di Jan Wagner (trad. di Federico Italiano)
[E’ appena uscito per Einaudi Variazioni sul barile dell’acqua piovana di Jan Wagner, nella traduzione di Federico Italiano. Presentiamo alcuni testi].
saggio sulle zanzare
come se d’un tratto tutte le lettere
si fossero staccate dal giornale
e stessero come sciame nell’aria;
stanno come sciame nell’aria,
senza dare neanche una cattiva notizia,
muse precarie, scheletrici pegasi,
bisbigliano solo tra sé e sé; fatte
dell’ultimo filo di fumo, quando
la candela si spegne,
cosí leggere che non si potrebbe dire che siano,
paiono quasi delle ombre,
proiettate da un altro mondo nel nostro;
ballano, piú sottili
di un disegno a matita
gli arti; minuscoli corpi di sfinge;
la stele di rosetta, senza stele.
*
versuch über mücken
als hätten sich alle buchstaben
auf einmal aus der zeitung gelöst
und stünden als schwarm in der luft;
stehen als schwarm in der luft,
bringen von all den schlechten nachrichten
keine, dürftige musen, dürre
pegasusse, summen sich selbst nur ins ohr;
geschaffen aus dem letzten faden
von rauch, wenn die kerze erlischt,
so leicht, daß sich kaum sagen läßt: sie sind,
erscheinen sie fast als schatten,
die man aus einer anderen welt
in die unsere wirft; sie tanzen,
dünner als mit bleistift gezeichnet
die glieder; winzige sphinxenleiber;
der stein von rosetta, ohne den stein.
*
koala
ma quanto sonno in un albero solo,
quante sfere pelose nel groviglio
dei rami, una bohème
dell’inerzia, che sulle cime si tiene e tiene
e si tiene con un paio di grappette
come artigli, pionieri mai celebrati
della scalata sulle flautanti terrazze
della foresta pluviale, stoici arruffati,
pulciosi budda, piú tenaci dei veleni
nel fogliame, con le loro ovattate
orecchie a respingere seduzioni
nel margine del mondo: niente water-
loo per loro, nessuna andata a canossa.
guardali, imprimiteli bene in testa,
prima che sia troppo tardi – quel viso
sereno di un taccagno o di un ciclista
prima della vittoria di tappa, il loro grigio
stanco, discosto dal suolo ma al tatto
prossimo –, prima che si stirino e con uno sbadiglio
sprofondino in un sogno d’eucalipto.
*
koalas
so viel schlaf in nur einem baum,
so viele kugeln aus fell
in all den astgabeln, eine boheme
der trägheit, die sich in den wipfeln hält und hält
und hält mit ein paar klettereisen
als krallen, nie gerühmte erstbesteiger
über den flötenden terrassen
von regenwald, zerzauste stoiker,
verlauste buddhas, zäher als das gift,
das in den blättern wächst, mit ihren watte-
ohren gegen lockungen gefeit
in einem winkelchen von welt: kein water-
loo für sie, kein gang nach canossa.
betrachte, präge sie dir ein, bevor es
zu spät ist – dieses sanfte knauser-
gesicht, die miene eines radrennfahrers
kurz vorm etappensieg, dem grund entrückt,
und doch zum greifen nah ihr abgelebtes
grau –, bevor ein jeder wieder gähnt, sich streckt,
versinkt in einem traum aus eukalyptus.
*
chiodo
non appena al muro, divenne il centro,
ampliando oltre giardini, campi e pile
di barbabietole il proprio raggio,
oltre i pollai e le file
di ravanelli, sempre piú completo, planetario:
vi appendevamo cardigan e cappelli,
e poi cornici, impermeabili e ombrelli,
finché quasi ci scordammo di lui, del suo sguardo serio
che permarrà, quando noi ce ne saremo
già andati da tempo, e città e casa e via
saranno scomparse – là in alto, fermo,
luccicando verso est e verso ovest, tanto
da potercisi orientare nella buia
notte, un conforto per vecchi naviganti.
*
nagel
kaum in der wand, war er die mitte,
schnellte sein radius
über die gärten, felder, rübenmiete
hinaus, die hühnerställe, das radies-
chenbeet, wurde umfassender, mondial:
wir hängten die hüte auf. wir hängten strick-
jacken und rahmen, hängten regenmäntel
und schirme auf, bis wir ihn fast vergaßen, dessen harter blick
noch da sein wird, wenn wir längst ausgezogen
und stadt und haus und straße
verschwunden sind – so unbeirrt weit oben,
so glänzend über west und ost,
daß sich im dunkeln navigieren ließe
nach ihm, und alten seefahrern ein trost.
*
le palline da tennis
l’era di borg e mecchenrò,
poco dopo quella d’ararat e sinai,
e il riposo delle zanzare
sui pascoli la sera, mentre ancora il rosso
dei campi pulsava, pulsava alle nostre spalle:
tra i porosi sterchi di vacca,
la minuta agata della
menta campestre o dell’onorata veronica,
al di là della rete metallica, dei pali di cemento,
della siepe
di rosa
canina
e del loro semplice modello planetario,
le trovammo, con una volée
o con un impreco catapultate fuori
da questo mondo, e ora palle
marroni, putride, deformi
come teste rimpicciolite, che né raccolto
né fioritura attendono, nel campo davanti a noi,
eppur preziose come le uova di dodo.
sembrava volessero insegnare qualcosa,
quando nello sporco, con barbe di muschio,
avvolte nel fango, invece di rimbalzare
rimanevano al suolo con lo schiocco
sordo di vecchi che sbattono la bocca
o volessero aprirci il loro intimo
che esala muffa, una boccata
di respiro –
di quel minuscolo istante
ancora sullo zero a zero
forse, quando un contendente
carica il servizio, strizzando gli occhi per
il rullo compressore della luce solare
sul campo, incerto se la palla sia in discesa,
in volo o se, nonostante tutto, stia ancora
salendo e salendo sempre piú in alto
…………………………………….con il suo feltro in giallo
…………………………………….d’uovo, la sua lanuggine luminosa –,
prima di abbandonarle alle intemperie,
con altri miracoli per la testa, litorali piú discosti,
dimenticate, sul procinto di sprofondare
nei campi, a metà strada, ormai, per farsi sassi.
*
die tennisbälle
die ära von borg und mäckenroh,
nur kurz nach ararat
und sinai, und die stechmückenruhe
der weiden abends, während noch das rot
der tennisplätze uns im rücken pochte
und pochte: zwischen porös-
en kuhfladen, dem winzigen achat
von ackerminze oder ehrenpreis,
jenseits des maschendrahts, der pfosten aus beton,
der hage-
butten-
hecke
und ihrem simpleren planetenmodell,
fanden wir sie, mit einem volley
oder mit einem fluch aus dieser welt
herauskatapultiert und nun als fauli-
ge kugeln, braun, entstellt
wie schrumpfköpfe, weder ernte
noch blüte erwartend, vor uns auf dem feld,
doch kostbar wie die eier einer dronte.
sie schienen etwas lehren zu wollen,
bärtig von moos, wenn sie in schmutz, in
schlamm gehüllt statt abzuprallen
mit einem greisenschmatzen
liegenblieben am grund
oder ihr innerstes uns auftaten
mit muffiger luft darin, einem mund-
voll atem –
von jenem winzigen moment
beim stand von null zu
null vielleicht, in dem ein kontrahent
zum aufschlag ausholt, blinzelnd vor der walze
aus sonnenlicht über dem platz
nicht sicher sein kann, ob der ball im fall, im
flug ist, ob er nicht allem zum trotz
noch steigt und immer höher steigt
…………………………………….mit seinem dottergelben
…………………………………….filz, dem leuchtenden flaum –,
bevor wir sie dem wetter überließen,
andere wunder im sinn, entferntere küsten,
vergessen, bald versunken in den wiesen
und schon auf halbem wege zum gestein.
*
torba
per principianti, c’era scritto nella
guida, anche senza segnavia un’inezia.
ciò che seguí furono ore e ore nel
freddo con i singhiozzi
e le scorregge
di una palude che divora la tua scarpa sinistra
e intere foreste, pestando muschi, poggi-
verruca, bilanciandosi
come sopra una mandria di cammelli,
gli infeltriti, ingialliti sgabelli
d’erba; miglia e miglia con
un piede varo per il fango sul tallone
e sempre di nuovo quelle corsie
scavate nel sedimento, gli archivi
di torba, mentre il cielo, come se non bastasse,
spalancava le sue porte grevi,
e tu, tutto tremulo,
spingesti avanti il corpo, accanto a nuova
torba, con l’intimo che grondava
di pioggia – un cumulo
rovesciato di bibbie, l’orma di un’ombra
che cammina nel crepuscolo, torba
a mucchio o a fette,
un armadillo irrigiditosi nelle sue placche –,
e ora, a soli venti metri dal punto in cui passa
una strada, con gli occhi come una fessura
per monetine, mostrando la scriminatura
delle corna, grosse come braccia di uomo,
un montone o un ariete smisurato,
alla fine di questo borgo,
da tempo ormai abbandonato,
il dio della torba,
che ti fissa dalla sua maschera
d’ebano e aspetta,
e tu, perso trai mosaici di feci di pecora,
senz’alcuna domanda, senz’alcuna risposta,
potendo scegliere solo se volgerti e tornare all’alta
palude, tra i venti sibilanti,
o cadere, alla fine, lacrimante,
in ginocchio, al cospetto di tanta oscurità.
*
torf
für anfänger, hatte im buch gestanden,
auch ohne wegweiser ein klacks.
was folgte waren stunden
um stunden durch die kälte mit dem glucks-
en und furzen
des deinen linken schuh und ganze urwälder verzehren-
den moors, auf moose tretend, hügelwarzen,
ein balancieren
wie über eine herde von kamelen,
die filzigen, vergilbten höcker
aus gras; meilen um meilen
mit einem klumpfuß schlamm an der hacke
und immer wieder jene durch ein flöz
getriebenen gänge, das archiv von torf,
während zu allem überfluß
der himmel seine schweren tore auf-
riß und du bibbernd
den körper weiterzogst, an noch mehr torf
vorbei, dein innerstes von regen troff –
ein umgekippter stoß von bibeln,
die durch das zwielicht laufen-
de fußspur eines schattens, torf in scheiben
oder als haufen,
ein gürteltier, erstarrt in seinen schuppen –,
und jetzt, nur zwanzig meter von der stelle,
wo eine straße sich entrollt, mit münz-
schlitzaugen, dem scheitel
der hörner, dick wie oberarme eines mannes,
ein kapitaler widder oder bock
am ende dieses dorfes,
das längst verlassen worden ist, der gott
des torfs,
der dich durch seine maske
aus ebenholz anstarrt, wartet,
und du, ganz auf die mosaike
von schafsmist konzentriert und ohne jede frage, ohne antwort,
nur mit der wahl, dich umzudrehen,
zurück ins hochmoor, zu den singen-
den winden, oder endlich unter tränen
vor all der schwärze auf die knie zu sinken.
*
requiem per un parrucchiere
poiché tutto riposa il lunedí, ora solo lunedí rimane.
coprite gli specchi. smussate alle forbici le lame.
chi farà ruotare e frizionare le dita finché lo shampoo
non diventi una nuvola sopra di noi, chi dirigerà il suo
entourage di flaconi, gli olî nello scaffale e il profumo con
mano sottile? chi accende ora il grande organo dei fon,
lasciandolo muggire, lasciandolo montare?
prendete dalle tinte il nero, mischiatelo con le chiare.
poiché ora nessuna mantella ricadrà piú sul corpo sontuosa
e lenta come una tenda, e chi si ferma non sa
piú cosa ci sia da trovare, cosa si debba cercare,
ma solo che i capelli continuano a crescere, a proliferare.
*
requiem für einen friseur
weil montags alles ruht, nun alles montag bleibt,
verhängt die spiegel. nehmt der schere ihren schneid.
wer ließe finger kneten, kreisen, bis die wolke
des shampoos aufzieht über uns, wer dirigierte sein gefolge
von fläschchen und den duft, die öle im regal
mit einer schmalen hand? wer wirft die große orgel
aus fönen an und läßt sie brausen, läßt sie schwellen?
nehmt von den farben schwarz, vermischt es mit den hellen.
weil jetzt kein umhang mehr so prachtvoll, langsam wie ein zelt
herabsinkt überm körper, und wer innehält
nicht länger weiß, was es zu finden gilt, wonach zu suchen,
nur daß die haare weiter wachsen, weiter wuchern.
[Immagine: © Thomas Ruff, 3D-ma.r.s.11, 2013, chromogenic print, 100 3/8 x 72 7/8”].