardavano la spiaggia, il porto e la vasta estensione del mare.

Sognavano che era una bella giornata serena.

Il collettivo di sognatori partecipava allo stesso sogno. Tutti sognavano d’essere affacciati alla finestra e di vedere l’immagine del golfo di Napoli, col Vesuvio e col pino, come in una cartolina.

Il sogno presentava il panorama del golfo dal noto punto di vista e tutti sognavano d’avere davanti a casa l’identica conosciutissima immagine, per la segreta forza di convinzione e di suggestione che possiedono i sogni e per la loro capacità di deformare senza apparente alterazione.

La parte terra corrispondeva esattamente per tutti i sognatori. La parte mare appariva in modo diverso, senza che si potesse individuare la differenza.

Poiché il mare non apparì in modo uguale, ciascun sognatore vide la nave, che attraversava il golfo, a modo suo.

All’inizio o alla fine del sogno, di poppa o di traverso, intera o solamente una metà.

È sicuro che nella notte la nave passò, attraversando il sogno di tutti, uno per volta. Con minime differenze, tutti ebbero, corporea e immediata, la stessa sensazione opprimente di dolore e di morte.

Le malattie infettive hanno queste forme precontagiose.

Presi da una cupa sonnolenza, senza ragione, emanata dal colera, molti si erano coricati presto. Gli altri rabbrividivano in dormiveglia.

La città, in questo stato d’agonia, fu raggiunta dal sogno e il sogno era unico e totale.

Tutti in sogno seguirono la traversata della nave, che, alla mattina, stava ancorata nel porto.

Adesso prego di osservare in quale particolare non ha riscontro la perfetta sincronia fra sogno e realtà. La sincronia perfetta fra sogno e realtà non ha riscontro in un particolare solo. Nel sogno la traversata avveniva di giorno, in una bella giornata serena. Nella realtà avvenne di notte. Nonostante la perfetta sincronia dell’arrivo, nel sogno si era verificato un certo ritardo, rispetto alla tabella di marcia della nave. L’immagine sognata che precedeva l’immagine vera della nave, doveva, alla stessa velocità, arrivare prima della nave. Arrivò, invece, misteriosamente, in perfetto orario con la nave. Non sappiamo, dunque, se il colera è stato portato dalla nave americana o se raggiunse la città portato — attraverso il sogno — dall’immagine della nave. Cosa quest’ultima, possibilissima, perché si tratta dell’ultima specie di colera, invincibile, sottile, normalissimo. Non dello stravagante colera, che a Napoli c’era già, col suo sieroso collasso intestinale.

Parliamo del normale colera, quello che si è diffuso in tutta Italia, senza risparmiare nessuno.

 

 

NONOSTANTE che il preavviso del sogno avesse mancato il suo scopo, le autorità intervennero con sollecitudine e con immediatezza. La Capitaneria (il Capitano aveva partecipato al lugubre sogno comune) l’Ente Autonomo del Porto, la Giunta Municipale, il Medico Provinciale, la Nettezza Urbana, provvidero a bloccare la nave, il suo equipaggio e metterli in quarantena.

Una all’insaputa dell’altra, vennero nominate cinque commissioni mediche. L’allarme aveva colpito nel vivo e, infatti, passando all’esame del sogno, si può notare che la nave era giunta nel porto:

1) più per emanazione che per propulsione;

2) cercando «febbrilmente» di anticipare la propria immagine, raggiungendola di notte nel golfo, viaggiando a pari velocità e in perfetta coincidenza con la stessa;

3) che era soggetta a alterazioni invisibili nella realtà, mentre nel sogno non fu possibile osservare queste alterazioni invisibili;

4) che il malessere onirico aveva coinciso con il malessere reale della popolazione.

Si poteva arguire che la nave vera aveva attraversato un mare falso, illustrativo, di sogno, mentre una nave falsa era ancorata nel mare vero, sotto la luce del sole.

Fatto sta che era tardi per ogni provvedimento. E forse era inutile sottoporre i marinai a esami e accertamenti, come si fece, per tutto il mese di maggio. Basterà notare che:

— i primi esami diedero esito negativo;

— le revisioni d’analisi diedero esito negativo;

— i consulenti tecnici furono unanimi (!);

— le conclusioni diedero la certezza assoluta che nessun marinaio della ciurma era affetto o portatore di malattie infettive.

 

Le Autorità tergiversarono per qualche giorno, poi dovettero consentire lo sbarco.

L’errore che si commetteva, in realtà, venne inteso come un errore del sogno.

Si preferì, colposamente, credere a un errore dell’entità subconscia collettiva, piuttosto che formulare l’idea di un errore della conoscenza obiettiva e razionale.

In che cosa poteva errare l’incubo notturno? Era forse una manifestazione di falsità o di verità, o semplicemente di coincidenza? Vale a dire, di rimando alla dimensione reale, consistente solo di una nave ancorata in mezzo al porto?

La nave doveva essere dichiarata falsa, illegittima e alla fine respinta. La nave, non il sogno!

Così i marinai scesero dalla nave e si sparsero per i quartieri. Bevevano. Mangiavano. Usarono le immonde latrine, i gabinetti intasati. Si spingevano per i rioni. Spaventavano nei vicoli torme di topi, che le fogne non riuscivano più a contenere. Si fermavano nei crocicchi attorno ai roghi, dove bruciavano immondizie e cadaveri. Visitavano le chiese, piene di cadaveri accatastati e così pure le montagne di morti, piramidali, all’aperto, attorniate dai cani.

Osservavano le code davanti agli ospedali, di centinaia di persone accoccolate per terra, che schizzavano acqua, urente, acida, dall’intestino, sierosa e con fiocchi d’avena.

Camminavano di notte e si trovavano al bar, per bere droghe in tazzine non più risciacquate, unte, con medici in maschera di cuoio, nasi a becco, puntuti, maschere di seta nera e bracieri in mano che conversavano fra nuvole di incenso.

Si intrattenevano con ostricari, assaggiavano tazzine piene di umori, spaghetti putrescenti all’alio, all’olio e al vibroncino. Assistevano alla commedia del rovesciamento dei valori. I buoni, i miti, i deboli che diventavano furiosi, combattevano come sodomiti furenti qualsiasi immagine di pietà e di calma, che maschera la violenza e la disperazione.

Ballavano liberamente nel carnaio, con quelli, onestissimi un tempo, che improvvisamente nel colera vogliono ballare e cantare, allestiscono orchestrine e inventano lussuosissime mode.

In tal maniera, liberamente, per la città di Napoli, fu lasciata circolare una ciurma di marinai, completamente sana.

Evidentemente si pensava che, se il sogno non aveva significato alcuno, anche la realtà, la nave con i marinai, non aveva più nessun significato.

Se si fosse riscontrata a bordo la malattia infettiva, il sogno collettivo avrebbe avuto senso.

Né si poteva pensare che, se la nave era immune, proprio il sogno fosse contaminato e aggiungesse ai flussi maligni altro carico di flusso maligno.

Così, dato che il colera era già a Napoli, commissioni di medici, colpiti dal male e certamente infetti, visitarono la ciurma, sicuramente sana.

E la ciurma sana fu poi lasciata circolare per Napoli.

Una settimana dopo la nave sospetta ripartì e portò via la sua immagine dal porto.

E subito dopo cominciò la vera epidemia che doveva colpire, senza più limiti, tutto il paese.

«Come l’ira bianca, la peste

più terribile è quella che non

divulga le proprie fattezze».

A. Artaud

NON ESISTE una descrizione esauriente e precisa dell’entità morbosa, che si diffuse dopo l’arrivo della nave.

Conosciamo la peste e sappiamo che la peste si caratterizza per essere un fenomeno limitato.

Vi sono dei limiti, territoriali e fisici, che la peste non supererà mai. Il colera poi colpisce a capriccio con arbitrio e irrazionalità, ma sempre in zone popolari e proletarie.

Il nuovo morbo, no. Non ha limiti. Non ha preferenze. Colpisce la maggioranza della popolazione tutta, su tutta l’estensione del paese.

SINTOMATOLOGIA. —

L’incuba-

zione è minima: poche ore. Esordio: brivido assente, anche sudore assente. Prima dei disturbi veri e propri, il soggetto è sereno, tranquillo, con temperatura normale. Non è stanco. È calmo. Non si agita. È in stato di coscienza.

Euripnia.

Poi si sente al capo come leggerezza, equilibrio, lucidità associata ad altre manifestazioni d’assenza di cefalea. Tono dell’umore disteso. Normale orientamento temporo-spaziale. Non ha carenze affettive. La sua sfera affettiva è integra. Sistema linfoglandolare superficiale indenne.

Organi ipocondriaci in sede e nei limiti.

Il virus non diminuisce né si altera. Il soggetto segue alla televisione gli spettacoli di maggior gradimento. Non lacrima, non ha vistose secrezioni congiuntivali. L’esecuzione respiratoria è valida, con dilatazione della gabbia toracica in fase inspiratoria.

Non percepisce rumori soggettivi, di ronzio, di cascate, di campane.

La voce è bene impostata. Legge qualche libro, romanzi raccomandati dal lio soffocazione al collo. Porta senza fastidio la cravatta. Deglutisce.

Il cuore è regolare. Ha appetito, senza preferenze o avversioni per i cibi. Tende al cibo cotto.

Bocca buona, alito fresco. Lingua colorita, rosa.

Regolari abitudini di vita.

Normale lo svuotamento del   contenuto gastrico. Non turbe oniriche.

Psiche indenne.

Sessualmente raggiunge l’orgasmo nei tempi fisiologici.

Tutto il paese, le città, le campagne sono piene ormai di questi soggetti — colpiti dal male — in buone condizioni generali, stato di nutrizione e sanguificazione soddisfacente, aspetto calmo, pannicolo adiposo ben distribuito uniformemente in tutti i distretti corporei, muscolatura trofica, colorito della cute e delle mucose visibili, roseo.

Questi ammalati vivono fino a tarda età, hanno figli, si sposano regolarmente in Municipio o in Chiesa. Le loro spose e i loro figli viventi e sani immediatamente si ammalano.

Continuamente si frequentano, hanno rapporti di ogni tipo. Si riconoscono, si salutano con un cenno del capo, normo-conformato, mobile in ogni senso.

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