di Mariangela Caprara
Ieri sono stata al cinema con i miei figli a vedere il nuovo “Re Leone”, spettacolare remake di quello che avevo visto al cinema nel 1994. Lo avevo visto al mio paese, in Puglia, con mio fratello e altri ventenni con cui andavamo a vedere tutti i film Disney di quegli anni perché ci piaceva, malgrado l’età, e naturalmente lo conosco a memoria, come i miei figli, per averlo visto, rivisto, stravisto in DVD, a casa.
Ieri al cinema erano riunite diverse generazioni. Nonni, genitori, bambini di varia età, ma anche giovani che erano bambini negli anni Novanta.
L’inizio del film è un capolavoro assoluto, col sole arancione gigante che sorge sulla savana, per pochi secondi nel silenzio totale; poi si leva un grido canoro che fa sobbalzare, e parte una traccia musicale africana che scandisce le prime scene di paesaggio e poi diventa la canzone Il cerchio della vita, nel primo film cantata da Ivana Spagna. Ieri al cinema, con qualche secondo di anticipo rispetto alla pellicola, un bambino si è messo a riprodurre il grido canoro; e i miei figli mi hanno confessato che stavano per farlo anche loro! Infatti nessuno ha protestato.
Io ero molto commossa, lo ammetto, piangevo proprio. Ho pianto anche quando c’era da ridere. Anche i miei figli hanno avuto momenti di commozione, malgrado conoscessero a menadito la storia, tanto da accorgersi, insieme a me e certamente insieme a tutti gli altri più grandi, dei piccoli scarti rispetto alla versione precedente, sia narrativi che di dialogo. Si sono commossi ugualmente (e inevitabilmente: è una scena fatta per far piangere i bambini) quando è morto Mufasa, il leone-padre del protagonista Simba, mentre davanti a noi un piccoletto di neanche tre anni chiedeva, ignaro e stupefatto, al nonno e al papà: “Cosa è successo?”, facendo commuovere ulteriormente me. In questo gruppetto, peraltro, sia il nonno che il padre spiegavano e anticipavano gli accadimenti, in una scena a tre generazioni che mi ha fatto pensare, insieme ad altro, quello che sto per dire.
Io credo che ieri in quel cinema abbiamo vissuto un’esperienza omerica.
Un pubblico intergenerazionale. Una storia epica, classica: un racconto di formazione con ricerca di sé attraverso il padre perduto. Valori forti: la famiglia, la terra, la giustizia, la responsabilità verso il gruppo, l’amicizia. Uno scopo dichiaratamente didattico, quindi. Una storia già nota, profondamente nota al pubblico, nota fin nelle virgole, nelle inquadrature più marginali, nella colonna sonora. Eppure la tensione, la commozione palpabile, che fa esplodere il grido canoro del bimbetto prima ancora che tutto cominci, e che equivale ad un invito all’aedo a cantare, a cominciare, perché siamo emozionati e impazienti per quello che ri-vedremo; la commozione per il visto, il rivisto, lo stravisto, commovente perché ci siamo già commossi un’altra volta, perché sappiamo la storia, in una fruizione paradossale per chi crede ingenuamente che, per attrarre, le storie debbano essere sempre nuove e originali. Invece lo spettatore è colpito proprio dalle tecniche narrative omerico-aediche: la ripetizione con variazioni di una trama solida, l’esaltazione maggiore di un personaggio rispetto alla prima versione (il sacerdote-babbuino Rafiki), le piccole variazioni nei dialoghi (Pumbaa che fa una battuta sugli insetti che saranno il suo pasto, definendoli “a chilometri zero”, espressione ignota e inconcepibile venticinque anni fa), la spettacolarizzazione ben maggiore di un duello che si sa come andrà a finire (quello finale tra Simba e Scar), l’amplificazione della Spannung prima dell’agnizione (il ciuffo di peli di Simba che, dal luogo lontano dalla patria in cui si è rifugiato, viaggia per giorni attraverso gli elementi e ritrova il suo punto di partenza), il riarrangiamento delle tracce musicali già note ma anche l’aggiunta di nuove, il doppiaggio affidato a nuove voci/nuovi aedi (da Vittorio Gassman a Luca Ward per Mufasa, e non abbiamo perso nulla). Contemporaneamente, anche un’altra esperienza, per i più grandi: ricordare quando dove e come si è conosciuta la storia la prima volta, la si è magari rivista, come sono le nostre memorie del contesto storico, giacché nella rievocazione della microstoria personale affiorano le tracce dell’epoca, il quarto di secolo trascorso, magari con lo stupore per quello che la Disney è stata per questo secolo, per la penetrazione profonda dei suoi prodotti nella cultura popolare, che è in grado di riprodurli e richiamarli continuamente, anche come fiabe, cioè senza immagini, in un curioso ‘ritorno’ di fruizione in tutte le case, a tutte le latitudini, purché vi sia un bambino, ossia qualcuno da educare, nella catena di trasmissione. Il terzetto intergenerazionale che era davanti a me incarnava perfettamente il meccanismo: conoscenza e fruizione comune di quella storia e impegno nella sua conservazione e trasmissione.
Io credo di non aver mai vissuto prima di ieri un’esperienza omerica, e credo che, anche se non avranno saputo definirla tale, questa sia stata l’esperienza di tutti gli spettatori.
Un’esperienza infantile. Cioè primitiva. Cioè antica.
Da fare, e da raccontare, soprattutto se per lavoro, come me, leggete a tutto spiano e ad alta voce Omero nell’aula di una scuola.
(Firenze, 23 agosto 2019)
Bello emozionante fantastico articolo. Da antologia.
Avendo molti più anni dell’autrice dell’articolo, le mie esperienze epiche, extrascolastiche, sono legate al cinema western, e in particolare al cinema di John Ford. Credo stia al western come Omero all’epica. Coraggio, onore, amore, morte, caduta e riscatto. Nel mio caso, come in quello di tutti gli amanti del western come forma di epica, vedere e rivedere Ford ma Mann, Daves, Hawks, é come “tornare a casa”. Per noi il western é un vero e proprio culto, al quale resteremo fedeli e, come faceva notare Caprara, una specie di fedeltà all’infanzia, tanto più nel caso di chi, come il sottoscritto, ha avuto la fortuna di giocare a cow boy e indiani nella polvere e nel fango della periferia, in tempi ormai remoti.
“C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA”. Il Re “Leone” e i poemi omerici …
LETTA E APPREZZATA LA NOTA SUL RESOCONTO DELL’ ESPERIENZA fatta da Mariangela Caprara (“Ieri sono stata al cinema con i miei figli a vedere il nuovo *Re Leone*, spettacolare remake di quello che avevo visto al cinema nel 1994”) – considerata anche la ‘memoria’ delle esperienze di M. Imbimbo (cfr. sopra) “legate al cinema western, e in particolare al cinema di John Ford” – CREDO SIA OPPORTUNO non solo condividere il suo (e non solo suo) entusiamo ma anche RIFLETTERE sul suo affermare che “in quel cinema abbiamo vissuto un’esperienza omerica” (un prezioso “filo di Arianna” da non lasciar “teseica-mente” cadere):
“Un pubblico intergenerazionale. Una storia epica, classica: un racconto di formazione con ricerca di sé attraverso il padre perduto. Valori forti: la famiglia, la terra, la giustizia, la responsabilità verso il gruppo, l’amicizia. Uno scopo dichiaratamente didattico, quindi. […] Io credo di non aver mai vissuto prima di ieri un’esperienza omerica, e credo che, anche se non avranno saputo definirla tale, questa sia stata l’esperienza di tutti gli spettatori. Un’esperienza infantile. Cioè primitiva. Cioè antica. Da fare, e da raccontare, soprattutto se per lavoro, come me, leggete a tutto spiano e ad alta voce Omero nell’aula di una scuola” (Mariangela Caprara, “Il Re Leone e i poemi omerici” – sopra) .
CHE PENSARE, SOPRATTUTTO SE … SI LEGGE “A TUTTO SPIANO E AD ALTA VOCE OMERO NELL’ AULA DI UNA SCUOLA”? NON è bene riflettere anche sul fatto che le “tecniche narrative omerico-aediche” possano essere utilizzate non solo per la formazione di cittadini e cittadine maggiorenni”, gli “Ulisse” (“Simba”) e le “Penelope” (“Nala”), di una Città *aperta*, (“cum grano salis!”, la Città del RE Mufasa e della REgina Sarabi – la “Monarchia” di Dante) , ma anche per la formazione di sudditi di una Città *chiusa*, una Caverna ( “cum grano salis!”, la Città-Fattoria dello zio di Simba, Scar, con le sue iene – la “Repubblica” di Platone)?! Nel momento in cui, oggi – nel nostro attuale presente storico, “il cerchio della vita” corre alti rischi di essere spezzato, non è meglio cercare – dopo millenni di “letargo” – una via di uscita dalla caverna-cinema ?! Non è l’ora?! Ancora no?!
P. S. – Alcuni appunti, spero utili, sul tema:
A) FIABA, COSTITUZIONE, E SOCIETA’. NON SAPPIAMO PIU’ RACCONTARE LE “FAVOLE”! ( http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5814).
B) STORIA E MITO. GIASONE, “L’OMBRA D’ARGO”, E “VENTICINCINQUE SECOLI” DI LETARGO: “SE NON RIDIVENTERETE COME I BAMBINI, NON ENTRERETE NEL REGNO DEI CIELI” (Mt. 18, 3).
DANTE, ERNST R. CURTIUS E LA CRISI DELL’EUROPA. Note per una riflessione storiografica (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5908)
C) RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE “EU-ROPEUO”. Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=901).
Federico La Sala
Cara Mariangela Caprara, concordo completamente con quello che ha scritto,
e le consiglio, se l’esperienza omerica deve essere completa sino in fondo, e anzi ulteriormente amplificata dalla componente LIVE, di andara con i suoi figli e godere di quell’immenso capolavoro che è il musical del Re Leone, in scena a Londra dal 1999 (a New York dal 1997).
Lì troverà un mondo mitico ed ecumenico, perduto oserei dire, che è il motivo che lo ha reso il prodotto di intrattenimento più di successo, in termini economici, della storia dell’uomo (https://www.bbc.com/news/entertainment-arts-29308447)
Ma ben oltre il successo c’è la sostanza. Se ne avrà l’occasione, qui trova le informazioni
https://thelionking.co.uk/london/about-the-show/