Simone Giusti, Federico Batini, Giusti Marchetta, Vanessa Roghi

 

[Esce oggi per effequ La scuola è politica, a cura di Simone Giusti, «un saggio in forma di dizionario si intende offrire, voce per voce, uno strumento per declinare politicamente la scuola e aiutare a costruire una scuola che sia davvero, un giorno non troppo lontano, laica, popolare e democratica». Proponiamo le prime due voci del “sillabario”: Adulti di Simone Giusti e Bullismo di Federico Batini].

 

Adulti

 

di Simone Giusti

 

Gli adulti fanno e disfanno la scuola ogni giorno, seduti in Parlamento o nelle loro auto, mentre accompagnano i figli alla prima ora di lezione. Agli adulti appartiene ogni discorso sulla scuola – compreso quello che facciamo in questo libro – e da loro discende ogni decisione. Gli adulti stanno in cattedra, poi scendono e tornano a casa, mentre altri adulti rimettono in ordine le aule, oppure le ristrutturano, ne progettano di nuove, producono l’energia necessaria alla loro illuminazione.

 

Politici, cittadini (contribuenti ed elettori), lavoratori, nonni, zii e genitori: la scuola è roba loro, e gli altri, i minori – i bambini e gli adolescenti – si limitano ad abitarla, e, quindi, a trasformarla dall’interno, con discrezione, quel tanto che basta per renderla più vivibile e sopportabile. Ma non c’è un dubbio al mondo: quella scuola così criticata e messa sotto accusa è proprio quella che hanno voluto – e vogliono ancora – gli adulti, i quali, a volte, tendono a dimenticarsi il proprio ruolo.

 

Adulto, dal latino adultus, participio passato di adolescĕre, che significa crescere. L’adulto è colui che non è più adolescente, ha terminato il suo sviluppo ed è finalmente cresciuto. Da cosa si vede se uno è sufficientemente cresciuto da poter prendere decisioni sulla scuola? È sufficiente aver raggiunto la maggiore età – a diciotto anni si può votare la propria amministrazione locale (il consiglio comunale e il sindaco, il consiglio regionale e il presidente della Regione), il rappresentante alla Camera dei deputati o al Parlamento europeo (per il Senato occorre attendere il compimento dei 25 anni: una soglia altissima, che di fatto impedisce il pieno accesso al voto a oltre quattro milioni di maggiorenni). A diciotto anni ci si può candidare a una carica politica. A diciott’anni in molti sono ancora a scuola, viene da pensare, e avrebbero moltissimo da dire e da fare, per la scuola.

 

In realtà sappiamo che l’età media dei deputati è di circa 44 anni, 52 per i senatori: ultramaggiorenni che sono usciti dalla scuola già da 24-25 anni.

 

Considerando che gli italiani fanno figli in media a 32 anni, gli adulti hanno 38 anni quando il figlio inizia la scuola primaria, 45 durante l’esame di scuola secondaria di primo grado, quando è necessario scegliere la scuola superiore.

 

In Italia il 61,7% degli adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni ha finito gli studi superiori e ha conseguito un diploma (dati Istat 2018). La media europea è pari al 78,1 %. I laureati italiani sono 2 su dieci, il 19,3%, contro il 32,3% degli europei.

 

Adulti in maggioranza illetterati: un termine tecnico adoperato per descrivere le persone che, pur avendo compiuto un percorso di studi, a un certo punto della loro vita non sono in grado di usare ciò che hanno imparato per gestire la loro vita quotidiana. Adulti che non comprendono la differenza tra una notizia inventata e una documentata, che non sono in grado di orientarsi su un sito internet, che non sanno far tornare i conti del bilancio familiare.

 

Adulti che non leggono libri. Nel 2017, dice l’Istat, le persone che hanno letto almeno un libro per motivi non professionali sono state, in Italia, circa 23 milioni e mezzo, corrispondente al 41% della popolazione (il 47,1% delle donne, contro il 34,5% degli uomini). La quota più alta di lettori si riscontra durante l’adolescenza, tra gli 11 e i 14 anni [▶ Lettura].

 

Adulti che quando parlano di scuola, o, anche, quando ne leggono sulle pagine dei giornali o nei libri, pensano a un’esperienza lontana, attraverso la quale sono passati, in modo più o meno consapevole, qualche decennio prima.

 

Eppure, a esclusione di coloro che hanno paura di crescere – quelli affetti da sindrome di Peter Pan, una sorta di adolescenza protratta, che impedisce di assumersi responsabilità e di prendere decisioni in grado di incidere sulla realtà –, sono questi gli adulti che devono fare la scuola. Adulti poco preparati, occorre ammetterlo, i quali hanno tuttavia un ruolo decisivo nel futuro della scuola. Perché purtroppo – in assenza di una vera ▶ Partecipazione degli studenti ai processi decisionali – tocca agli adulti il compito difficilissimo di fare la scuola. La scuola di tutti, non quella del proprio figlio, della propria figlia.

 

Cominciamo da qui, dunque. Assumiamoci la responsabilità della scuola che abbiamo voluto e che ancora stiamo contribuendo a far esistere, ogni giorno, per i bambini e gli adolescenti che sono costretti ad abitarla. Smettiamo di lamentarci e guardiamola, questa scuola, analizziamola con gli strumenti a nostra disposizione – che possono e devono essere costantemente arricchiti – indipendentemente dal nostro livello di istruzione, dalle nostre capacità critiche o dalla nostra conoscenza specifica dell’argomento. Dobbiamo occuparcene perché siamo adulti responsabili e interessati.

 

Iniziamo da un piccolo esercizio di rispecchiamento. Guardiamo gli edifici, e domandiamoci: che adulti sono – che adulti siamo – quelli che li hanno progettati, finanziati e costruiti? E che adulti sono quelli che stanno finanziando proprio quel tipo di lavoro, quell’insegnamento, di quelle materie, in quegli orari, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, un anno di seguito all’altro? Siamo noi? Sono io? Sei proprio tu.

 

Siediti, mettiti davanti allo specchio e guarda. Cosa vedi? Ti piace? Credi di poter fare di meglio? Fallo!

*

 

Bullismo

 

di Federico Batini

 

Recentemente mi sono tornati alla mente episodi risalenti a oltre 35 anni fa. Non l’ho mai ammesso con tanta nettezza: sono stato vittima di bullismo. Avevo da poco iniziato a frequentare le scuole medie e un ragazzo più grande di me, poco di età ma molto di stazza, mi aveva preso di mira. Mi aspettava e mi umiliava pubblicamente, senza remore e incertezze. Nessun timore apparente del potenziale intervento di un adulto di passaggio. Non mi ha mai picchiato davvero, solo piccoli schiaffetti: la cosa che sembrava divertirlo di più erano le feroci prese in giro, le umiliazioni volgari alle quali opponevo un silenzio impotente. Amava particolarmente offendere la mia famiglia e credo anche per questo non mi sia mai venuto in mente di confidarmi, di chiedere aiuto. Non ne parlavo nemmeno con gli amici. Il suo potere stava nella mia impotenza, nel mio essere costretto al silenzio di fronte alle sue offese, alle sue umiliazioni, per evitare il peggio. La rabbia e la frustrazione mi invadevano. Avrei voluto urlare, avrei voluto saltargli addosso, e invece ero paralizzato dalla paura.

 

Sapeva dove abitavo e dunque non avevo modo di eluderlo con deviazioni e percorsi alternativi: anche quando pensavo di essere stato furbo, lo trovavo ad aspettarmi dove i vari percorsi possibili si riunivano, o altrove, in un luogo del tutto inaspettato. Credo anche questo facesse parte della sua strategia del terrore: l’imprevedibilità, e l’isolamento: se ero in gruppo non si vedeva. Appena ho recuperato il ricordo è emersa chiaramente la sensazione di paura che mi prendeva allora, quando si avvicinava l’ora dell’uscita da scuola. Avrei voluto rimanere in classe per sempre, e all’uscita percorrevo a piedi l’itinerario per casa con il terrore che mi pervadeva, cercavo di dominarlo guardandomi intorno incessantemente, fantasticando su crescite miracolose dei miei muscoli, su abilità acquisite in arti marziali, su qualcuno che venisse in mio aiuto. Mi raccontavo storie di vendette future. Non accadde mai nulla di tutto questo, ma quelle storie mi hanno aiutato a sopravvivere.

 

A un certo punto, per fortuna, le nostre strade, complici i pochi anni che si separavano, si divisero, letteralmente, e non ci incrociammo più. Probabile che la sua nuova scuola non coincidesse con la mia per orari e itinerari. Continuai a guardarmi attorno con circospezione per mesi, per anni ho sobbalzato nell’incrociarlo, anche da lontano, anche quando non c’era più motivo di avere paura.

 

Il bullismo, come è noto, è un comportamento di aggressione verbale o fisica reiterata di singoli o gruppi nei confronti di singoli o gruppi. Il bullismo prevede un’escalation di comportamenti negativi, ripetuti e progressivamente sempre più gravi.

 

Vi sono alcune caratteristiche fondamentali che debbono essere presenti per poter parlare di bullismo: la persistenza – settimane, mesi, persino anni – e la reiterazione del comportamento (una singola aggressione, per quanto grave e riprovevole, non è catalogabile come bullismo); la progressione (come si è detto, le azioni di bullismo solitamente sono a gravità ascendente: il bullo verifica sino a dove può spingersi, se rischia di incorrere in qualche sanzione, cosa potrebbe accadergli, e una volta appurata la propria impunità e la possibilità di gestire le reazioni passa al livello successivo); l’intenzionalità (un comportamento “da bullo” è un’azione che punta, in modo deliberato, a fare del male o a danneggiare).

 

Alla base dei comportamenti di bullismo può esserci il desiderio di intimidire e/o dominare o, più semplicemente, un abuso di potere perpetrato con lo scopo di affermarsi. Alcuni comportamenti da bullo possono essere anche molto sottili: una volta che un alunno o un gruppo di alunni ha stabilito una relazione di potere nei confronti di un altro alunno o di un gruppo di alunni è sufficiente, a volte, solo uno sguardo minaccioso per ribadire e mantenere la propria posizione di forza.

 

Le forme del bullismo appartengono a tipologie differenti. Possono essere dirette e fisiche: colpire con pugni o calci, appropriarsi di qualcosa, rovinare gli effetti personali di qualcuno; dirette e verbali: deridere, insultare, prendere in giro in modo ripetuto, fare affermazioni di tipo razzista; indirette: diffondere pettegolezzi fastidiosi, escludere qualcuno da gruppi di aggregazione formali o informali. Normalmente si assiste a una riduzione del 15% di questi comportamenti ogni anno con il crescere degli alunni. La gravità degli episodi però non diminuisce. Solitamente le età di punta sono i 7 ed i 13/14 anni anche se si assiste, negli ultimi anni, ad una significativa diminuzione dell’età di entrambe. Nella maggior parte dei casi gli episodi di bullismo si svolgono a scuola, nel tragitto che vi conduce o negli spazi intorno ad essa (in cortile, in giardino); sempre più spesso si svolgono anche all’interno delle aule scolastiche. Le conseguenze sulle vittime sono molteplici: da forme di disagio e difficoltà psicologiche più o meno gravi al rifiuto della scuola, dall’isolamento al suicidio, dall’autostima penalizzata ad apprendimenti che si fanno radi e deboli, dalla paura di tutti i pari alla riproposizione dello stesso schema con compagni più piccoli. Pochi ne escono indenni.

 

Oggi sono presenti anche forme di bullismo legate alle tecnologie (altrimenti note come cyberbullismo) che tuttavia non corrispondono pienamente alle definizioni classiche di bullismo. Le caratteristiche del cyberbullismo, infatti, non richiedono la costante “dedizione” che attua un bullo fuori dal cyberspazio. Una foto offensiva, offese o maldicenze verso qualcuno possono essere, infatti, messe online lasciando poi ai meccanismi di condivisione il compito di mantenere attiva la vittimizzazione e moltiplicarne la visibilità. Un’altra forma di bullismo particolarmente presente oggi è quella omofobica. Questa ha la curiosa caratteristica di essere sottostimata, interpretata con indulgenza come scherzo o passata sotto silenzio da molti adulti. Un gran numero di adulti ritiene l’omofobia una tematica scomoda, da non affrontare: questo comportamento silente di fatto legittima l’agire dei bulli. Il bullismo omofobico è quel tipo particolare di bullismo che perseguita, scredita, isola, insulta, aggredisce soggetti ritenuti differenti per qualche tratto dell’identità sessuale, solitamente perché le vittime sono ritenute, a torto o a ragione, omosessuali. Ha la particolarità di poter agire in forma indiretta: un/una adolescente omosessuale che sente continuamente termini dispregiativi utilizzati per indicare il proprio orientamento sessuale, anche se non diretti contro di lui/lei, sviluppa ansie e timori nei confronti del gruppo dei pari nei quali è inserito/a. Le conseguenze possono essere terribili: sapere di non potersi confidare, sentirsi costretti a recitare altri ruoli, temere continuamente il giudizio degli altri, sentirsi al tempo stesso bisognosi della conferma dei pari, e mai totalmente “vero/a” di fronte a loro, e molte altre emozioni e sensazioni che fanno dell’adolescente omosessuale una vittima perfetta per il bullismo: il bisogno, più o meno oggettivo, di nascondere una propria condizione rende chi si nasconde una vittima perfetta, perché denunciando le aggressioni rischia di svelare il proprio ‘segreto’. Le conseguenze già ricordate per il bullismo in generale qui si amplificano e si nutrono anche dello stigma sociale. Quando il bullismo omofobico è diretto può, inoltre, avere conseguenze devastanti: sono negli occhi e nelle orecchie di tutti i casi di adolescenti omosessuali che si sono tolti la vita per l’incapacità di fronteggiare le continue e feroci prese in giro, le aggressioni, le violenze, gli insulti, la non accettazione (che spesso si estende anche in famiglia, che viene dunque automaticamente esclusa come potenziale fonte di aiuto). L’adolescente o il preadolescente omosessuale può facilmente trovarsi in una situazione nella quale i genitori non sono a conoscenza del suo orientamento, gli insegnanti non affrontano l’argomento o, peggio, ridono a battute a sfondo omofobo. Gli adulti sono immediatamente esclusi dal novero di coloro ai quali potersi rivolgere: spesso questi ragazzi si trovano così a sperimentare la propria non-esistenza; a sentir parlare di sé solo in termini offensivi: un carico impossibile da sopportare per un adulto maturo, figuriamoci per un bambino, una bambina, un ragazzo, una ragazza.

 

In un tempo in cui persino fare ricerca su questi temi non è sempre possibile, e in cui le stesse istituzioni frappongono ostacoli di ogni tipo, diventa difficile tracciare una via.

 

Il silenzio o l’evitamento dell’argomento non è la via migliore, su questo non ci piove. Di bullismo, di bullismo omofobico, di cyberbullismo bisogna parlare a scuola, occorre parlarne esplicitamente, occorre analizzare i comportamenti e i motivi possibili che li provocano con bambini e ragazzi, reperire insieme soluzioni, comportamenti alternativi, sperimentare la differenza di ciascuno che è salvezza per tutti.

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