di Guido Mattia Gallerani
[È uscito da poco Pseudo-saggi. (Ri)Scritture tra critica e letteratura di Guido Mattia Gallerani. Pubblichiamo l’introduzione allo studio, apparso nella collana “Tracciati” (diretta da Giuliana Benvenuti, Donata Meneghelli e Lucia Quaquarelli) per i tipi dell’editore Morellini, che ringraziamo]
Gli pseudobiblia sono libri “presunti, fittizi, immaginari ma che tuttavia esistono, a volte come eredi di lontanissime e più o meno misteriose tradizioni, altre volte come creazione degli scrittori all’interno delle proprie opere”[1]. Rientrano in questa categoria non solo i libri che sono esistiti e che oggi sono perduti per sempre (ad esempio perché distrutti o censurati), ma anche quelli che potrebbero esistere, e a cui si fa riferimento in altri testi, oppure che vengono annunciati per il futuro e restano, invece, allo stato di progetto[2]; ancora, sono da classificarsi come pseudobiblia i libri immaginari e finzionali, come quelli evocati nell’espediente del manoscritto ritrovato, e che costituiscono la materia narrativa di altri libri. Due casi sono particolarmente famosi. Il riferimento più antico è quello mitologico del Libro di Thoth, il cui autore sarebbe l’omonimo dio egiziano che ha inventato la scrittura e l’ha trasmessa al genere umano. In campo strettamente letterario, lo pseudobiblion più eclatante è inventato da Howard Phillips Lovecraft con il Necronomicon, che si erge a supporto dei miti che popolano il suo immaginario fantastico e che diviene vero e proprio oggetto di culto, nonché di fantasiose recensioni ed edizioni in più lingue.
Nel quadro di questo lavoro, a noi interessa la categoria degli pseudobiblia allorché essa comprende i libri “falsi”. Vediamo di precisarne il senso. Jorge Luis Borges ha fatto invero dei libri stessi, e di alcuni immaginari, i protagonisti di molti suoi testi. L’accostamento ad Almotasim (1936) è costruito attorno a un romanzo inesistente, ma il suo intento non è quello di una creazione narrativa, bensì di una documentata analisi del libro stesso e dei suoi effetti sui lettori. Quando Borges si troverà, nel suo Abbozzo di autobiografia, a commentare quel suo vecchio testo, userà la formula “è uno scherzo e uno pseudo-saggio allo stesso tempo”[3]– Il prefisso pseudo designa un testo che è un’invenzione a scopo ludico, ma sottoposto a un rigore critico tutt’altro che improvvisato e apparente.
Il genere letterario considerato in questo volume preciserà, per pseudo, un significato diverso da quello di un testo fittizio, immaginario o inventato. Gli pseudo-saggi sono scritture saggistiche che commentano testi esistenti, che possono essere anche di natura romanzesca o poetica. Eppure, pur non rinunciando alla responsabilità critica, gli pseudo-saggi sono testi che appaiono falsificando, o meglio camuffando, il saggio critico. Per tale ragione, il primo capitolo si premurerà di indicare i punti in comune tra il genere del saggio e la forma che chiamiamo pseudo-saggio, determinando la possibilità del camuffamento e della trasformazione del saggio critico. Si individuerà così nella relazione critica e metatestuale il nodo nevralgico per comprendere il processo di trasformazione che ci porta dal saggio critico allo pseudo-saggio.
Conviene innanzitutto precisare che non si tratta, per lo pseudo-saggio, di una sintesi metaforica condotta al livello del suo nome di genere. Eric Donald Hirsch illustra come per alcuni generi letterari, ad esempio per il poem’s epic di Byron e il genere della tragicommedia, intervenga un meccanismo metaforico nella formazione delle parole che combina due termini diversi per indicare l’apparizione di un nuovo genere[4]. Si tratta di un’operazione abbastanza diffusa nel discorso teorico letterario e forse non solo in quello, se il nuovo può essere definito solo ricorrendo a ciò che già si riconosce[5], quando ci si trova nella necessità di dare un nome a oggetti nuovi e diversi dai precedenti. Se tali definizioni illustrano, già a livello del nome, il procedimento di ibridazione (più precisamente, di contaminazione generica) tra diversi generi letterari[6], come risulta evidente ad esempio nel nome generico di romanzo-saggio[7], quello di pseudo-saggio si smarca dall’indicare un’uguale sintesi di generi preesistenti.
Lo pseudo-saggio rappresenta una possibilità formale che tanto la storia quanto la teoria letterarie hanno reso possibile per la scrittura saggistica. Il saggio è un genere contraddittorio: al pari degli altri generi, il suo sviluppo storico può essere chiarito attraverso i modelli, i prestiti e le evoluzioni nel tempo letterario e nel rapporto tra le diverse tradizioni linguistiche; ma questa stessa storia ci restituisce un modello generale di saggio in cui le possibilità formali non cambiano, non si sostituiscono a vicenda nel corso del tempo, ma restano sempre compresenti. Ciò avviene perché il saggio è il genere della nostra memoria letteraria e culturale. Il saggio costituisce la scrittura intellettuale che interroga lo statuto di ogni forma, di ogni disciplina, di ogni ideologia, perché riconduce la teoria e la storia ad altrettante rappresentazioni, ad altrettante forme di scrittura. Per questo una teoria complessiva del saggio non può darsi se non nella storia della sua funzione teorico-letteraria, nel campo della scrittura, in quanto modalità estrema del meta-discorso, in quanto attività intellettuale che ragiona sulla scrittura tramite la scrittura. Pertanto lo pseudo-saggio rappresenta a propria volta una forma dell’autoriflessione della scrittura saggistica: in particolare, come forma letteraria dei limiti che esso riconosce alla scrittura critica, e non come soluzione metodologica a questi; come iscrizione in un testo letterario della loro crisi immanente, e non del loro superamento prossimo in una nuova filosofia.
Pertanto, nel primo capitolo, si tratterà di individuare lo pseudo-saggio come forma intanto possibile[8] del saggio critico, elaborando quel modello ipotetico e ideale[9] che la storia e la teoria consentono di prevedere e precisare entro la poetica del saggio. Gli pseudo-saggi saranno innanzitutto saggi truqué, che se sono stati compresi talvolta come imperfezioni[10], ora verranno intesi nel loro valore di potenziamento della scrittura critica attraverso il raccordo e la relazione: saggi che guardano ad altre forme per operare il loro travestimento, e che si allontanano dal saggio critico per inseguire un altro rapporto coi testi che dovrebbero commentare, non più ridotto al solo scopo critico-interpretativo. Bisognerà allora intendere questo prefisso pseudo- come l’indicatore di un cambiamento di tono, di registro: un quasi apposto al genere del saggio critico, che servirà soprattutto a dichiararne la natura falsificatoria, la forma di smarcamento.
Nello pseudo-saggio assistiamo al travestimento di un genere sotto l’altro come unica manifestazione concessa a una forma altrimenti impossibile, che non si è autonomamente precisata in una sintesi generica definita: le forme del dialogo, dell’autoritratto, dell’autobiografia e della biografia romanzesca saranno le principali dietro cui la scrittura saggistica si sottrae a se stessa come modalità di presentazione ai lettori, ma soltanto per tornare come produzione di un senso della lettura più vasto di quello critico: un senso che può oscillare dall’appercezione estetica alla personalizzazione dei testi, dal riconoscimento ideologico al conformismo culturale. Lo pseudo-saggio è quel saggio che appare potersi leggere come se fosse altro, di volta in volta variamente codificato e immaginato dagli scrittori. Parafrasando Hans Vaihinger, il nesso come se, preludendo grammaticalmente a un’impossibile unione tra i due termini, annuncia nondimeno una finzione conoscitiva: un’ipotesi sia interpretativa sia formale che mira a uscire dal campo dell’argomentabile e del probabile, per stagliarsi come verità. Anche lo pseudo-saggio è da intendersi come una conscious falsehood introduced for a particular purpose[11]. Non è insomma il simbolo di un’equivalenza: un saggio che si annuncia come se fosse un romanzo non annuncia nient’altro che tale intenzione. Non è innanzitutto la negazione del saggio o del romanzo. Non è la validazione definitiva della forma del romanzo-saggio o di un saggio-romanzo (i rapporti di forza tra i generi sono gerarchici, e qui non stiamo parlando del potere del romanzo di inglobare altri generi). E non è contemporaneamente l’uno e l’altro. Infine, non è insieme un saggio, un romanzo e qualcos’altro di nuovo e originale. Ma è una forma che, nascondendo sotto un’altra la propria scrittura critica, si presenta ai lettori come se volesse farsi leggere come l’una e l’altra. Per questo, dal punto di vista metodologico, verrà data molta importanza al materiale paratestuale (titoli, introduzioni, altri peritesti e gli epitesti pubblici come le interviste agli autori), in quanto forma di negoziazione da parte dello scrittore dei modi futuri con cui il suo pseudo-saggio verrà letto.
Questo studio articola le categorie di tale mascheramento partendo dal rapporto della critica letteraria con le forme letterarie. Tali rapporti di nascondimento, svelamento e contrasto che la critica letteraria imbastisce con altre forme di scrittura attraverso lo pseudo-saggio verranno esplicitati lungo cinque capitoli dedicati ad altrettante forme “concorrenti” della saggistica: nel secondo capitolo il dialogo, come strumento con cui il lettore-critico si rappresenta sulla scena sociale; nel terzo capitolo l’autoritratto, che il lettore-critico inscrive dentro la propria lettura dei testi, attingendo a piene mani dai loro materiali e riattivandoli in una relazione con altro materiale biografico ed enciclopedico; nel quarto capitolo il romanzo, in particolare nella creazione di personaggi romanzeschi da parte della critica; nel quinto capitolo la pratica della riscrittura, come commento condotto sopra un testo “fantasma”, mascherato dall’ipotesto; nel sesto, infine, l’autobiografia, come forma con cui la critica letteraria è assorbita nel più ampio processo di personalizzazione della cultura tipico del tardocapitalismo.
Bisogna interrogarsi sui motivi dell’esistenza di una forma particolare, all’apparenza straniante, e sul ruolo che vorrebbe giocare nel campo letterario e nel contesto storico-culturale che attraversa. Le categorie formali individuate sono di poetica, ma si accavallano lungo epoche diverse. Benché non si escluda una storia più antica per lo pseudo-saggio, certamente probabile almeno da metà Settecento e dalla nascita del significato corrente di letteratura, gli pseudo-saggi individuati partono sul finire dell’Ottocento per arrivare a oggi, nel periodo in cui si assiste contemporaneamente alla progressione della divisione specialistica dei discorsi e al riconoscimento immancabile della loro crisi in corrispondenza di mutazioni sociali, culturali e tecnologiche globali. Tre diverse ere mediatiche vengono attraversate in questo studio e, nella loro schematica progressione, ovviamente non si sostituiscono a vicenda, ma convivono l’una nell’altra: quella del giornale (sul finire dell’Ottocento e a inizio Novecento), quella dell’audio-visuale (a metà Novecento) e l’attuale era digitale. Le varie tipologie di pseudo-saggio sono suddivise secondo le forme letterarie usate, che possono essere messe in corrispondenza, dapprima, con la comunicazione dialogica, l’articolo giornalistico e il palinsesto radiofonico; poi, con l’autoritratto come esibizione del critico-lettore sulla scena sociale, secondo una qualità spaziale e visiva della scrittura; infine, con l’autobiografia, performata dallo pseudo-saggio come frammento personale estratto dall’archivio della memoria autobiografica, in cui anche i testi letterari andranno sussunti e inclusi. La questione della meta-testualità digitale come possibile contenitore di un saggio “mediatizzato” verrà, però, trattata in una “coda” al nostro studio.
Nondimeno, due fenomeni culturali diversi sono riscontrabili attraverso le varie tipologie e le suddivisioni cronologiche: da un lato, nei confronti della specializzazione dei discorsi, una resistenza che trova nello pseudo-saggio una forma concorrente e oppositiva; dall’altro, la ricerca della totalità come soluzione alla scrittura specialistica della critica, benché tale totalità sia – per le caratteristiche dello pseudo-saggio – nient’altro che un camuffamento a livello formale e generico di un testo in divenire, di una totalizzazione che resta un processo di produzione piuttosto che un prodotto oggettivo.
Tentando una prima storicizzazione delle categorie formali dello pseudo-saggio, si può indicare come, nell’epoca della crisi che precede la Prima guerra mondiale, la caduta dei ruoli sociali precostituiti per l’individuo coinvolga anche il compito del critico: l’idea della lettura come una pratica individuale e solitaria si scontra con una comunicazione, anche letteraria, che diventa plurale con i media moderni, tra cui i quotidiani e la stampa periodica. Il letterato è interessato a riconoscere come “superficiali” le scritture critiche e le interpretazioni dei testi e degli eventi che vengono ora divulgate sulla scena pubblica, almeno nel caso di Oscar Wilde, di Marcel Proust e di Renato Serra. Due diverse forme dello pseudo-saggio, l’autoritratto e quello dialogico, formalizzano il contenuto ideologico dell’individualismo moderno nei termini di una risposta elitista del critico-lettore di fronte al cambiamento.
Parimenti, di fronte a un rinnovamento del pubblico e della sua estensione nel secondo dopoguerra italiano (considerando la metà degli anni Cinquanta come il vero momento in cui nasce una radio culturale ad ampia diffusione), lo pseudo-saggio è l’esplorazione dei modi con cui uscire – parafrasando Stéphane Mallarmé – dall’“aristocrazia della scrittura”. Un testo radiofonico di Giacomo Debenedetti si può scegliere come indicativo della modificazione storica che subisce la categoria dello pseudo-saggio dialogico precedente: non più la maschera dietro cui si nasconde il lettore-critico, ma una vera e propria persona dialogica, che incarna un ruolo sociale e aggiorna le istanze della comunicazione letteraria entro il medium radiofonico.
All’altezza degli anni Ottanta e Novanta, nel caso di Claudio Magris ed Édouard Glissant, l’autoritratto intellettuale esplora uno spazio geografico nuovo, dopo la caduta di barriere politiche, culturali e simboliche ereditate dal passato: lo pseudo-saggio si rivolge alle forme dello scritto di viaggio e del reportage, nel tentativo di montare assieme la rappresentazione del presente storico e l’esigenza di reinterpretare i testi del passato, alla luce di una lettura che ripensa nel suo writing back tanto l’enciclopedismo europeo quanto la critica post-coloniale dell’identità culturale.
Con Jean-Paul Sartre la totalizzazione diventa una ricerca di scrittura che porta discorsi eterogenei a un livello sia stilistico che concettuale superiore: potrebbe apparire, all’altezza degli anni Settanta, come un ultimo disperato tentativo di tenere assieme teoria e pratica, filosofia e letteratura. Invece, resta consustanziale a progetti coevi portati avanti da altre scritture, altri pseudo-saggi, che mostrano di voler farsi leggere come se la sintesi tra romanzo e saggio fosse (di nuovo) una soluzione possibile e auspicabile. Piuttosto, la loro messa in tensione appare ben più produttiva sui piani conoscitivo, simbolico e letterario, se è l’eterogeneità discorsiva a essere preservata ed esposta. Quando infatti parleremo di saggio “parallelo”, dovremo cogliere lo sforzo di quello che è definito il “periodo d’oro” della teoria letteraria per concepire una nuova interpretazione del testo, in concomitanza con i movimenti di contestazione del 1968 e con l’affacciarsi, sulla scena pubblica, di nuovi soggetti politici, sociali e culturali che rivendicano – come ebbe a dire Michel de Certeau – la “presa di parola”, il diritto alla propria opinione. Il saggio parallelo è una categoria ugualmente aperta ad accogliere linguaggi diversi. In Roland Barthes e Giorgio Manganelli lo pseudo-saggio rappresenta l’essenza dell’apertura del testo dal lato della critica. In generale, in questo periodo anche lo pseudo-saggio partecipa a un progetto di de-personalizzazione dell’autorità sociale del testo, cioè l’autore, che se certo non giunge all’ipotesi di una collettivizzazione del soggetto-lettore, immagina e realizza a livello formale una lettura critica che si vuole leggere già come (nuova) produzione di scrittura. Terminato, infine, il passaggio a quello che si può definire neo-individualismo, leggeremo alcune opere scritte dal Duemila in poi come pseudo-saggi autobiografici, in cui il critico-lettore resterà solitario sulla scena, sforzandosi di trarre una verità universale dai testi e proponendosi di condividere, chiudendosi in sé, la forma critico-letteraria della propria autobiografia.
[1] Michele Santoro, Leggere o non leggere (gli pseudobiblia), in «Biblioteche oggi», vol. 31, n. 8, 2013, p. 37. Vedi la ricca bibliografia di Paolo Albani e Paolo Della Bella, Mirabiblia. Catalogo ragionato di libri introvabili, Zanichelli, Bologna 2003.
[2] “A ogni svolta del libro, un altro libro, possibile e anche spesso probabile, è stato respinto nel nulla. […] E questi libri dissipati l’uno dopo l’altro, rigettati a milioni nei limbi della letteratura […] questi libri che non hanno visto la luce della scrittura, in un certo modo contano, non sono completamente scomparsi. Per pagine e pagine, per capitoli interi è il loro fantasma che ha trascinato in avanti lo scrittore, e lo ha rimorchiato” (Julien Gracq, Lettrines, Éditions José Corti, Paris 1967, p. 27).
[3] Jorge Luis Borges, “Abbozzo di autobiografia”, in Id., Elogio dell’ombra, Einaudi, Torino 1998, p. 160. “Finge d’essere la recensione di un libro pubblicato per la prima volta a Bombay tre anni prima. Dotai la falsa seconda edizione di un editore vero, Victor Gollancz, e di una prefazione fatta da uno scrittore vero, Dorothy L. Sayers. Ma tanto l’autore che il libro sono interamente di mia invenzione. […] Forse non ho reso giustizia a quel brano; ora mi sembra che abbia presagito e sia perfino servito da modello per gli altri racconti che in un certo modo mi attendevano, e sui quali si basa la mia fama di scrittore di racconti” (ivi, pp. 160-161).
[4] Eric Donald Hirsch, Validity in Interpretation, Yale University Press, New Haven 1967, p. 76. Si veda anche David Fishelov, Metaphors of Genre. The Role of Analogies in Genre Theory, Pennsylvania State University Press, University Park (PA) 1993.
[5] “Il discorso moderno è ‘catacretico’, perché, da un lato, produce un effetto continuo di metaforizzazione, ma dall’altro, non ha nessun altra possibilità di dire la cosa se non attraverso la metafora” (Roland Barthes, Prétexte: Roland Barthes – Colloque de Cerisy 1977, a cura di Antoine Compagnon, Christian Bourgois, Paris 2003, p. 489).
[6] L’ibridazione nel nome è particolarmente evidente nei temi e nei personaggi della letteratura fantastica. William Schnabel conia l’espressione hybridité d’associations per definire la creazione di un sintagma ossimorico che coniuga due aspetti naturali diversi o addirittura agli antipodi (es. morti-viventi). Vedi William Schnabel (a cura di), L’hybride, «Les cahiers du Gerf», n. 7, 2000, p. 9.
[7] Stefano Ercolino, Il romanzo-saggio, 1884-1947, Bompiani, Milano 2017.
[8] “La poetica è deduttiva e non induttiva, come la letteratura comparata; ciò le consente, come la narratologia, di prendere in considerazione non solo i generi reali, ma anche quelli ‘possibili’ che la logica formale le suggerisce” (Dominique Combe, Les genres littéraires, Hachette, Paris 1992, p. 126).
[9] “È la procedura che consiste nel ‘produrre’ la nozione di un genere non a partire da una rete di somiglianze esistenti all’interno di un insieme di testi, ma postulando un testo ideale, di cui i testi reali non sarebbero che i derivati più o meno conformi, proprio come secondo Platone gli oggetti empirici sono solo copie imperfette delle Idee eterne” (Jean-Marie Schaeffer, “Du texte au genre. Notes sur la problématique générique”, in Gérard Genette et al., Théorie des genres, Seuil, Paris 1986, p. 190).
[10] Bruno Berger annuncia il rischio dello Pseudo-Essay allorché il saggista non ha la conoscenza completa del proprio oggetto (Bruno Berger, Der Essay. Form und Geschichte, Francke, Bern 1964, p. 178).
[11] Peter Lamarque e Stein H. Olsen, Truth, Fiction, and Literature. A Philosophical Perspective, Clarendon Press, Oxford 1994, p. 186. Gli autori stanno commentando il concetto di “come se” di Hans Vaihinger, La filosofia del “come se”. Sistema delle finzioni scientifiche, etico-pratiche e religiose del genere umano (1922), Ubaldini Editore, Roma 1967.
[Immagine: Quint Buchholz, Man reading a book].