di Paolo Febbraro
[Esce oggi per Elliot La danza della pioggia, il nuovo libro di poesia di Paolo Febbraro. Ne proponiamo alcuni testi].
L’errore
Fosse continuamente morto
gli avrei creduto come credo
all’hidalgo mancego, a Erodoto
o a Ivan Karamazov. Ma quel sepolcro
vuoto… quel sudario lì deposto…
E la voce insistente sulle sue
apparizioni… Che trovata.
Congratulazioni. Entra in casa
dei discepoli «a porte chiuse»
eppure mangia un pesce arrosto
e sfida Tommaso a toccargli il costato.
Non è forse, fratelli, una scena
un po’ dozzinale? Come se uno
potesse risorgere con tutte le ferite
che lo hanno ucciso. E intanto
sdottorare su di sé come compimento
delle antiche scritture: il sussiego
di chi è già prete di sé stesso.
Che trionfo materiale. Insieme
incredibile e triviale. Noi accettiamo
la vecchiaia e la morte mentre
il nostro salvatore ascende via
da entrambe: «A voi il riscatto
dello spirito», dice, «a me quello
di un corpo perfetto». Potenza di un dio.
Gran finale. Noi ti ringraziamo
per lo spettacolo pagando il biglietto
da due millenni. Osservando
chi si mortifica e affida
a colpe lancinanti e raffinate
le membra comunque periture.
No, fratelli. Meglio le statue.
Meglio le metamorfosi di tutto
ciò che esiste in tutto
ciò che esiste: la chimica. La fisica
delle particelle. Meglio brancolare
fra i manubri dell’apparenza
con la propaggine d’una speranza.
Se poi magari qualcuno un giorno
ci creda catturati in una danza.
*
Disse
«… fa male il sale, e la dialettica
fra le istituzioni, vero precipizio
delle apolitiche opinioni, la rabbia della piazza,
fascismo e discesa nella razza, assale
la sua petrosa Itaca: Ulisse, Apollo,
Shuttle, un minuto al count-down, ghost-
writer, ghost-town, ludoteche, jeanserie,
al centro le periferie, col fiato sul collo
il tuo aulico dettare, per quanto ormai io abbia
di già ristretto l’Io, PH anallergico
eziandio, estendere vibrisse sulla
cosiddetta realtà, ma non, attento, sulla sabbia,
Chicago Bulls, bah, la gabbia in una gabbia»,
disse.
*
A Hiroshima
«Magari fossi morto.
Magari la benda sugli occhi
e la sigaretta. Magari il terrore.
A me la morte non mi ha mai ucciso.
Una forza, piuttosto, ineccepibile
mi ha scomposto. Il mio tempo
non è scaduto, è solo precipitato
all’indietro. Non puoi depormi,
forse aspirarmi inorganico e negativo.
Ricollocato in nulla. Gas definitivo».
*
Il poeta
Nel teschio ricorda il guizzo della lingua,
il sacco lacrimale, la frangetta,
il raffreddore che brucia le nari.
Guarda il teschio così perfettamente
da sostituirlo: sa che è sbagliato
ma lo è meno che mettergli un velo,
una cornice, o un altro nome.
Il teschio non lo guarda, è solo
rivolto verso di lui. È quanto basta.
È come la porta della Legge
in Kafka: il teschio è lì per lui
in esclusiva, anche se tutti
dovrebbero vederlo (magari soltanto
nel cuneo dello sguardo).
Gli dicono naturalmente che il teschio
è il simbolo della morte; ma lui
non vede perché la morte dovrebbe
lasciare teschi, e soprattutto
tollerare simboli. Risponde
senza mostrare i denti «Dal teschio
io vi proteggo perché non lo comprendo.
Se me ne andassi svanirebbe
e allora finalmente ne sareste
invasi. Guardatevi,
vi prego, da quel momento».
*
Piove soltanto se ha già piovuto.
Il primo giorno di sole
vuol dire lunga siccità.
Vince il torneo il campione in carica,
la rivoluzione comprende presto
i pregi del regime paterno.
Indovinando due volte l’ora giusta
l’orologio sa che fermarsi equivale
a una dignitosa affidabilità.
Una sura del settimo secolo
ispira l’elettronica di un ordigno;
la sua esplosione sarà sconvolgente
fino a mimare il caos primigenio.
Se anche vi capitasse per avventura
di saltare da atleti oltre il muro
atterrereste e voltandovi
continuereste a fissarlo.
*
Di notte annuisco, mi accosto al nero
accostamento di ogni cosa, sono
un generale imposto dalla truppa.
Faccio la voce di parole altrui.
Un comandante di fiumi
mi tiene al suo servizio.
Io dipingo pareti e le dissolvo
perché il colore dissolve l’oblio.
È notte, esiste l’anima
mentre nel giorno incappucciato solo Dio.
[Immagine: © Todd Hido, #11389-3061, 2014 (particolare)].