di Mauro Piras

Ho perso una scommessa. O forse no. Gli ultimi giorni di scuola, di fronte ai soliti litigi tra Lega e 5S, tre miei studenti, due di una quinta (Franco e Nicola, nomi di fantasia) e uno di un’altra (Piero, sempre di fantasia), hanno dato per spacciato il governo. Io ho scommesso una birra (a testa) che sarebbe durato almeno fino alla prossima primavera, se non tutta la legislatura. L’anno scorso, con una scommessa simile, avevo fatto un colpaccio. Nel pieno del terremoto post elezioni, avevo scommesso con una classe intera (!) che entro inizio giugno avremmo avuto un governo 5S-Lega. Quando è stato dato l’incarico a Fico i ragazzi avevano iniziato a reclamare le 22 birre. Poi, alla cena di classe, mi sono ritrovato io con 22 birre da bere.

 

Quest’anno le birre in palio sono solo tre, ma non si è ancora capito chi ha vinto. Mentre ero al mare mi sono arrivati i messaggi (“Prepari la birra, prof”), e mi sono dovuto rassegnare all’evidenza di un pazzo che disfa la maggioranza ad agosto non si capisce bene perché. Ma tra ieri e oggi già non si capisce più nulla, e rischio di vincere anche questa volta. Devo dire che a questo punto offrirei anche lo champagne pur di vederli andare a casa tutti e due (i vicepresidenti).

 

Tocca quindi tornare seri, e cercare di capirci qualcosa. Il cittadino italiano è condannato alla tortura, si sa, da almeno venticinque anni, se non dall’inizio della Repubblica: tattica ovunque, manovre complicatissime e imprevedibili, dopo ogni elezione trattative lunghissime per formare i governi, maggioranze di governo in cui si litiga più che all’opposizione, opposizioni che si sparano sui piedi quando la maggioranza si sfascia. Un casino al di sopra delle capacità di resistenza psicologica di qualsiasi retroscenista incallito. Certi giorni ho nostalgia dei “franchi tiratori”, come di figure eroiche di altri tempi. Facciamo quindi piazza pulita di tutta questa intelligenza politica italiana, che si crede superiore solo se spia dietro le quinte, non prende sul serio i problemi seri e le dichiarazioni pubbliche e complica le cose all’infinito, pensando sempre di saperne una più del diavolo e finendo invece in un tunnel di stupidità.

 

Facciamo un’operazione semplice e ingenua. Guardiamo la crisi politica solo dal punto di vista dei principi della democrazia, e vediamo che cosa è meglio fare.

Se il governo viene sfiduciato (se invece Salvini ritira la mozione di sfiducia cambiate lettura, rivolgetevi a uno psicoanalista o a uno scrittore di romanzi rosa, evidentemente quei due si amano), ci sono due ragioni serie per non andare subito al voto.

 

La prima è che la nostra è una repubblica parlamentare, ed è quindi doveroso cercare un’altra maggioranza politica in Parlamento. Tanto più che la legislatura è iniziata solo da un anno.

La seconda è l’emergenza economico-finanziaria: i tempi della crisi rendono quasi impossibile l’approvazione della legge di bilancio e quasi inevitabile l’esercizio provvisorio; il tutto in un quadro di rallentamento dell’economia europea e italiana, con il cappio al collo dell’aumento automatico dell’Iva.

 

Si potrebbe citare anche l’anomalia di un ministro dell’interno che deve fare da garante della campagna elettorale e delle elezioni, essendone parte in causa. Ma questo problema potrebbe essere risolto senza difficoltà nominando un governo che abbia il solo compito di guidarci alle elezioni.

Se si guarda alle due ragioni dette sopra, quindi, ci sono solo tre esiti legittimi della crisi, rispettosi delle nostre istituzioni democratiche:

 

1)  cercare una nuova alleanza politica in Parlamento, cioè costruire una nuova maggioranza per tutta la legislatura;

2) fare un governo di emergenza, che presenti la legge di bilancio e porti poi alle elezioni, entro la primavera del 2020;

3) se non si riescono a fare le prime due cose, votare in autunno, pur con il rischio dell’esercizio provvisorio.

 

I politici e i giornalisti si sono sbizzarriti con formule di ogni genere (governo di transizione, “no tax”, istituzionale, del Presidente, di legislatura ecc.) e con altrettante varianti. Per esempio, c’è chi dice facciamo un governo (istituzionale ecc.) non solo per mettere al sicuro i conti ma anche per fare alcune riforme in uno o due anni, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Questo ragionamento, dal punto di vista della legittimità democratica, è scorretto. Un governo “di larghe intese”, “istituzionale” ecc. che abbia l’intenzione di durare più dei pochi mesi necessari a rimettere in ordine i conti e votare non si può giustificare; un governo del genere sarebbe giustificato solo nel caso di una grave emergenza, come per esempio la crisi finanziaria del 2011, che rischiava di portare l’Italia alla bancarotta; oppure se serve a realizzare importanti riforme istituzionali, da condividere oltre le divisioni politiche ordinarie (come ha cercato di fare, fallendo, Napolitano nel 2013). Adesso non c’è nessuna di queste due condizioni. Quindi un governo che si propone come istituzionale, per durare, è francamente un imbroglio per chi viene escluso.

 

Avrete notato che manca, finora, un argomento che ci ha rintronato parecchio, soprattutto nei giornali “di sinistra”: l’emergenza democratica. Si dice: ma Salvini sta portando l’Italia fuori dalla democrazia, se vince le elezioni la porta sicuramente fuori dall’Europa, imporrà un governo sempre più illiberale, pensate cosa significa se si sceglie il Presidente della Repubblica ecc. Non c’è questo argomento perché è sbagliato. Non è vero che Salvini è “fascista” e che governa o governerà con metodi che distruggono le più elementari libertà democratiche; se invece si vuole dire che il suo sovranismo nazionalista è molto di destra, e ci può portare fuori dalle classiche alleanze europee (come già stava facendo), verso politiche reazionarie su molte materie, che rischia di portarci fuori dall’euro ecc. questo è un giudizio politico all’interno del normale confronto democratico. Se è un giudizio politico si può organizzare una alleanza politica che lo contrasti, e formare una nuova maggioranza in Parlamento; ma non è un governo “istituzionale” o “trasversale” o “di larghe intese” per affrontare un’emergenza (l’“emergenza democratica”), è un governo politico che vuole fermare l’affermazione di una prospettiva politica opposta. Se si spaccia per operazione “neutra” una chiara contrapposizione politica (sulla politica interna, internazionale, europea, economica) non si fa qualcosa a favore della democrazia, ma contro: si distruggono le sue basi di legittimità, perché una parte politica, cioè una parte consistente dell’elettorato, viene considerata come non degna di partecipare al gioco democratico. Questa è la vera emergenza democratica, da circa venticinque anni. Ci tornerò alla fine.

 

Poste queste premesse, le mie simpatie vanno per la prima soluzione (nuovo governo politico) o la terza (elezioni in autunno), meno per la seconda (governo di emergenza finanziaria), per le ragioni che seguono.

È vero che un nuovo centrodestra a trazione Salvini ci porterebbe a scelte politiche ed economiche che rischiano di danneggiare il paese (un po’ meno quelle economiche, in realtà); inoltre, la mancata approvazione delle legge di bilancio, con il temuto aumento dell’Iva, sarebbe un danno grave per tutti. Queste ragioni, insieme al rispetto della democrazia parlamentare, contro le forzature di chi cerca di imporre il voto senza passare per le procedure, spingono a cercare una nuova maggioranza politica in aula. Se ci sono le condizioni di un accordo Pd-M5S, è una via da percorrere. Ora queste condizioni in parte ci sono, per due ragioni: i grillini si sono bruciati nell’esperienza di governo con la Lega, sono deboli e non vogliono farsi mandare a casa dagli elettori, quindi tutto questo li rende più ragionevoli; la seconda ragione è stato l’intervento a gamba tesa di Renzi, spregiudicato e cinico, se volete, ma che ha rotto l’incantesimo dell’impossibilità del dialogo, aprendo un dibattito serio nel Pd. Se non si vuole distruggere il paese e se si vuole salvare quel minimo di legittimità che resta alle nostre istituzioni democratiche, bisogna puntare a un accordo di governo serio, che nasca con l’intenzione di durare tutta la legislatura (poi, il cielo vede e provvede, si sa) e che cerchi di fare riforme serie, in campo economico soprattutto. Da questo punto di vista la strada è tutta in salita, perché i grillini sono inaffidabili, a causa del loro dogmatismo (lo hanno dimostrato in questi mesi, tirando la corda fino a spezzarla), e il Pd è troppo disunito, non ha una visione chiara e muore di tattica, la tattica compulsiva della sua guerra per bande. Ma lo sforzo va fatto, cercando di costruire una visione politica accettabile tra le due parti.

 

Se questa alleanza non si riesce a fare, bisogna andare al voto. Il confronto tra le due posizioni di cui si parla tanto (il sovranismo contro l’europeismo, la chiusura dei porti contro una politica migratoria democratica ecc.) si deve realizzare apertamente nella campagna elettorale. E va messo da parte lo spauracchio dell’esercizio provvisorio di bilancio. Se non si riesce a votare la legge di bilancio, si può sempre organizzare un esercizio provvisorio intelligente, sterilizzando prima le clausole di salvaguardia (l’aumento dell’Iva) per i primi quattro mesi del 2020. Questo punto è molto importante, perché riguarda la vera emergenza democratica.

 

L’emergenza democratica che vivono le democrazie liberali occidentali da più di un decennio ha due cause: il prevalere dei vincoli economici sui principi democratici, e la chiusura delle classe dirigenti rispetto alle aspettative dei cittadini. Entrambe si riassumono in una guerra aperta contro l’establishment, nella contrapposizione semplicistica popolo contro élite. L’élite è quella del capitale finanziario che delocalizza, si arricchisce sulle spalle della povera gente, blocca i meccanismi democratici quando va contro i propri interessi; l’élite è quella parte della classe politica che in nome dell’emergenza democratica impedisce ai cittadini di votare quando rischia di perdere.

 

Queste ultime frasi riassumono un modo di sentire molto diffuso, che troppo facilmente viene liquidato come populismo, ma che è in realtà una profonda disaffezione nei confronti della democrazia liberale, causata da meccanismi sistemici e da chiusure e inadeguatezze di classi politiche e dirigenti tradizionali. In Italia questa crisi di legittimità è aggravata da una crisi più antica e più profonda, quella del sistema politico che dopo la fine della “prima Repubblica” non è ancora riuscito a trovare il suo equilibrio. E non è riuscito a trovarlo anche perché forse troppo spesso si è fatto ricorso allo strumento del “governo del Presidente”, “governo istituzionale” ecc., impedendo che l’assestamento del sistema politico avvenisse nel suo luogo naturale, cioè nel voto.

 

In conclusione: la soluzione 1, nuova maggioranza politica in Parlamento, è ben difficile da realizzare, ma se si apre la crisi (per ora il governo è ancora in carica) è una via da percorrere; se non si riesce, ben venga la soluzione 3, elezioni in autunno, senza paure e grida di allarme sulle emergenze economiche o democratiche, ma anzi pensando che le elezioni possono essere una risposta alla profonda crisi di delegittimazione della nostra classe politica.

(Firenze, 16 agosto 2019)

6 thoughts on “Due tre idee banali su una crisi politica folle

  1. Scusi ma con tutte le campagne contro l’uso dell’alcool che si fanno a scuola lei offre birre agli studenti? E le scommesse? Non le sembra diseducativo?

  2. Grazie della citazione ahaha. Io sono abbastanza negativo su come andrà a finire, perché vedo difficile un’alleanza M5S con PD in quanto hanno opinioni diverse e finirebbero per fare la stessa fine di M5S e Lega. Allo stesso tempo però se si torna alle elezioni si ripresenta lo stesso problema iniziale: non ci sarà una maggioranza assoluta e dovrà di nuovo formarsi un governo con delle alleanze che finiranno per sfasciarsi e tornare al punto di partenza. L’unica soluzione per un’Italia che funzioni, secondo me utopica, è che il Presidente del Consiglio si liberi dai paraocchi dei singoli partiti e trovi le soluzioni migliori per l’Italia prendendole da tutti i partiti, come in parte ha fatto Conte nell’ultimo periodo. Lasciando da parte queste considerazioni, credo che adesso se Salvini va fino in fondo con la sfiducia (anche perché se non va fino in fondo perde del tutto di credibilità) si formerà una sorta di governo tecnico come era successo con Monti, in modo da ultimare la legge di bilancio e di andare al voto in primavera.

  3. Due precisazioni che non riguardano l’analisi dell’attuale crisi, o presunta tale. 1) Dopo il 1993 non si è formato un sistema stabile non a causa dell’intrusione di “governi del Presidente” ma per l’incapacità di tutti i protagonisti. 2) Il famigerato distacco tra élite ed elettori è causato principalmente dalla crisi della democrazia rappresentativa che è crisi dei partiti. Si tratta di una crisi che non si cura con l’ammuina dei Masanielli, mi si passi l’espressione, ma rinnovando il sistema rappresentativo, tenendo presente che senza una élite di rappresentanti competenti ci si ritrova nei guai ben presto. E’ appena il caso di precisare che questi sono soltanto i titoli di un ragionamento che abbisognerebbe di maggior spazio. Prima puntata.

  4. Se con con un quasi monocolore Salviniano uscissimo infine dall’euro (ma figurarsi…) accetterei anche lo svolgersi di qualche meeting a Verona sulla famiglia…

  5. Caro Mauro, intanto grazie per la tua riflessione come sempre estremamente stimolante. In questi ultimi tempi, complice anche la mia (salutarissima) assenza da FB, non ho avuto modo di conversare in rete sulle questioni di attualità. Questo tuo intervento è una piacevole occasione per interrompere momentaneamente il digiuno!
    Prima di provare a sviluppare un commento al tuo articolo una nota, per così dire, “esistenziale”. Il dialogo e il confronto teorico sul presente, anche condotto da punti di vista molto distanti quali sono i nostri, è un bene prezioso. Forse il bene supremo per chi prova a pensare il proprio tempo senza lasciarsi travolgere dal pur inevitabile posizionamento che, tuttavia, non deve avere l’ultima parola. Quindi ancora grazie per l’impostazione oltre che per il tono del tuo intervento.
    Divido il mio commento in due punti. Il primo per mettere in luce gli aspetti della tua analisi rispetto a cui, come probabilmente immagini, non concordo ed un secondo punto in cui – partendo dalla parte del tuo intervento su cui concordo integralmente – proverò a portare avanti di qualche passo l’analisi.
    1. Tu – come la stragrande maggioranza della stampa e dei media – giudichi, fin dal tuo titolo, “folle” la crisi di governo cui stiamo assistendo. Non c’è dubbio che in questo momento “grande è la confusione sotto il cielo”: la personalizzazione e la mediatizzazione della politica (che in Italia hanno però già una lunga storia) esasperano il tatticismo insieme al possibilità di rapidissimi mutamenti di linea. In assenza di solidi partiti come corpi intermedi, a decidere le linee politiche pochissimi leader e in tempi rapidissimi, esasperando ovviamente il tatticismo. Tuttavia la storia della Repubblica (soprattutto della “prima repubblica quando, a mio giudizio, il sistema politico era più vicino allo spirito e alla lettera della Costituzione del ’48) è fatta per intero di questo tipo di crisi di governo. Lunghe trattative, cambi di fronte, crisi di governo tattiche e rimasti di ogni tipo. Io ritengo che si tratti, nonostante gli evidenti limiti e gli altrettanto evidenti rischi, di prassi politiche perfettamente compatibili con il dettato costituzionale e anche del tutto aderenti al principio della sovranità popolare. L’ubriacatura maggioritaria e presidenzialista della seconda repubblica (insieme alla apoteosi dei governi dei tecnici e dei competenti) ha convinto molti italiani, con la complicità di una cultura e di una stampa né libera né indipendente, che la sovranità popolare che si esprime nel parlamentarismo e nella politica dei partiti sia l’anticamera del regime. Io non sono fra questi. L’istituto della fiducia parlamentare, concessa e ritirata dalle forze politiche, è l’essenza della democrazia rappresentativa a suffragio universale. Almeno finché viviamo in una repubblica parlamentare. Se un governo è sostenuto da una maggioranza fatta da una coalizione di forze eterogenee, è inevitabile e salutare, oltre che perfettamente coerente con il dettato costituzionale, che esso entri in crisi quando non c’è più accordo politico fra i partiti che lo sostengono. L’instabilità politica certo può essere un problema, ma non si può risolverlo a spese del parlamentarismo. Non è neppure sensato lamentare troppo il fatto che le crisi non sono immediatamente parlamentarizzate. Così è sempre stato e le trattative fra le forze politiche, prima degli appuntamenti istituzionali, in vista della formazione o dei “rimpasti” di governo come pure prima di una seduta parlamentare che può o meno condurre allo scioglimento delle Camere non violano alcun principio costituzionale e sarebbe bene che questo ai cittadini italiani venisse detto chiaro e tondo da tutte le forze politiche. Registro che così non è e che un po’ tutti tendono ad accreditare l’idea che queste “lentezze” e questi “tatticismi” acuirebbero la crisi delle istituzioni, che certamente c’è ma che ha poco a che fare con questi aspetti e molto di più con quelli che, giustamente, sottolinei tu nella seconda pare del tuo articolo.
    Per quanto riguarda invece l’interpretazione della attuale situazione di crisi io non mi sento di condividere lo stigma di “follia” che anche tu attribuisci alla situazione. E non certo perché siano stati prima Di Maio e poi Renzi ad usare questa espressione… anche se, dal mio punto di vista, non concordare con Di Maio e Renzi è sempre una buon viatico ad una corretta impostazione dell’analisi.
    Non credo che ci sia nulla di particolarmente “folle” nella scelta della Lega di mandare in crisi il governo nell’ultimo momento utile per avere fra le opzioni possibili anche le elezioni in autunno per un motivo per così dire “strutturale”. A me le cose appaiono abbastanza chiare e lineari e credo che abbiano a che fare essenzialmente con il posizionamento europeo dei 5Stelle e soprattutto con l’impossibilità, nelle condizioni date, di realizzare una manovra in deficit intorno al 3% che è il cuore della strategia economica della Lega e che è vitale per mantenere un solido radicamento nella propria base elettorale di riferimento. Questo obiettivo economico primario spiega perfettamente anche le eventuali “retromarce” di Salvini che possono essere giudicate una “sconfitta” solo se non si comprende il quadro o se si è in malafede. Una manovra in deficit che resti dentro i parametri dei trattati ma che non accetti la loro interpretazione consolidata da parte della Commissione (ossia il calcolo del deficit consentito sulla base dell’output-gap… su cui bisognerebbe aprire una discussione a parte visto che, quello sì, rappresenta una follia macroeconomica che tuttavia ha dietro di sé molto metodo) conduce dritto alla messa in questione delle regole europee senza necessariamente rompere l’eurozona ma, certo, contemplando la possibilità della sua dissoluzione. Ora io, per ragioni sia politiche che di teoria macroeconomica (che abbiamo discusso spesso e che qui non ha senso neppure tentare di chiarire per cenni) considero questa posizione della Lega rispetto al deficit e quindi rispetto all’impianto complessivo dei Trattati la cosa migliore del panorama politico italiano da molti anni a questa parte. La mia convinzione è ancor più rafforzata dal fatto che ci troviamo in un momento politico e in una situazione economica in cui, in tutti i principali paesi dell’eurozona, la discussione sulla disfunzionalità del sistema è aperta e accelerata dai segnali di recessione che vengono anche dal cuore dell’eurozona. Ma del tutto indipendentemente da questo mio giudizio, se si assume come guida per l’analisi questa intenzione fondamentale che peraltro non è stata mai nascosta da Salvini e dagli uomini che si occupano di economia nella Lega, tutto diventa non dico chiaro, ma certo molto meno confuso e certamente niente affatto “folle”.
    L’altra cosa su cui non concordo (ma in questo caso si tratta di un aspetto per così dire quasi-fattuale almeno per quanto possono esistere “fatti politici”) è che saremmo in presenza di una “emergenza economico-finanziaria”. Se con questo intendi che siamo in attesa di un aggravamento del quadro recessivo già evidente nell’economia europea (legato principalmente ai conflitti commerciali che caratterizzeranno sempre più il prossimo futuro e che sono il sintomo di un “ripensamento” della globalizzazione) allora non ho nulla da obiettare. Ma quando parli di “conti da rimettere in ordine” tendi a sostituire una legittima opzione economico-politica (rispettare pedissequamente i vincoli dei Trattati e non aprire un fronte di scontro con la Commisione pagando i prezzi che questo comporta ma anche capitalizzando i vantaggi connessi all’aumento del deficit) con una descrizione neutrale della situazione economica italiana.
    C’è per la verità anche un altro passaggio del tuo testo che mi pare poco coerente con l’impostazione complessiva dell’articolo che invece, come risulterà chiaro dal seguente punto nr.2, mi vede pienamente concorde. Non capisco infatti su quale basi di teoria costituzionale e di prassi politica un ministro dell’interno che è parte in causa della contesa elettorale non dovrebbe essere adeguato a garantire la correttezza della campagna e delle procedure elettorali. Così è sempre stato e davvero non vedo altro motivo per sollevare una simile questione se non il fatto che Matteo Salvini è un avversario politico che si intende contrastare in nome, non di uno scontro politico aperto, ma di una presunta superiorità democratica.

    E queste tue due “incoerenze” mi portano al secondo punto del mio commento in cui invece devo evidenziare il mio pieno accordo con la tua impostazione. A mio avviso si tratta anche della parte fondamentale del tuo articolo perché, con coraggio, provi a sgombrare il campo da una serie di equivoci molto diffusi nella cultura della sinistra liberale. Equivoci in cui – temo – non sempre si cade in perfetta buona fede.

    2. Concordo totalmente, dunque, sulla parte centrale del tuo testo: gabellare per una neutrale operazione di emergenza democratica una chiara e legittima opzione politica e rifiutare di conseguenza il confronto di merito con il proprio avversario, squalificandolo come “non democratico” sarebbe esiziale per la stessa democrazia e perfino per lo stato di diritto. Se su questo aspetto concordiamo integralmente si tratta ancora però di provare a spiegare quali siano le ragioni per cui, con tutta evidenza, una buona parte degli oppositori politici di Salvini, nel PD e fuori, sembri non poter resistere alla tentazione di assumere esattamente questa posizione che potremmo chiamare “emergenzialista” o – con un termine per la verità già usato nel dibattito politico – di “fronte repubblicano”.
    Fra le molte ragioni (di natura teorica, storica e persino psicologica) che si potrebbero invocare, provo ad evidenziare una ragione tutta politica che rende così forte l’impulso a cedere alla tentazione che tu invece molto giustamente stigmatizzi. Accettare un confronto politico per così dire normale con il “sovranismo populista” che la Lega (strumentalmente o meno questo qui è irrilevante) assume come proprio riferimento significa per la sinistra liberale e anche per la socialdemocrazia europeista ammettere un colossale errore o, forse peggio, confessare un tradimento politico. Significa infatti ammettere con il proprio elettorato che la linea del “non ci sono alternative all’europeismo”, la linea per cui “la globalizzazione non può essere frenata ma solo gestita” e soprattutto la linea che ha invocato per anni come positiva e salutare “la fine del ruolo degli stati nazionali” era una linea politica piena di rischi e comunque niente affatto obbligata. Il che significa accettare di scendere sul terreno della analisi degli interessi di classe e del loro conflitto, come pure mettere al centro il conflitto fra interessi nazionali diverse e quindi ammettere che, per essenza, il progetto di unificazione europea non poteva essere neutrale rispetto agli interessi geopolitici e di classe e quindi non poteva e non può essere nell’interesse diobbligat
    Questo a mio avviso è un prezzo molto salato da pagare e non credo affatto che la classe dirigente del PD sia disposta a pagarlo.

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