di Matteo Santarelli

 

L'amore ai tempi del neoliberalismo, rubrica a cura di Federica Gregoratto

 

[Con questo articolo di Matteo Santarelli inauguriamo la nuova rubrica di Federica Gregoratto, L’amore ai tempi del neoliberalismo].

 

Nei suoi romanzi più eccentrici e fortunati, lo scrittore francese Michel Houellebecq ha esposto una tesi chiara e cinica sulla natura delle relazioni sentimentali e sessuali nella società contemporanea. A dispetto della retorica sull’amore e il romanticismo, secondo Houellebecq la sfera del sesso e dei rapporti affettivi è stata colonizzata dall’unica legge vigente nel mondo di oggi: la legge darwiniana della lotta e la competizione per la sopravvivenza. Così come si compete per la ricchezza, il prestigio e la posizione sociale, così si compete per la bellezza, l’”amore”, il sesso. E se prima questa competizione era mitigata o dissimulata da altri fattori, la lotta oggi si è fatta aperta ed esplicita. Uomini e donne di ogni genere e orientamento sessuale investono i loro capitali di ogni tipo per portare a casa l’agognato premio: il riconoscimento, il bollino di qualità di “soggetto sessualmente appetibile”. Per chi soccombe in questa lotta darwiniana, non rimangono che siti porno, cabine di peep show, astinenza, sesso a pagamento.

 

Ormai venti anni dopo le visioni – qualcuno direbbe, non del tutto a torto: le paranoie maschili, forse a tratti maschiliste – dello scrittore francese, impazza negli smartphone di nuova e vecchia generazione quello che si presenta come lo strumento ideale nella lotta per la competizione sessuale. Una app creata nel 2012, a cui ci si iscrive comunicando il proprio nome, la propria età, il proprio orientamento sessuale, caricando le proprie foto, per chi vuole anche una breve descrizione di se stessi. Il sistema registra, e poi offre e presenta una carrellata di opzioni. Nel caso in cui due iscritti/e esprimano apprezzamento reciproco, un’immagine trionfale riempie lo schermo: “It’s a match!”. Il match sancisce e rinnova il miracolo dell’incontro tra domanda e offerta, e rende possibile alle due persone che si sono “piaciute” sotto forma di un cuoricino di poter chattare e scambiarsi messaggi.

 

L’autopresentazione di Tinder

 

Ma lasciamo la parola a Tinder. Ecco alcune delle frasi più significative con cui la app si presenta su App Store:

 

Con 30 miliardi di compatibilità trovate fino ad oggi, Tinder® è l’app più utilizzata per fare nuovi incontri. Immaginaci come una vera e propria certezza: ovunque tu vada, ci siamo noi al tuo fianco.

 

Nell’incertezza della società contemporanea, Tinder offre un’ancora di sicurezza. Ovunque andrete, la app sarà con voi, al vostro fianco, offrendovi la certezza di scambiare cuoricini, messaggi, e chissà cos’altro. Ecco: cos’altro?

 

Nella sua autopresentazione, Tinder ci tiene a far sapere che il sesso non è l’unico obiettivo disponibile agli utenti della App: Magari vi interessa una notte di sesso, magari volete una persona con cui sarebbe bello invecchiare insieme, se la vita non spinge in direzioni diverse. Oppure magari volete semplicemente “vivere il momento”:

 

Se sei qui per fare nuovi incontri, allargare il tuo network di amicizie, incontrare persone del posto quando sei in viaggio o semplicemente per vivere il momento, sei nel posto giusto.

 

Alcune/i utenti sembrano aver interiorizzato quest’impostazione pluralista, esprimendola attraverso la parola chiave: no ONS, no “one night stand”, niente “una botta e via”, ma qualcos’altro, che va dalla “relazione stabile” a un “fidanzamento”, da “solo amicizie” a “prendiamo un caffè, e poi vediamo che succede”.

 

Ma ritorniamo al tema dell’incertezza. La società contemporanea ci mette di fronte a situazioni mutevoli, impreviste, imprevedibili. In questa incertezza, si aggira minaccioso lo spettro del fallimento. La società della competizione è una società in cui si moltiplicano le situazioni in cui si vince o si perde, si riesce o si fallisce. La sfera sessuale non fa eccezione a questa regola. Il fallimento, quello che ai tempi delle medie si chiamava il “palo”, è dietro l’angolo. E una serie di fallimenti rischia di trasformarti in un fallito, ossia il grado sociale più infimo nella gerarchia delle società contemporanee. Tinder lo sa, e per contenere l’incidenza statistica del fallimento ha inventato un sistema di armonizzazione degli interessi, una sorta di mano invisibile che regola le transazioni sessuali-sentimentali. Un sistema, a dire il vero, dal nome un po’ inquietante, che evoca linguaggi di tipo legale-penale: il sistema del “doppio consenso”

 

Usare Tinder è semplice e divertente—usa la funzionalità Scorri a destra per mettere Mi Piace a qualcuno o Scorri a sinistra per lasciar perdere. Se qualcuno ricambia il tuo interesse: It’s a Match! Siamo stati noi a mettere in pratica l’idea del “doppio consenso”, affinché la compatibilità si concretizzi solo se l’interesse è reciproco. Addio stress. Addio rifiuti. Tocca i profili che ti interessano, chatta online con le tue compatibilità, quindi metti via il telefono e fai nuovi incontri nel mondo reale per dare il via a qualcosa di nuovo.

 

Grazie al meccanismo del doppio consenso, parliamo solo con chi ci interessa e contemporaneamente ha dimostrato interesse per noi. In tal modo, la roulette russa del primo appuntamento viene in parte truccata per diminuire la probabilità che la pallottola del fallimento arrivi alla tempia dell’utente. Quantomeno, sappiamo che tra noi e la persona con cui andremo a prendere un caffè, una birra, una pizza c’è “interesse reciproco”, come ci dice Tinder con il suo linguaggio liberale vecchio stile. Questa base di comune interesse tra le parti incoraggia in entrambe un piccolo investimento di partenza nella nuova start-up sessuale-sentimentale. Nel dubbio, ovviamente, meglio investire che tenersi i soldi sotto il materasso. Se gira l’economia, è bene per tutti/e:

 

E ricorda, nel dubbio, Scorri a destra. Fidati di noi, con più opzioni a disposizione, puoi solo rendere la tua vita più interessante.

 

Il mercato, si sa, dipende tanto da fattori oggettivi quanto da fattori soggettivi. Per avere successo nella grande competizione della vita serve il magico, impersonale incontro tra domanda e offerta – “it’s a match!” – ma servono anche risorse psicologiche. La risorsa psicologica principale è sempre quella: il coraggio, l’estroversione, la voglia di mettersi in discussione, il non avere paura della vergogna e dell’imbarazzo. Come ho letto nelle didascalie di almeno dieci profili: “la vita vera inizia quando finisce la comfort zone!”. O detta altrimenti, con le parole della “app per single più hot e con più utenti al mondo”:

 

Dimentica la timidezza e unisciti a noi.

 

 

Lineamenti di una critica marxista di Tinder?

 

Eppure, commenti del genere rischiano rientrare nel più banale degli “si stava meglio quando si stava peggio”, in una classica retorica pseudo-marxista. Ma le cose stanno davvero così? C’è un fondo di verità nei commenti di sopra? La critica a Tinder è fuffa reazionaria e nostalgica di quello che non c’è mai stato, oppure è la giusta denuncia di un ennesimo strumento di alienazione? Per capirlo, occorre entrare nel dettaglio. Proviamo a vedere alcuni punti specifici in cui davvero Tinder sembra funzionare da meccanismo se non di creazione, quantomeno di intensificazione e di perpetuazione dello sfruttamento dell’essere umano sull’essere umano. Passiamo dalla polemica generica da anziano arrabbiato contro la Kasta a un tentativo di critica più serrato e dettagliato. Esponiamo dunque tre tesi, così da investire il momento di solennità marxista.

 

Prima tesi: Tinder è uno strumento che blocca l’ascensore sessuale.

 

Il patto sociale tra lavoratori e capitalisti che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale, unito alla minaccia dell’Unione Sovietica che rischiava di fare proseliti all’interno delle democrazie liberali e potenziato dalla crescita economica, ha prodotto quel fenomeno noto come “ascensore sociale”: gli appartenenti alle classi sociali più basse sono diventati più ricchi, più istruiti, più considerati. Chi prima non avevo un’opportunità, l’ha avuta, e l’ha sfruttata. Nelle società neoliberiste, alla faccia del mito dell’individualità e dell’autodeterminazione, questo meccanismo si è inceppato. I figli di chi sta male stanno peggio, i figli di chi sta bene stanno sempre meglio, chi sta in mezzo nel dubbio scende verso il basso, i poveri vengono sbeffeggiati da ricchi e quasi poveri al grido di: “Ciao, povery”.

 

Tinder appare come il perfetto complemento sentimental-sessuale di questa dinamica. Prima un brutto o una brutta (disclaimer: ovviamente i concetti di bellezza e bruttezza sono iper relativi al contesto storico e culturale) poteva tentare di uscire dal suo stato di svantaggio estetico giocando altre carte: l’ironia, l’intelligenza, l’abilità nell’arte della carbonara, il tono della voce, un buon impiego alle poste, il carisma, la dolcezza, i possedimenti terrieri. Tutte qualità che possono essere esperite solo nel contatto personale diretto. In un’epoca dominata da Tinder, il dominio dell’immagine cancella tutte queste dimensioni del rovesciamento – o più democristianamente: della compensazione – della gerarchia estetica. I brutti e le brutte non hanno neanche accesso all’”opportunità” dell’incontro di persona, perché verranno scartati a priori dalla dura legge del cuoricino: se non ti metto il cuoricino, non puoi scrivermi; se non puoi scrivermi, non puoi conoscermi; se non puoi conoscermi, le tue qualità rimarranno ininfluenti. Ma sei brutto o brutta, perché mai dovresti meritarti un cuoricino iniziale?

 

In breve: Tinder blocca l’ascensore sessuale. Se sei brutto o brutta, resti coi tuoi simili. Se sei bello o bella, idem. L’estetica intesa in senso immediato, che prima veniva temperata, rovesciata o ridefinita da altri fattori, oggi è saldamente in mano alla dittatura dell’immagine. Le piccole didascalie sotto alle foto sono un ultimo, pietoso rantolo delle parole, che cercano di riprendersi quello spazio che un tempo era loro tentando di essere appealing, ossia posizionandosi in un campo in cui l’immagine giocherà sempre in casa. E se pensate che il primato dell’immagine contrasti con le dinamiche di quantificazione, di riduzione di tutto a numero e quantità tipica del capitalismo, vi sbagliate di grosso. Tinder è pieno di didascalie tipo: “sono alta 1,70, quindi pretendo almeno 1,80”. L’immagine e la quantificazione contribuiscono a costruire incontri in cui l’imprevisto, l’inatteso, l’eventualità dello spiazzante sono ridotti al minimo. Il meccanismo del “doppio consenso”, che si presenta come un mezzo benevolo di limitazione del dolore del fallimento, agisce in realtà da strumento di conferma e potenziamento delle disuguaglianze estetiche e sessuali.

 

Seconda tesi: in Tinder gli sfruttati contribuiscono al loro proprio sfruttamento.

 

Di fronte a tali condizioni di disuguaglianza sempre più strutturali, quali opzioni si presentano alla persona brutta? In primo luogo, la cara, vecchia iconoclastia. Nietzsche lo aveva capito: la morale è uno strumento di ribellione dei sottomessi, che moralizzano e idealizzano le proprietà che non gli permettono di accedere al potere. In questo caso, l’immagine è un campo in cui perdiamo e siamo destinati a perdere? Allora l’immagine è cattiva, le parole e la “vita reale” sono buone. Questa mossa rancorosa, faziosa, in un certo qual modo vitale, è tuttavia minoritaria. Le foto lampadate di Diego Fusaro dimostrano come anche gli intellettuali più critici verso la società capitalista contemporanea sono poco disposti a ribellarsi alla tirannia dell’immagine. Ben più diffusa è invece la mossa seguente: giocare nel campo in cui si sa di perdere, scommettere in un gioco truccato, presentarsi a una partita di poker in dollari con una borsa di pesos argentini.

 

La persona “brutta” – un concetto ripetiamo relativo, ma la relatività sa essere spietata quanto e più dell’universalità – si iscrive comunque a Tinder. Gioca le sue carte, magari inserendo delle foto in cui “è venuta bene”, talvolta addirittura foto false. Piccoli inganni, truffe di basso cabotaggio che non mettono in discussione la legge dell’immagine, ma al contrario la confermano e la rafforzano: per conoscere altre persone, la propria immagine deve suscitare interesse.

 

Nel frattempo tuttavia Tinder ci chiede non solo di essere scelti – o quantomeno, di essere “degni di essere scelti” – ma anche di scegliere, di mettere i cuoricini, di esprimere le nostre preferenze. E se l’unico criterio di espressione delle proprie preferenze è l’immagine, dove finiranno queste preferenze presunte libere? Ovviamente verso i più belli, le più belle. Ogni mattina questi principi e principesse si sveglieranno a colpi di notifica, “hai ricevuto 40 cuoricini”, “qualcuno ha mostrato interesse per te”, e cominceranno la giornata con il sorriso del successo. I belli e le belle riceveranno i likes sia dei loro consimili che dei brutti, mentre quest’ultimi non riceveranno nemmeno i propri voti. Come i poveri che votano i partiti di estrema destra perché promettono di dare loro voce, e poi questi ultimi usano i loro voti per fare la flat tax e favorire ancora di più i ricchi, così i brutti e le brutte con ogni cuoricino di Tinder scrivono una lettera della propria condanna a morte nella giungla della competizione sessuale.

 

Terza tesi: i brutti ricchi almeno hanno il full optional.

 

Nell’epoca delle app, delle piattaforme e dei social network, il concetto di “gratuito” è relativo. Tutti/e noi lavoriamo incessantemente come piccole marmotte produttrici instancabili di dati e informazioni che vengono venduti così da rendere i messaggi pubblicitari che infestano le nostre vite più precisi e focalizzati sul nostro profilo. Inoltre, la versione gratuita è la sottomarca della versione a pagamento. Se non paghi, ti becchi pubblicità, molestie, isolamento, impopolarità, e altre torture virtuali e reali del genere.

 

Tinder non fa eccezione. Per chi volesse passare dal modello base al modello full optional, si presentano delle interessanti opportunità di potenziamento della propria competitività. Per 0,73 euro a boost, è possibile acquistare 25 super mi piace, grazie ai quali l’altra persona saprà non solo che ci piace, ma che ci piace in modo super. Con 4,16 euro al mese, è possibile sbloccare senza limiti la funziona “torna indietro”, ossia ritornare ai profili che frettolosamente abbiamo giudicato non interessanti, per poterli premiare con il cuoricino che gli spetta. Con 43 euro e 90, disponiamo invece di dieci boost, che aumentano la nostra visibilità nel territorio nella quale ci troviamo al momento. Per chi invece non avesse il tempo o le competenze di realizzare un’indagine di mercato sulle radici dei propri insuccessi, sono disponibili dei pacchetti che miscelano i vari optional: Tinder Plus, a partire da 9 euro e 90 al mese; Tinder Gold, aggiungendo ulteriori 5 euro mensili. Il passo successivo consisterà probabilmente in Tinder Cousin, un servizio tramite il quale Tinder proverà a mettervi una parola buona con la persona che non ha ricambiato il vostro kuoricino – una funzione sociale che nelle società analogiche novecentesche era appunto svolto da cugine e cugini.

 

Ad ogni modo, il succo del discorso è questo: se siete scarsi nel gioco del “doppio consenso”, l’unico amico che viene in vostro soccorso è il caro, vecchio capitale economico. D’altronde, il detto “chi non risica non rosica” vale per ogni forma di mercato.

 

Sono possibili usi alternativi e imprevisti di Tinder?

 

Finora, abbiamo presentato un’immagine pessimistica di Tinder. L’idea in breve è questa: tramite Tinder, chi ha successo sentimentalmente e sessualmente avrà sempre più successo, e chi non ha successo sarà sempre più sfortunato. Blocco dell’ascensore sessuale; partecipazione degli sfruttati al proprio sfruttamento; l’app che ti permette di incontrare “chiunque o ovunque” è in realtà lo strumento con cui l’inner circle estetico diventa sempre più inner, e sempre più capace di imporre regole che vanno a suo esclusivo favore.

 

L’onestà intellettuale tuttavia ci obbliga a ricordare che Tinder è in fin dei conti uno strumento, un mezzo, e che gli strumenti sono delle entità ambigue. Da un lato, gli strumenti non sono neutrali o imparziali. Il mezzo non è mai innocente, ma implica sempre un’inclinazione verso alcuni fini piuttosto che altri: non è mai un puro mezzo che può prestarsi a qualsiasi scopo o desiderio Questo aspetto è emerso in quanto detto in precedenza: Tinder non è uno strumento neutrale, ma al contrario rafforza e potenzia ciò che una determinata società – nella fattispecie: la nostra – determina come “bello”, “desiderabile”, “interessante”, e premia chi rientra in qualche misura in queste categorie

 

Eppure allo stesso tempo gli strumenti, pur non essendo neutrali, comportano sempre un elemento di potenziale imprevedibilità. Se è vero che un certo mezzo si presta a un uso piuttosto che un altro, a volte accade che qualcuno, qualcuna, un determinato gruppo impieghi questo mezzo in un modo che non era previsto, e ne stravolga il significato. La domanda diventa così: Tinder fa eccezione a questa legge? Esistono usi imprevisti e sovversivi di Tinder? Oppure è tutto già predeterminato, tutto già preimpostato dalla matrice?

 

Chi scrive, non è particolarmente ottimistico in tal senso. Eppure vanno quantomeno menzionati alcuni usi di Tinder che ho raccolto, purtroppo spesso solo per interposta persona, e che vanno al di là di questa dinamica di appiattimento. C’è chi ha usato Tinder per protestare massivamente contro l’intensificazione dei procedimenti di identificazione ed espulsione degli immigrati clandestini. Oppure, senza chiamare in causa stravolgimenti tanto radicali, mi è stato detto che Tinder può essere utile nel caso di persone disabili, che nella vita reale hanno accesso limitato a conoscere persone con cui intraprendere relazioni sessuali o sentimentali. In questo caso, la virtualità allenta le asimmetrie che invece Tinder contribuisce a potenziare nei casi sopra menzionati. Oppure Tinder, o altre app analoghe usate nel mondo LGTB, permettono incontri che altrimenti sarebbero difficili, soprattutto in contesti sociali ristretti e ostili verso le varie forme di non adesione all’eterosessualità. Infine, il velo della virtualità può magari servire a esprimere preferenze discordanti rispetto a quelli vigenti, che “l’utente” si vergognerebbe a esternare in pubblico. Magari mi piacciono le persone molto in carne, sono timido, a questa timidezza si aggiunge la pressione sociale verso un gusto dissidente, e allora avrò difficilmente l’occasione di entrare in contatto con una persona che mi piace esteticamente. In questi casi, l’uso di Tinder sembra andare in direzione opposta rispetto al conformismo messo in luce in precedenza.

 

Questi episodi sono sicuramente significativi e non vanno marginalizzati in nome di formule magiche teoriche preconfenzionate. Eppure, è forte il dubbio che questi usi non controbilancino la carica conservatrice e appiattente della “app più sexy del mondo”.

 

L'amore ai tempi del neoliberalismo, rubrica a cura di Federica Gregoratto

2 thoughts on “Tinder is the night

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