di Maria Gaia Belli
Il matto
Un uomo viveva da vent’anni in un paese sotto Passo del Corvo, vendendo legna d’inverno e pelli d’estate. Da giovane aveva preso per moglie una donna gatto da un paese a est del confine, una donna che portava unghie e capelli lunghi e lo minacciava con il coltello quando tornava a casa ubriaco. Allora quando beveva grappe e liquori d’erbe, l’uomo dormiva per strada o nell’orto, sulle foglie di zucca. Arrivò la festa d’estate e l’uomo disse alla moglie che sarebbe sceso a valle, per comprare due capre alla fiera. Giurò che sarebbe stato via non più di tre giorni e avrebbe speso non più di trecento ferri. La moglie gliene diede duecento, cento per capra, e gli disse di non fermarsi a bere per la strada. L’uomo partì e andò a valle, ma sulla strada incontrò un vecchio amico e andò a pranzare con lui, e senza la moglie che lo controllava si ubriacò. Perse così le ore di luce quando si fece notte l’uomo era ancora sulla strada. Avendo paura dei lupi e dei ladri, si fermò a dormire in un albergo, dove spese centocinquanta ferri per dormire, mangiare un pezzo di carne e bere un bicchiere di vino.
Il giorno dopo riprese la strada e arrivò di buon mattino alla fiera della valle, ma nessuno voleva vendergli una capra né un capretto per cinquanta ferri. La sera del secondo giorno l’uomo andò alla taverna e spese trenta ferri per tre bicchieri di buona grappa. Cadde sul pavimento e lo misero sulla strada, dove dormì tra i sacchi d’avena per i cavalli. Gli rubarono tutti i ferri tranne uno, caduto nella fodera da un buco nella tasca dei pantaloni.
La terza mattina l’uomo si svegliò e andò alla fiera, ma i mercanti erano già partiti. Restava nella piazza solo una bambina, che aveva venduto i suoi giocattoli. L’uomo le si avvicinò e le chiese se aveva da vendere una collana di ciottoli per un ferro, da regalare a sua moglie arrabbiata. La bambina, però, aveva venduto tutto e stava ripiegando il suo straccio. Restava solo un pupazzetto di osso, intagliato a forma di cervo. L’uomo chiese di cosa era fatto e la bambina gli disse: è la punta del corno del cervo magico, che porta la vita eterna. L’uomo rise e le offrì un ferro per comprare il pupazzo. Ma la bambina non volle prendere soldi e gli chiese in cambio le scarpe. L’uomo, che era ancora ubriaco per la grappa, gliele diede in cambio del pupazzo. Si mise per la strada a piedi scalzi, sbagliò una svolta, si perse sulla dorsale e vagò per un anno.
Intanto la fiera d’inverno passò dal paese in cui viveva. Sua moglie vi andò, trovò in vendita le scarpe e lo pianse per morto. Le comprò e le bruciò coi suoi vestiti interi e attaccò un campanello d’argento sulla porta per chiamarne lo spirito. Passati che furono sei mesi, tolse il velo nero, vendette alla fiera d’estate tutto quello che le restava e andò a vivere dove era nata, a est del confine.
Quando l’uomo tornò al paese aveva la barba lunga fino allo stomaco e i piedi nudi duri come sassi, un ferro in una tasca e un pupazzo nell’altra. Ricordava la strada di casa, vi andò e la trovò vuota. Si mise allora a vivere nella casa vuota, non tagliò la barba e non ricomprò le scarpe. Ora è l’uomo che chiamano matto.
*
Il dono
Quando rientrò in casa, suo padre stava leggendo la bozza di contratto. Aveva preso gli occhiali, che gli erano sempre andati stranamente piccoli come lenti ma larghi nelle stanghette. La penna era posata poco più avanti, accanto a un bicchierino vuoto, macchiato di liquore alle erbe.
«È arrivato?» gli aveva domandato, tanto per dire qualcosa sull’argomento. L’accordo, comunque, era ormai alla conclusione. Era la prima volta che apriva bocca per parlarne: appena una domanda, ma non fu contenta di se stessa. Suo padre, che aveva studiato solo fino alle prime scuole, procedeva lentamente. Le chiese di sedersi a tavola e di leggere ad alta voce, perché quella mattina il vento gli aveva portato la polvere di segatura in faccia, e a quell’ora preferiva stare con gli occhi chiusi. Lin allora si era seduta e aveva iniziato a leggere dalla pagina che aveva trovato aperta. «
Punto quindici. La ragazza non è autorizzata a entrare in casa malata, sporca o in condizioni di sciatteria. Punto sedici. La ragazza è invitata a restare a casa propria per riposare, durante precisi giorni del mese. Punto diciassette. Durante i turni di lavoro, la ragazza non può avvicinarsi ai confini della proprietà fino ai tre metri di distanza.» «Cosa significa sciatteria?» le aveva chiesto il padre. «Significa spettinata. Vestita male. Come quando sono in pigiama. Non posso andare a casa del padrone in pigiama, no?».
Suo padre aveva sorriso e fatto un cenno con la testa. Con il naso, invece, aveva fatto segno d’andare avanti. Lin aveva letto i successivi trentuno punti, distribuiti su diversi fogli, che elencavano tutte quelle cose – come bucarsi le orecchie, tatuarsi la pelle, procurarsi tagli o cicatrici, truccarsi il viso o tagliarsi i capelli – che le sarebbe stato vietato fare dal momento in cui suo padre avrebbe firmato il contratto. Nella pagina singola che non aveva letto, invece, c’erano i divieti che riguardavano il ragazzo. Suo padre li aveva controllati per primi, appena il contratto era arrivato nella busta raccomandata, e li aveva riassunti per lei in poche parole: «Il ragazzo non ti picchierà di certo. Sono di buona famiglia». Lin era curiosa, ma non decise di non avere il tempo per controllare: fuori aveva già iniziato a gelare, e c’era neanche un’ora di luce. Mentre suo padre firmava il contratto, era già sulla strada di ritorno dal negozio di alimentari. Per la fretta rischiò di scivolare lungo il marciapiedi ed ebbe paura di cadere, di cadere e sbucciarsi una gamba o di sbattere il naso, di rovinarsi la pelle e di perdere il lavoro. Ebbe paura, e tornò a casa camminando piano dove la neve fresca era ancora morbida.
La prima sera di lavoro sarebbe stata quella del sedici dicembre. Lin fece con sua madre tutte le cose che servivano nella settimana prima: comprò biancheria e asciugamani nuovi, li mise stirati dentro una valigia che aveva comprato solo per quell’occasione. Andarono da una donna che toglieva i peli dal corpo con cera e zucchero e che le spuntò i capelli con delle piccole forbici argentate, in modo che la linea sulla fronte fosse ben diritta. La donna era grossa, amica di sua madre, teneva un lettino coperto di carta in salotto e apriva la porta con i capelli e le labbra colorate. Chiese a Lin se voleva tingersi le unghie dei piedi, e se stava per sposarsi. A entrambe le domande, lei rispose: «Proprio no, grazie». Il martedì sua madre la accompagnò dal dottore. Il dottore era stato scelto dalla famiglia del padrone, e si trovava al sesto piano di un grande palazzo nella zona verde della città. Dovettero prendere due corriere e camminare a piedi per quasi un’ora, per arrivare in orario all’appuntamento. Quando furono sedute nello studio, su poltroncine di pelle marrone, Lin sentiva le gambe umide sotto la gonna e i piedi sudati nelle scarpe. A questo solo stava pensando, quando il dottore le chiese se aveva mai avuto conosciuto uomini.
«No.» aveva detto Lin «Sono vergine». Il dottore la fece spogliare di calze e mutande e lei ebbe più paura dell’odore che avrebbe potuto sentirsi tra le sue cosce, che delle mani che la visitavano. La visita fu breve e non le fece male. Il dottore le controllò anche il seno, poi la gola e le ghiandole dietro le orecchie, le fece leggere delle lettere su un cartello illuminato e le prelevò un flaconcino di sangue. Quando fu rivestita, le presentò un libro illustrato dove un uomo nudo e una donna nuda erano rappresentati in parallelo, su due pagine. Un breve testo descriveva i genitali. Lin lo chiuse e lo restituì. «Lo so come funziona. Me lo ha spiegato mamma. Anche lei faceva questo lavoro» disse in breve. Il dottore sembrò contento di non dover perdere altro tempo, e scrisse sul referto per il padrone: «Quindici anni, proporzionata e in buona salute. Intatta.» La visita era durata poco e la corriera ripassava solo una volta all’ora. C’era un piccolo locale vicino alla fermata dove aspettarono sedute, bevvero un caffè e divisero a metà un dolce di pasta speziata. Solo allora Lin disse a sua madre che aveva avuto paura: di puzzare, e che il dottore non l’avrebbe più raccomandata. Sua madre scoppiò a ridere e rise così tanto da versarsi il caffè sul vestito, che tanto era nero e pieno di vecchie macchie invisibili, e già quando arrivarono a casa non ricordarono più che era caduto.
Fu suo padre ad accompagnarla a casa del padrone, dove lui andava già tutte le mattine a pulire il giardino e a dar da mangiare ai cani. Lin non era mai andata prima, poiché non era permesso a chi non vi lavorava entrare nella proprietà. Dovettero lasciare la macchina oltre i cancelli e camminare sullo stradone di ghiaia che costeggiava la zona a nord del giardino, fino all’entrata sul retro delle cucine. «La prossima volta» le disse suo padre «Entrerai dalla porta del personale di servizio. Ma oggi c’è festa e non voglio che tu faccia cadere qualcosa dalle mani ai camerieri». Suo padre la presentò al maggiordomo, che la presentò alla cameriera personale della signora. Questa le mostrò una camera piccola e pulita, con un piccolo bagno bianco e un armadio di legno, in cui erano già pronti i vestiti scelti dal padrone. Le disse di restare e aspettare. Lin aprì la valigia e sistemò le proprie cose nei cassetti dell’armadio, mise sul comodino un libro che aveva già letto una volta, portò in bagno una borsetta a fiori che era già stata di sua madre, un po’ rovinata su un angolo, dove teneva le creme per il viso e pasta alla menta per i denti. Non aveva altro da fare, così si sdraiò sul letto rifatto e aspettò. La festa era tre piani più in basso, e arrivava fin lì solo una musica pacata e la vibrazione delle suole rigide che battevano sui pavimenti di legno. Immaginò le portate di cibo che uscivano dalla cucina fumante, i vestiti di mogli e di figlie che ruotavano attorno alle caviglie chiare. Cercò di immaginare il ragazzo, ma fino a quel momento, nella sua testa, era solo l’immagine di una giacca e un paio di scarpe lucide, un paio di mani che ricevevano pacchetti, ringraziavano, scartavano. Pensò a quanto doveva essere felice, perché quello era il giorno del suo compleanno. Lin sapeva di essere il regalo migliore. Dormì tranquilla fino alla fine della festa.
[Immagine: Giuseppe Ranieri fotografato da Mario Giacomelli, ©]