di Mauro Piras
Finalmente si è aperta la crisi di governo. Dopo dodici giorni di chiacchiere sul nulla e di manovre tattiche estenuanti, quasi sempre incomprensibili, abbiamo qualcosa di chiaro e solido: il governo si è dimesso, dopo un dibattito parlamentare in cui le posizioni si sono delineate molto più chiare di quello che, forse, volevano inizialmente tutte le parti. Grazie anche alla nettezza del discorso di Conte, che ha costretto Salvini ad alzare i toni (tranne i patetici tentativi finali di lasciare qualche spiraglio aperto) e le altre forze a posizionarsi sulle opzioni in campo: elezioni, governo “istituzionale”, governo politico ecc. E grazie anche alla replica ancora più dura dello stesso Conte, che ha chiuso la porta in faccia a ogni tentativo di ricucire con la Lega. Il comunicato serale di Zingaretti, da parte del PD, ha aggiunto un ulteriore elemento di chiarezza: se si tratta per un nuovo governo parlamentare, sarà su basi di forte discontinuità, non potrà essere un Conte bis, e alcuni contenuti posti dal PD (europeismo, politica migratoria) non potranno essere aggirati.
Infine, come è ovvio è entrato in gioco il Presidente della Repubblica, fin qui giustamente rimasto in silenzio: accettando subito le dimissioni di Conte e imponendo un calendario di consultazioni molto stretto ha fatto anche lui una mossa politica. Ha cioè ristretto il campo a sole due opzioni: un governo con una forte base parlamentare, o le elezioni. Nel linguaggio di questi giorni: o governo di legislatura, o voto subito. Senza perdere tempo in tatticismi.
Adesso, finalmente, si può parlare davvero delle opzioni in campo. Se ne può parlare cioè dal punto di vista della politica che piace tanto all’elettore italiano, un misto di furbizia, tattica e vaghe visioni generali (strategiche, si dice), senza tenere conto dei principi democratici. Anche io quindi lascerò da parte (a malincuore) il punto di vista dei principi (di cui ho parlato qui), per guardare le cose rasoterra, ovviamente dal punto di vista della sinistra (parlamentare).
Vediamo le opzioni in campo.
1) Elezioni subito. Se si vota subito è un disastro, si dice spesso nell’area di centrosinistra. Perché Salvini gode di un grande consenso, rischia di stravincere, portando il paese sulle posizioni della destra illiberale antieuropeista, chiudendo i porti agli immigrati, portandoci fuori dall’alleanza atlantica; c’è l’aumento dell’Iva che incombe, non riusciremo a fare in tempo la legge di bilancio, e comunque un governo Salvini la farebbe mettendosi contro l’UE, e quindi aggravando la situazione dell’economia italiana. Inoltre, si dice, andare a votare subito significherebbe sostenere Salvini in questa sua dissennata manovra politica, irrispettosa delle procedure. Tutti questi sono argomenti solidi per cercare una via d’uscita in primo luogo parlamentare, soprattutto l’ultimo, dal momento che se il regime politico è parlamentare non si può imporre il voto subito sulla base del tatticismo spericolato di una parte.
Tuttavia, dopo i passaggi estivi della “pre-crisi” e quelli di ieri della crisi in aula, forse bisognerebbe vedere le cose diversamente. Intanto, si è capito che la Lega non può andare a vincere da sola con Fratelli d’Italia, ma ha bisogno anche di Forza Italia. Questa ha fatto interventi durissimi contro Conte, schierati a favore del voto subito. Certo, ora si dice nei retroscena che Forza Italia è divisa, che forse alcuni vorrebbero sostenere un governo istituzionale. Ma non è la posizione dominante. E se la Lega vuole fare un governo forte ha bisogno di mettere insieme tutto il centrodestra. Questo vorrebbe dire avere molte più possibilità di vincere, certo, ma allora quel governo non sarebbe così antieuropeo e illiberale come si dice. Sarebbe più annacquato. E infatti, al di là dei toni aggressivi, Salvini sta facendo la sua campagna elettorale (l’ha fatta anche ieri in Senato) soprattutto sui temi dello sviluppo, del rilancio dei cantieri e dell’economia, della riforma fiscale ecc.
Ancora: dopo gli errori tattici di Salvini nella gestione di questa crisi, che l’hanno costretto più volte a fare retromarcia, a mostrarsi indebolito, chi dice che l’esito delle elezioni è così scontato? La sinistra ha da sempre il riflesso di dare per persa la partita in anticipo, una buona scusa per non lottare. Invece tutta questa vicenda estiva forse sta smuovendo la situazione, e forse la partita è più aperta di quanto sembra. Ci si attacca ai sondaggi come se fossero le tavole della legge, ma dai sondaggi mancano spesso moltissimi indecisi che poi, al momento del voto, decidono. Inoltre, il risultato delle elezioni europee blocca la sinistra come un macigno, ma si dimentica che le europee sono il tipico voto in cui l’elettore italiano “si sfoga”, vota chi gli pare per protestare contro altri. Quando si tratta di formare un governo il voto funziona diversamente.
Infine, c’è il problema dei Cinquestelle. Con la svolta renziana, che ha portato buona parte del PD a sostenere un governo parlamentare, il centrosinistra ha fatto l’errore di giustificare la visione grillina della crisi: la crisi è stata aperta da Salvini, tutto andava più o meno bene prima. Non è affatto vero. La crisi è stata causata anche dalla totale inaffidabilità dei grillini. I retroscenisti superintelligenti sottovalutano troppo l’impatto del voto in aula sulla TAV, che invece è un segno importante di che cosa significa governare per i grillini: quando vengono sconfitti, perché una loro posizione è fuori dalla realtà, non esitano a votare contro il proprio governo (o a uscire dall’aula), pur di far vedere ai propri elettori che loro restano “puri”. Questo atteggiamento, la tendenza a non rispettare la grammatica del compromesso politico, li rende del tutto inaffidabili. E si è visto anche ieri, nei patetici interventi in aula. Bene, il PD dovrebbe fare un governo con un gruppo politico così volubile, così inaffidabile, pronto a sollevare problemi su qualsiasi cosa? Le elezioni, invece, ne ridurrebbero il peso: se il PD si gioca bene la partita, può recuperare voti, mentre il M5S potrebbe essere fortemente ridotto. E questo permetterebbe di impostare, in Parlamento, un confronto sano tra centrodestra e centrosinistra, riducendo l’anomalia del costante ricatto dei grillini. Che invece sarebbe forte nel Parlamento attuale, in cui hanno la maggioranza relativa, mentre il PD è molto più debole.
2) Il governo istituzionale. Sulla carta, sarebbe la soluzione migliore per il centrosinistra, da un punto di vista strettamente tattico (cioè, ai miei occhi, troppo rasoterra). Verrebbe incontro alle esigenze dell’emergenza finanziaria, Iva e legge di bilancio, però non sarebbe ridotto a pochi mesi, cosa che rafforzerebbe inevitabilmente Salvini e porterebbe al disastro elettorale tutte le forze che governano in quei pochi mesi. Sarebbe un governo che, mettendo insieme più forze oltre il recinto PD-5S, cioè in soldoni anche FI, avrebbe una base più ampia per attutire i contraccolpi inevitabili del confronto con i grillini. Potrebbe quindi affrontare diversi temi, sia economici che politici o istituzionali. Ho già scritto (qui) che non sarebbe molto giustificato dal punto di vista dei principi democratici, ma ora ne parlo solo in termini di tattica. Questo governo sembra avere poche speranze, per due ragioni. La prima è che è necessario il consenso di Forza Italia, e per il momento non c’è. I giornalisti continuano a dirci che FI è divisa, che una parte vuole trattare ecc. Sarà vero, ma ieri non si è visto neanche uno spiraglio. Nonostante, in teoria, Forza Italia rischi di perdere voti e seggi, sembra determinata ad andare al voto. Forse perché, meglio della sinistra, ha capito che c’è un elettorato moderato che vuole la svolta a destra, ma non così estrema come quella di Salvini. C’è un elettorato che, se lasciato orfano, vota Salvini o non vota, ma che una posizione di destra più moderata potrebbe intercettare, ridimensionando Salvini (tra parentesi, forse il PD potrebbe iniziare a pensare anche a quella parte di elettorato moderato che si sente orfano e che non vuole votare Salvini né Forza Italia, ma non vuole neanche un PD che si allea con i grillini). Insomma, per il momento la disponibilità di Forza Italia al governo istituzionale proprio non si vede. Da qui deriva il secondo ostacolo: a quanto pare, il Presidente della Repubblica ritiene percorribili solo due opzioni, governo di legislatura o voto. E questo ovviamente sulla base del dibattito in aula e della necessità di non perdere tempo. L’opzione del governo istituzionale sembra chiusa, a meno che Forza Italia non faccia una improvvisa giravolta e domani alle consultazioni dia la sua disponibilità ad allearsi con il PD in aula. Vedremo, ma mi sembra molto, molto improbabile.
3) Il governo di legislatura. Questa sembra la soluzione più probabile. Curiosamente però, perché è anche la più difficile da realizzare. Nel gergo di questi giorni, “governo di legislatura” vuol dire una alleanza politica tra PD e M5S, che trovi un accordo sui punti comuni dei loro programmi politici e cerchi di governare fino alla fine della legislatura. Senza il sostegno di Forza Italia, perché vorrebbe essere una sorta di nuovo “centrosinistra” (sempre tra parentesi, faccio notare che in questi passaggi il M5S sta diventando il nuovo centro del sistema politico italiano). La Direzione nazionale del PD di oggi ne ha posto le basi, una sorta di programma di governo: difesa dell’UE e dell’europeismo; pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa; nuovo modello di crescita fondato sulla sostenibilità ambientale; una svolta profonda nella gestione dei flussi migratori; una svolta nelle politiche economiche e sociali in chiave redistributiva. Le condizioni per far nascere questo governo sono molto difficili da realizzare. È necessario un passo indietro di buona parte dei dirigenti M5S, forse tutti quelli che hanno avuto incarichi di governo. Di Maio deve togliersi dalla scena. Ed è necessaria una forte svolta istituzionale da parte loro: accettare la cultura del compromesso politico, e lavorare seriamente per realizzare degli obbiettivi che in realtà non sono così condivisi come sembra dalle dichiarazioni edulcorate degli ultimi giorni.
In generale, però, sembra l’uscita più ragionevole dalla crisi. Permette di risolvere le emergenze più gravi (Iva, legge di bilancio), senza far pagare prezzi elettorali insensati, perché non si torna al voto presto; e soprattutto dà un quadro di stabilità. Verrà certo attaccato dalla Lega come “il governo degli sconfitti”, ma non potrà essere spacciato per una alleanza di tutti contro la Lega (come il governo “istituzionale”) e se darà dei risultati potrà far sgonfiare il fenomeno Salvini e dare la possibilità alla forze in gioco di ridefinirsi. Perché è evidente a tutti che questa soluzione viene anche incontro a delle esigenze del tutto interne tanto del PD quando dei 5S: evitare di andare a farsi massacrare alle elezioni; ricostruire il rapporto con le proprie basi elettorali; ridefinire la propria collocazione nel quadro politico. Quest’ultimo punto riguarda soprattutto il PD (anche i grillini, perché in tutte queste storie la loro identità si sta slabbrando, e dovranno capire se ritornare alle origini movimentiste antisistema o ridefinirsi come nuovo centro). Il PD infatti non ha ancora risolto i propri problemi interni. Continua il conflitto tra gli “zingarettiani” e i “renziani”, usando le etichette di comodo dei giornali, che però si è rovesciato di segno. Si dice che Zingaretti vuole le elezioni per mettere i suoi in Parlamento, e Renzi non le vuole per tenerci invece i suoi (con un incredibile rovesciamento dei fronti nei rapporti con i grillini); si dice che Renzi sarebbe una minaccia continua per questo nuovo governo, perché lo terrebbe sotto ricatto, dal momento che dipenderebbe dal voto dei “suoi” parlamentari; si dice però anche che Renzi ha bisogno di tempo per organizzare le sue truppe ed eventualmente uscire dal partito, per questo non vuole le elezioni. Tutte queste cose e altre ci vengono offerte dai nostri giornalisti-retroscenisti ossessivi, creando una gigantesca confusione nella mente dei lettori-elettori. Facciamo un po’ di pulizia, richiamandoci non ai principi (no, quelli no, mai, è buonismo), ma a una visione del sistema politico italiano.
Il problema è capire che tipo di sistema politico un partito come il PD auspica, per se stesso e per l’Italia. Io credo che la cosa migliore sia cercare di riportare il sistema a una forma di bipolarismo centrodestra-centrosinistra. Per fare questo bisogna approfittare dell’indebolimento dei 5S. Se si va al voto, come detto, bisogna lottare per prendere voti tanto a sinistra, visto il fallimento dei grillini, quanto nell’area moderata. Se si fa il governo istituzionale, resta al PD il problema della propria identità interna. L’alleanza rischia di spingerlo da un lato (Zingaretti, per semplificare) e rischia quindi di portare all’uscita dell’altro lato (Renzi), dopo un certo periodo. Il problema è di sistema: bisogna chiedersi se è un bene per il centrosinistra che avvenga una cosa del genere (come molti, ma spesso nemici del PD, auspicano da tempo), o se invece è meglio continuare a far vivere un partito grande come il PD, che deve ospitare e mediare anime diverse. Io sono per quest’ultima soluzione, e penso che il partito andrebbe rafforzato, forse riorganizzato, ma non per rinnegare il proprio passato, bensì per garantire un funzionamento normale, come avviene in tanti altri paesi: un alternarsi alla guida del partito di maggioranze diverse. Se vi fosse un po’ di visione di lungo periodo, il governo di legislatura con i 5S potrebbe essere l’occasione per affrontare questa collocazione e dargli una risposta, anche nel confronto aperto, perché no?, con l’eventualità che Renzi voglia lasciare il partito. Diciamo che una volta avviato il governo, il PD potrebbe iniziare a riflettere seriamente su se stesso.
Oppure potrebbe farlo, nell’emergenza, nel confronto elettorale. Nelle scelte per la campagna elettorale. L’importante è capire che questo problema non può più essere aggirato.
(Firenze, 21 agosto 2019)
Condivido la tesi che le elezioni anticipate non avrebbero come risultato più probabile la vittoria del centrodestra, con FI ruota di scorta. Il PD dovrebbe fare una campagna elettorale proponendosi come federatore di tutta l’area del centrosinistra, aprendo le liste ad esterni, presentandosi come l’unico argine credibile a quel concentrato di miseria morale e analfabetismo politico che é stato il governo testé defunto. La possibilità di un accordo di legislatura “serio” tra Pd e M5 é molto bassa. Circa, poi, Pd e sistema politico, va considerato
quanto segue 1) Un sistema elettorale proporzionale può ben funzionare se le forze politiche “non coalizzabili”, estreme, raccolgono non più del 5/6% dei voti, altrimenti sono guai. Occorrono poi partiti strutturati, e qui le note sono dolenti. Il Bipolarismo in Italia c’è stato in grande parte per la presenza del signor B , poi arrivato il signor G , un altro prodotto televisivo, e il Bipolarismo é finito. Tornerà? Forse, se M5 scenderà al 10% o diverrà qualcosa di politicamente diverso, non sappiamo quando e come. Sul Pd come tale ci sarebbe un discorso parte, troppo lungo per un commento.
Speriamo che si voti subito, che il PD, quale che sia la forma della sconfitta, perda, e che infine persone di buona volontà come Piras capiscano che il bipartitismo non è altro che l’anticamera al monopartitismo. (vedere Canfora: “L”Europa ce lo chiede), dal quale deo gratia i 5 stelle ci hanno salvato. Ma forse è proprio il monopattino che vogliono. Che poi è l’europeismo, , parola usata per dire si decide tutto a Bruxelles, per quanto distastrose, siano state le decisioni prese nell’ameno loco, e tutti zitti. Comunque il PD resterà al 20, massimo il 22. Quello che Piras non sembra voler capire è che questa soglia, la stessa di Macron in Francia, è in gran parte economica ed è stata generata dalle stesse politiche del PD, più globalmente da quelle UE. È la storia del cane che pensa di essere un gatto convinto che gli altri gatti non se ne accorgano.
Ma lei, Filou, perché non vota Salvini?
Caro Mauro, rispetto al tuo articolo precedente che ho commentato con piacere, questa tua riflessione stimola molto meno il mio interesse soprattutto perché esplicitamente dedicata alle opzioni politiche immediate (e alle prospettive di medio periodo) a disposizione del PD, il cui destino elettorale e il cui futuro mi interessano davvero molto poco. Come sai sono convinto che dalla parte politica che è, in qualche modo, anche la tua, non possa venire assolutamente nulla che io possa giudicare utile per invertire il lento declino economico dell’Italia. Tuttavia ho letto con attenzione il tuo discorso anche perché, a quanto sembra probabile, il prossimo futuro politico ed economico dell’Italia dipenderà dalle scelte del PD nella gestione di questa crisi. Mi limito a ribadire che a mio giudizio la linea di faglia della politica italiana passa per la “questione europea”. La premessa è, ovviamente, che la UE è essenzialmente e a dispetto della ingegneria istituzionale di superficie un sistema politico intergovernativo e che quindi ogni evoluzione (in qualsiasi direzione, anche in quella di una maggiore integrazione, che io giudico naturalmente come il male maggiore) dipende dalle scelte dei governi dei paesi che hanno il peso economico e politico maggiore. L’Italia è indiscutibilmente fra questi. Dal mio punto di vista ogni alleanza di governo che non prenda in considerazione, come seria opzione politica, la possibilità di aprire uno scontro con la leadership franco-tedesca della UE volta almeno a riscrivere integralmente le regole della govornance della moneta unica e a rivedere l’impianto complessivo dei trattati istitutivi dell’Unione, è esiziale. Perché ciò possa avvenire è necessario che la possibilità di una dissoluzione dell’eurozona sia presa in seria considerazione anche approntando tutti i necessari strumenti tecnici per evitare che si tratti solamente di un ridicolo bluff. Il governo gialloverde è stato incapace di andare decisamente in questa direzione. Se non abbia potuto o non abbia voluto e per responsabilità di quali componenti politiche e istituzionali sarebbe oggetto di una interessante discussione interpretativa, che però al momento è irrilevante. Di conseguenza una alleanza di legislatura che abbia al suo primo punto (come tu dici) la “difesa dell’europeismo” per me è indiscutibilmente un nemico politico. È possibile che la necessità di evitare una evoluzione più decisamente anti-europea del quadro politico italiano spinga la Francia e la Germania ad essere più condiscendenti con la oggettiva necessità italiana di fare un po’ più di spesa pubblica in deficit per non cadere in una nuova recessione che danneggerebbe tutta l’Europa. Se così fosse (cosa di cui non sono affatto certo, perché la logica economica su cui sono state costruite le regole europee è Intrinsecamente deflazionista) sarebbe comunque un bene. Si tratterebbe certo solo di una “catena un po’ più lunga” ma significherebbe che almeno l’esistenza di un “sovranismo” italiano è servita a qualcosa.
Caro Piras, rispondere: “perché lei non vota Salvini” è argomento da facebook. Ciò detto, la lascio libero di sognare un PD al 40% (un hapax, causa contingenza eccezionale e in elezioni particolari come quelle europee), che vive dell’antisalvinismo come visse dell’antiberlusconismo, in realtà mostrandosi, alla resa dei conti, ben peggiore del nemico. In questo quadro è legittimo sognare di alleanze coi 5 stelle che finiscano come quelle con Rifondazione, perché Prodi non volle fare le 35 ore, e che le narrazione piddina ha mutato in “quello sciagurato di Bertinotti ha consegnato il paese a Berlusconi”, il quale ha così potuto fare la guerra in Serbia, abolire l’articolo 18 e provare a fare la riforma del senato. Ah no, non è stato lui. Con una differenza da allora: al PD come partito dei più poveri non crede più nessuno e con almeno il 75% degli italiani -e degli europei- più povero di quanto non fosse 10 anni fa la cosa si traduce nella seguente constatazione: PD Veltroni (eppure era il più inetto)= 34%; Pd Renzi (eppure è il più carismatico)= 20%.
Analisi politica approfondita e condivisibile. Si spera sempre tutti in un’Italia migliore, quella in cui i governi sappiano davvero amministrare e operare nell’interesse comune. Lo spazio di un’utopia possibile.
P.S. sottoscrivo in pieno quanto dice Mauro Pellegrini. Sono sbalordito che molti, e non parlo solo del signor Piras, ragionino come se fossimo nel 1998 e non fosse oggi molto più chiaro cosa UE vuol dire. In effetti il vero fulcro della questione
Non conosco i lettori Filou e Pellegrini, tuttavia dalle considerazioni convergenti si comprende, mi pare, come la loro posizione possa essere definita, con la necessaria semplificazione del caso, “antieuropeismo di sinistra”. E’ un punto di vista con origini antiche e nobili, per così dire: se ben ricordo il PCI nel ’57, Trattati di Roma, e fino alla metà degli anni Sessanta, fu molto critico verso il MEC, parlando di “Europa dei monopoli”. Che oggi un tale orientamento possa avere esiti politici concreti, e non negativi per l’Italia, ritengo sia estremamente difficile, e non si tratta di un giudizio sulle intenzioni dei lettori, niente di personale. Quando erano fuori dal mercato delle merci e dei capitali l’URSS e la CINA, il nostro paese poteva “fare da sè”, in una Europa degli anni Settanta, tanto per fissare un riferimento temporale, dove il grado di integrazione era ben lontano da quello attuale. Da quando l’economia è divenuta effettivamente mondiale, nessun paese europeo, compresa la Germania, potrebbe agire in proprio, compresa l’emissione di una autonoma valuta. Il sottoscritto non è un economista ma i pareri maggioritari dei più competenti, intendo gli economisti, sono concordi con quanto affermo. Ciò non toglie che i due lettori potrebbero replicare affermando che si tratta della solita riproposizione del “pensiero unico” e la discussione diverrebbe un dialogo tra sordi, almeno considerata dall’esterno. In ogni caso, spero di aver fornito un piccolo contributo analitico. Alla prossima puntata.