Omaggio a Stefano Agosti (1930-2019)

a cura di Alberto Russo Previtali

 

[Il 5 luglio è scomparso Stefano Agosti. Pubblichiamo questa conversazione inedita del 2016, a cura di Alberto Russo Previtali, intorno a Una lunga complicità. Scritti su Andrea Zanzotto (Il Saggiatore, 2015), il libro che raccoglie i più importanti interventi di Agosti su uno dei suoi poeti prediletti].

 

Alberto Russo Previtali. Buongiorno Professore.

 

Stefano Agosti. Buongiorno e grazie di essere venuto.

 

ARP. Voglio iniziare la nostra conversazione con una domanda sul titolo del suo libro. Perché ha deciso di riunire la sua produzione critica su Zanzotto sotto questa parola, “complicità”?

 

SA. Il titolo “Una lunga complicità” è un’imitazione del titolo che Contini ha dato ai saggi che aveva scritto su Montale. Il titolo di Contini è Una lunga fedeltà. Scritti su Eugenio Montale. A riguardo devo ricordare un episodio abbastanza simpatico. Durante una presentazione di un libro di Zanzotto, con lui presente, al teatro di Treviso, Silvio Guarnieri, che coordinava l’evento, presentandomi disse: “Agosti lo conoscete tutti, non c’è bisogno di dire granché. Voglio però dire questo: Agosti è stato per Zanzotto quello che Contini è stato per Montale”. Ricordo che questa frase mi scosse e mi riempì d’orgoglio. Risposi a Guarnieri, davanti a Zanzotto, dicendo che assumevo in pieno questa presentazione, e dissi che quando avrei riunito i miei saggi, il titolo sarebbe stato Una lunga complicità, rifacendomi al titolo di Contini.

Il legame di ammirazione verso Contini, e la dedizione, la complicità appunto, verso l’opera e la persona di Zanzotto, spiegano il titolo. Ricordo che quando annunciai a Treviso la mia intenzione di dare questo titolo al libro futuro, Zanzotto sorrise, approvando l’idea. Del resto, forse lei ha visto la quarta di copertina del libro, dove c’è una dichiarazione di Zanzotto stesso (leggibile interamente nel numero di “Ateneo Veneto” da cui è tratta[1]) in cui egli sottolinea appunto la “complicità” reciproca, mia nei riguardi suoi e sua nei riguardi miei. Questa dunque è stata l’origine del titolo che mi sono tenuto dentro per tanto tempo, e che è venuto a galla quando si è presentata l’occasione di riunire i miei saggi su Zanzotto.

Nel libro non ci sono tutti i miei interventi su Zanzotto, alcuni sono rimasti in giro per le riviste. Ci sono però certamente i più importanti: le due introduzioni alle due edizioni degli Oscar e l’introduzione al Meridiano; ci sono poi altri saggi e due testi inediti. Il primo inedito è l’introduzione del libro, Dalla specola di Pieve, in cui faccio un paragone con la situazione di Leopardi; dalla specola di Recanati alla specola di Pieve, due situazioni analoghe. Il secondo testo inedito si intitola Approssimazione a Conglomerati; è un saggio su un libro molto difficile, in cui ho dovuto introdurre alcune modalità che non avevo usato in precedenza, come ad esempio la nozione di “oggetto metonimico”, avanzata da Lacan.

 

ARP. Questo suo riferimento al concetto di “oggetto metonimico” fa pensare alla presenza di concetti psicoanalitici tra i riferimenti teorici della poesia di Zanzotto. Da questi riferimenti, emerge con particolare forza il nome di Lacan, nome centrale anche nel quadro teorico in cui lei ha operato per scrivere su Zanzotto. Le chiedo: perché secondo lei Zanzotto è stato attratto dalla psicoanalisi lacaniana?

 

SA. L’interesse di Zanzotto per Lacan si spiega solo in minima parte con motivi personali, di cura (Zanzotto ha trascorso un breve periodo in analisi), e si spiega invece benissimo a livello teorico: l’intera teoria lacaniana ruota attorno al linguaggio. L’interesse di Zanzotto viene dalla posizione che Lacan assegna al significante all’interno del linguaggio. Zanzotto è stato follemente attratto da questa posizione, ovvero dal fatto che Lacan imputa al significante la gestione dei movimenti interiori, assegnandogli uno statuto di priorità nell’ordine dello psichico.

Zanzotto utilizza secondo me questa posizione soprattutto in una pratica, in un dispositivo di composizione-scomposizione degli enunciati. A partire dalle IX Ecloghe e sempre più da La Beltà in poi, gli enunciati di Zanzotto possono essere composti, scomposti e ricomposti, proprio a partire dalla priorità del significante, in cui si dà una momentanea sospensione (sottolineo momentanea) del significato. È questa la novità di Zanzotto dal punto di vista della pratica compositiva, della pratica verbale. Questa priorità del significante si riflette poi in un fenomeno, anche questo tipico di Zanzotto: il fenomeno dell’allitterazione. Zanzotto assegna all’allitterazione una priorità tale da adibirla addirittura alla costruzione degli enunciati. Ma non solo: è attraverso l’allitterazione che Zanzotto si sprofonda a ritroso nel linguaggio, fino ad arrivare a quelle simulazioni di balbettio che dovrebbero rappresentare la pre-origine del linguaggio, un avvicinamento all’origine. L’allitterazione che nasce dalla priorità del significante, ha una funzione costruttiva, ma anche una funzione regressiva, verso un fantasma pre-originario della struttura poetica.

 

ARP. Parlando di priorità del significante viene subito in mente un riferimento classico molto importante in Zanzotto: Petrarca. Partendo da Petrarca, viene anche in mente un giudizio di Contini, espresso nella postfazione al Galateo in Bosco, secondo cui Zanzotto può essere considerato come il poeta più importante del secondo Novecento, l’erede di Montale. Con questo giudizio, Contini inserisce Zanzotto nella “linea Dante”, da lui tracciata, come lei ben sa, nel saggio Preliminari sulla lingua del Petrarca. Secondo lei, a quale di queste due linee è ascrivibile Zanzotto? Oppure, quanto di queste due linee è rinvenibile nella sua poesia? O ancora, in che modo Zanzotto va al di là di queste due linee?

 

SA. Io sono stato felicissimo di questo intervento di Contini su Zanzotto, perché Contini per me è il massimo della critica. L’ho conosciuto poco, ci siamo incontrati due o tre volte soltanto, ma per me è sempre stato la stella da seguire, l’unica figura critica a cui mi sono, come dire, allineato, anche se poi ovviamente sono andato avanti per la mia strada, dallo strutturalismo alla psicoanalisi, orientamenti che erano estranei al metodo critico di Contini.

Sull’inserimento di Zanzotto nella linea dantesca. Questo inserimento è molto appropriato, perché Zanzotto vede e assume la ricchezza della lingua di Dante: pluralità degli idiomi, varietà degli stili, invenzioni linguistiche e translinguistiche (un esempio: “S’io m’intuassi, come tu ti inmii”).

Lei ha poi accennato alla possibilità di un’influenza petrarchesca, un’influenza che è sicuramente attiva in Zanzotto. Ciò che in Petrarca affascina Zanzotto è il dato fondamentale e primario del Canzoniere, e cioè l’incessante auscultazione di sé, la quale si effettua generalmente e in modo più intenso in quella straordinaria cassa di risonanza che è il sonetto.

Da un lato quindi, per quanto riguarda Dante, vi è la parola del soggetto disseminata in una molteplicità di idiomi; dall’altro invece, per quanto riguarda Petrarca, l’auscultazione interminabile (adopero questo termine psicoanalitico) che il soggetto presta alla propria parola interiore. Ebbene, l’auscultazione della parola interiore in Zanzotto è di derivazione petrarchesca.

 

ARP. Torniamo alla parola “complicità”. Questa parola rivela che per lei Zanzotto non è stato solo un poeta su cui lavorare, ma è stato anche un amico. Quali erano le qualità che apprezzava di più in Andrea Zanzotto? Su che cosa si è fondata la vostra amicizia?

 

SA. Il primo incontro con Zanzotto non avvenne personalmente, avvenne attraverso la lettura delle IX Ecloghe, un libro che mi affascinò moltissimo. In una plaquette di versi che scrissi in quel periodo, una delle poesie, dal titolo Verso il Soligo, si ispirava a quanto avevo letto nelle IX Ecloghe. Inviai la plaquette a Zanzotto, il quale mi rispose con grande entusiasmo; poi ci incontrammo, e da lì nacque la nostra amicizia e la nostra complicità, fondata sulla stima reciproca, di cui è traccia, come le ho accennato, la quarta di copertina del mio libro. Zanzotto ha pronunciato pubblicamente queste parole, che ora leggerò, durante una presentazione de Il Galateo in Bosco all’Ateneo Veneto di Venezia:

 

devo esprimere tutta la mia gratitudine a Stefano Agosti per la sua profonda partecipazione intellettiva e affettiva al modo di realizzarsi del mio lavoro poetico, fra contraddizioni e pericoli di cui egli ha un’eccezionale consapevolezza. Tra le molte “indagini letterarie” compiute da Agosti, quella che da tanto tempo accompagna la mia attività e ne illumina i risultati mi sembra di per sé esemplare, e costituisce per me un validissimo sostegno, un necessario polo di confronto e di verifica entro il mio stesso operare.

 

Mi pare che qui venga espresso tutto quello che ci ha legato per tanti anni. Da parte sua il nostro legame si esprime in queste frasi, da parte mia invece nella dedizione al suo lavoro, con gli interventi che sono raccolti nel volume ovviamente, ma anche con quanto ho detto nelle presentazioni pubbliche dei suoi libri. Ho un grande pacco di note in un cassetto che mi sono servite per queste presentazioni orali.

Tra me e Zanzotto c’è stata insomma una lunga frequentazione, che si è conclusa, alla sua morte, con un mio intervento in chiesa, durante le esequie. Mi era stato chiesto di dire qualcosa e ho quindi parlato, davanti alla bara di Zanzotto, ricordando la nostra lunga amicizia, la nostra lunga complicità.

 

ARP. Grazie infinite Professore.

 

SA. Grazie a lei di avermi permesso di aggiungere qualcosa a quanto già pubblicato, e a quanto lei ha già letto di me. Sono lieto che quanto ho detto possa venire diffuso, non per me ovviamente, ma per l’oggetto della mia attenzione e dei miei interventi.

 

Milano, 26 febbraio 2016

 

 

[1] Andrea Zanzotto, Risposta a Stefano Agosti, in “Ateneo Veneto”, XVIII, n. 1-2, gennaio-dicembre 1980, pp. 170-178.

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