a cura di Massimo Gezzi
[Venerdì 19 luglio, sulla spiaggia di Marzocca (AN), si terrà la nona edizione di Demanio marittimo km. 278 (qui il programma), una notte di conversazioni, incontri e performance su temi di architettura, arte, design e cultura. L’evento, ideato da Cristiana Colli e Pippo Ciorra, quest’anno ha per tema Eurotopia, un neologismo che spinge il concetto e la realtà dell’Europa verso l’orizzonte dell’utopia. Abbiamo intervistato i curatori].
Demanio marittimo km. 278 è arrivato alla nona edizione: venerdì 19 luglio, dalla 6 di sera alle 6 di mattina, il tema cardine attorno al quale ruoteranno tutti gli incontri sarà quello che avete chiamato Eurotopia, con un neologismo che fonde l’Europa e il pensiero dell’utopia. È così? Cos’è Eurotopia? E che spazio e forme ci sono per pensare l’utopia nell’ambiente dell’architettura, oggi?
Cristiana Colli (CC): Come tutti i neologismi anche questo è una creatura che si mette in mezzo, tra le idee e le ideologie, le comunità e le persone, i progetti e le geografie. Ci sono generazioni per cui l’Europa è un’utopia altre per cui è una normale pratica, il naturale spazio di rappresentazione di sé, del proprio percorso professionale e di vita. L’Europa si mantiene utopia – o forse eterotopia – nel suo arcipelago antropologico, nell’emergere di quelle memorie di luogo che se non prendono derive di semplificazione sovranista disegnano uno sguardo contemporaneo vitale e rinnovano le matrici di civiltà dove si incontrano oriente e occidente, culture millenarie, monoteismi, stili di vita e strutture di pensiero su cui poggia il nostro sguardo sul mondo. Faremmo bene a considerare questo quando ci interroghiamo su cos’è e cosa può essere l’Europa.
Pippo Ciorra (PC): Una delle proposte più interessanti alla Biennale di Architettura di Venezia del 2018 era il padiglione del Belgio, affidato a un collettivo di giovani (di varia nazionalità) che si chiama Traumnovelle. Il titolo era Eurotopie (in francese) e la forma quella di un’arena blu aperta alla discussione, dalla quale ci si poteva poi addentrare in spazi più intimi, pensati per la meditazione “sullo stato dell’Unione”. Il progetto appariva convincente sia per la sua chiarezza e qualità ma soprattutto perché indicava che finalmente la generazione dei millennials, degli “europei naturali”, sembrava voler entrare nell’arena della discussione sull’Europa per dare il suo contributo, per difendere i diritti acquisiti ed espanderli, per riconoscere l’integrazione come unica utopia possibile del nostro tempo. Ci è sembrato naturale, a un anno da quella mostra, invitare i Traumovelle a portare quel tema di discussione in un’altra arena molto speciale (anche perché fatta di “rena”) e farne il filo conduttore della nottata della nona edizione di Demanio. Anche perché in fondo la discussione sull’Europa contiene in sé tutti i temi cruciali che abbiamo cercato di affrontare negli otto anni precedenti. La migrazione, il dialogo con i “nuovi europei” al di là dell’Adriatico, il rapporto tra progetto/progresso e questione ambientale, il ruolo della storia e delle culture locali e via dicendo.
Tra gli altri temi si parlerà del rapporto tra architettura e riqualificazione urbana, che dovrebbero e potrebbero tendere l’una verso l’altra ma che invece, talvolta, nelle nostre città sembrano lontane. Cosa scopriremo al Demanio in questo senso?
CC: Demanio cerca da nove anni di raccontare storie che rappresentano varchi, aperture, soglie, interstizi, talvolta paradigmi o semplicemente ispirazioni di una modalità nella quale il progetto e l’architettura, ma anche l’arte, l’impresa e il design sono elementi di civilizzazione, di costruzione dello spazio pubblico come luogo della cittadinanza. L’idea di trasformare l’inerte di una spiaggia demaniale in un dispositivo della conoscenza è un messaggio chiaro: i luoghi per esistere devono essere nominati e potenziati con processi culturali, i famosi intangibles – niente è dato, nemmeno il più pregiato dei patrimoni, ma tutto può diventare. A Demanio si parlerà di due casi interessanti che riguardano la provincia italiana, la dimensione civica media che ridisegna ambizioni e vocazioni a partire dal progetto e dalla cultura: parlo di Mestre con il progetto M9 e di Reggio Emilia, che da almeno 15 anni, con metodo e perseveranza, a partire dai progetti dell’alta velocità e della stazione di Calatrava, ha proseguito la riqualificazione del centro e degli spazi monumentali ed ex industriali, oltre ad azioni di cerniera tra la città e le zone pedecollinari. Ma naturalmente con i radar accesi si colgono varie esperienze, non solo italiane.
PC: Mah, la riqualificazione urbana è una di quelle definizioni che al loro interno contengono di tutto, dal più virtuoso progetto di riuso di un capannone industriale o di un bene storico fino allo sfruttamento intensivo degli ultimi spazi incerti delle nostre città, come nel caso dell’area compresa dall’ansa dell’adoratissima High Line a di Manhattan, appena trasformata in una replica scintillante e volgare del centro di Dubai. Sulla spiaggia di Marzocca porteremo i protagonisti di alcuni esempi positivi di rigenerazioni urbane ad alto tasso architettonico, in particolare la serie di progetti che hanno riqualificato Reggio Emilia, e la vicenda molto virtuosa di M9, il “museo del ‘900” aperto da pochi mesi a Mestre, realizzato dallo studio berlinese Sauerbruch Hutton. Personalmente mi interessa molto la vicenda di M9 perché va a scontrarsi con un “luogo comune” spaziale molto consolidato, quello che trova ovvia la divisione netta dei compiti tra Venezia, palcoscenico di tutte le culture, e Mestre/Marghera, cui è assegnato il puro compito di fornire l’hardware, infrastrutturale la prima industriale la seconda, per lo spettacolo lagunare.
Per molti motivi Demanio marittimo km. 278 è diametralmente opposto alle decine di notti bianche (o nere, rosa, rosse…) che costellano l’estate. Una delle ragioni che fanno del vostro festival un contesto unico è che al Demanio si dialoga su temi architettonici ma anche politici, come quello della coesistenza tra individui e comunità nello spazio. Cosa potremo imparare in tal senso, quest’anno?
CC: Demanio nasce come gesto di appassionata e generosa bulimia concettuale, prima che operativa – per dare qualche numero: nelle 12 ore si avvicendano mediamente 60 ospiti su 3 palchi con un programma di talk, workshop, lecture, performance, proiezioni video… Ci siamo dati limiti serrati (12 ore e 300 metri), un vero e proprio rompicapo che poi si espande e respira nella durata di un anno con vari collaterals – lo scorso anno il progetto con Sislej Xhafa, quest’anno il progetto “Terre in movimento”, in passato il site specific di Olivo Barbieri sulla Città Adriatica – e nella mappa in realtà aumentata (un groviglio di fili e connessioni tra mondi, persone, reti, istituzioni, processi, storie e geografie). E’ la spiaggia come hub culturale, luogo delle coesistenze e della costruzione di comunità – che sia temporanea o permanente poco importa. Oltre a questo, Demanio rovescia il sentiment di queste iniziative che hanno nella notte un consumo: sulla spiaggia di Marzocca la notte è uno stato di passaggio, un limes e una sospensione che accompagna all’alba, quindi alla prospettiva di un giorno e di un tempo nuovo.
PC: Credo che dovremmo tornare alla prima risposta sulla questione europea. Mille ragioni che tutti conosciamo rendono urgente un aggiornamento dei paradigmi politici e delle modalità d’azione tipiche della dialettica novecentesca. Milioni di giovani (e meno giovani) hanno l’intero ventaglio delle giuste convinzioni sui problemi del nostro spazio/tempo: il clima, l’integrazione, la diversità, la diseguaglianza, la protezione del welfare e via dicendo. Ma non hanno il linguaggio e le piattaforme adatte a far sì che queste convinzioni diventino una massa critica politica e sociale capace di pesare all’interno della società. Perché questo succeda c’è bisogno di una piattaforma da condividere – da cui l’importanza dell’Europa – e di una cultura aperta e molteplice tramite la quale alimentare la discussione. Da qui la necessità di Demanio Marittimo km 278, che identifica luoghi fisici – la spiaggia, l’Adriatico, l’Europa – e poi va in cerca degli ingredienti utili per farli diventare piattaforme culturali, luoghi dove si possono cucinare la consapevolezza, la coesistenza, il senso di comunità, l’integrazione, ma anche la voglia di migliorarsi, l’amore per il progetto di futuro, la curiosità intellettuale. Eurotopia è la sintesi di tutto questo, uno spazio fisico che è anche piattaforma culturale e politica su cui lavorare.
Un’altra caratteristica che rende particolarmente suggestiva la vostra manifestazione è l’ambientazione: in riva al mare, su un tratto di spiaggia adriatica, idealmente affacciati verso un altrove che tende verso l’altra sponda del mare, e forse non è un caso che quest’anno la progettazione dello spazio pubblico sarà gestita dalla Facoltà di Architettura di Zagabria. Perché avete scelto e continuate a scegliere questa ambientazione?
CC: La spiaggia è una metafora, è un luogo di pensiero e di dialoghi, un crocevia degli immaginari, luogo delle economie e delle trasformazioni urbane, della natura e dello sviluppo sostenibile, un paradigma di progettazione del vuoto, degli oggetti e dei manufatti sospeso tra l’antropologia del turista e quella del viaggiatore. E’ il racconto del viaggio, dell’Altrove lungo la Città Adriatica – la più letteraria e allo stesso tempo la più industrializzata delle spiagge italiane – al centro di un paesaggio costiero segnato dal consumo di suolo del passato. Spazio di sviluppo per i Primi, di solitudine e di attesa per gli Ultimi; simbolo di quei dialoghi che storicamente il territorio intrattiene con l’altra sponda del Mar Piccolo, con l’Oriente d’Europa, sull’asse nazionale e transfrontaliero. La spiaggia è una piattaforma di relazioni culturali, economiche, artistiche, limes, infrastruttura dello sviluppo a venire.
PC: Forse mi ripeto, ma l’appropriatezza della spiaggia come sede (a volte complicata) per Demanio poggia su tre ragioni principali. La prima è la sua natura di spazio pubblico generico, tanto più importante quanto più lo spazio pubblico è assente dalla mappa progettuale della città (adriatica) contemporanea. Al momento della prima scelta di uno spazio adatto per Demanio nel 2011, le immagini che mi sono venute in mente erano quelle del primo Festival dei Poeti dell’Estate Romana di Nicolini, forse la prima volta che la spiaggia veniva introiettata in modo così felicemente drammatico nella sfera dello spazio pubblico e politico della città. La seconda, come giustamente ricordi, è la prossimità concettuale della spiaggia alla “riva opposta”, sulla quale si affacciano linguaggi diversi e a lungo considerati ostili, oggi portatori di creatività attiva, di ottimismo europeo anche maggiore del nostro, di una cultura complementare alla nostra. La spiaggia è quindi un avamposto che vogliamo sfruttare nel miglior modo possibile. La terza ragione è ovviamente nel fatto che dalla spiaggia non solo si parte ma soprattutto si arriva. La spiaggia è un filtro che noi vogliamo presidiare e rendere curioso e aperto.
Si parlerà anche di Giancarlo De Carlo, una figura di riferimento dell’architettura italiana che ha lavorato anche nelle Marche, in particolare a Urbino…
CC: 100 anni fa, nel 1919 nasceva Giancarlo De Carlo. Era un doveroso omaggio ma anche un rimando formale a progetti che appartengono alla classicità del paesaggio marchigiano e di Urbino in particolare.
PC: Il 2019 è pieno di ricorrenze. I cento anni del Bauhaus, i cinquanta dall’allunaggio, i venticinque dalla fondazione della prima scuola di architettura nelle Marche (la mia), e infine anche il centenario della nascita di un grande maestro come Giancarlo De Carlo. Tutte queste ricorrenze avranno un loro spazio a Demanio ma a De Carlo riserveremo un tributo speciale, proprio perché grazie al suo lavoro a Urbino è anche un maestro del nostro territorio. A Urbino De Carlo ci ha insegnato soprattutto due cose. La prima è la capacità immediata dell’architettura moderna di dialogare e “collaborare” con quella antica, senza paure. Nel centro di Urbino il dialogo tra De Carlo e Francesco di Giorgio Martini è un confronto serrato, tra pari, senza il quale le nostre città non possono che morire. Nei collegi ha traslato questo discorso a una scala più grande, urbana e di paesaggio, dimostrando come un progetto potesse accogliere allo stesso tempo la sfida della propria epoca, fatta di forme moderne, sociologia, pedagogia, scienze, e quella del confronto con la città monumentale con la quale si confronta “da collina a collina”.
Tra i temi che vi stanno a cuore c’è anche quello dell’espatrio di molti laureati e laureate dall’Italia, in particolare dalle Marche: immagino che il fenomeno sia particolarmente rilevante nel campo dell’architettura. Cosa farete per i tanti e le tante espatriati/e?
CC: Con la rivista «Mappe» stiamo avviando una sorta di garbato “censimento” per ricostruire la comunità di chi per qualunque motivo – passione, curiosità, casualità – ha scelto di studiare, lavorare e vivere fuori dalle Marche. Lo stiamo facendo con reti informali e un passaparola attualizzato nei sistemi di comunicazione, ma antico nella modalità di relazione. Non è ignorabile il fatto che la generazione Erasmus ha segnato una cesura in ragione della quale il contesto di riferimento è continentale, un po’ quello che per le imprese competitive è il cosiddetto “mercato domestico”. Con il network Mappelab daremo visibilità e faremo racconto di queste storie, oltre naturalmente a prestare la massima attenzione all’output professionale di chi non sta più qui .
PC: Come sai è un tema che mi è particolarmente caro, e che ha generato una mostra al MAXXI (Erasmus Effect) nel 20I3. In questo caso, in parallelo al progetto di ricognizione varato da Mappe, in occasione dei venticinque anni della scuola di architettura di Ascoli, il collettivo Radioarchitettura ha realizzato un video di interviste a un gruppo di ex-studenti ascolani variamente attivi nei vari mercati del lavoro internazionali che hanno a che fare con la nostra disciplina. Il video verrà proiettato la sera del 19. Sarà interessante non solo ascoltare la loro esperienza di espatriati ma anche capire come ha influito, in questo loro approccio ai grandi studi internazionali o ad altre esperienze, la formazione condotta in una piccola scuola lontana dai grandi centri.
C’è qualcosa di importante che è rimasto fuori dalla nostra conversazione e che volete aggiungere?
CC: Avrei voluto sviluppare con Le parole e le cose un originale e contemporaneo highlight sull’Infinito di Leopardi, antiretorico e molto poetico come voi sapete fare! La prossima volta.
PC: Ha ragione Cristiana. Considerando che la prima scintilla per questo progetto viene da uno storico festival di poesia, sarebbe ora di dedicare uno spazio importante a questo linguaggio. Prepariamolo insieme per la prossima edizione.
Un’ultima domanda: l’anno prossimo Demanio marittimo km. 278 giungerà alla decima edizione. Avete già qualche idea per l’edizione dell’anniversario? Intendete continuare questa vostra esperienza, dopo? Avete in mente una direzione di sviluppo e di arricchimento o cercherete di restare fedeli all’impostazione attuale?
CC: Un decennio è già di per sé significativo ma è anche un punto di svolta che interroga.
Abbiamo un anno per decidere cosa fare e come farlo, che tutto sommato è la cosa più divertente e più facile. Una cosa è chiara: il successo di questo progetto è nell’originalità e anche nella radicalità del suo format, che dal mio punto di vista è intoccabile: non è sorprendente solo l’idea della spiaggia, della notte, del concorso, ma lo sono gli accostamenti, le interferenze, gli apparenti fuori sincrono , i salti di scala, insomma il merito, oltre che il metodo. Poi ogni possibile collateral a diversa scala – spazio/tempo – può diventare una nuova frontiera di progetto. Demanio chiede visione, apertura e reti su cui investire incessantemente. Tutti lo stiamo facendo e credo vogliamo continuare a farlo.
PC: Non so, da un lato so per esperienza che per non soccombere qualsiasi format (educativo, culturale ecc.) ha un intrinseco bisogno di non stare fermo, di cambiare e trasformarsi continuamente. Dall’altro lato cambiare Demanio è davvero difficile, poiché in qualche modo tutto sembra dare il meglio di sé nella situazione data. Visto che siamo su una piattaforma letteraria potrei spiegarlo così: è come quando scrivo un testo. Quando alla fine lo scrivo, dopo molte titubanze, viene giù abbastanza “a cascata”, con un processo di andirivieni molto limitato. Quando poi lo rileggo, mi piacerebbe migliorarlo ma è quasi impossibile, o almeno io non ne sono capace (per questo un tempo c’erano gli editor). Ecco, Demanio è un po’ così, prende forma di corsa e con un abbrivo da impeto finale, ma non è facile cambiarlo. E’ resiliente, tanto per usare una volta questa parola senza il fastidio del luogo comune. In ogni caso è già un bel miracolo che dopo nove anni siamo ancora qui. Per il decennale ci verrà in mente qualcosa.
[Immagine: Fili d’Unione, progetto vincitore dell’edizione 2018 di Demanio marittimo km. 278, di Matthew Darmour-Paul, Dika Terra Lim, Yujun Liu, Chi-Jen Wang]
Da piccola trascorrevo le vacanze in quella spiaggia, ricordo i bomboloni la mattina, bontà assoluta! e la simpatia dei residenti, gran giocatori di carte e i primi Beatles (pensate che età ho…): cosa non darei per tornare a quelle estati! Ora sono a Bari, sempre sull’Adriatico e mi pare una splendida iniziativa, magari da replicare anche qui. Approvo comunque e vi faccio i miei complimenti!!! Ciao, Mariateresa