di Gilda Policastro

 

Grotowsky indentificava il performer ora con un sacerdote ora con un guerriero: la performance è un rito, aggiungeva, e solo nelle sue degenerazioni diventa uno show. Sottolineando, poi, l’aspetto maieutico e ancestrale di questa ritualità, volta non alla scoperta del nuovo, ma piuttosto del “dimenticato”. Negli anni Dieci, dopo un periodo di marginalità o di pregiudizi nei confronti della poesia per il palco e il microfono, la scena della poesia performativa in Italia è letteralmente esplosa, con nuovi nomi e nuove esperienze, più o meno in debito (o, all’opposto, in contrasto) con la tradizione performativa dei precursori: su tutti Lello Voce, primo emcee italiano nel 2001, che pur rimanendo attivo nei vari ambiti della scrittura orale, ha spesso passato il testimone agli autori di generazioni successive, da Dome Bulfaro a Luigi Socci ad Adriano Padua, oscillanti nei vari contesti dal ruolo di slammer a quello di emcee. In questa insolita playlist propongo alcune delle esperienze a mio parere più interessanti della scena performativa contemporanea, per le caratteristiche che enuncio brevemente autore per autore (rimandando per gli approfondimenti a un saggio di prossima pubblicazione). Sono tutti autori nati negli anni Ottanta e a vario titolo legati alla LIPS, la Lega Italiana Poetry Slam (fondata nel 2013), ma hanno in realtà percorsi e attitudini molto diverse.

 

Del tutto a sé mi pare l’esperienza di Francesca Gironi, performer marchigiana, unico caso a me noto di poetessa e danzatrice in Italia. Le sue videopoesie coniugano con originalità i tre ambiti o strumenti della performance (la voce, il corpo e il palco), senza rinunciare a una scrittura di ricerca, che si mantiene allo stesso livello della prestazione vocale e scenica. Più diretta e agonistica la tenzone col palco e col pubblico di Vittorio Zollo, performer appartenente al collettivo Zoopalco (di base bolognese), che ha scelto il Sannio d’origine come centro della sua attività performativa, nella convinzione che la performance non sia «la lettura di un testo dallo smartphone ma la capacità di lavorare sulle emissioni sonore, demistificando la parola e mettendo in scena il corpo. La parola è come un mitra: non mi interessa enfatizzare ma colpire, determinare una reazione». Nel pezzo che abbiamo scelto, tratto dal suo spettacolo Metalli pesanti, Zollo prende le mosse dall’ on n’échappe pas de la machine di Deleuze (ripreso da Carmelo Bene nel celebre Uno contro tutti del Maurizio Costanzo Show), stravolto, campionato e associato a una memoria personale (la sirena dell’Itis che suonava al posto della campanella). Anche Matteo Di Genova (nato a L’Aquila, attualmente di stanza a Bologna) calca i palchi dei poetry slam e dei teatri, prediligendo una performance dai testi apparentemente semplici, che smontano le retoriche e i luoghi comuni attraverso una messa in rilievo (quasi una smaterializzazione verbale) dei conflitti che si manifestano attraverso il linguaggio. Di vera e propria performance impegnata si può parlare nel caso dell’ultimo autore, Sergio Garau, un veterano della scena performativa e in particolare dei poetry slam, italiani e internazionali, la cui prova più recente è un’esecuzione del raggelante Quirra, che prende il nome dal poligono sperimentale dell’omonima città sarda in cui si fanno esplodere bombe e si sperimentano nuove armi, anche nucleari («è un pezzo allegro»). Per la conclusione della nostra playlist scegliamo però una performance ormai classica di Garau, IOgameover, che proprio in questi giorni festeggia i dieci anni (tornando d’attualità dopo la terrifica performance di Trump). Nuova poesia performativa non dimenticata, dunque, e buon ascolto.

 

Francesca Gironi, Train announcement poem

 

Vittorio Zollo, il ne peut pas échapper à la machine

 

Matteo Di Genova, Ammazza

 

Sergio Garau, IO Game Over

 

 

[Immagine: Francesca Gironi, foto di Paolo Sacchi].

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