di Cristiano Poletti
[Esce oggi per Marcos y Marcos Temporali, di Cristiano Poletti. Proponiamo alcune poesie].
dalla sezione Religione di un giorno
Corridoio, con due citazioni
Un discorso religioso, ma niente fantasie.
In casa, una volta entrato, ho trovato
una perdita. Ora
cerco il suo luogo nascosto.
Con le mani cerco, mani che hanno pensato
e hanno toccato, hanno preso.
Forse trovano la verità: non
nel passato, dov’è già scritta.
Nemmeno nel futuro, impossibile,
il futuro è un luogo vuoto.
E trema con le mani un’ansia
per niente intelligente.
Nel quadro di una casa dentro l’aria
adesso rientro: è il nostro
Occidente.
Il respiro tornerà come all’inizio,
dove c’erano i talenti,
prima delle scale,
della porta, del corridoio.
*
Neve (per una fotografia di Richards)
Dormono secoli di appunti
sotto la neve. Lì
non c’è più nessuno, solo frammenti,
affanni di un passato.
È una casa, vedete,
e al centro c’è una vita resistita nel suo darsi.
Pastorale del freddo, case, case
abbandonate.
Ogni cosa per vocazione preme in una voce,
sembra dire: è occulto il fine.
Era questo, vedere. Giusto qui
al mondo, fatti eterni gli occhi e noi.
*
Voci
Ci dicemmo allora, nell’ora della decisione,
cose che non si dicono tra i vivi.
PRIMO LEVI
Un grande pomeriggio
arrivano col pane, mezzo pane.
Tutto il tavolo è in ordine. Da tempo
li aspettavamo. Qui
per una strana forma
di contrappasso troveranno cena
e caldo. E intanto parlano, ci dicono
di un’ombra, l’ombra scesa, che scendeva
sempre nel centro del cucchiaio.
Il cavallo del tempo è vuoto e noi
vogliamo esser riempiti.
L’oro allora si versa nella voce e l’ombra
si traduce in luce, in un fiato
venuto su dal fondo.
Forma dell’ombra, o luce, tu nell’oro
sola t’intendi, e in questa ellissi
temporale che è lotta per la vita
che è sempre e si tramanda
liberaci tu, salvaci.
*
Dalla sezione Viaggi
Ritorno, interno giorno
Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbe nome?
GIACOMO LEOPARDI
In un’idea di stelle e nervi
la notte è passata, come altre
e sono solo
mimiche di anni. Ed ecco,
nel giro di poco
le nuvole che screpolano il cielo
fanno dell’alba e sul volto una ruga.
Nel molto del sangue gira l’età,
mescola nelle vene un sorriso,
dentro quel viso la risposta
che è dolore che piega nel dolore.
Ormai è giorno e nella sua magia
chiede ancora la pagina infinita
e che il suo nome sia
tempo, punto, vita.
*
Otto anni
Questa terra capace
tra l’autostrada e il suo diesis.
La mattina, la brina, sono solo
pochi anni a dividerci.
Verso Trieste ora
la fede continua: amerai ancora,
dice la strada, sarai ricambiato.
E adesso
dentro un tremolio dell’aria
ci chiediamo cosa mangeremo.
La torta annunciata e altro
ancora. Intorno i libri,
una sera che ha un nome.
Da tanto non piove.
Ma un temporale ascolta
si prepara nell’aria, cedono
l’alta pressione e gli anni.
Ti chiamo. Chiama.
*
Dalla sezione In sogno
La torre nei nostri occhi
Soltanto all’alba cedere, dormire.
In sogno eravamo
non lontano dagli spari.
Buchi sui muri, buchi di paesi.
Passavamo da Bihać
ai morti inchiodati a Srebrenica, a Vukovar.
Avete
sostanza di Babele, siete
la torre nei nostri occhi.
Né storia o intelligenza,
il sogno è solo un’ombra tra le dita.
Si ripete così la vita
e il tempo intanto regola
la sua barba di re. Così
mentre aspettiamo nuovi crolli
immaginate
voi quello che resta.
*
Dalla sezione Un luogo
Cassetti
Meglio la luce
bassa, d’inverno, la cucina e il forno,
dove la luce ha il suo piccolo fuoco.
E fuori solo bianco, tanto
da immaginarsi, immaginare quel fuoco farsi
vivo da un disordine d’ombre.
Aprire, chiudere,
smettere, riavviare
sono le chiare fasi di un pensiero
meccanico, matematico e storico.
In quella luce è nato
l’archivio nascosto nei nostri cassetti.
*
Negli anni un nervo
È stata una città e tutto un ritorno
verso casa, verso sera.
Era una strada, nel bianco del caldo
nell’impermanenza di due ore
diverse.
Dentro, l’immagine di un ragazzo.
Ed era
stringere negli anni un nervo, fissando
il fuori in fiamme col tremore
dei temporali negli occhi.
*
Dalla sezione Altitudini
Aprile
Quinto piano in pianura: l’orizzonte
puntato contro, come un’arma.
Un aprile così limpido. Sembra
cambino altitudine le montagne
a vederle, a indicarle dal balcone.
E con le montagne gli anni, incompiuti.
Guarda, in fondo
una più alta delle altre, ecco, è lo sparo.
La neve ancora, in lontananza. Sporca,
non normalmente neve, ma una mano
di bianco slavato, un altare, un fiato,
qualcosa che si spezza.
Come un’intermittenza: ritornare
è solo un’insistenza, sulle perdite.
E ormai è spezzato il respiro,
che voci
torneranno
da dove, da che valle, oltre lo sparo?
Ma il cuore, l’entusiasmo
preme al di là del profumo del glicine,
oltre la Russia e il viola dei lillà.
Non serve aver guardato.
Il bambino non calcola, non resta.
È già via, lontano,
il silenzio lo vuole, l’ombra sua
chiama il suo nome, con voce potente.
Sente
come in origine cantava
ed era Oriente, origine, orizzonte.
Anche attraverso questo, la grazia.
Solo attraverso
questo,
essere soli.
[Immagine: Foto di Roadsidepictures].