di Italo Testa
[Pubblichiamo un’anticipazione dal numero 21 della rivista «Versodove», disponibile dal 1 ottobre, e a seguire la copertina e l’indice del numero]
La poesia ha una natura topologica, è un’escrescenza dei luoghi che ci abitano. Qualcosa che non avvertiamo direttamente, di cui ci accorgiamo nel lungo periodo, ma che ha un’incidenza più profonda del dato biografico individuale. Questo non ha a che fare con l’idea di radicamento, di Heimat, quasi vi fosse un legame esclusivo con un territorio. Piuttosto, è nello spazio di transizione da un luogo all’altro, ma anche tra interno e esterno, concreto e astratto, natura e artificio, che si definisce la portata topologica della scrittura. Il mio ultimo libro, L’indifferenza naturale (2018), nasce da un movimento analogo: nel corso del tempo la laguna veneta, la pianura emiliana, i calanchi, le distese d’acqua, i cantieri, tutti i paesaggi che ho attraversato, sono andati a costituire uno spazio ibrido, privo di funzione, che si è imposto come il soggetto stesso della raccolta. Luigi Ghirri, nelle sue Lezioni di fotografia (1989-1990), diceva che “il paesaggio non è là dove finisce la natura e inizia l’artificiale, ma una zona di passaggio, non definibile geograficamente”. Queste zone di passaggio, di indifferenza tra caos a progetto, natura e artificio, elementi minerali, vegetali e animali, definiscono uno spazio inconcluso, non finito, esposto all’indeterminazione.
Il legame con i luoghi in poesia disegna una trama di opposizioni e convergenze, articolando una dialettica aperta, in cui i luoghi concreti, le esperienze in situ, sono trasposti nel non-luogo dell’espressione poetica, nel suo spazio analogico, che a sua volta può divenire un luogo eventuale, da esplorare, mappare, un non-luogo da cui muovere per un viaggio immaginario verso i luoghi di partenza. Come per la dialettica tra Site e Nonsite, di cui parla Robert Smithson in A Provisional Theory of Nonsites (1968) e nelle note allo scritto che fa parte dell’operazione transmediale di Spiral Jetty (1972) – il celebre earthwork nel Great Salt Lake dello Utah – tra questi due poli c’è uno spazio di significazione aperto, indeterminato, che può essere percorso in entrambe le direzioni, secondo un movimento non stabilizzato di riflessione reciproca.
Qui il movimento indessicale della scrittura, la deissi nel paesaggio della poesia, lungi dal fissare stabilmente dei referenti esterni, produce piuttosto un cortocircuito tra stratificazioni materiche, tracce fisiche e verbali, costruzioni concrete e simboliche. Da un’immagine codificata del paesaggio come un insieme chiuso, rappresentato dall’esterno, passiamo a un’esperienza dinamica: un paesaggio aperto, inconcluso, che può solo attraversato e restituito attraverso una pluralità di forme. In gioco non è una rappresentazione mimetica, quanto la messa in opera performativa di una contiguità morfologica con i luoghi, attuata attraverso sintesi parziali, visioni discontinue, frammenti di registrazione.
In A Tour of the Monuments of Passaic, New Jersey (1967), Smithson espone in una sorta di photo-essay il suo viaggio da New York a Passaic, sua cittadina natale, situata sul fiume Passaic, a sud di Paterson, documentando i “nuovi monumenti” che incontra lungo questo paesaggio in trasformazione: cave, tubi di scarico, scavi di bulldozer, autostrada in costruzione, gru da pompaggio, conglomerati suburbani, parcheggi. Poco prima di morire, nel 1972, Smithson ha dichiarato che A Tour of the Monuments of Passaic può essere concepito come “una sorta di appendice al poema Paterson di William Carlos Williams” (curiosamente, Williams era stato il pediatra di Smithson da bambino). Il poema di Williams, soprattutto per la parte dedicata alle stratificazioni sotto il suolo di Paterson, ha fornito così a Smithson una sorta di mappa attraverso cui iniziare a guardare ai luoghi natali del New Yersey come a un paesaggio inedito. Si instaura così tra il poema (Nonsite), l’esplorazione delle cave e degli insediamenti intorno al Passaic (Site) e la sua documentazione attraverso l’ibridazione tra narrazione, saggio e fotodocumentario (Nonsite), una dialettica inconclusa, attraverso la quale, letteralmente, le cave, i motel della catena Howard Johnson, concessionarie di auto usate, il centro scialbo di Passaic, il Golden Coach Diner diventano elementi di un paesaggio monumentale da scoprire.
Smithson ha posto l’accento sulla dimensione entropica di questi processi di trasformazione, decifrando nei nuovi monumenti di Passaic delle sorte di “rovine a rovescio”: mentre le rovine romantiche cadono in rovina dopo la loro costruzione, i nuovi monumenti “si ergono a rovine prima di essere costruiti”, prefigurando così il destino entropico di tutte le costruzioni future. Le architetture dell’entropia, che in Entropy and the New Monuments (1966) Smithson decifrava tanto nelle opere di Donand Judd, Sol LeWitt, Robert Morris, quanto nel paesaggio di periferie diffuse, autostrade, centri commerciali periferici che sembra ispirare questi artisti, hanno a che fare con una certa inversione del futuro, trasformato nell’“obsoleto a rovescio”, in “un futuro volto all’indietro”. In questo senso, in A Tour of the Monuments of Passaic, i vuoti, gli strappi, i “buchi” da cui è frammentato il paesaggio di Passaic appaiono a Smithson come “vuoti monumentali” che contengono le “tracce memoriali di un insieme di futuri abbandonati”. Si tratta ancora di tracce utopiche, ma residuali: “questi futuri”, sostiene Smithson, “vengono scoperti in film utopici di serie B, per poi essere imitati dall’abitante delle periferie”.
Forse ha ragione Smithson quando scrive “sono convinto che il futuro si sia smarrito da qualche parte nelle discariche di un passato non storico”. Tuttavia, anche queste immagini di futuri alla deriva contengono un potenziale dialettico che non si lascia cristallizzare in una figura statica, nel grado zero dello stato finale entropico. Tornando alla mia scrittura, le ambientazioni periurbane e post-industriali di La divisione della gioia (2010) – Marghera, la strada statale Romea, i cantieri stradali, le barene – gli spazi ibridi attraversati da I camminatori (2013) – stazioni, bordi stradali, aree dimesse, incolti – sono gli stessi luoghi colonizzati dagli ailanti, le piante migranti cui è dedicato il poemetto centrale di L’indifferenza naturale. Introdotti nel Settecento in Europa come piante da giardino, quindi come succedanei del bombice del gelso, gli alianti sono sfuggiti un po’ ovunque, dall’Inghilterra, all’Europa agli Stati Uniti, diventando una presenza diffusa del paesaggio contemporaneo, ancorché quasi invisibile, poiché pochi sanno nominarli e sono consapevoli della loro presenza. Come altre piante pioniere crescono su scarpate, bordi stradali, linee ferroviarie, cave, cantieri, interstizi, rotonde. Si tratta per lo più di terreni antropizzati, dissodati, precedentemente coltivati o costruiti, ma lasciati in stato di relativo abbandono o in attesa di trovare un nuovo impiego. Se ripercorriamo i lavori di Smithson, possiamo realizzare che il Tour di Passaic, così come il viaggio che compie con Donald Judd nelle cave minerarie intorno a Paterson in The Christal Land (1966), avviene proprio entro spazi che evolvono verso un paesaggio secondarizzato, interessati da processi dinamici e caotici di rinaturalizzazione.
Lo sguardo entropico di Smithson è diventato oggi quasi una cifra epocale, segno di un periodo storico e della sua paralisi temporale, della sua incapacità di rapportarsi al futuro se non come a una immagine obsoleta di frammenti alla deriva. Eppure nei luoghi di Smithson, e nei nostri stessi paesaggi, c’è qualcosa di più, che eccede la descrizione entropica e richiede, per essere afferrato, un diverso esercizio di visione, uno spostamento dello sguardo che sia capace di riattivarne la dialettica sospesa e rovesciarne il senso. Al di sotto del disordine apparente, attraverso la disgregazione entropica di un ordine precedente, registrata da Smithson, durante il tempo morto della produzione si producono anche forme inedite, ordini non ancora leggibili, tempi del vivente in movimento. Sono luoghi pieni di vuoti, buchi, paesaggi in frammenti ibridi, fatti di pezzi sparsi qua e là, non congiunti, che accolgono una varietà di elementi eterogenei, elemento costruiti, cemento, pietra, specie naturali non endogene. Incontriamo qui il paesaggio, per tornare a Ghirri, come “zona di passaggio”, spazio indeciso di una transizione che attraversa il clivage tra elemento minerale, vegetale e animale, natura e artificio, storia e natura. Questi frammenti diffusi di natura ibrida sono tessere di ciò che Gilles Clement ha chiamato “terzo paesaggio” – inteso come l’insieme degli spazi indecisi, privi di funzione che ricoprono il pianeta, e che, per la loro contingenza, la loro apertura e imprevedibilità sono la matrice di uno spazio globale in divenire. Se attraverso la poesia torniamo a guardare al paesaggio in questa prospettiva, possiamo forse sottrarci a quello sguardo pietrificante per cui i nuovi monumenti, con le parole di Smithson in Enthropy and the New Monuments, “sembrano indurci a dimenticare il futuro”, funzionando come ostruzioni del tempo, che fanno sì che “le finestre del concessionario City Motors rivelano l’esistenza dell’Utopia attraverso una serie di PONTIACS WIDE TRACK del 1968”. Se riattiviamo le immagini di movimento contenute in questi paesaggi, se iniziamo a vedere in essi le piante senza nome, i processi di rivegetalizzazione da cui sono impercettibilmente attraversati, possiamo apprendere a rivisitarli come luoghi di invenzione del possibile, ove le vite individuali, come gli ailanti, si inventano soluzioni d’esistenza che ancora non sappiamo decifrare, ma che ci meravigliano e impauriscono per la loro radicalità, per il loro legame con qualcosa che ci manca, diventando figurazioni, per quanto invertite, di uno spazio comune del futuro, di un’utopia topica che si reinventa come luogo di sperimentazione di forme a venire.
Bibliografia
G. Clement, Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet 2005
L. Ghirri, Lezioni di fotografia, Quodlibet 2008
R. Smithson, The CollectedWritings, ed. by J. Flam, University of California Press 1996
—, A Tour of the Monuments of Passaic, a cura di I. Trabona, Kabul Magazine, 15.5.2018: http:// www.kabulmagazine.com/robert-smithson-monument-passaic-new-jersey/
I. Testa, La divisione della gioia, Transeuropa 2010
—, I camminatori, Premio Ciampi – Valigie Rosse 2013
—, L’indifferenza naturale, Marcos y Marcos 2018.
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SOMMARIO
In apertura
Anna Ruchat
SI LASCI ALLA POESIA IL SUO BUIO
Paul Celan VERSO QUALE MATTINO
In teoria Poesia
Testa, Morresi, Nacci, Fratus, Frungillo, Meschiari, Italiano
SETTE RIFLESSIONI SU POESIA E PAESAGGIO
In pratica Poesia
Fabrizio Bajec
TRE POESIE
Gianluca D’Andrea
CASI
Azzurra D’Agostino
DA “VARIE COSE UTILI”
Stefano Modeo
SEI POESIE
Tiziana Cera Rosco
IL BARDO. DISCORSI INTORNO AL LINGUAGGIO
Marco De Annuntiis
POESIE E CANZONI
Daniele Barbieri
CHE COS’ERO PRIMA DI COMPIERE MILLE ANNI
Davide Ferrari
POESIE IN DIALETTO PAVESE
Gloria Civardi
DA “DEL VERDE IN FONDO AGLI OCCHI”
In/contro
Intervista a Niva Lorenzini
LA SCRITTURA CRITICA OGGI
In pratica Narrativa
Filippo Tuena
CIMITERO DEI PORFIDI
Ilaria Palomba
LA RUPE
Maggie Nelson
BLUETS
Anselm Kiefer
DA “TACCUINI”
Francesca Rimondi
AMANDA
Tradurre
Jenny Mitchell
JAMAICAN ROADs. OTTO POESIE
Louise Glück
da “AVERNO”
Taije Silverman
DA “NOW YOU CAN JOIN THE OTHERS”
Altrove
Sandro Lorenzatti
“OLD STONE TO NEW BUILDING”
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[Immagine: Robert Smithson, Map of Broken Glass (Atlantis) (1969)].